Italo Svevo
(Ettore Schmitz)
Senilità
Capitolo IV
Spesso, nella loro relazione, si
ripeterono quegli scrosci di pioggia che lo strappavano all'incanto cui egli con tanta
voluttà si abbandonava.
Di buon'ora, il giorno appresso, andò da
Angiolina. Non sapeva neppur lui se ci andava a vendicarsi con qualche frase pungente del
modo con cui ella l'aveva lasciato la sera innanzi, oppure a riavere intero, al colore di
quel viso, il sentimento che nella notte era stato minato in lui da una dolorosa
riflessione e del quale, - lo apprendeva all'ansietà che lo faceva correre fin lassù, -
egli aveva oramai bisogno.
Venne ad aprirgli la porta la madre di
Angiolina, la quale l'accolse con le solite parole gentili, la fisionomia immobile di
cartapecora, la voce brutalmente sonora. Angiolina stava vestendosi e sarebbe venuta
subito.
- Che gliene sembra? - domandò la vecchia
tutto ad un tratto. Gli parlò del Volpini. Sorpreso che anche la madre volesse la sua
approvazione al matrimonio di Angiolina, egli esitò ed ella, ingannandosi sulla natura
del dubbio che gli vedeva scritto in faccia, cercò di convincerlo. - Capirà. È una
fortuna per Angiolina. Se anche non gli vorrà tanto bene, avrà una vita tranquilla,
lieta, perché egli è molto innamorato. Bisogna vederlo! - Ebbe un risolino breve e
rumoroso ma che le contrasse le sole labbra. Si capiva ch'era soddisfatta.
Fini di compiacersi di vedere come
Angiolina avesse fatto comprendere alla madre quanto ci tenesse al suo consenso; lo diede
con parole generose. Gli doleva che Angiolina ne sposasse un altro, ma visto ch'era per
suo bene... L'altra ebbe un altro risolino, ma questo più sulla faccia che nella voce e a
lui parve ironico. Che la madre sapesse anche dei suoi patti con la figlia? Neppure questo
non gli sarebbe dispiaciuto tanto. Perché avrebbe dovuto dolersi di quelle risatine
destinate all'onesto Volpini? Certo era che qui non poteva essere lui il deriso.
Angiolina venne vestita di tutto punto per
uscire, aveva fretta perché alle nove doveva trovarsi dalla signora Deluigi. Egli non
volle lasciarla subito perciò, per la prima volta, camminarono insieme per la via, alla
luce del sole.
- Mi pare che siamo una bella coppia -
disse ella sorridendo vedendo che ogni passante aveva un'occhiata per loro. Era
impossibile passarle accanto e non guardarla.
Anche Emilio la guardò. Il vestito
bianco, che esagerava il figurino d'allora, la vita strettissima, le maniche allargate,
quasi palloni rigonfi, domandava l'occhiata, era stato fatto per conquistarla. La testa
usciva da tutto quel bianco, non oscurata da esso, ma rilevata nella sua luce gialla e
sfacciatamente rosea, alle labbra una sottile striscia di sangue rosso che gridava sui
denti, scoperti dal sorriso lieto e dolce gettato all'aria e che i passanti raccoglievano.
Il sole le scherzava nei riccioli biondi, li indorava e incipriava.
Emilio arrossì. Gli parve di poter
leggere negli occhi di ogni passante un giudizio ingiurioso. La guardò ancora.
Evidentemente ella aveva nell'occhio per ogni uomo elegante che passava, una specie di
saluto; l'occhio non guardava, ma vi brillava un lampo di luce. Nella pupilla qualche cosa
si moveva e modificava continuamente l'intensità e la direzione della luce. Quell'occhio crepitava!
Emilio si attaccò a questo verbo che gli parve caratterizzasse tanto bene l'attività in
quell'occhio. Nei piccoli movimenti rapidi, imprevedibili della luce, pareva di sentire un
lieve rumore.
- Perché civetti? - chiese egli
costringendosi ad un sorriso. Senz'arrossire e ridendo, ella rispose: - Io? Ho gli occhi
per guardare, io. - Ella era dunque consapevole del movimento del suo occhio; s'ingannava
soltanto dicendolo «guardare». Poco dopo passò un impiegatuccio, certo Giustini, bel
giovinetto che Emilio conosceva di vista. L'occhio di Angiolina si ravvivò ed Emilio si
volse a guardare il fortunato mortale ch'era già passato. L'impiegatuccio s'era fermato a
guardarli. - S'è fermato a guardarmi, eh? - chiese essa sorridendo lieta.
- Perché te ne compiaci? - chiese egli
con tristezza. Ella non lo comprese neppure. Poi, con astuzia, volle fargli credere
ch'ella di proposito cercasse di renderlo geloso, e, infine, per quietarlo,
spudoratamente, alla luce del sole fece con le labbra rosse una smorfia che voleva
rappresentare un bacio. Oh, ella non sapeva fingere. La donna ch'egli amava, Ange,
era sua invenzione, se l'era creata lui con uno sforzo voluto; essa non aveva collaborato
a questa creazione, non l'aveva neppure lasciato fare perché aveva resistito. Alla luce
del giorno il sogno scompariva.
- Troppa luce! - mormorò egli abbacinato.
- Andiamo all'ombra.
Essa lo guardò con curiosità vedendogli
il viso sconvolto: - Il sole a te fa male? Mi dicono infatti che ci sono delle persone che
non lo possono sopportare. - Come ella aveva torto d'amare il sole.
Al momento di separarsi, egli le chiese: -
E se Volpini risapesse di questa nostra passeggiata traverso la città?
- Chi gliel'avrebbe a dire? - disse essa
con grande calma Gli direi che tu sei un fratello o un cugino della Deluigi. Egli non
conosce nessuno a Trieste, ed è quindi facile fargli credere ciò che si vuole.
Quando si separarono, egli volle ancora
analizzare le proprie impressioni e camminò solo, senza direzione. Un lampo d'energia
rese il suo pensiero rapido e intenso. S'era imposto un problema e subito lo risolse.
Avrebbe fatto bene a lasciarla immediatamente e non rivederla più. Non poteva più
ingannarsi sulla natura dei propri sentimenti, perché il dolore che poco prima aveva
provato era troppo caratteristico con quella vergogna per lei e per se stesso.
S'avvicinò a Stefano Balli col proposito
di fargli una promessa per cui la sua risoluzione fosse resa irrevocabile. Invece la vista
dell'amico bastò a fargliela abbandonare. Perché non si sarebbe potuto divertire anche
lui con le donne come faceva Stefano? Ricordò quale sarebbe stata la sua vita senz'amore.
Da una parte la soggezione al Balli, dall'altra la tristezza d'Amalia, e null'altro. E non
gli parve d'essere meno energico ora che poco prima; anzi, ora voleva vivere, godere anche
a costo di soffrire. Avrebbe dimostrato energia nel modo con cui avrebbe trattato
Angiolina, non nel fuggirla vigliaccamente.
Lo scultore lo accolse con una bestemmia
brutale: - Sei vivo ancora? Bada che se, come sembrerebbe dalla tua faccia contrita, ti
avvicini per chiedermi un favore, sprechi fatica e fiato. Bastardo!
Gli gridava nelle orecchie comicamente
minaccioso, ma Emilio fu liberato da ogni dubbio. L'amico, parlandogli d'appoggio, gli
aveva dato un buon consiglio; e chi meglio del Balli avrebbe potuto soccorrerlo in quei
frangenti? - Te ne prego supplicò, - avrei un consiglio da chiederti.
L'altro si mise a ridere. - Si tratta
d'Angiolina, nevvero? Non voglio saperne di cose che la concernono. E capitata fra noi a
dividerci e ci stia, ma non mi secchi altrimenti.
Avrebbe potuto essere più brusco ancora
che Emilio cionondimeno non avrebbe rinunziato ad averne il consiglio. Da quello doveva
risultare la salvezza; Stefano, che tanto bene se ne intendeva, gli avrebbe indicata lui
la via da seguirsi per continuare a godere senza più soffrire. In un solo istante giunse
così dall'altezza di quel suo primo virile proposito alla più bassa abiezione: la
coscienza della propria debolezza e la perfetta rassegnazione alla stessa. Chiamava aiuto!
Avrebbe voluto conservare almeno l'aspetto della persona che domanda un semplice consiglio
tanto per udire un parere altrui. Per un effetto meccanico, invece, quei gridi nelle
orecchie lo resero supplichevole. Avrebbe avuto grande bisogno di venir accarezzato.
Stefano ne ebbe compassione. Lo prese
ruvidamente pel braccio e lo trascinò seco verso la Piazza della Legna ove aveva lo
studio. - Sentiamo. Se c'è aiuto possibile, sai bene ch'io te lo darò.
Commosso, Emilio si confessò. Sì. Ora lo
sentiva chiaramente. La cosa era divenuta per lui molto seria, e descrisse il proprio
amore, l'ansietà di vederla, di parlarle, la gelosia, il dubbio, il cruccio incessante e
l'oblio perfetto d'ogni cosa che non avesse avuto attinenza a lei o al proprio sentimento.
Poi parlò d'Angiolina come ora la giudicava in seguito al contegno ch'ella teneva sulla
via, alle fotografie appese al muro della sua stanza e alla sua dedizione al sarto e ai
loro patti. Parlandone sorrise più volte. L'aveva evocata alla mente, la vedeva lieta,
ingenuamente perversa e le sorrideva senz'ira. Povera fanciulla! Ella ci teneva tanto a
quelle fotografie da tenerle in parata sul muro, amava tanto di venir ammirata per la via
da volere ch'egli stesso tenesse il registro delle occhiate lanciatele. Parlandone sentì
che in tutto ciò non v'era offesa per chi aveva dichiarato di non cercare in lei che un
giocattolo. Vero è che nel racconto non erano entrate tutte le sue osservazioni ed
esperienze, ma quelle che ne erano rimaste fuori per il momento non esistettero più.
Guardò il Balli con timidezza perché temeva di vederlo scoppiare in una risata, e fu
soltanto la logica che lo costrinse a proseguire. Aveva dichiarato di volere un consiglio
e doveva chiederlo. Il suono delle proprie parole echeggiava ancora nel suo orecchio ed
egli ne trasse una conclusione come da parole altrui. Con grande calma, quasi avesse
voluto far dimenticare il calore con cui aveva parlato fino a quel punto, chiese: - Non ti
pare che visto che non so comportarmi come dovrei, farei bene a cessare da questa
relazione? - Dissimulò di nuovo un sorriso. Sarebbe stato comico che il Balli, in buona
fede, gli avesse dato il consiglio di lasciare Angiolina.
Ma Stefano diede subito prova della sua
intelligenza superiore e non volle consigliare. - Capisci che io non posso mica
consigliarti d'essere fatto altrimenti, - disse affettuosamente - Lo sapevo io che questa
specie di avventure non era fatta per te. - Emilio pensò che, poiché Balli ne parlava a
quel modo, i sentimenti di cui egli poco prima s'era tanto spaventato dovessero essere una
cosa comune, e ne trasse un nuovo argomento di tranquillità.
S'avvicinò Michele, il servo del Balli,
un uomo in età, antico soldato. In posizione di attenti disse al padrone qualche parola a
mezza voce e s'allontanò dopo d'essersi levato il cappello con un gesto largo ma il corpo
sempre immobile.
- Sono atteso nello studio, - disse il
Balli con un sorriso. - È una donna ed è peccato che tu non possa assistere al nostro
colloquio. Sarebbe molto istruttivo per te. - Poi ebbe una idea: - Vuoi che ci troviamo
una sera in quattro? - Credette d'aver trovata la via per dare aiuto all'amico ed Emilio
accettò con entusiasmo. Naturalmente! L'unico mezzo per poter imitare il Balli era di
vederlo all'opera.
La sera Emilio aveva convegno con
Angiolina al Campo Marzio. Nella giornata egli aveva meditati dei rimproveri. Ma ella
venne per essere per qualche ora tutta sua; a Sant'Andrea, a quell'ora, non v'erano dei
passanti che gliene rubassero l'attenzione. Perché avrebbe dovuto diminuire la felicità
con dei litigi? Gli parve d'imitare meglio il Balli amando dolcemente e godendo di
quell'amore, cui, la mattina, in un istante di follia, per poco non aveva rinunziato. Del
suo risentimento non trapelò che una eccitazione che andò a dar anima alle sue parole, a
tutta la serata che fu nel principio dolcissima. Stabilirono di dedicare una delle due ore
che potevano passare insieme ad allontanarsi dalla città, l'altra a rientrare. Fu lui che
fece la proposta volendo tranquillarsi camminando accanto a lei. Ci misero circa un'ora ad
arrivare all'Arsenale, un'ora di felicità perfetta, nella notte chiara, in quell'aria
limpida, rinfrescata da un autunno anticipato.
Ella sedette sul muricciuolo che
fiancheggiava la via ed egli rimase in piedi dominandola tutta. Vedeva proiettarsi quella
testa, illuminata da una parte dalla luce di un fanale, sul fondo oscuro: l'Arsenale che
giaceva sulla riva, tutta una città, in quell'ora morta. - La città del lavoro! - disse
egli sorpreso d'esser venuto là ad amare.
Il mare, chiuso dalla penisola di faccia,
nascosto dalle case, nella notte era sparito dal panorama. Restavano le case sparse alla
riva come su una scacchiera, poi, più in là, un vascello in costruzione. La città del
lavoro pareva anche maggiore che non fosse. Alla sinistra, dei fanali lontani parevano
segnarne la continuazione. Egli rammentò che quei fanali appartenevano ad un altro grande
stabilimento situato sulla sponda opposta del vallone di Muggia. Il lavoro continuava
anche là; era giusto che alla vista apparisse come la continuazione di questo.
Anch'ella guardava e, per un istante,
Emilio si trovò col pensiero ben lungi dal suo amore. In passato egli aveva vagheggiato
delle idee socialiste, naturalmente senza mai muover dito per attuarle. Come erano lontane
da lui quelle idee! Ne ebbe rimorso come di un tradimento, perché egli sentiva le
cessazioni da desideri e da idee, le sole sue azioni, come apostasìe.
Il piccolo malessere presto sparì. Ella
chiedeva parecchie cose, specialmente intorno a quel colosso sospeso nell'aria ed egli le
descrisse un varo. Nella sua vita di pedante solitario egli non aveva saputo conformare
giammai il pensiero e le parole alle orecchie cui erano dirette e, invano, parecchi anni
prima, aveva tentato d'uscire dal suo guscio e comunicare con la folla; s'era dovuto
ritirare indispettito e sprezzante. Ora, invece, come era dolce evitare la parola o magari
il concetto difficile, e farsi intendere. Come parlava era capace di spezzettare il
proprio concetto liberandolo dalla parola con cui era nato, pur di veder passare un lampo
d'intelligenza in quegli occhi azzurri.
Ma una grave stonatura anche allora venne
ad interrompere tutta quella musica. Giorni prima egli aveva sentito raccontare un fatto
che l'aveva assai commosso. Un astronomo tedesco, da una diecina di anni, viveva nel suo
osservatorio, su una delle punte più alte delle Alpi, fra le nevi eterne. Il più vicino
villaggio era situato un migliaio di metri sotto ai suoi piedi, e di là gli veniva
portato giornalmente il cibo da una fanciulla dodicenne. Nei dieci anni, a mille metri il
giorno di salita e di discesa, la fanciulla era divenuta grande e forte e bella, e lo
scienziato ne fece sua moglie. Il matrimonio s'era celebrato poco prima nel villaggio, e,
per viaggio di nozze, gli sposi erano saliti insieme alla loro abitazione. Fra le braccia
di Angiolina egli vi ripensò; così avrebbe voluto possederla, a mille metri di distanza
da qualunque altro uomo; così - dato che gli fosse stato possibile come all'astronomo, di
continuare a dedicare la vita ai medesimi scopi - sarebbe stato capace di legarsi
definitivamente a lei, senza riserve. - E a te - domandò con impazienza visto ch'ella non
capiva ancora perché le venisse raccontata quella storiella, - e a te piacerebbe di venir
a stare lassù, con me?
Ella esitò. Evidentemente ella esitò.
Una parte della storiella, la montagna cioè, era stata capita subito da lei. Egli non vi
scorgeva che amore, mentre ella, subito, vi sentì la noia e il freddo. Lo guardò,
comprese quale risposta egli esigesse, e, proprio per compiacergli, disse senz'alcun
entusiasmo: - Oh, sarebbe magnifico.
Ma egli era già profondamente offeso.
Aveva sempre creduto che quando si fosse deciso a farla sua, ella avrebbe accettato con
entusiasmo qualunque condizione ch'egli le avesse imposta. Invece, no! Tanto in alto ella
non si sarebbe trovata bene neppure con lui e, nell'oscurità, egli vide dipinta su quel
volto la meraviglia che si potesse proporle di andar a passare la gioventù fra la neve,
nella solitudine; la sua bella gioventù, dunque i capelli, i colori della faccia, i
denti, tutte le cose ch'ella amava tanto di veder ammirate dalla gente.
Le parti erano invertite. Egli aveva
proposto, sebbene per figura retorica, di farla sua ed ella non aveva accettato; ne rimase
veramente costernato! - Naturalmente - disse con ironia amara - lassù non ci sarebbe
nessuno che potrebbe regalarti delle fotografie, né troveresti sulla via della gente
fermata a guardarti.
Ella sentì l'amarezza, ma non si offese
dell'ironia perché le sembrava di aver ragione e si mise a discutere. Lassù faceva
freddo ed ella non amava il freddo; d'inverno si sentiva infelice persino in città. Poi,
a questo mondo, non si vive che una volta sola, e lassù si correva il pericolo di vivere
più brevemente dopo d'esser vissuto peggio, perché non le si darebbe ad intendere che
possa essere molto divertente di vedersi passare le nubi anche sotto ai piedi.
Ella aveva ragione infatti, ma come era
fredda e poco intelligente! Non discusse più perché come avrebbe potuto convincerla?
Guardò altrove cercando. Le avrebbe potuto dire un'insolenza che lo vendicasse e
quietasse. Ma restò zitto, indeciso a guardare intorno a sé la notte, le luci sparse
sulla fosca penisola di faccia, poi la torre che s'ergeva all'ingresso dell'Arsenale, al
di sopra degli alberi, di una lividezza turchina, un'ombra immota che pareva una
combinazione casuale di colore campata in aria.
- Io non dico di no, - disse Angiolina per
rabbonirlo, - sarebbe magnifico, ma... - S'interruppe; pensò che poiché egli tanto
desiderava di vederla entusiasmata di quella montagna che essi, certo, non avrebbero mai
vista, sarebbe stata una sciocchezza di non compiacerlo: - Sarebbe molto bello - e ripeté
la frase con un crescendo d'entusiasmo. Ma egli non distolse gli occhi dalla lividura
dell'aria, offeso anche più da quella finzione tanto trasparente da sembrare uno scherzo,
finché ella non lo attirò a sé. - Se vuoi una prova, domani, subito, partiamo e vivo
sola con te per sempre.
In uno stato d'animo identico a quello
della mattina, egli ripensò al Balli: - Lo scultore Balli vuole fare la tua conoscenza.
- Davvero? - chiese essa giocondamente. -
Anch'io! - e pareva volesse correre subito in cerca del Balli. - Me ne è stato parlato
tanto da una signorina che gli voleva bene, che da lungo tempo ho il desiderio di
conoscerlo. Dove mi ha vista da desiderare di conoscermi?
Non era cosa nuova ch'ella, in faccia a
lui, dimostrasse dell'interessamento per altri uomini, ma come era doloroso! - Non sapeva
nemmeno che tu esistessi! - disse egli bruscamente. - Ne sa quanto io gliene dissi. -
Sperava di averle fatto dispiacere mentre invece ella gli fu molto grata d'aver parlato di
lei. - Chissà, però - disse con accento comicissimo di diffidenza - che cosa tu gli
avrai detto di me.
- Gli dissi che sei una traditrice, -
disse egli ridendo. La parola li fece ridere di cuore e furono immediatamente di buon
umore e in buona armonia. Si lasciò abbracciare lungamente e, tutt'ad un tratto molto
commossa, gli mormorò nell'orecchio: - Sce tèm bocù. - Egli ripeté questa volta
con tristezza: - Traditrice. - Ella rise di nuovo fragorosamente, ma poi trovò qualche
cosa di meglio. Baciandolo, gli parlò sulla bocca, e, con una grazia ch'egli non
dimenticò più, una voce dolce supplichevole, che mutava timbro, gli chiese più volte: -
Non è vero che non è vero ch'io sia quella tal cosa? - Perciò anche la chiusa della
serata fu deliziosa. Bastava un gesto indovinato d'Angiolina per annullare ogni dubbio,
ogni dolore.
Al ritorno egli si rammentò che il Balli
aveva da portar con sé una donna e s'affrettò di parlarne. Non parve ch'ella ne provasse
dispiacere; poi però si informò con un aspetto d'indifferenza che non poteva essere
simulato, se quella donna fosse molto amata dal Balli. - Non credo, - disse egli
sinceramente, lieto di quell'indifferenza. - Il Balli ha un modo strano d'amare le donne;
le ama molto ma tutte egualmente quando gli piacciono.
- Deve averne avute molte? - chiese essa
pensierosa. E qui egli credette di dover mentire. - Non lo credo.
La sera appresso dovevano trovarsi al
Giardino Pubblico in quattro. I primi sul posto furono Angiolina ed Emilio. Non era troppo
gradevole d'attendere all'aperto, perché, senza che fosse piovuto, il terreno era umido
per lo scirocco. Angiolina volle celare la sua impazienza sotto un aspetto di malumore, ma
non le riuscì d'ingannare Emilio il quale fu preso da un intenso desiderio di conquistare
quella donna ch'egli non sentiva più sua. Fu noioso invece, lo sentì ed ella non mancò
di farglielo sentire anche meglio. Stringendole il braccio, egli le aveva chiesto: - Mi
vuoi bene almeno quanto iersera? - Sì! - disse lei bruscamente - ma non sono mica cose
che si dicano ad ogni istante.
Il Balli capitò dall'Acquedotto al
braccio di una donna grande come lui. - Com'è lunga! - disse Angiolina emettendo subito
su quella donna l'unico giudizio che a quella distanza se ne poteva fare.
Avvicinatosi, il Balli presentò: -
Margherita! Ange! - Tentò nell'oscurità di vedere Angiolina e s'avvicinò con la
faccia tanto che allungando le labbra avrebbe potuto baciarla. - Veramente Ange? -
Non ancora soddisfatto, accese un cerino e illuminò con esso la rosea faccia che, seria,
seria, si prestò all'operazione. Illuminata, essa aveva nell'oscurità delle trasparenze
adorabili; gli occhi chiari, in cui il giallo della fiamma penetrava come nell'acqua più
limpida, brillavano dolci, lieti, grandi. Senza scomporsi, il Balli illuminò col cerino
la faccia di Margherita, una faccia pallida, pura, due occhioni turchini, grandi e vivaci,
che toglievano la possibilità di guardare altrove, un naso aquilino e, sulla piccola
testa, una grande quantità di capelli castagni. Strideva su quella faccia la
contradizione fra quegli occhi arditi di monella e la serietà dei tratti di madonna
sofferente. Oltre che per farsi vedere, ella approfittò della luce del cerino per
guardare con curiosità Emilio; poi, visto che la fiammella non voleva ancora spegnersi,
vi soffiò sopra.
- Adesso vi conoscete tutti. Quel coso lì
- disse il Balli accennando ad Emilio - lo vedrai al chiaro. - Precedette la compagnia con
Margherita che già s'era attaccata al suo braccio. La figura di Margherita così alta e
magra, non doveva esser bella; s'accompagnava ad entrambe le espressioni della faccia di
vivacità e di sofferenza. Il suo passo era malsicuro, piccolo in proporzione alla figura.
Portava una giacchetta di un color rosso fiammante, ma sul suo dosso modesto, povero, un
po' curvo, perdeva ogni arditezza; pareva una uniforme vestita da un fanciullo; mentre
addosso ad Angiolina il colore più smorto s'avvivava. - Peccato, - mormorò Angiolina con
profondo rammarico, - quella bella testa infilzata su quella stanga.
Emilio volle dire qualche cosa.
S'avvicinò al Balli e gli disse: - Soddisfattissimo degli occhi della tua signorina,
vorrei sapere come ti sieno piaciuti quelli della mia.
- Gli occhi non son brutti - dichiarò il
Balli - il naso però non è modellato perfettamente; la linea inferiore è poco fatta.
Bisognerebbe darci ancora qualche colpo di pollice.
- Davvero! - esclamò Angiolina
interdetta.
- Forse potrei ingannarmi - disse il Balli
serio, serio. - E cosa che si vedrà subito, al chiaro.
Quando Angiolina si sentì abbastanza
lontana dal suo terribile critico, disse con voce cattiva: - Come se la sua zoppa fosse
perfetta.
Al «Mondo Nuovo» entrarono in una stanza
oblunga chiusa da una parte da un tramezzo, dall'altra, verso il vasto giardino della
birreria, da una vetrata. Al loro arrivo accorse il cameriere, un giovanotto dal vestito e
dal fare contadineschi. Montò in piedi su una seggiola e accese due fiammelle del gas,
che rischiararono scarsamente la vasta stanza; restò poi lassù a stropicciarsi gli occhi
assonnati, finché Stefano non accorse a trarlo giù gridando che non gli permetteva
d'addormentarsi tanto in alto. Il contadinotto, appoggiatosi allo scultore, discese dalla
sedia e s'allontanò desto del tutto e di buonissimo umore.
A Margherita doleva un piede e s'era
subito seduta. Il Balli le si fece d'intorno abbastanza premuroso, e voleva non facesse
complimenti, si levasse lo stivale. Ma ella non volle dichiarando: - Già qualche male ci
dev'essere sempre. Questa sera lo sento appena, appena.
Come era differente da Angiolina quella
donna. Faceva delle dichiarazioni d'amore senza dirle, senza tradirne il proposito,
affettuosa e casta, mentre l'altra, quando voleva significare la sua sensibilità, si
inarcava tutta, si caricava come una macchina che per mettersi in movimento ha bisogno di
una preparazione.
Ma al Balli non bastava. Aveva detto
ch'ella doveva levarsi lo stivale e insistette per essere ubbidito finché ella non
dichiarò che sarebbe stata pronta a levarsi anche tutt'e due gli stivali se egli avesse
ordinato, ma che non le sarebbe servito a nulla non essendo quella la causa del male.
Durante la serata ella fu obbligata parecchie volte a dare dei segni di sommissione
perché il Balli voleva esporre il sistema che seguiva con le donne. Margherita si
prestava magnificamente a quella parte; rideva molto, ma ubbidiva. Si sentiva nella sua
parola una certa attitudine a pensare; ciò rendeva la sua soggezione appropriatissima
quale esempio.
In principio ella cercò d'annodare il
discorso con Angiolina che si provava di stare sulle punte dei piedi per vedersi in uno
specchio lontano e correggersi i ricci. Le aveva raccontato dei mali che l'affliggevano al
petto ed alle gambe; non si rammentava di un'epoca in cui non avesse sentito dei dolori.
Sempre con gli occhi rivolti allo specchio, Angiolina disse: - Davvero? Poveretta! - Poi
subito, con grande semplicità: - Io sto sempre bene. - Emilio che la conosceva, trattenne
un sorriso avendo sentito in quelle parole l'indifferenza più piena per le malattie di
Margherita e, immediata, intera, la soddisfazione della propria salute. La sventura altrui
le faceva sentir meglio la propria fortuna.
Margherita si pose fra Stefano e Emilio;
Angiolina sedette l'ultima in faccia a lei e, ancora in piedi, rivolse un'occhiata strana
al Balli. Ad Emilio parve di sfida, ma lo scultore l'interpretò meglio: - Cara Angiolina,
- le disse senza complimenti, - ella mi guarda così sperando ch'io trovi bello anche il
suo naso, ma non serve. Il suo naso dovrebbe essere fatto così. - Segnò sul tavolo, col
dito bagnato nella birra, la curva che egli voleva, una linea grossa che sarebbe stato
difficile figurarsi su un naso.
Angiolina guardò quella linea come se
avesse voluto apprenderla, e si toccò il naso: - Sta meglio così - disse a mezza voce
come se non le fosse più importato di convincere nessuno.
- Che cattivo gusto! - esclamò il Balli
non potendo però tenersi dal ridere. Si capì che da quel momento Angiolina lo divertì
molto. Continuò a dirle delle cose sgradevoli ma pareva lo facesse per provocarla a
difendersi. Ella stessa ci si divertiva. Nel suo occhio c'era per lo scultore la medesima
benevolenza che brillava in quello di Margherita; una donna copiava l'altra, ed Emilio,
dopo aver cercato invano di cacciare qualche parola nella conversazione generale, era ora
intento a domandarsi perché avesse organizzata quella adunanza.
Ma il Balli non lo aveva dimenticato.
Seguì il suo sistema, che pareva dovesse essere la brutalità, persino col cameriere. Lo
sgridò perché non gli offriva di cena altro che vitello in tutte le salse; rassegnatosi
a prenderne, gli diede i suoi ordini e quando il cameriere stava già per uscire dalla
stanza, gli gridò dietro in un nuovo comico accesso d'ira ingiustificata: - Bastardo,
cane! - Il cameriere si divertì a esser sgridato da lui ed eseguì tutti i suoi ordini
con una premura straordinaria. Così, avendo domato tutti intorno a sé, al Balli parve
d'aver dato ad Emilio una lezione in piena regola.
Ma a costui non riuscì d'applicare quei
sistemi neppure nelle cose più piccole. Margherita non voleva mangiare: - Bada, disse il
Balli, - è l'ultima sera che passiamo insieme; non posso soffrire le smorfie io! - Ella
acconsentì che si facesse da cena anche per lei; tanto presto le venne l'appetito che ad
Emilio sembrò di non avere avuto giammai da Angiolina un tale segno di affetto. Intanto
anche questa, dopo lunga esitazione, aveva dichiarato di non volerne sapere di vitello
- Hai inteso, - le disse Emilio, - Stefano
non può soffrire le smorfie. - Ella si strinse nelle spalle; non le importava di piacere
a nessuno, e ad Emilio parve che il disprezzo fosse diretto piuttosto a lui che al Balli
- Questa cena di vitelli - disse il Balli
con la bocca piena guardando in faccia gli altri tre - non è precisamente una cosa molto
armonica. Voi due stonate insieme; tu nero come il carbone, ella bionda come una spiga
alla fine di Giugno, sembrate messi insieme da un pittore accademico. Noi due poi si
potrebbe metterci sulla tela col titolo: Granatiere con moglie ferita.
Con sentimento molto giusto, Margherita
disse: - Non si va mica insieme per farsi vedere dagli altri. - Il Balli, serio e brusco
anche in quell'atto affettuoso, le diede in premio un bacio sulla fronte.
Angiolina, con un pudore nuovo, s'era
messa a contemplare il soffitto. - Non faccia la schizzinosa, - le disse il Balli
corrucciato. - Come se voi due non faceste di peggio.
- Chi lo dice? - chiese Angiolina subito
minacciosa verso Emilio
- Io no - protestò poco felicemente il
Brentani.
- E che cosa fate insieme tutte le sere?
Io non lo vedo mai dunque è con lei ch'egli passa le sue serate. Ha da capitargli anche
l'amore, in quella verde età! Addio bigliardo, addio passeggiate. Io resto lì solo ad
aspettarlo o bisogna m'accontenti del primo imbecille che mi viene per i versi. Ci eravamo
trovati tanto bene insieme! Io, la persona più intelligente della città e lui la quinta,
perché dopo di me vi sono tre posti vuoti e subito al prossimo c'è lui.
Margherita, che in seguito a quel bacio
aveva riacquistata tutta la sua serenità, ebbe per Emilio un'occhiata affettuosa -
Davvero! Mi parla continuamente di lei. Le vuole molto bene
Invece ad Angiolina parve che la quinta
intelligenza della città fosse poca cosa, e conservò tutta la sua ammirazione per chi ne
era la prima. - Emilio mi ha raccontato ch'ella canta tanto bene. Canti un po'. L'udrei
tanto volentieri.
- Non mi mancherebbe altro. Dopo di cena
io riposo. Ho la digestione difficile come quella di un serpente.
Margherita sola intuì lo stato d'animo di
Emilio. I suoi occhi, posandosi su Angiolina, divennero serii; poi si rivolse ad Emilio,
si dedicò a lui, ma per parlargli di Stefano: - Talvolta è brusco, certo, ma non sempre,
e anche quando lo è non incute spavento. Si fa quello che vuole lui, perché gli si vuol
bene. Poi, sempre a voce bassa, modulata dolcemente, ella disse: Un uomo che pensa è
tutt'altra cosa di quelli che non pensano. - Si capiva che parlando di quegli altri,
pensava a gente in cui s'era imbattuta ed egli, distratto per un istante dal suo doloroso
imbarazzo, la guardò con compassione. Ella aveva ragione d'amare negli altri le qualità
che le giovavano; da sola, così dolce e debole, non si sarebbe potuta difendere.
Ma il Balli si ricordò di nuovo di lui: -
Come sei ammutolito! - Poi, rivolto ad Angiolina, chiese: - E sempre così nelle lunghe
sere che passate insieme?
Ella che pareva dimentica dei suoi inni
d'amore, disse con malumore: - E un uomo serio.
Il Balli ebbe la buona intenzione di
risollevarlo: ne tessé la biografia caricandola: - Come bontà è lui il primo ed io il
quinto. E il solo maschio col quale io abbia saputo andar d'accordo. E il mio alter ego,
il mio altro io, pensa come me, e... è sempre del mio parere quando io subito non so
essere del suo. - All'ultima frase aveva dimenticato il proposito col quale aveva
cominciato a parlare e, di buon umore, schiacciava Emilio sotto il peso della propria
superiorità. Quest'ultimo non seppe far altro che comporre la bocca ad un sorriso.
Poi sentì che sotto quel sorriso doveva
essere ben facile d'indovinare uno sforzo e, per simulare meglio disinvoltura, volle
parlare. S'era discorso, - egli non sapeva neppure da chi, - di far posare Angiolina per
una figura che il Balli ideava. Egli era d'accordo: - Si tratta già di copiare la sola
testa - disse ad Angiolina come se non avesse saputo che ella avrebbe accordato anche di
più. Ma ella, senza interpellarlo, mentre egli era stato distratto dai discorsi di
Margherita, aveva già accettato, e, bruscamente, interruppe le parole di Emilio, che, per
nulla spontanee, s'erano disposte in una perorazione fuori di luogo, esclamando: - Ma se
ho già accettato.
Il Balli ringraziò e disse che ne avrebbe
sicuramente approfittato, ma soltanto di là a qualche mese, perché, per il momento, era
troppo occupato con altri lavori. La guardò lungamente sognando la posa in cui l'avrebbe
ritratta e Angiolina divenne rossa dal piacere. Almeno Emilio avesse avuto un compagno di
sofferenza. Ma no! Margherita non era affatto gelosa, e guardava Angiolina anche lei con
l'occhio d'artista. Stefano ne avrebbe fatta una cosa bella, disse, e parlò con
entusiasmo delle sorprese che le aveva date l'arte, quando dall'argilla docile usciva una
faccia, un'espressione, la vita.
Il Balli presto si rifece brusco. - Lei si
chiama Angiolina? Un vezzeggiativo con codesta statura da granatiere? Angiolona la
chiamerò io, anzi Giolona. - E da allora la chiamò sempre così con quelle vocali
larghe, larghe, il disprezzo stesso fatto suono. Emilio si sorprese che il nome non
dispiacesse ad Angiolina; ella non se ne adirò mai e quando il Balli glielo urlava nelle
orecchie, rideva come se qualcuno le avesse fatto il solletico.
Al ritorno il Balli cantò. Aveva una voce
uguale, di gran volume, ch'egli mitigava modulandola con ottimo gusto, immeritato dalle
canzoncine volgari ch'egli prediligeva. Quella sera ne cantò una di cui, per la presenza
delle due donne, non poteva pronunziare tutte le parole, ma seppe farle intendere lo
stesso con la malizia e la sensualità della voce e dell'occhio. Angiolina ne fu
incantata.
Quando si divisero, Emilio ed Angiolina
stettero per un istante fermi a guardare l'altra coppia che s'allontanava. - Cieco! -
disse ella. - Come fa ad amare una trave affumicata che si regge a stento?
La sera appresso ella non lasciò ad
Emilio il tempo di farle i rimproveri ch'egli aveva meditati nella giornata. Aveva di
nuovo da raccontargli delle cose sorprendenti. Il sarto Volpini le scriveva - ella aveva
dimenticato di portar seco la lettera, - che egli non avrebbe potuto sposarla che di là
ad un anno. Un suo socio glielo impediva con la minaccia di disdire la società e di
lasciarlo senza capitali. - Pare che il socio voglia dargli in moglie una propria
figliuola, una gobbetta che starebbe veramente bene accanto al mio futuro. Però il
Volpini assicura che entro un anno egli potrà far senza del socio e del suo denaro e
allora sposerà me. Capisci? - Egli non aveva capito. - C'è dell'altro - disse ella
dolcemente e confusa. - Il Volpini non vuole vivere con quel desiderio per tutto un anno.
Ora egli capì. Protestò. Come si poteva
sperare d'ottenere da lui un simile consenso? E d'altronde che cosa poteva obiettare? -
Quali garanzie avrai della sua onestà?
- Quelle che vorrò. Egli è pronto a fare
un contratto da un notaio.
Dopo una breve pausa egli chiese: -
Quando?
Ella rise: - La prossima domenica non può
venire. Vuole disporre tutto per il contratto che si farà di qui a quindici giorni e
poi... - S'interruppe ridendo e lo abbracciò.
Sarebbe stata sua! Non era così ch'egli
aveva sognato il possesso, ma l'abbracciò anche lui con effusione e volle convincersi
d'essere perfettamente felice. Senza dubbio, doveva esserle grato! Ella gli voleva bene, o
meglio voleva bene anche a lui. Di che si sarebbe potuto lagnare?
D'altronde era forse quella la guarigione
ch'egli sperava. Insozzata dal sarto, posseduta da lui, Ange sarebbe morta , e si
sarebbe divertito anche lui con Giolona, lieto com'ella voleva tutti gli uomini,
indifferente e sprezzante come il Balli.
© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi
- E-mail: Giuseppe Bonghi -
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Ultimo aggiornamento: 14 febbraio 1998