Luigi Tripodaro
Giuseppe Bonghi
Appunti di Storia della Letteratura italiana
I Crepuscolari
Fra il 1905 ed il 1915 si diffondono nuovi orientamenti politici e culturali e un nuovo
stato d'animo, che verrà definito decadente, testimoniato da
alcuni poeti che da un lato si ricollegano ai toni raccolti e sommessi del Poema
paradisiaco del D'Annunzio e dall'altro alla poetica delle piecole
cose elaborata dal Pascoli ed esprimono il rifiuto degli stessi miti
dannunziani, unito ad un senso di sfiducia e di stanchezza. La sensibilità di questi
autori, che si disinteressano di temi sociali, politici e culturali e tendono a chiudersi
in se stessi, è caratterizzata dalla crisi, da un'atmosfera di crepuscolo e da un
atteggiamento di attivismo irrazionalistico e accoglie, come il Futurismo, temi motivi e
tecniche d'oltralpe. Essi ebbero infatti la sensazione del vuoto determinato dalla
frattura tra individuo e società, della solitudine e del mistero ed aderirono ad una
poesia intima, dai toni smorzati, dal linguaggio volutamente semplice e dimesso, quasi
quotidiano. Nella scelta dei temi, preferirono inoltre paesaggi semplici, piccoli ambienti
nei quali si muovono personaggi spesso semplici e scialbi. Il senso generale di questa
poesia è una sfumatura di rimpianto e di rinuncia, di instabilità e di incapacità di
vivere.
I crepuscolari riflettono uno stato
d'animo poco complesso, che comprende
- un atteggiamento chiaramente decadente
di fronte alla vita:
- una tendenza al ripiegamento interiore,
all'indugio in una stanca malinconia, nel vano desiderio di ciò che non si può
raggiungere, nel rimpianto nostalgico ironico di ciò che è ormai passato;
- un senso di smarrimento di fronte al
venir meno degli ideali ottocenteschi, della fede nella scienza e nel progresso; di
insoddisfazione, di stanchezza, di delusione di fronte ai miti dannunziani e alle nuove
ideologie; una fondamentale incapacità di ritrovare un senso individuale o sociale alla
vita.
I crepuscolari:
- rifiutano il superomismo,
l'attivismo, il vitalismo dannunziano al pari della assorta e dolente meditazione
pascoliana sul mistero che avvolge l'umana esistenza e domina l'universo;
- rifiutano il lussurioso amor di vita
del poeta abruzzese, la sua ebrezza dell'io vittorioso e dominatore che la vita profonda
attinge liberando la sua volontà di potenza;
- ignorano le frenesie attivistiche dei
futuristi, non curano le suggestioni irrazionalistiche, gli incitamenti del nuovo pensiero
che le riviste dei primi anni del '900 andavano diffondendo:
Guarda gli amici. Ognuno già ripose la varia lede nelle varie scuole. Tu non credi e sogghigni. Or quali cose darai per meta all'anima che duole? ... Chiedi al responso dell'antica maga, la sola verità buona a sapersi: la Natura! Poter chiudere in versi i misteri che svela a chi l'indaga! (Gozzano, Pioggia d'agosto). |
«Distrutti gli ideali, le fedi, le ragioni dell'operare, spenta ogni facoltà di adesione
piena, di impegno profondo, di partecipazione totale, rimane un residuo di nostalgia, di
rimpianto, l'attitudine di chi rinunzia a vivere la vita e si contenta di osservarla. La
lenta sequela dei giorni tutti uguali si è svuotata di senso, non sa più destate palpiti
sorprese inquietudini: donde il bisogno di rifugiarsi nel passato o nel sogno, con la
coscienza sempre vigile della vanità di questo sognare ».
La definizione della poesia crepuscolare
ce la dà Fausto Maria Martini: " La poesia è sentirsi morire", proprio in
quella sequela di giorni tutti così uguali da diventare simili a una lenta aspettazione
della morte.
« Sentirsi morire »: ecco la pena
segreta che corrode questi crepuscolari che nel loro desolato abbandono, non sapendo
rinvenire una ragione al vivere, cercano contro la tristezza, rifugio nel sogno
consolatore di un'esistenza semplice.
I loro temi prediletti e ricorrenti e i
simboli della loro poesia-rifugio, sono le vecchie case, i vecchi quartieri, la vita
stinta e sonnolenta della provincia, il suono degli organetti, le corsie degli ospedali, i
giardini abbandonati, le stanchezze interminabili dei pomeriggi domenicali, le musiche
lente, le piccole cose di pessimo gusto, l'ora del crepuscolo che diventa il simbolo
dell'illanguidirsi della vita interiore. Sul piano linguistico rifiuta la tecnica
espressiva, le forme il linguaggio poetico tradizionale, e tende, nel bisogno di
confessione, ad impiegare un linguaggio discorsivo, quasi colloquiale, con il ritmo delle
povere cose e della stanchezza dell'anima.
Nel Pascoli i crepuscolari trovano
in gran parte il modello di un verso spezzato, della parola allusiva, il tema della poesia
delle « piccole cose »; nel d'Annunzio, soprattutto quello del Poema paradisiaco,
il modello del verso che spezza e dissolve le chiuse strutture classiche per attuare una
più intensa atmosfera musicale; quei motivi, quelle intonazioni, quei temi, che nascevano
da uno stato di languore, di stanchezza, di sosta alla tensione superomistica. E motivi,
spunti, sensazioni, visioni, cadenze del linguaggio, essi traggono anche dai decadenti
d'oltralpe. Della poesia decadente essi insomma accolgono quei temi, quei motivi, quegli
spunti che si prestano alla espressione dei loro particolari contenuti, quotidiani e
dimessi, della loro stanchezza di vivere, della loro incapacità di entusiasmi, della loro
condizione di naufraghi sballottati e travolti dall'onda nel mare della vita.
Il crepuscolarismo, comunque, solo
nei maggiori poeti coincide con una reale e sofferta esperienza di vita: nei minori esso
rappresenta non più che un'esperienza letteraria, una via di rottura, una forma di
protesta nei confronti della poesia ufficiale: una esperienza transitoria che si conclude
nella scelta di una nuova via poetica, non nella conquista di un determinato mondo
poetico.
Gli autori più importanti di questa
corrente sono Marino Moretti, Fausto Maria Martini, Carlo Chiaves, Sergio Corazzini, Guido
Gozzano.
Quest'ultimo in particolare, autore di
raccolte di poesie (I Colloqui, 1911), di un'opera in prosa (Verso la cuna del
mondo), di fiabe e di novelle, ai toni dimessi ed ai temi semplici dei crepuscolari
unisce un modo ironico di osservare i valori tradizionali (La patria? Dio?
L'umanità? Parole: che i retori hanno reso nauseose) e un certo cinismo nei
confronti del significato della vita. Le sue poesie più belle sono quelle in
cui manifesta la sua predilezione per un mondo semplice, lontano dalle complicazioni e
dalle raffinatezze del mondo moderno (La signorina Felicita, Lamica di
nonna Speranza). Si tratta per lui di una realtà che spesso si ricollega con
l'infanzia e che è fatta di "buone cose di pessimo gusto". La
realtà, però, è anche qualcosa di irraggiungibile.
Il poeta piemontese, impedito anche
fisicamente di partecipare alla vita degli altri uomini, privo di un fondamento di fede e
di speranza, si rappresenta tristemente l'uomo come un povero «coso strano» con due
gambe, ombra passeggera nella vita, e trova unico rifugio al suo male di vivere, al suo
discendere al niente nella poesia. Sentiva di non vivere, si sentiva come distaccato dalla
vita, spettatore di essa.
I momenti più validi della poesia dei
Gozzano son proprio quelli che sorgono da un profondo desiderio di vivere impedito dalla
incapacità di adeguarsi veramente al ritmo dell'esistenza: son quelli dell'elegia
dell'amore «sognato come poesia serena della vita»; dell'amore per le rose non mai
colte; son quelli che esprimono il «rammarico di non amare e di non essere amato, che è
inesausta ricerca di amore»; son quelli di evocazione nostalgica e tepida e insieme
malinconicamente distaccata per la vita del secolo andato coi suoi valori ideali e
sentimentali, colle sue immagini ormai lontane nel tempo.
© 2000 - by prof. Giuseppe Bonghi
E-mail: Giuseppe Bonghi@fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 17 luglio, 2000