Davide de Maglie
Appunti di Storia della Letteratura italiana
IL DONGIOVANNISMO NELLA NARRATIVA
DI
VITALIANO BRANCATI
* * *
I.
NOTIZIE BIOGRAFICHE
Vitaliano Brancati nacque a Pachino (Siracusa) nel 1907. Nel 1920 seguì la famiglia a
Catania, città fondamentale per la sua formazione culturale e umana. Nel 1922 si iscrisse
al Partito Nazionale Fascista e nel 1929 si laureò in Lettere con una tesi su Federico De
Roberto. Si trasferì poi a Roma e iniziò a lavorare come giornalista per Il Tevere
e, dal 1933, per il settimanale letterario Quadrivio. A questo periodo risalgono
alcune opere di ispirazione fascista che in seguito sarebbero state ripudiate: il poema
drammatico Fedor (1928), il "mito in un atto" Everest (1931)
e il dramma Piave (1932); a questi testi teatrali va aggiunto il romanzo L'amico
del vincitore, scritto tra il 1929 e il 1930 e pubblicato nel 1932. Nel 1934 il
romanzo Singolare avventura di viaggio venne sequestrato dalla censura fascista per
immoralità; intanto Brancati iniziò a scrivere quello che in seguito avrebbe considerato
il suo primo vero romanzo, Gli anni perduti.
Nel 1936 iniziò a lavorare per il
settimanale diretto da Leo Longanesi Omnibus, che il regime fascista soppresse nel
1939. Dopo essere stato in Sicilia per alcuni anni come insegnante, nel 1941 lo scrittore
tornò a Roma e pubblicò Don Giovanni in Sicilia e Gli anni perduti;
al Teatro dell'Università conobbe l'attrice Anna Proclemer, che sposò cinque anni più
tardi. Nel 1944 uscì sulla rivista Aretusa il racconto Il vecchio con gli
stivali e due anni dopo Brancati si stabilì definitivamente a Roma. Nel 1949 apparve
a puntate sul settimanale Il Mondo il romanzo Il bell'Antonio che nel 1950
vinse il Premio Bagutta. L'attività teatrale continuava intanto con testi come Le
trombe d'Eustachio (1942), Don Giovanni involontario (1943), Raffaele
(1946) e La governante: quest'ultima commedia venne bloccata dalla censura
democristiana e nel 1952 venne pubblicata da Laterza insieme al pamphlet Ritorno alla
censura. Separatosi dalla moglie nel 1953, Brancati morì a Torino nel 1954. Nel 1955
venne pubblicato, rispettando le ultime volontà dell'autore, il romanzo incompiuto Paolo
il caldo con prefazione di Alberto Moravia.
Per il cinema Brancati lavorò alla
sceneggiatura dei film Anni difficili (1947, da Il vecchio con gli stivali),
Signori in carrozza (1951) e L'arte di arrangiarsi (1955) di Luigi Zampa, Fabiola
(1949, dal romanzo omonimo di Wiseman) e Altri tempi (1952) di Alessandro
Blasetti, Guardie e ladri (1951) di Mario Monicelli, Dov'è la libertà e Viaggio
in Italia (entrambi del 1954) di Roberto Rossellini. A testimonianza della persistente
vitalità dell'opera brancatiana vanno ricordate almeno alcune trasposizioni
cinematografiche: del 1960 è il film Il bell'Antonio di Mauro Bolognini, con
Marcello Mastroianni e Claudia Cardinale, del 1973 la pellicola Paolo il caldo,
diretta da Marco Vicario e interpretata, tra gli altri, da Giancarlo Giannini, Ornella
Muti e Riccardo Cucciolla.
* * *
II.
DON GIOVANNI IN SICILIA
LA CRISI DEGLI ANNI TRENTA E L'EROTISMO
Le opere brancatiane legate all'ideologia fascista celebrano il predominio dell'istinto,
inteso come azione e come concreta energia operativa, sulla razionalità. È quanto
avviene nel dramma Piave, dove un eroe autoritario e volitivo - che alla fine si
scoprirà essere Mussolini - combatte tra le macerie per salvare la patria dopo la
disfatta di Caporetto, o nel romanzo L'amico del vincitore in cui il timido Pietro
Dellini è costretto a rendersi conto, durante una fallimentare spedizione al polo al
seguito del comandante Gabriele Gabrieli, che il vero "vincitore" è l'amico
Giovanni Corda perché ha scelto una vita attiva, appoggiando la politica d'intervento ed
ispirandosi al trinomio fascista "ordine, equilibrio, autorità".
La crisi politica e morale di Brancati
inizia a manifestarsi nel suo secondo romanzo Singolare avventura di viaggio. Una
gita a Viterbo sconvolge la vita tranquilla ed abitudinaria di Enrico Leoni, che sente
nascere dentro di sé un'intensa passione per la cugina Anna: dall'indifferenza di lei
deriva la difficoltà di Enrico a ritrovare un autentico equilibrio spirituale. Egli
riprende il lavoro di sempre con ritmo ancor più febbrile, ma in fondo al cuore sente che
non potrà più avere la serenità interiore di prima. Si delinea così una
contrapposizione fra istinto carnale e razionalità che tornerà nelle opere successive.
La presa di posizione contro il fascismo
è segnata dal romanzo Gli anni perduti, pubblicato nel 1941 ma composto tra il
1934 e il 1936. Nella sonnolenta città di Natàca, sotto il cui nome si cela quello di
Catania, arriva il professor Buscaino, ricco e pieno di idee, che propone agli annoiati
abitanti di costruire una torre panoramica. Quando la costruzione è pronta si scopre
però che non sono stati fatti i permessi necessari e quindi la torre non può essere
utilizzata: la città di Natàca ha passato gli anni credendo in un progetto
irrealizzabile, ma è probabile che il titolo alluda anche agli anni perduti dall'autore
nella fede in un progetto politico inconsistente come il fascismo.
Nel Don Giovanni in Sicilia,
scritto a Zafferana Etnea nel 1940 e pubblicato un anno dopo, l'autore si serve
dell'ironia, da intendere come apparente esaltazione di uno stile di vita di cui in
realtà si mettono in evidenza i limiti. Del quarantenne Giovanni Percolla viene
raccontata la giovinezza vissuta con tre sorelle fin troppo premurose nel preparargli i
pasti abbondanti ed il letto per il sonno pomeridiano, i discorsi sulla bellezza femminile
fatti con gli amici Muscarà, Scannapieco ed Ardizzone, e perfino i viaggi - a Roma,
ufficialmente per lavoro, ma in seguito anche in località di villeggiatura come
Viareggio, Riccione, Cortina, Abbazia - intrapresi da questi uomini soltanto per vedere
belle donne e fantasticarvi sopra una volta tornati in Sicilia. Il tempo scorre uguale tra
i ricordi dei viaggi già compiuti, un presente fatto di avventure banali e poco
significative ed un futuro nel quale vengono proiettati improbabili sogni erotici di cui
è bello parlare con gli amici.
Questa situazione cambia di colpo quando
Giovanni vive un'esperienza assolutamente fuori dell'ordinario: Ninetta dei Marconella lo
guarda ed egli ne rimane colpito a tal punto che rinuncia a tutte le sue antiche
abitudini, andando a vivere da solo in una casa del quartiere Cibali e scegliendo nuove
amicizie tra gli innamorati di Catania. Riesce a conquistare il cuore di Ninetta e, dopo
averla sposata, si trasferisce con lei a Milano. La metropoli del Nord costringe Giovanni
Percolla a cambiamenti radicali ma tutto sommato non è difficile abituarsi alla nuova
vita, fatta di docce mattutine e pasti frugali, dell'aria fredda e piena di nebbia e degli
intellettuali - commendatori, pittori, letterati - che frequentano il salotto di Giovanni
e Ninetta: anzi l'uomo si accorge che questi assidui visitatori lo ammirano molto e lo
ritengono secentesco, barocco di complessione, ma un bel barocco. I lunghi e per lo
più inconcludenti discorsi con gli amici siciliani di un tempo vengono sostituiti da
adulteri rapidi e privi di gioia: Si accorgeva poi di non provare altro che ripugnanza
e paura. Quando Ninetta propone di fare un viaggio in Sicilia Giovanni ha qualche
esitazione ma alla fine accetta. Ritrova così gli odori e le abitudini di un tempo, la
casa delle sorelle, il suo letto caldo ed accogliente, le strade piene di sole tra le
quali è cresciuto, e all'improvviso si accorge di non essere mai cambiato, di non essere
riuscito nemmeno a Milano a cancellare completamente le abitudini della sua giovinezza.
Il romanzo mette in luce le due anime del
protagonista, che sono poi le due anime dell'autore stesso: da un lato l'istintiva
adesione alla vita tranquilla e sorniona della provincia meridionale, dall'altro
l'esigenza razionalmente riconosciuta di impegnarsi in una vita operosa come quella di
Milano. Questi atteggiamenti così diversi tra loro non sono ancora drammaticamente
contrapposti; si assiste piuttosto alla descrizione di un gallismo fatto non solo di
discorsi scambiati con gli amici, ma anche della tendenza ad ingigantire l'importanza
degli sguardi e, più ancora, della contemplazione quasi estatica della donna: [...] la
storia più importante di Catania non è quella dei costumi, del commercio, degli edifici
e delle rivolte, ma la storia degli sguardi. La vita della città è piena di avvenimenti,
amori, insulti, solo negli sguardi che corrono fra uomini e donne; nel resto, è povera e
noiosa. Le donne che ricambiano uno sguardo trasformano la vita di un uomo:Raramente
li ricambiano. Ma quando levano la testa dall'attitudine reclinata, e gettano un lampo,
tutta la vita di un uomo ha cambiato corso e natura. Quest'esaltazione nasconde però,
a ben guardare, un'intima povertà politica ed intellettuale: come osserva Leonardo
Sciascia questi uomini che s'acquattano come scarafaggi in certe strade buie e
maleodoranti, che si riuniscono nel retrobottega di una farmacia notturna e ogni tanto
fanno risuonare un lungo gemito per le vie barocche di Catania, negli anni della guerra
d'Etiopia, col fascismo al potere ed il secondo conflitto mondiale alle porte non sanno
far altro che pensare alla donna, per vagheggiarla più che per avvicinarla. Con accenti
ancora più divertiti che tragici, Brancati ha rappresentato l'inerzia tipica della sua
terra, ma anche il vuoto che si cela dietro a tanta propaganda fascista.
* * *
III.
IL BELL'ANTONIO
LA SESSUALITÀ NEGATA
Nel romanzo Il bell'Antonio (1949) il riferimento alla realtà politica diviene
esplicito. Vi si racconta la vita del bellissimo Antonio Magnano, che fin da adolescente
attira su di sé gli sguardi di tutte le donne di Catania: quando egli ha sedici anni la
cameriera si lamenta con i signori Magnano perché è rimasta turbata dalla bellezza del
loro giovane figlio. Da cinque notti la ragazza si alza dal letto e va a stracciarsi il
petto e la faccia dietro la porta di Antonio, fra il desiderio di aprirla e la riluttanza
a compiere un atto disonesto. Il sacerdote con cui la signora Magnano va a confidarsi
si lamenta perché le ragazze di buona famiglia pensano ad Antonio in modo non
troppo conforme alla loro educazione: la donna deve quindi pregare Dio perché se
lo raccolga presto - in fondo la morte per il cristiano non è un motivo di dolore,
perché permette di accedere alla vita eterna - o, almeno, augurarsi che il giovane
divenga cieco e non possa più turbare le fanciulle col suo sguardo magnetico.
Crescendo, Antonio diviene sempre più
attraente ed è considerato un grande amatore dal padre, dagli amici e da tutti i
concittadini. Nel 1930 il seducente scapolo si trasferisce a Roma e diviene - così si
dice - l'amante della contessa K., moglie di un ministro fascista. Cinque anni dopo torna
però in Sicilia senza aver fatto nessuna carriera diplomatica e il padre, indebitatosi
per comprare un giardino d'aranci, lo convince a sposare Barbara, figlia del notaio
Giorgio Puglisi. Sfruttando le proprie conoscenze Antonio riesce a far diventare il cugino
Edoardo podestà. Il matrimonio con Barbara procede serenamente ma, dopo tre anni non
allietati dalla nascita di un figlio, il notaio Puglisi mette il signor Alfio, padre di
Antonio, al corrente di una tragica verità: "E' accaduto che mia figlia, dopo tre
anni di matrimonio, è tale e quale come è uscita dalla mia casa". Intanto torna
in Italia dopo vent'anni di assenza Ermenegildo Fasanaro, zio di Antonio per parte di
madre che, ormai invecchiato, stanco, dimagrito, ha perso la lindura e liscezza
del volto e deve camminare con un bastone che sembra tendersi con tutto l'affetto
possibile nello sforzo di sorreggerlo: a lui Antonio racconta di non essere più
riuscito, dopo i primi ardori giovanili, a godere appieno le gioie dell'amore e di essersi
sempre servito di sotterfugi per nascondere alle donne il suo umiliante problema. Ogni
volta che si sente attratto fisicamente Antonio sente in corpo un fortissimo calore, che
all'improvviso lascia il posto ad un desolante senso di gelo. Dopo l'annullamento delle
nozze l'impotenza di Antonio Magnano diventa una notizia di dominio pubblico: Edoardo,
provocato sull'argomento da un compagno di partito ed incapace di tenere per sé un
commento ironico sulla virilità di Hitler e Mussolini, è costretto a lasciare la carica
di podestà. Barbara sposa il brutto ma ricchissimo duca di Bronte e Antonio, nascosto
dalla penombra della sera, ammira da lontano la sua immutata bellezza. Alfio Magnano
accusa a gran voce i Puglisi di arrivismo, ma viene accompagnato a casa da un poliziotto.
Antonio riceve lettere di donne innamorate ma non le prende in considerazione. Nel 1942
suo padre muore in una casa di appuntamenti colpita dalle bombe degli alleati e lo zio
Ermenegildo si suicida. Il 5 agosto 1943 arrivano in Sicilia i soldati scozzesi e verso la
fine del mese Antonio, nella casa paterna ormai semidistrutta dalla guerra, riceve la
visita del cugino Edoardo, reduce dal carcere e dal campo di concentramento: mentre
ascolta il racconto delle sue sventure Antonio si addormenta e sogna di avere un amplesso
con la nipote del portiere, impegnata nelle pulizie di casa. Edoardo, scandalizzato da una
tale incapacità di pensare a cose ben più importanti del sesso, torna a casa sua e
costringe Giovanna, figlia del portiere, a concedersi a lui. Quando con tono di vergognoso
pentimento confessa ad Antonio l'accaduto, questi dall'altra parte del filo non sa provare
altro che invidia per l'impresa amatoria del cugino.
Se l'ironia del romanzo precedente
riguardava l'erotismo siciliano e quindi comprendeva anche momenti di affettuosa
comprensione, nel Bell'Antonio prende il sopravvento un amaro sarcasmo dettato
dalle circostanze politiche: il fascismo poggia su un favore popolare ottenuto con la
forza, ma d'altro canto l'intervento degli alleati non riesce a portare nuovi e più
profondi valori morali. Così da un lato viene descritta l'ipocrisia del duca di Bronte, un
impressionante congegno di carne umana, formato da due involucri torcentisi
alternativamente quello di sopra verso destra quello di sotto verso sinistra, poi quello
di sopra verso sinistra quello di sotto verso destra, che prega Sant'Antonio ed è
pronto ad aiutare chiunque purché fosse bene accetto al Governo, riuscendogli
inconcepibile che una persona, pensando con una sola testa, disapprovasse quello che
approvavano i Ministri, i Prefetti, i Comandanti di Corpo d'Armata, i Presidenti di
Tribunali, i Maggiori dei Carabinieri, il Re, i Cardinali, i Vescovi e tutti coloro che
non hanno bisogno di far debiti per mantenere se stessi e i loro figli; dall'altro si
mettono però in evidenza gli aspetti tragici della liberazione: Ed eccolo finalmente
il giorno tanto sospirato da Edoardo; esso porta il nome di 5 agosto 1943. Eccolo! Ma
com'è nero di polvere e pieno di un sordo rombo di rovina! Cade la tirannide, ma anche i
tetti delle abitazioni, i campanili delle chiese, i vecchi ponti sui fiumi; si spezzano
gli orologi in cima agli edifici pubblici e le sfere rimangono ferme sul minuto in cui la
bomba uccise in piazza un gruppo di povera gente spaventata. . .
Di fronte a queste posizioni
ideologicamente contrapposte ma accomunate dall'uso della violenza, l'atteggiamento dello
scrittore pare rispecchiarsi nello zio Ermenegildo Fasanaro, che è stato in Spagna per
vedere chi aveva ragione nella guerra civile e ora, dopo vent'anni, ha maturato un amaro
disincanto a causa delle atrocità cui ha dovuto assistere: "Non mi domandare chi
ha ragione e chi torto, o quale dei due princìpi trionferà in avvenire! Le idee se le
tengono dentro la testa e io non le ho vedute. Quello che ho veduto è che sono disposti a
scannare, squartare, bruciare anche Gesù Cristo in persona, dall'una parte e dall'altra,
e se caschi sotto il loro odio preparati a cacciare un urlo di dolore quale non hai
pensato mai che potesse uscire dalle tue viscere di creatura battezzata! In un
ambiente segnato dall'abuso della forza il giovane Antonio Magnano non riesce a sviluppare
e gestire la propria virilità, anzi quando, dopo l'annullamento del matrimonio, riceve
lettere solidali di appassionate ammiratrici, le rifiuta perché si sente mancato di
rispetto: Le donne si comportavano con lui come gli uomini con le donne; tutte si
ritenevano in diritto di scrivergli, di rivolgergli la parola, d'indorargli la pillola, di
nascondergli la verità sotto abili eufemismi, di fare in modo da non spaventarlo, e
infine di convincersi a mettersi fiducioso nelle loro mani. Non erano questi i mezzi del
più consumato dongiovannismo? Egli era diventato l'oggetto di una caccia di cuori puri,
di animi nobili, di esseri apparentemente deboli e fiochi, ma in realtà spaventevoli.
A questa presa di coscienza non corrisponde il riscatto morale del personaggio, che
perfino di fronte all'esperienza di prigionia vissuta dal cugino rimane legato all'apatia
tipica di una società - quella siciliana ma anche, più in generale, quella dell'Italia
fascista- che dà al sesso un valore esclusivo, come denuncia lo stesso Edoardo alla fine
del libro: Per qualunque persona di un altro Paese, sarebbe stato un incidente da
nulla. Ma per noi no! Per noi è una tragedia! Perché noi pensiamo sempre a una cosa, a
una sola cosa, a quella! E intanto un tiranno ci caccia in guerra con una pedata nel
sedere, e gli altri popoli ci ricacciano indietro con un'altra pedata, ed entrano nelle
nostre case! Il gallismo viene dunque privato di ogni valore ed emerge il vuoto morale
che l'ostentazione della virilità cerca invano di tenere nascosto.
* * *
IV.
L'EPILOGO DI UN PERCORSO
PAOLO IL CALDO
L'ultimo romanzo di Brancati racconta la degenerazione del gallismo in follia. La prima
parte descrive la giovinezza di Paolo Castorini, che già da bambino esercita il suo vizio
intimo e solitario facendo a gara con i coetanei e da adolescente inizia una breve
storia d'amore con la cameriera Giovanna. La ragazza viene cacciata di casa e quando, di
lì a poco, Paolo interrompe la relazione, si butta in un pozzo dopo averlo guardato senza
paura né desiderio; dopo essere stata ripescata riprende la sua vita di sempre con
la stessa inerte semplicità con cui si era buttata nel pozzo. La famiglia Castorini
si concede pranzi pantagruelici conclusi da chiassosi canti con la chitarra, con una
sensualità esuberante cui è estraneo solo Michele, padre di Paolo. Il padre di Michele
era malato di sifilide e quindi suo figlio è diverso dai parenti, non si è mai sentito
parte della famiglia: è un uomo sensibile e schivo, che cerca di occuparsi di problemi
spirituali ricorrendo anche a letture impegnative come le Confessioni di S.
Agostino. Egli sa che la felicità è la ragione, ovvero il distacco dai sensi, ma
è l'unico della famiglia capace di rendersene conto e, in un estremo rifiuto
dell'ambiente che lo circonda, giunge al suicidio. Paolo decide allora di lasciare la
Sicilia.
Inizia così la seconda parte del
romanzo, ambientata a Roma, dove Paolo vive relazioni brevi e superficiali ma al tempo
stesso deve affrontare una vocazione alla lussuria che gli viene sempre più forte ed
incontrollabile. Quando l'amico Vincenzo gli racconta di aver ricevuto una telefonata
sconcia dalla signora Bianchedi detta la Carciofolara, il barone Paolo Castorini si reca
nel salotto pseudoculturale di Rosa Ippolito solo per conoscere l'audace conversatrice e
farsi ripetere la frase proibita. Le sue fantasie ed i suoi approcci si fanno sempre più
morbosi: un giorno egli arriva addirittura a cucire insieme affannosamente, non senza
pungersi e macchiarsi di sangue i lembi di stoffa tra i quali è compresa la cerniera
dei pantaloni per coinvolgere una sconosciuta pantalonaia in un gioco erotico al limite
dell'autolesionismo. Quando la donna arriva un telegramma improvviso costringe Paolo a
tornare dopo molto tempo in Sicilia. I parenti - la madre, la sorella, lo zio Edmondo che,
nel suo egoismo, non s'accorge della malattia che conduce alla morte la sua dodicenne
cameriera Giovanna - sono vecchi e malati, e di fronte a questa decadenza fisica e morale
Paolo prende finalmente coscienza del rischio della follia: Io rischio di diventare un
idiota, e non voglio diventare un idiota! Preso da orrore e spavento decide di
cambiare vita e sposa Caterina, giovane nipote di un farmacista.
L'ultima parte del romanzo racconta
l'impossibilità del protagonista di liberarsi dalla sua sfrenata lussuria, la sua
incapacità di accettare il candore e la ritrosia della giovane consorte e l'istinto
insopprimibile di sfogare il desiderio sessuale avvicinando prostitute e aggirandosi nei
quartieri poveri di Roma, per vedere la voluttà farsi largo tra la miseria. Dopo
la partenza di Caterina per la Sicilia (che la coppia ha lasciato dopo il matrimonio) a
Paolo non resta, come ha lasciato scritto Brancati, che sentire l'ala della stupidità
sfiorargli il cervello.
Paolo il caldo, pubblicato postumo
con il consenso dell'autore, conclude il discorso iniziato negli anni Trenta, quando il
romanzo Singolare avventura di viaggio ha denunciato i limiti dell'istinto:
l'inerzia di Antonio Magnano lascia il posto alla patologia, segnando così la sconfitta
della ragione di fronte all'ossessione della carne.
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V.
Bibliografia essenziale
Vitaliano Brancati, Don Giovanni in Sicilia,
Milano 1988;
Vitaliano Brancati, Il bell'Antonio, Milano 1956;
Vitaliano Brancati, Paolo il caldo, Milano 1963;
Leonardo Sciascia, Don Giovanni a Catania, in La corda pazza, Torino 1970;
Enzo Lauretta, Invito alla lettura di Brancati, Milano 1973;
Giancarlo Ferretti, L'infelicità della ragione nella vita e nell'opera di Vitaliano
Brancati, Milano 1998.
© 2000 - by prof. Giuseppe Bonghi
E-mail: Giuseppe Bonghi@fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 17 luglio, 2000