Luigi Tripodaro
Giuseppe Bonghi

Appunti di Storia della Letteratura italiana

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Francesco De Sanctis

         Sorge nella prima metà dell'Ottocento, per effetto della nuova cultura romantica, la storiografia letteraria, il cui frutto più importante è l'opera di F. De Sanctis. Questo autore non ci ha consegnato organicamente ordinate in un trattato le sue concezioni estetiche, tuttavia l'esame della sua vasta attività di cui i frutti maggiori sono i Saggi critici, il Saggio sul Petrarca, Le lezioni sulla letteratura italiana del secolo XIX, le Lezioni sul Leopardi, le Lezioni sul Manzoni e la Storia della letteratura italiana, consente di scoprire il suo modo di concepire il significato ed il valore della poesia e della letteratura. Permette anche di individuare le varie fasi attraverso le quali, in modo logico e coerente le sue concezioni si approfondiscono e si sviluppano, in relazione ai rapporti del critico con la cultura e la vita del suo tempo.
         La critica del De Sanctis trova infatti la sua prima ragion d'essere nel suo carattere militante, nella sua predilezione per tutto ciò che è vero e concreto, nel suo atteggiamento spesso polemico nei confronti di determinate forme di letteratura e di determinati tipi di letterati. Già negli anni della sua prima scuola napoletana di Vico Bisi, pur conservando in sè come parte integrante della sua formazione culturale ed intellettuale l'insegnamento del purista Basilio Puoti, egli inizia la sua polemica contro la retorica e contro l'astratto formalismo dei grammatici e cerca di insegnare ai suoi scolari a guardare le cose: "Studiare le cose, questa è la vostra retorica, le cose tireranno con sè anche le forme le quali sono in esse e con esse sono intelligibili".
         Abbiamo in ciò il primo sintomo della sua ripugnanza per il letterato chiuso egoisticamente nella sua dottrina che è vuota e falsa perchè avulsa dalla vita, ed una delle prime affermazioni della sua tendenza al concreto ed al vero. In effetti, questo primo periodo, che si conclude con gli avvenimenti del ‘48, con il carcere e con l'esilio, è più che una premessa nell'ambito della storia del De Sanctis; in essa, in effetti, si individuano già gli aspetti principali del suo insegnamento. L'adesione alle poetiche del Romanticismo, lo studio di Heghel e di Shelling, se da un lato lo portarono a considerare infondate le tradizionali dottrine estetiche del classicismo, dall’altro fornirono al suo pensiero, in quegli anni, la base per un sistema di concezioni che guideranno in modo coerente, pur nei successivi approfondimenti, lo svolgersi della sua critica e della sua estetica. Egli accolse in particolare due esigenze del Romanticismo:

         rossanim.gif (1653 byte) evidenziare e di valorizzare l'individualità e l'assoluta spontaneità dell'arte,
         rossanim.gif (1653 byte) collocare l'artista in una salda cornice storica.

         In base a questa concezione, Dante, ad esempio, gli appare come la voce del Medioevo, Tasso della Controriforma, Parini della nuova epoca di rinnovamento. Nel periodo compreso tra il ‘48 ed il '56, caratterizzato per lo più dalla sua polemica contro la critica precedente, soprattutto contro la critica accademica italiana e contro quella giornalistica francese, il De Sanctis traccia la sua carriera di uomo contemporaneo e di critico militante e rivela le sue preferenze: il Leopardi, lo Schiller, autore di opere drammatiche che compendiano la grande vicenda del Romanticismo tedesco, e manifesta anche le sue repulsioni, polemizzando con il Bresciani (… perchè la vostra religione è una ripetizione di atti esteriori divenuti consuetudine prosaica, che non scalda il cuore, non vi sveglia la fantasia, perché voi siete piccolo di anima e di mente, nel vostro angusto cervello non cape alcun concetto di verace grandezza. Vi manca la fede e l'ingegno), con il retorico Guerrazzi, nel quale si intravede "sotto la veste di un narratore un avvocato", o il superficiale Prati "nessuna serietà di contrasto, di situazione, di caratteri, di passioni", con il reazionario Veuillot e il petulante Janin.
         È in questo periodo che si viene delineando il distacco da Hegel, che non è assoluto, come non era stata assoluta l'adesione; si viene realizzando anche la più originale conquista del De Sanctis: il concetto di "forma". Egli combatte in particolare contro l'astratto contenutismo ed intellettualismo di tanta parte della critica precedente e contemporanea. Non accetta la separazione tra forma e contenuto, nè il concetto di forma come aspetto esteriore veste sensibile dell'idea. La stessa idea, separata dalla forma, è per lui un'astrazione, non ha nulla a che fare con l'arte. Discutere sulla qualità e sull'importanza morale e sociale dell'idea, ugualmente, non è compito della critica, perchè non scopre e non valorizza l'arte, ma l'uccide. L’opera di poesia esiste nel momento che una data idea, un dato contenuto universale, si realizza in una precisa situazione storica concreta e reale ed in una forma che è sua, che essa ha già in sè. Non è possibile stabilire a priori contenuti estetici o inestetici, non è giusto valutare un'opera d’arte sulla base del valore morale o immorale dell'astratto contenuto: "la moralità non è conseguenza dell'arte, ma il presupposto, l’antecedente. L’effetto estetico non è possibile in voi, quando non siete già un essere morale. Ditemi perchè Fedra soffre e il suo soffrire vi impietosisce? Fedra soffre perchè ha il senso morale, e impietosisce voi, perchè pure avete il senso morale. Ella soffre perchè la sua passione è in contrasto con la sua coscienza". E ancora: "Togliete la coscienza a Fedra, fatene una Borgia, un Jago, e la tragedia sarà ancora morale perchè la coscienza è spenta in lei, ma non nel poeta, ma non in voi. La vostra moralità si manifesta nella vostra impressione, l'orrore. La moralità dunque preesiste all'arte, non è prodotta da essa. Il vostro riso, la vostra pietà, il vostro orrore testimoniano che in voi esiste un essere morale".
         Allo stesso modo, non ha senso classificare un contenuto come moderno o meno, per dare una valutazione estetica sull'arte: l’una concezione può essere moderna e cristiana, e insieme sciocca e mediocre. Non basta dire: Aricia è una concezione moderna e cristiana; ciò che più importa è di sapere se Aricia sia una creatura poetica". Oltre che con l'intellettualismo, egli contrasta anche con l'astratto formalismo dei grammatici; continua inoltre la polemica contro il letterato tradizionale, che vizia tanta parte della nostra storia letteraria.
         Il vero artista è per lui l'uomo nella sua integrità, che esprime i suoi sentimenti e le sue passioni. Inoltre, la poesia è la voce del mondo interiore del poeta ed ai sostenitori dell'arte per l'arte egli risponde: Che a fare l'opera d'arte si richiede l’artista, vero. E che scopo dell'arte sia l'arte, verissimo. L'uccello canta per cantare, ottimamente. Ma l'uccello cantando esprime tutto sè, i suoi istinti, i suoi bisogni, la sua natura. Anche l'uomo cantando esprime tutto sé. Non gli basta essere artista, dee essere uomo. Cosa esprime se il suo mondo interiore è povero o artefatto o meccanico, se non ci ha fede, se non ci ha il sentimento, se non ha niente da realizzare al di fuori?"
         Dalla polemica contro l'astratto contenutismo e contro il retorico formalismo prende origine il suo metodo critico, che consiste nella ricerca della "situazione", ossia, di volta in volta, di quel contenuto astratto che si cala nella storia, si determina, si concretizza, acquista realtà. Tale contenuto, che diventa situazione, non è "tabula rasa", una cosa su cui possiamo imprimere il sigillo che ci piace. È una materia condizionata e determinata, contenente già in sè virtualmente la sua poetica, cioè le sue leggi organiche, il suo concetto, le sue parti, la sua forma, il suo stile".
         L’esigenza di concretezza e di verità che caratterizza il metodo critico del De Sanctis è dovuta alla sua volontà di fare della critica e dell'attività letteraria in genere un'arma ed un mezzo per attuare un rinnovamento ed un arricchimento spirituale e civile nella nostra cultura. Nel periodo successivo, infatti, ossia negli anni compresi tra il '56 ed il '69, troviamo pienamente realizzato il suo metodo critico e decisamente sviluppato il suo orientamento verso il concreto, il "vivente" e nei suoi saggi su Dante colpisce il lettore, oltre che la polemica contro i critici pedanti e superficiali, la capacità di ricostruzione storica e di analisi minuta, il gusto per il concreto, per il reale, la scoperta di Dante stesso come artista-uomo, come poeta profondamente legato al suo mondo, alla sua città, al suo partito, alle sue passioni.
         Proprio in questa tendenza e in questo intento di riscoprire e di rifare l'uomo sotto l'artista si scopre il carattere militante della cultura del De Sanctis ed il motivo per cui egli condannerà alcuni periodi ed alcuni aspetti della nostra letteratura; si notano anche le motivazioni che lo inducono ad interpretare in modo rivoluzionario, rispetto alla critica precedente, il Machiavelli che, inquadrato perfettamente nella sua epoca, il Rinascimento, diventa espressione della sua parte positiva, quella moderna e razionale, sintetizza il superamento del Medioevo, la necessità di spiegare con la ragione e con l’esperienza i fatti della natura e della storia e rappresenta l’uomo moderno che al corporativismo comunale sostituisce l'istanza nazionale: "Machiavelli ha preceduto di tre secoli il suo paese, quando ha preveduto la situazione che nove anni fa è penetrata nei sentimenti popolari. Analizzando l'Italia occupata dallo straniero e le nazioni che la formavano, diceva che la caduta dell'Italia dipendeva dal non aver auto la virtù di Francia e di Spagna, di rannodare cioè le sue membra. In questo rimpiangere per l'Italia la mancanza della virtù di costituirsi è l'intuizione del concetto unitario nazionale".
         L'impegno morale e civile del critico è ugualmente alla base della valutazione che egli fa dell'uomo rappresentato dal Guicciardini, che è per lui l'altra faccia, quella più caratteristica del Rinascimento, quella priva di grandi ideali per cui combattere ed intenta solo al "particulare". "Questo tipo del Guicciardini è la "pianta uomo", come s'era più o meno sviluppata in Italia; é quella superiorità e padronanza dello spirito alla quale i popoli non giungono se non dopo molti secoli di iniziazione di civiltà, e dove l'Italia giunse con tanta celerità di cammino, che vi lasciò per via gran parte delle sue forze... Perché qual è l'uso che di tante forze intellettive farà l'uomo? Qual è per lui il problema della vita? Vivere è voltare tutte le cose divine e umane, spirituali e temporali, animate e inanimate a beneficio proprio. Ecco l'ultimo motto di questa scienza della vita. È così che il De Sanctis spiega il motivo della nostra decadenza politica: "il particulare" ha sostituito i grandi ideali e l'uomo del Guicciardini ha avuto il sopravvento sull'uomo di Dante, di Machiavelli, di Bruno e di Galilei. "Quest'uomo fatale ci impedisce la via se non abbiamo la forza di ucciderlo nella nostra coscienza".
         La polemica accesa e immediata del periodo precedente si trasforma in questi anni e diventa matura e consapevole presa di posizione in merito a motivi non esclusivamente letterari, ma anche civili e culturali in genere. Continua però naturalmente a svilupparsi nel campo della sua attività critica la sua "estetica della forma", come dimostrano i saggi sulla Fedra di Racine, sulle Contemplazioni di V. Hugo, sulla canzone Alla sua donna di Leopardi.
         Impressionato dal realismo manzoniano, il De Sanctis puntualizza inoltre il suo costante allontanamento da Hegel e definisce la sua poetica dell’«ideale calato nel reale». La separazione definitiva dall'estetica di Hegel è dimostrata dal suo studio sul Petrarca, in polemica con la critica del Mezières. Era questa veramente una critica psicologica e non aveva molto a che fare con il concetto hegeliano dell'arte, ma faceva pensare al De Sanctis che esisteva ancora una critica di stampo idealistico, secondo la quale, "il reale, il vivente è arte in quanto oltrepassi la sua forma e riveli il suo contenuto o la sua idea". Contro le affermazioni dell'estetica hegeliana, secondo la quale "il bello è manifestazione dell'idea" e "la forma è veste e manto, anzi velo dell'idea", egli ribatte che il bello è il reale, e che piuttosto che vestire l'idea o l'ideale, esso "l'uccide, cioè lo realizza, produce una forma nella quale si appaghi e obblii tutto, obblii in modo che quando altri domandi cosa è la dentro, risponda: "Una certa idea, una qualche cosa, un non so che, cioè a dire nulla; la forma è la, e la forma è tutto. E poi aggiunge: "L'essenza dell'arte non è l'ideale nè il bello, ma il vivente, la forma". Dopo il 1866, quando la maggior parte delle aspirazioni italiane si furono realizzate, il De Sanctis divenne partecipe di quello stato d'animo generale, di quell'orientamento di pensiero che reagisce all'idealismo hegeliano, ma non al suo idealismo, al quale anzi si adattava in modo logico, come una necessaria conseguenza: il positivismo.
         Egli manifestò questo stato d'animo e questo suo nuovo orientamento nel saggio sull'Armando del Prati, nel 1868, nel quale sottopose ad una valutazione ironica i grandi ideali, i sogni, le illusioni, le romantiche contemplazioni ed esaltò la nuova realtà, fatta di azione e di volontà, che il Prati non è riuscito ad avvertire, ma che pure era in atto nella vita culturale e nello spirito di quegli anni. "Sento mormorare intorno a me con aria di spavento:   La nuova generazione è materialista.   E di che vi meravigliate o vi spaventate? Il materialismo è uscito trionfante dal seno stesso del mondo hegeliano ridotto in frantumi".
         L’adesione alla nuova temperie spirituale rende più consapevole e deciso il suo orientamento verso il concreto, il "vivente", e rafforza quello che era stato già prima il suo profondo convincimento, cioè che l'arte è forma ed è libertà, ma forma di un ben preciso contenuto e libertà esercitata nell'ambito di ben precise condizioni storiche, sociali, culturali. Egli è ormai alle soglie del suo periodo più moderno (1869 1883) ed è sul punto non solo di interpretare la nostra storia letteraria, ma anche di creare una base spirituale, un insieme di valori comuni alla nuova Italia creata dal Risorgimento.Con ciò, egli intende dare il suo contributo alla formazione morale della nuova nazione.
         Da questo intento nasce la Storia della letteratura italiana, che, anche se contiene dei limiti, per altro puntualmente rilevati dalla critica posteriore, è caratterizzata da una concezione unitaria e coerente. Il suo nucleo fondamentale consiste nel duplice carattere di storia della letteratura e storia della vita morale del popolo italiano, nella rappresentazione della decadenza politica parallela all'imperversare della retorica e del dottrinarismo, nell'analisi del graduale risorgere della letteratura e dello spirito nazionale, fino al Parini e al Foscolo.
         Sono dovute a questo intento anche le lezioni sul Manzoni, sul Leopardi, sulla poesia liberale e su quella democratica, che dominano il periodo risorgimentale. Si ha in questo periodo l'elaborazione da parte del De Sanctis della sua poetica realistica. Egli giunge pertanto alle forme estreme della sua battaglia culturale, perché alla polemica contro i vari scrittori e critici, alla definizione di criteri estetici personali ed all'interpretazione delle grandi figure di poeti e di letterati, sostituisce l'intento di tracciare e stabilire le basi della letteratura che deve ancora formarsi: "Il mio realismo lo esprimo in poche parole. La sua sostanza è questa: che nell'arte bisogna dare una più larga parte alle forze naturali e animali dell'uomo, cacciare il reve e sostituirvi l'azione, se vogliamo ritornar giovani, formare la volontà, ritemprare le fibre". E ancora: "La forma del realismo è questa, ch’ella sia corpulenta, chiara, concreta, ma tale che ivi dentro traspaiano tutti i fenomeni della coscienza". Inoltre: "L’uomo deve fare, non dire quello che pensa. Ma nell'azione deve trasparire il suo pensiero, come nei moti dell'animale traspare il suo istinto. Questa è la forma obiettiva, la vita nelle cose". Ed aggiunge: "Il motto di un'arte seria è questo: poco parlare noi e far molto parlare le cose. Sunt lacrimae rerum. Dateci le lacrime delle cose e risparmiateci le lacrime vostre".
         Il De Sanctis pronuncia queste affermazioni a sostegno del Naturalismo francese, nell'ambito del quale egli studia ed espone gli aspetti principali in saggi come Studio sopra Emilio Zola, Zola e L'assommoir. La sua adesione a questo movimento letterario ed al verismo in genere non è incondizionata; il realismo per lui è utile perchè attua nel nostro popolo, incline per tradizione al formalismo, all'accademismo ed alla retorica, un rinnovamento all'insegna del vero e del concreto nella letteratura e nella vita, ma di esso bisogna evitare le estreme conseguenze, che portano al materialismo ed all'animalismo. Del naturalismo di Zola, inoltre, l’autore non accetta la tendenza a porre come fattore unico del romanzo l'elemento dell'ereditarietà, perchè questo porta con sè una sorta di determinismo che mortifica l'arte e la vita. Per lui la perfetta creazione artistica consiste nell'equilibrio tra ideale e reale, nel rispetta del limite. Così come si era opposto a suo tempo all'idea hegeliana vuota di contenuto umano attivo e concreto, egli si oppone ora al puro fenomeno che vive per conto suo e si estranea dalla vita.

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© 2000 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 15 luglio, 2000