Italo Svevo
(Ettore Schmitz)
Senilità
Capitolo I
Subito, con le prime parole che le
rivolse, volle avvisarla che non intendeva compromettersi in una relazione troppo seria.
Parlò cioè a un dipresso così: - T'amo molto e per il tuo bene desidero ci si metta
d'accordo di andare molto cauti. - La parola era tanto prudente ch'era difficile di
crederla detta per amore altrui, e un po' più franca avrebbe dovuto suonare così: - Mi
piaci molto, ma nella mia vita non potrai essere giammai più importante di un giocattolo.
Ho altri doveri io, la mia carriera, la mia famiglia.
La sua famiglia? Una sola sorella non
ingombrante né fisicamente né moralmente, piccola e pallida, di qualche anno più
giovane di lui, ma più vecchia per carattere o forse per destino. Dei due, era lui
l'egoista, il giovane; ella viveva per lui come una madre dimentica di se stessa, ma ciò
non impediva a lui di parlarne come di un altro destino importante legato al suo e che
pesava sul suo, e così, sentendosi le spalle gravate di tanta responsabilità, egli
traversava la vita cauto, lasciando da parte tutti i pericoli ma anche il godimento, la
felicità. A trentacinque anni si ritrovava nell'anima la brama insoddisfatta di piaceri e
di amore, e già l'amarezza di non averne goduto, e nel cervello una grande paura di se
stesso e della debolezza del proprio carattere, invero piuttosto sospettata che saputa per
esperienza.
La carriera di Emilio Brentani era più
complicata perché intanto si componeva di due occupazioni e due scopi ben distinti. Da un
impieguccio di poca importanza presso una società di assicurazioni, egli traeva giusto il
denaro di cui la famigliuola abbisognava. L'altra carriera era letteraria e, all'infuori
di una riputazioncella, - soddisfazione di vanità più che d'ambizione - non gli rendeva
nulla, ma lo affaticava ancor meno. Da molti anni, dopo di aver pubblicato un romanzo
lodatissimo dalla stampa cittadina, egli non aveva fatto nulla, per inerzia non per
sfiducia. Il romanzo, stampato su carta cattiva, era ingiallito nei magazzini del libraio,
ma mentre alla sua pubblicazione Emilio era stato detto soltanto una grande speranza per
l'avvenire, ora veniva considerato come una specie di rispettabilità letteraria che
contava nel piccolo bilancio artistico della città. La prima sentenza non era stata
riformata, s'era evoluta.
Per la chiarissima coscienza ch'egli aveva
della nullità della propria opera, egli non si gloriava del passato, però, come nella
vita così anche nell'arte, egli credeva di trovarsi ancora sempre nel periodo di
preparazione, riguardandosi nel suo più segreto interno come una potente macchina geniale
in costruzione, non ancora in attività. Viveva sempre in un'aspettativa non paziente, di
qualche cosa che doveva venirgli dal cervello, l'arte, di qualche cosa che doveva venirgli
di fuori, la fortuna, il successo, come se l'età delle belle energie per lui non fosse
tramontata.
Angiolina, una bionda dagli occhi azzurri
grandi, alta e forte, ma snella e flessuosa, il volto illuminato dalla vita, un color
giallo di ambra soffuso di rosa da una bella salute, camminava accanto a lui, la testa
china da un lato come piegata dal peso del tanto oro che la fasciava, guardando il suolo
ch'ella ad ogni passo toccava con l'elegante ombrellino come se avesse voluto farne
scaturire un commento alle parole che udiva. Quando credette di aver compreso disse: -
Strano - timidamente guardandolo sottecchi. - Nessuno mi ha mai parlato così. - Non aveva
compreso e si sentiva lusingata al vederlo assumere un ufficio che a lui non spettava, di
allontanare da lei il pericolo. L'affetto ch'egli le offriva ne ebbe l'aspetto di
fraternamente dolce.
Fatte quelle premesse, l'altro si sentì
tranquillo e ripigliò un tono più adatto alla circostanza. Fece piovere sulla bionda
testa le dichiarazioni liriche che nei lunghi anni il suo desiderio aveva maturate e
affinate, ma, facendole, egli stesso le sentiva rinnovellare e ringiovanire come se
fossero nate in quell'istante, al calore dell'occhio azzurro di Angiolina. Ebbe il
sentimento che da tanti anni non aveva provato, di comporre, di trarre dal proprio intimo
idee e parole: un sollievo che dava a quel momento della sua vita non lieta, un aspetto
strano, indimenticabile, di pausa, di pace. La donna vi entrava! Raggiante di gioventù e
bellezza ella doveva illuminarla tutta facendogli dimenticare il triste passato di
desiderio e di solitudine e promettendogli la gioia per l'avvenire ch'ella, certo, non
avrebbe compromesso.
Egli s'era avvicinato a lei con l'idea di
trovare un'avventura facile e breve, di quelle che egli aveva sentito descrivere tanto
spesso e che a lui non erano toccate mai o mai degne di essere ricordate. Questa s'era
annunziata proprio facile e breve. L'ombrellino era caduto in tempo per fornirgli un
pretesto di avvicinarsi ed anzi - sembrava malizia! - impigliatosi nella vita trinata
della fanciulla, non se n'era voluto staccare che dopo spinte visibilissime. Ma poi,
dinanzi a quel profilo sorprendentemente puro, a quella bella salute - ai rétori
corruzione e salute sembrano inconciliabili - aveva allentato il suo slancio, timoroso di
sbagliare e infine s'incantò ad ammirare una faccia misteriosa dalle linee precise e
dolci, già soddisfatto, già felice.
Ella gli aveva raccontato poco di sé e
per quella volta, tutto compreso del proprio sentimento, egli non udì neppure quel poco.
Doveva essere povera, molto povera, ma per il momento - lo aveva dichiarato con una certa
quale superbia - non aveva bisogno di lavorare per vivere. Ciò rendeva l'avventura anche
più gradevole, perché la vicinanza della fame turba là dove ci si vuol divertire. Le
indagini di Emilio non furono dunque molto profonde ma egli credette che le sue
conclusioni logiche, anche poggiate su tali basi, dovessero bastare a rassicurarlo. Se la
fanciulla, come si sarebbe dovuto credere dal suo occhio limpido, era onesta, certo non
sarebbe stato lui che si sarebbe esposto al pericolo di depravarla; se invece il profilo e
l'occhio mentivano, tanto meglio. C'era da divertirsi in ambedue i casi, da pericolare in
nessuno dei due.
Angiolina aveva capito poco delle
premesse, ma, visibilmente, non le occorrevano commenti per comprendere il resto; anche le
parole più difficili avevano un suono di carattere non ambiguo. I colori della vita
risaltarono sulla bella faccia e la mano di forma pura, quantunque grande, non si
sottrasse a un bacio castissimo d'Emilio.
Si fermarono a lungo sul terrazzo di S.
Andrea e guardarono verso il mare calmo e colorito nella notte stellata, chiara ma senza
luna. Nel viale di sotto passò un carro e, nel grande silenzio che li circondava, il
rumore delle ruote sul terreno ineguale continuò a giungere fino a loro per lunghissimo
tempo. Si divertirono a seguirlo sempre più tenue finché proprio si fuse nel silenzio
universale, e furono lieti che per tutt'e due fosse scomparso nello stesso istante. - Le
nostre orecchie vanno molto d'accordo, - disse Emilio sorridendo.
Egli aveva detto tutto e non sentiva più
alcun bisogno di parlare. Interruppe un lungo silenzio per dire: - Chissà se
quest'incontro ci porterà fortuna! - Era sincero. Aveva sentito il bisogno di dubitare
della propria felicità ad alta voce.
- Chissà? - replicò essa con un
tentativo di rendere nella propria voce la commozione che aveva sentita nella sua. Emilio
sorrise di nuovo ma di un sorriso che credette di dover celare. Date le premesse da lui
fatte, che razza di fortuna poteva risultare ad Angiolina dall'averlo conosciuto?
Poi si lasciarono. Ella non volle ch'egli
l'accompagnasse in città ed egli la seguì a qualche distanza non sapendo ancora
staccarsene del tutto. Oh, la gentile figura! Ella camminava con la calma del suo forte
organismo, sicura sul selciato coperto da una fanghiglia sdrucciolevole; quanta forza e
quanta grazia unite in quelle movenze sicure come quelle di un felino.
Volle il caso che subito il giorno dopo
egli risapesse sul conto dell'Angiolina ben più di quanto ella gli avesse detto.
S'imbatté in lei a mezzodì, nel Corso.
La inaspettata fortuna gli fece fare un saluto giocondo, un grande gesto che portò il
cappello a piccola distanza da terra; ella rispose con un lieve inchino della testa, ma
corretto da un'occhiata brillante, magnifica.
Un certo Sorniani, un omino giallo e
magro, gran donnaiuolo, a quanto dicevasi, ma certo anche vanesio e linguacciuto a scapito
del buon nome altrui e del proprio, si appese al braccio di Emilio e gli chiese come mai
conoscesse quella ragazza. Erano amici fin da ragazzi ma da parecchi anni non s'erano
parlati e doveva passare fra di loro una bella donna perché il Sorniani sentisse il
bisogno di avvicinarglisi.
- L'ho trovata in casa di conoscenti, -
rispose Emilio.
- E che cosa fa adesso? - chiese Sorniani
facendo capire di conoscere il passato di Angiolina e d'essere veramente indignato di non
conoscerne il presente.
- Non lo so, io - e aggiunse con
indifferenza ben simulata: - A me fece l'impressione di una ragazza a modo.
- Adagio! - fece il Sorniani risolutamente
come se avesse voluto asserire il contrario, e soltanto dopo una breve pausa si corresse:
- Io non ne so nulla e quando la conobbi tutti la credevano onesta quantunque una volta si
fosse trovata in una posizione alquanto equivoca. - Senza che Emilio avesse bisogno di
stimolarlo più oltre, raccontò che quella poveretta era passata vicino ad una grande
fortuna convertitasi poscia , per sua o per colpa altrui, in una sventura non piccola.
Nella prima giovinezza aveva innamorato profondamente un certo Merighi, bellissimo uomo, -
Sorniani lo riconosceva quantunque a lui non fosse piaciuto - e agiato commerciante.
Costui le si era avvicinato con i propositi più onesti; l'aveva levata dalla famiglia che
non gli piaceva troppo e fatta accogliere in casa dalla propria madre. - Dalla propria
madre! - esclamava Sorniani - Come se quello sciocco - gli premeva di far apparire sciocco
l'uomo e disonesta la donna - non si fosse potuta godere la ragazza anche fuori di casa,
non sotto gli occhi della madre. Poi, dopo qualche mese, Angiolina ritornò nella casa
donde non sarebbe mai dovuta uscire e Merighi con la madre abbandonò la città dando a
credere di essere impoverito in seguito a speculazioni sbagliate. Secondo altri la cosa
sarebbe proceduta in modo un po' diverso. La madre del Merighi, scoperta una tresca
vergognosa di Angiolina, avrebbe scacciata di casa la ragazza. - Non richiesto fece poi
delle altre variazioni sullo stesso tema.
Ma era troppo evidente ch'egli si
compiaceva di sbizzarrirsi su quell'argomento eccitante e il Brentani non ritenne che le
parole cui poteva prestare fede intera, i fatti che dovevano essere notorii. Egli aveva
conosciuto di vista il Merighi e ne ricordava la figura alta d'atleta, il vero maschio per
Angiolina. Rammentava di averlo sentito descrivere, anzi biasimare, quale un idealista nel
commercio: un uomo troppo ardito, convinto di poter conquistare il mondo con la sua
attività. Infine, dalle persone con le quali aveva da fare giornalmente nel suo impiego,
aveva saputo che quell'arditezza era costata cara al Merighi il quale aveva finito col
dover liquidare la sua azienda in condizioni disastrose. Il Sorniani perciò parlava al
vento perché Emilio ora credeva di poter conoscere con esattezza l'accaduto. Al Merighi
impoverito e sfiduciato era mancato il coraggio di fondare una nuova famiglia e così
Angiolina, che doveva diventare la donna borghese ricca e seria, finiva nelle sue mani, un
giocattolo. Ne sentì una profonda compassione.
Il Sorniani aveva assistito egli stesso a
delle manifestazioni d'amore del Merighi. Lo aveva visto, parecchie volte, di domenica,
sulla soglia della chiesa di Sant'Antonio Vecchio, attendere lungamente che ella avesse
fatte le sue preghiere inginocchiata presso all'altare, tutt'assorto a guardare quella
testa bionda, lucente anche nella penombra.
«Due adorazioni», pensò commosso il
Brentani cui era già facile d'intuire la tenerezza dalla quale il Merighi era inchiodato
sulla soglia di quella chiesa.
- Un imbecille - concluse il Sorniani
L'importanza dell'avventura crebbe agli
occhi d'Emilio per le comunicazioni del Sorniani. L'attesa del giovedì in cui doveva
rivederla divenne febbrile, e l'impazienza lo rese ciarliero.
Il suo più intimo amico, un certo Balli,
scultore, seppe dell'incontro subito il giorno dopo ch'era avvenuto. - Perché non potrei
divertirmi un poco anch'io, quando posso farlo tanto a buon mercato? - aveva chiesto
Emilio.
Il Balli stette a udirlo con l'aspetto
più evidente della meraviglia. Era l'amico del Brentani da oltre dieci anni, e per la
prima volta lo vedeva accalorarsi per una donna. Se ne impensierì scorgendo subito il
pericolo da cui il Brentani era minacciato.
L'altro protestò: - Io in pericolo, alla
mia età e con la mia esperienza? - Il Brentani parlava spesso della sua esperienza. Ciò
ch'egli credeva di poter chiamare così era qualche cosa ch'egli aveva succhiato dai
libri, una grande diffidenza e un grande disprezzo dei propri simili.
Il Balli invece aveva impiegati meglio i
suoi quarant'anni suonati, e la sua esperienza lo rendeva competente a giudicare di quella
dell'amico. Era men colto, ma aveva sempre avuto su lui una specie d'autorità paterna,
consentita, voluta da Emilio, il quale, ad onta del suo destino poco lieto ma per nulla
minaccioso, e della sua vita in cui non v'era niente di imprevisto, abbisognava di
puntelli per sentirsi sicuro.
Stefano Balli era un uomo alto e forte,
l'occhio azzurro giovanile su una di quelle faccie dalla cera bronzina che non
invecchiano: unica traccia della sua età era la brizzolatura dei capelli castani, la
barba appuntata con precisione, tutta la figura corretta e un po' dura. Era talvolta dolce
il suo occhio da osservatore quando lo animava la curiosità o la compassione, ma diveniva
durissimo nella lotta e nella discussione più futile.
Il successo non era arriso nemmeno a lui.
Qualche giuria, respingendo i suoi bozzetti, ne aveva lodata questa o quella parte, ma
nessun suo lavoro aveva trovato posto su qualcuna delle tante piazze d'Italia. Egli però
non aveva mai sentito l'abbattimento dell'insuccesso. S'accontentava del consenso di
qualche singolo artista ritenendo che la propria originalità dovesse impedirgli il
successo largo, l'approvazione delle masse, e aveva continuato a correre la sua via dietro
a un certo ideale di spontaneità, a una ruvidezza voluta, a una semplicità o, come egli
diceva, perspicuità d'idea da cui credeva dovesse risultare il suo «io» artistico
depurato da tutto ciò ch'era idea o forma altrui. Non ammetteva che il risultato del suo
lavoro potesse avvilirlo, ma i ragionamenti non lo avrebbero salvato dallo sconforto, se
un successo personale inaudito non gli avesse date delle soddisfazioni ch'egli celava,
anzi negava, ma che aiutavano non poco a tener eretta la sua bella figura slanciata.
L'amore delle donne era per lui qualcosa di più che una soddisfazione di vanità ad onta
che, ambizioso, prima di tutto, egli non sapesse amare. Era il successo quello o gli
somigliava di molto; per amore dell'artista le donne amavano anche l'arte sua che pure era
tanto poco femminea. Così, avendo profondissima la convinzione della propria genialità,
e sentendosi ammirato e amato, egli conservava con tutta naturalezza il suo contegno di
persona superiore. In arte aveva dei giudizi aspri e imprudenti, in società un contegno
poco riguardoso. Gli uomini lo amavano poco ed egli non avvicinava che coloro cui aveva
saputo imporsi.
Circa dieci anni prima, s'era trovato fra'
piedi Emilio Brentani, allora giovinetto, un egoista come lui ma meno fortunato, e aveva
preso a volergli bene. Da principio lo predilesse soltanto per la ragione che se ne
sentiva ammirato; molto più tardi l'abitudine glielo rese caro, indispensabile. La loro
relazione ebbe l'impronta dal Balli. Divenne più intima di quanto Emilio per prudenza
avrebbe desiderato, intima come tutte le poche relazioni dello scultore, e i loro rapporti
intellettuali restarono ristretti alle arti rappresentative nelle quali andavano
perfettamente d'accordo perché in quelle arti esisteva una sola idea, quella cui s'era
votato il Balli, la riconquista della semplicità o ingenuità che i cosidetti classici ci
avevano rubate. Accordo facile; il Balli insegnava, l'altro non sapeva neppure apprendere.
Fra loro non si parlava mai delle teorie letterarie complesse di Emilio, poiché il Balli
detestava tutto ciò che ignorava, ed Emilio subì l'influenza dell'amico persino nel modo
di camminare, parlare, gestire. Uomo nel vero senso della parola, il Balli non riceveva e
quando si trovava accanto il Brentani, poteva avere la sensazione d'essere accompagnato da
una delle tante femmine a lui soggette.
- Infatti - disse dopo di aver uditi da
Emilio tutti i particolari dell'avventura, - un certo pericolo non dovrebbe esserci. Il
carattere dell'avventura è già fissato da quell'ombrellino scivolato tanto
opportunamente di mano e dall'appuntamento subito accordato.
- E vero, - confermò Emilio il quale
però non disse come a quei due particolari egli avesse dato tanto poca importanza che
essi, rilevati dal Balli, lo avevano sorpreso come dei fatti nuovi. - Credi dunque che il
Sorniani abbia ragione? - Nel suo giudizio sulle comunicazioni del Sorniani egli certo non
aveva tenuto conto di quei fatti.
- Me la presenterai - disse il Balli
prudentemente - e poi giudicheremo.
Il Brentani non seppe tacere neppure con
sua sorella. La signorina Amalia non era stata mai bella: lunga, secca, incolore il Balli
diceva che era nata grigia - di fanciulla non le erano rimaste che le mani bianche,
sottili, tornite meravigliosamente, alle quali ella dedicava tutte le sue cure.
Era la prima volta ch'egli le parlava di
una donna, e Amalia stette ad ascoltare, sorpresa e con la cera subito mutata, quelle
parole ch'egli credeva oneste, caste , ma che in bocca sua erano pregne di desiderio e di
amore. Egli non aveva raccontato nulla, ed ella, già spaventata, aveva mormorata
l'ammonizione del Balli: - Bada di non fare delle sciocchezze.
Ma poi volle ch'egli le raccontasse tutto,
ed Emilio credette di poter confidare la sua ammirazione e la felicità provata quella
prima sera, tacendo dei suoi propositi e delle sue speranze. Non s'accorgeva che quella
che diceva era la parte più pericolosa. Ella stette ad ascoltarlo, servendolo muta e
pronta a tavola acciocché egli non avesse da interrompersi per chiedere una cosa o
l'altra. Certo, col medesimo aspetto, ella aveva letto quel mezzo migliaio di romanzi che
facevano bella mostra di sé, nel vecchio armadio adattato a biblioteca, ma il fascino che
veniva ora esercitato su lei - ella, sorpresa, già lo sapeva - era del tutto differente.
Ella non era passiva ascoltatrice, non era il fato altrui che l'appassionasse; il proprio
destino intensamente si ravvivava. L'amore era entrato in casa e le viveva accanto,
inquieto, laborioso. Con un solo soffio aveva dissipata l'atmosfera stagnante in cui ella,
inconscia, aveva passati i suoi giorni ed ella guardava dentro di sé sorpresa ch'essendo
fatta così, non avesse desiderato di godere e di soffrire.
Fratello e sorella entravano nella
medesima avventura.
© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi
- E-mail: Giuseppe Bonghi -
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Ultimo aggiornamento: 14 febbraio 1998