Giacomo Leopardi
Diario del primo amore
Io cominciando a sentire limpero della bellezza, da più dun anno desiderava di parlare e conversare, come tutti fanno, con donne avvenenti, delle quali un sorriso solo, per rarissimo caso gittato sopra di me, mi pareva cosa stranissima e meravigliosamente dolce e lusinghiera; e questo desiderio della mia forzata solitudine era stato vanissimo fin qui. Ma la sera dellultimo Giovedì, arrivò in casa nostra, aspettata con piacere da me, né conosciuta mai, ma creduta capace di dare qualche sfogo al mio antico desiderio, una Signora Pesarese nostra parente più tosto lontana, di ventisei anni, col marito di oltre a cinquanta, grosso e pacifico, alta e membruta quanto nessuna donna chio mabbia veduta mai, di volto però tuttaltro che grossolano, lineamenti tra il forte e il delicato, bel colore, occhi nerissimi, capelli castagni, maniere benigne, e, secondo me, graziose, lontanissime dalle affettate, molto meno lontane dalle primitive, tutte proprie delle Signore di Romagna e particolarmente delle Pesaresi, diversissime, ma per una certa qualità inesprimibile, delle nostre Marchegiane. Quella sera la vidi, e non mi dispiacque; ma le ebbi a dire pochissime parole, e non mi ci fermai col pensiero. Il Venerdì le dissi freddamente due parole prima del pranzo: pranzammo insieme, io taciturno al mio solito, tenendole sempre gli occhi sopra, ma con un freddo e curioso diletto di mirare un volto più tosto bello, alquanto maggiore che se avessi contemplato una bella pittura. Così avea fatto la sera precedente, alla cena. La sera del Venerdì, i miei fratelli giuocarono alle carte con lei: io invidiandoli molto, fui costretto a giuocare agli scacchi con un altro: mi ci misi per vincere, a fine di ottenere le lodi della Signora (e della Signora sola, quantunque avessi dintorno molti altri) la quale senza conoscerlo, facea stima di quel giuoco. Riportammo vittorie uguali, ma la Signora intenta ad altro non ci badò; poi lasciate le carte volle chio linsegnassi i movimenti degli scacchi: lo feci ma insieme con gli altri, e però con poco diletto, ma maccorsi chElla con molta facilità imparava, e non se le confondevano in mente quei precetti dati in furia (come a me si sarebbero senza dubbio confusi) e ne argomentai quello che ho poi inteso da altri, che fosse Signora dingegno. Intanto laver veduto e osservato il suo giuocare coi fratelli, mavea suscitato gran voglia di giuocare io stesso con lei, e così ottenere quel desiderato parlare e conversare con donna avvenente: per la qual cosa con vivo piacere sentii che sarebbe rimasa fino alla sera dopo. Alla cena, la solita fredda contemplazione. Lindomani nella mia votissima giornata aspettai il giuoco con piacere ma senza affanno né ansietà nessuna: o credeva che ci avrei trovato soddisfazione intera, o certo non mi passò per la mente chio ne potessi uscire malcontento. Venuta lora, giuocai. Nuscii scontentissimo e inquieto. Avea giuocato senza molto piacere, ma lasciai anche con dispiacere, pressato da mia madre. La Signora mavea trattato benignamente, ed io per la prima volta avea fatto ridere colle mie burlette una dama di bello aspetto, e parlatole, e ottenutone per me molte parole e sorrisi. Laonde cercando fra me perché fossi scontento, non lo sapea trovare. Non sentia quel rimorso che spesso, passato qualche diletto, ci avvelena il cuore, di non esserci ben serviti delloccasione. Mi parea daver fatto e ottenuto quanto si poteva e quanto io mi era potuto aspettare. Conosceva però benissimo che quel piacere era stato più torbido e incerto, chio non me lera immaginato, ma non vedeva di poterne incolpare nessuna cosa. E ad ogni modo io mi sentiva il cuore molto molle e tenero, e alla cena osservando gli atti e i discorsi della Signora, mi piacquero assai, e mi ammollirono sempre più; e insomma la Signora mi premeva molto: la quale nelluscire capii che sarebbe partita lindomani, né io lavrei riveduta. Mi posi in letto considerando i sentimenti del mio cuore, che in sostanza erano inquietudine istintiva, scontento, malinconia, qualche dolcezza, molto affetto, e desiderio non sapeva né so di che, né anche fra le cose possibili vedo niente che mi possa appagare. Mi pasceva della memoria continua e vivissima della sera e dei giorni avanti, e così vegliai sino al tardissimo e addormentatomi, sognai sempre come un febbricitante, le carte il giuoco la Signora; contuttoché vegliando avea pensato di sognarne, e mi parea di aver potuto notare che io non avea mai sognato di cosa della quale avessi pensato che ne sognerei: ma quelli affetti erano guisa padroni di tutto me e incorporati colla mia mente, che in nessun modo né anche durante il sonno mi poteano lasciare. Svegliatomi prima del giorno (né più ho ridormito), mi sono ricominciati, comè naturale, o più veramente continuati gli stessi pensieri, e dirò pure che io avea prima di addormentarmi considerato che il sonno mi suole grandemente infievolire e quasi ammorzare le idee del giorno innanzi specialmente delle riforme e degli atti di persone nuove, temendo che questa volta non mi avvenisse così. Ma quelle per lo contrario essendosi continuate anche nel sonno, mi si sono riaffacciate alla mente freschissime e quasi rinvigorite. E perché la finestra della mia stanza risponde in un cortile che dà lume allandrone di casa, io sentendo passar gente così per tempo, subito mi sono accorto che i forestieri si preparavano al partire, e con grandissima pazienza e impazienza, sentendo prima passare i cavalli, poi arrivar la carrozza, poi andar gente su e giù, ho aspettato un buon pezzo collorecchio avidissimamente teso, credendo a ogni momento che discendesse la Signora, per sentirne la voce lultima volta; e lho sentita. Non mha saputo dispiacere questa partenza, perché io prevedeva che avrei dovuto passare una trista giornata se i forestieri si fossero trattenuti. Ed ora la passo con quei moti specificati di sopra, e aggiungici un doloretto acerbo che mi prende ogni volta che mi ricordo dei dì passati, ricordanza malinconica oltre a quanto io potrei dire, e quando il ritorno delle stesse ore e circostanze della vita, mi richiama alla memoria quelle di que giorni, vedendomi dintorno un gran voto, e stringendomisi amaramente il cuore. Il quale tenerissimo, teneramente e subitamente si apre, ma solo solissimo per quel suo oggetto, ché per qualche altro questi pensieri mhanno fatto e della mente e degli occhi oltremodo schivo e modestissimo, tanto chio non soffro di fissare lo sguardo nel viso sia deforme (che se più o manco mannoi, non lo so ben discernere) o sia bello o chicchessia, né in figure o cose tali; parendomi che quella vista contamini la purità di quei pensieri e di quella idea ed immagine spirante e visibilissima che ho nella mente. E così il sentir parlare di quella persona, mi scuote e tormenta come a chi si tastasse o palpeggiasse una parte del corpo addoloratissima, e spesso mi fa rabbia e nausea; come veramente mi mette a soqquadro lo stomaco e mi fa disperare il sentir discorsi allegri, e in genere io tacendo sempre, sfuggo quanto più posso il sentir parlare, massime negli accessi di quei pensieri. a petto ai quali ogni cosa mi par feccia, e molte ne disprezzo che prima non disprezzava, anche lo studio, al quale ho lintelletto chiusissimo, e quasi anche, benché forse non del tutto, la gloria. E sono sorvegliatissimo al cibo, la qual cosa noto come non ordinaria in me né anche nelle maggiori angosce, e però indizio di vero turbamento. Se questo è amore, che io non so, questa è la prima volta che io lo provo in età da farci sopra qualche considerazione; ed eccomi di diciannove anni e mezzo, innamorato. E veggo bene che lamore devesser cosa amarissima, e che io purtroppo (dico dellamor tenero e sentimentale) ne sarò sempre schiavo. Benché questo presente (il quale, come ieri sera quasi subito dopo il giuocare, pensai, probabilmente è nato dallinesperienza e dalla novità del diletto) son certo che il tempo fra pochissimo lo guarirà: e questo non so bene se mi piaccia o mi dispiaccia, salvo che la saviezza mi fa dire a me stesso di sì. Volendo pur dare qualche alleggiamento al mio cuore, e non sapendo né volendo farlo altrimenti che collo scrivere, né potendo oggi scrivere altro, tentato il verso, e trovatolo restio, ho scritto queste righe, anche ad oggetto di speculare minutamente le viscere dellamore, e di poter sempre riandare appuntino la prima vera entrata nel mio cuore di questa sovrana passione.
La Domenica 14 di Decembre 1817.
Ieri, avendo passata la seconda notte con sonno interrotto e delirante, durarono molto più intensi chio non credeva, e poco meno che il giorno innanzi, gli stessi affetti, i quali avendo cominciato a descrivere in versi ieri notte vegliando, continuai per tutto ieri, e ho terminato questa mattina stando in letto. Ieri sera e questa notte cho dormito men che pochissimo, mi sono accorto che quella immagine per laddietro vivissima, specialmente del volto, mi sandava a poco a poco dileguando, con mio sommo cordoglio, e richiamandola io con grandissimo sforzo, anche perché avrei voluto finire quei versi de quali era molto contento, prima duscire del caldo della malinconia. Avanti daddormentarmi ho previsto con gran dispiacere che il sonno non sarebbe stato così torbido come le notti passate, e così è successo, ed ora tutti quegli affetti sono debolissimi, prima per la solita forza del tempo, massimamente in me, poi perché il comporre con grandissima avidità quei versi, oltre che mha e riconciliato un poco colla gloria, e sfruttatomi il cuore, lavere poi con ogni industria ad ogni poco incitati e richiamati quegli affetti e quelle immagini, ha fatto che questi non essendo più così spontanei si sieno infievoliti. Ma perché essi mi vadano abbandonando, non me ne scema il voto del cuore, anzi più tosto mi cresce, ed io resto inclinato alla malinconia, amico del silenzio e della meditazione; e alieno dai piaceri che tutti mi paiono più vili assai di quello cho perduto. E insomma io mi studio di rattenere quanto posso quei moti cari e dolorosi che se ne fuggono: per li quali mi pare che i pensieri mi si sieno più tosto ingranditi, e lanimo fatto alquanto più alto e nobile dellusato, e il cuore più aperto alle passioni. Non però in nessun modo allamore (se non solamente verso il suo oggetto), che il fastidio dogni altra bellezza umana è, posso dire, dei moti descritti di sopra quello che più vivo e saldo mi si mantiene nella mente. E una delle cagioni di ciò (oltre lessere ora il cuor mio troppo signoreggiato da un sembiante), come anche di tutta questa mia crisi, è, come poi pensando mè parso di poter affermare, limpero che, se non fallo, per natura mia, hanno e debbono avere nella mia vita sopra di me due cose. Prima i lineamenti forti (purché sieno misti col delicato e grazioso e non virili), gli occhi e capelli neri, la vivacità del volto, la persona grande: e però io aveva già prima dora con molta incertezza osservato che le facce languide e verginali e del tutto delicate, capelli o biondi o chiari, statura bassa, maniere smorte, e così discorrendo, mi faceano molto poca forza, e forse forse qualche volta niuna, quando queste qualità davano in eccesso, e per avventura in altri facevano più gran presa. Secondo, le maniere graziose e benigne ma niente affettate, e soprattutto nessun torcimento notabile, nessun moto troppo lezioso, nessunissima smorfia, insomma, come di sopra ho detto, le maniere pesaresi, che hanno anche quanto alla grazia e alla vivacità modesta un altro non so che chio non posso esprimere; e per questo e per la disinvoltura e fuga dellaffettazione (almeno in quella di cui scrivo), vantaggiano a cento doppi le marchegiane; le quali ora conosco essere molto più affettate e smorfiose e meno leggiadre. Per queste due cagioni, il guardare o pensare ad altro aspetto (poiché io non vedo né, posso dire, ho veduto altro che marchegiane) mi par che mintorbidi e imbruttisca la vaghezza dellidea che ho in mente, di maniera che lo schivo a tutto potere.
Il Martedì 16 Decembre 1817.
Ieri dopo liberatomi dal peso dei versi, quegli affetti non mi parvero né così deboli né così vicini a lasciarmi come merano paruti la mattina, in ispecie quella dolorosa ricordanza spesso accompagnata da quellincerto scontento e dispiacere o dubbio di non aver forse goduto bastantemente, che fu il primo sintoma della mia malattia, e che ancor dura, e quasi non so vedere come mi possa passare, eccetto che per la natural forza del tempo non è così intenso come da principio, ma né anche così indebolito come si potrebbe credere e come io credeva che sarebbe stato. Ieri sera la continua malinconia di tre giorni, la spessa e lunga tensione del cervello, tre notti non dormite, linquietudine, il mangiar meno del solito, maveano alquanto indebolito, e istupiditami la testa; nondimeno io era e sono contento di questo stato di malinconia uguale uguale, e di meditazione, vedendomi anche lanimo più alto, e non curante delle cose mondane e delle opinioni e dei disprezzi altrui, e il cuore più sensitivo molle e poetico. Questa notte per la prima volta son tornato al sonno così lungo comè dordinario, e ho sognato della solita passione, ma per poco nel fine, e senza turbamento. Oggi durano appresso a poco glistessi pensieri e sentimenti di ieri e di ieri sera, la stessa svogliatezza al cibo e ad ogni diletto, in particolare alla lettura, e massime di cose damore, perché come io non posso vedere bellezze umane reali, così né anche descritte, e mi fa stomaco il racconto degli affetti altrui. In genere questa svogliatezza a ogni cosa e specialmente allo studio, mi pare così radicata in me, che io non so vedere come ne uscirò, non facendo con piacere altra lettura che quella de miei versi su questo argomento, e di queste righe. Alle ragioni del presente mio stato addotte di sopra mi pare che vada aggiunta quella dellessermi riuscite nuove ed insolite le maniere della Signora, cioè le pesaresi (vedute da me di raro), se bene non conversando io punto mai con donne, parrebbe che anche le maniere marchegiane dovessero riuscirmi pressoché nuove, e però da questa parte non ci fosse ragione perché non mavessero a fare listesso effetto. Nondimeno credo che bisogni fare qualche caso anche di questa osservazione, perché è naturale che la maggior novità mi dovesse riuscire più grata, ed eccitarmi maggiormente allattenzione: e mi par poi che la speranza lo confermi.
Il Mercoledì 17 di Decembre.
La sera davanti ieri mi parve che il mio caro dolore stesse veramente per licenziarsi, e così ieri mattina. Tornavami lappetito, passavami per la mente un pensiero che avrei fatto bene a ripigliare lo studio, pareami desser fatto meno restio al ridere e meno svogliato a certi dilettucci della giornata, ricominciava a ragionare tra me stesso così di questa come daltre cose tranquillamente come soglio, di maniera che io con molto dispiacere nargomentava che presto sarei tornato come prima. I sogni di ieri notte due o tre volte mi mentovarono il solito oggetto, ma per pochissimo e placidamente. Ieri però quasi a un tratto, principalmente per aver udito parlare della Signora, mi riprese lusata malinconia, e nebbi degli accessi così forti che quasi mi parea desser tornato al principio della malattia. Lo stesso turbamento di stomaco, nel sentir parole allegre, lo stesso dolore, la stessa profonda e continua meditazione, e quasi anche la stessa smania e lo stesso affanno, le quali due cose in genere non mi parea daver mai provate veramente fuori che la sera e notte del Sabato, tutta la Domenica, e (ma già molto rintuzzate) la prima parte del Lunedì. E in verità in questi ultimi giorni non potendo più la malinconia per cagione del tempo durare così calda ed intensa come ne primi, sè risoluta in parecchi accessi, ora più lunghi ed ora meno, ora più ora meno forti, e talvolta così gagliardi che la cedono a pochi di que primi. E in particolare mi dura quello scontento, sul quale io riflettendo, mè paruto daccorgermi chegli appartenga al tempo, cioè che io avrei voluto giuocare più a lungo; non già che propriamente mi paresse daver giuocato poco, o vero meno chio non maspettava; né pure che mentre chio giuocava, fossi contento, e non mi dolesse altro che il dover presto lasciare; né manco finalmente che io giuocando più a lungo e giuocando un mese e un anno, avessi potuto mai uscirne pago, che maccorgo bene chio non sarei stato mai altro che scontentissimo; ma tuttavia mi pare che questo scontento mi saffacci alla mente con un colore davidità, come se venisse da un desiderio di godere più a lungo, e da una cieca ingordigia incontentabilissima, che nel tempo del giuoco, quanto maggior diletto ci provava tanto più maffannava e mangosciava, quasi che mi facesse fretta di goder di quel bene che presto e troppo presto avrei perduto. Già la sera del Lunedì quella vagheggiatissima immagine del volto, forse per lo averla troppo avidamente contemplata, mera pressoché del tutto svanita di mente; e quindi in poi con gran cordoglio posso dire di non averla più veduta se non come un lampo alle volte e sbiadatissima, e questo, mentre limmagine del suo compagno chio non ricerco per niente, mi si fa innanzi viva freschissima e vegeta sempre chio me ne ricordo. Ogni sera, stando in letto e vegliando a lungo, con ogni possibile industria, madopero di richiamarmi alla mente la cara sembianza, la quale probabilmente per questo appunto chio con tanto studio la cerco, mi sfugge, ed io non arrivo a vederne altro che i contorni, e ci affatico tanto il cervello che alla fine mi addormento per forza colla testa annebbiata infocata e dolente. Così maccadde ieri sera, ma questa mattina svegliatomi per tempissimo, in quel proprio punto di svegliarmi, tra il sonno e la veglia spontaneamente mè passata mè passata innanzi alla fantasia la desiderata immagine vera e viva, onde io immediatamente riscosso e spalancati gli occhi, subito le son corso dietro colla mente, e se non sono in tutto riuscito a farla tornare indietro, pure in quella freschezza di mente mattutina, tanto ne ho veduto e osservato e dellaria del volto, e dei moti e dei gesti e del tratto e dei discorsi e della pronunzia, che non mabbia fatto maraviglia lesserne stato una volta preso, ho anzi considerato che se io avessi quelle cose tuttora presenti alla fantasia, sarei ben più smanioso e torbido chio non sono. Ora appresso a poco io duro come ne giorni innanzi, parendomi che il solo mio vero passatempo sia lo scrivere queste righe; collanimo voto o più tosto pieno di tedio (eccetto nel caldo di quei pensieri), perché non trovo cosa che mi paia degna doccuparmi la mente né il corpo, e guardando come il solo veramente desiderabile e degno di me quel diletto che ho perduto, o almeno come maggiore di qualunque altro chio mi potrei procacciare, ogni cosa che a quello non mi conduce, mi par vana; e però lo studio (al quale pure di quando in quando ritorno svogliatissimamente e per poco) non madesca più, e non mi sa riempire il voto dellanimo, perché il fine di questa fatica che è la gloria, non mi par più quella gran cosa che mi pareva una volta, o certo io ne veggo unaltra maggiore, e così la gloria divenuto un bene secondario non mi par da tanto chio ci abbia da spender dietro tutta la giornata, distogliendomi dal pensare a questaltro bene; oltrechella per avventura mi pare una cosa più lontana, e questo in certa guisa più vicino, forse perché nellatto di leggere e di studiare non sacquista gloria, ma nellatto di pensare a questaltro bene sacquista quel doloroso piacere, che pure il cuor mio giudica il più vero e sodo bene chio ora posso cercare. Ed anche quando non penso a questo bene, non però mi so risolvere di darmi allo studio, per quella ragione chio ho detto, che mi par poco degno di me e poco importante e perché insomma ho in testa un oggetto che più mi preme, e o ci pensi o non ci pensi, sempre mimpedisce ogni seria applicazione di mente a cosa chesso non sia. E però non so vedere come ripiglierò lantico amore allo studio, perché mi pare che anche passata questa infermità di mente, sempre mi dovrà restare il pensiero che cè una cosa più dilettosa che lo studio non è, e chio nho fatto una volta lo sperimento
Il Venerdì 19 Decembre 1817.
Il tempo pigliò avanti ieri sera e tutto ieri gran vantaggio sulla mia passione, la quale va adesso veramente scadendo e mancando, né io ripugnava più tanto alla lettura, anzi tra la passione e lamore dello studio, parea che quella a poco a poco scemando tuttavia di peso, questo cominciasse a dare il crollo alla bilancia; e ammansato lanimo mio e fatto men severo e nemico de piaceruzzi, e accostumatomi a quei pensieri e però non mi facendo più quelleffetto, e potendogli assaporare senza inquietudine e con meno diletto e più tranquillo, e diradati e indeboliti gli accessi di malinconia; lappetito già dalla sera di Mercoledì cominciatosi a raggiustare, tornavami al suo sesto, ed io quasi ripigliava le costumanze di prima, se ben sempre mi pareva e mi pare che qualche cosa mi manchi, e chio potrei star meglio che non istò, e provare un certo diletto che non provo. Ieri mattina svegliatomi, e pensando al solito oggetto, in sul riaddormentarmi mapparve la desiderata e cercata immagine più viva assai che il giorno prima, anzi così spirante chio subito la sentii parlare appuntino come quella persona suole, e come la memoria mia stanca e spremuta non mi sapea né mi sa ricordare: che passati quei pochi minuti chio vidi e contemplai e godetti palpitando quella sembianza, con ogni immaginabile studio riconducendola ne luoghi ne quali avea già veduto loggetto reale, e particolarmente nel giuoco; quel fantasma secondo lusato sparì, né più mi sè lasciato vedere se non dilavato e smortissimo. E quando così smorto mi si presenta, per lessermici io avvezzato, come ho detto, non mi turba più gran cosa; e in oltre anche quando è veramente chiaro e spiccato, maffanna alquanto meno che ne primi giorni e pare che la mente più tosto che di tenergli dietro, ami di ricoverarsi in qualche altro suo pensiero gradito (per lo più degli studi), tra perché ci saffatica meno, e perché ormai inclina meglio alla calma che alla tempesta. A ogni modo io sento ancora e tutto ieri sentii limpero di quella dolorosa e scontenta ricordanza chè il fondamento e lanima delle mie malinconie, né par che per ora mi voglia lasciare, contuttoché sia meno amara e meno viva, e mi saffacci alla mente più di rado, e ci resti meno a lungo. E più debole è quando sorge spontaneamente, imperocché piglia più forza, e mi sinterna maggiormente nellanimo, e arriva anche a turbarmi quando è svegliata da qualche oggetto di fuori, comè il sentir parlare di quella persona, e il giuocare che mi bisogna far tutte le sere: e in ispecie ieri sera giuocando e ricordandomi bene chera lottava di quel fatal giorno, presemi gagliardamente quel tristo pensiero, tanto chio nalzai gli occhi verso quella parte dove era stata la Signora per guardarla, comavea fatto in quel turbolento giuocare, quasichella ancora ci fosse. E durando il cuor mio più sensitivo assai dellordinario, e sempre sulle mosse, e voglioso di slanciarsi, non è dubbio che la musica, sio ne sentissi in questi giorni, mi farebbe dare in ismanie e in furori e chio nimpazzirei dagli affetti; e largomento così dal ristretto incredibile potere della musica sopra di me, come dalle spinte che mi davano al cuore certi vilissimi canterellacci uditi a caso in questo tempo. Nei sogni di questa notte ho veduto il doloroso oggetto più a lungo che i giorni innanzi, e con qualche inquietudine da vantaggio, ma così sformato e guasto che la ricordanza del sogno non mha punto mosso dopo svegliato
La Domenica 21 Decembre 1817.
Chiudo oggi queste ciarle che ho fatte con me stesso per isfogo del cuor mio, e perché mi servissero a conoscere me medesimo e le passioni; ma quando non voglio più farne, perché non si sa quando io mi risolverei a finire, e oramai poco potendo dire di nuovo, mi pare chio ci perderei il tempo, del quale io soglio far caso, ed è bene che torni a servirmene giacché la passione al tutto non me limpedisce. La quale già si va dileguando, in tanto chio nelle mie occupazioni ricomincio ad amar lordine, quando ne giorni addietro non lo curava e più tosto lodiava, e madatto al ridere, e al pensare di proposito ad altre cose, e allo studiare; eccetto che lamor dello studio provo di racconciarlo colla passione, proponendo così in aria di scrivere qualche cosa dovio possa ragionare con quella Signora, o introdurla a favellare; e immaginandomi di potere forse una volta divenuto qualche cosa di grande nelle lettere, farmele innanzi in maniera da esserne accolto con piacere e stima. E di questi stessi pensieri mi sono di quando in quando pasciuto anche ne dì passati. Io dunque ripiglio il consueto tenore di vita, perché la passione languente non mi sa più riempiere la giornata; e langue la passione per difetto dalimento, essendo stata proprio in sul nascere immediatamente strozzata dalla partenza del suo oggetto; laonde finora non sè nutrita daltro che di ricordanza e dimmagini, delle quali immagini, come ho detto, la fantasia mi sè da più giorni impoverita: che certo sio fossi in luogo dove potessi a mio talento praticare colla Signora, o anche solamente vederla di quando in quando, la passione non che ora languisse, menerebbe gran fiamma, e sarebbe veramente incominciata per me una fila di giorni smaniosissimi e infelici, comio me ne posso avvedere considerando il tremito e linquietudine che mi muove il rappresentarmi un po vivamente al pensiero le forme e gli atti della Signora, il che oramai, come ho notato, di rarissimo e per pochissimo mi vien fatto. E così ora la passione sarebbe più vigorosa che non è, se dopo nata avesse avuto spazio di crescere alquanto e di pigliar piede nutrendosi daltro che di rimembranza; ma di ciò fare non ebbe, come ho raccontato, altro spazio che una mezza sera. Contuttociò ella, nonostanteché langua come un lume a cui lolio vada mancando, pur tuttavia dura e durerà forsanche lungo tempo, sempre languendo e facendo vista di spegnersi, e tratto tratto mandando qualche favilluzza, come nelle ore di più ozio e soprattutto di malinconia, chio credo che lanimo mio dovrà per molto spazio risentire a ogni altra sua malattia questa piaghetta rimasa mezzo saldata. Ora di questo lungo solco che la passione partendo mi lascerà nel cuore, e che principalmente consisterà in un certo indistinto desiderio, e scontento delle cose presenti, o in accessi più o meno lunghi e risentiti della solita lamentevole e tenera ricordanza che in particolare mi sarà destata dagli oggetti esterni (come quelli che ieri specificai), non intendo di scriver più altro, bastandomi daver tenuto dietro agli affetti miei sino al vederli languire, ed esser chiaro del modo nel quale si spegneranno. E quando saranno spenti, caso che io riveda (come penso che rivedrò, e al presente lo desidero) quel fatale oggetto, mi rendo quasi certo che riarderanno violentissimamente; e così non dubito che se una volta mi sarà facile, purchio voglia, di portarmi da me stesso a rivederlo, e molto più se loccasione me ne verrà, io tremando e sudando freddo, e biasimando altamente me stesso, e dandomi del pazzo, e compassionandomi, senza però dubitare correrò a quel temuto diletto: salvo se la lunghezza del tempo, e più laver conversato con altre donne, e conceputo e provato altri affetti, e veduto più mondo, e incontrato più casi che non mavessero affatto sradicata dal cuore questa passione: la qual certo se finora con tanto poco alimento sè sostenuta, e se più oltre benché debole si sosterrà, è forza che in gran parte lo riconosca dalloziosità e dalleterna medesimezza del mio vivere senza nessuno svagamento né diletto massimamente nuovo. E così da quello che ne dì passati ho scritto, si fa bastevolmente chiaro chella è nata dallaver io inespertissimo giuocato e conversato alquanto famigliarmente con una persona daspetto più tosto bello, e di forme e di maniere fatte pel cuor mio, ancorché questa seconda cagione è veramente secondaria, perchio fo conto che questa mia inesperienza, un altro bel volto, parlando e praticando nella stessa guisa con me, mavrebbe similmente preso,anche con tuttaltri ati e sembianze. E ho detto chio mi riprenderei di qualunque azione che mi dovesse o risuscitare o rinfrancare questa passione nel cuore, non già perchio di essa mi vergogni punto; che sal mondo ci fu mai affetto veramente puro e platonico, ed eccessivamente e stranissimamente schivo dogni menomissima ombra dimmondezza, il mio senzaltro è stato tale ed è, e assolutamente per natura sua, non per cura chio ci abbia messa, immantinente sattrista e con grandissimo orrore si rannicchia per qualunque sospetto di bruttura; ma per la infelicità chella partorisce; imperocché, posto che una certa nebbietta di malinconia affettuosa, come quella chio negli ultimi giorni ho provata, non sia discara, e anche diletti senza turbarci più che tanto, non così altri può dire di quella sollecitudine e di quel desiderio e di quello scontentamento e di quella smania e di quellangoscia che vanno col forte della passione, e ci fanno salcuna cosa mai tribolati, e miseri. Ed io di questa miseria ho avuto un saggio nella prima sera e ne primi due giorni della mia malatia, ne quali al presente giudico di avere in fatti propriamente ed intimamente sentito lamore: e quali sieno stati i sintomi e le proprietà e in somma il carattere di questo primo amor mio, si dichiara in quelle carte chio scrissi nel maggior caldo degli affetti; se non che ci puoi aggiugnere un manifesto desiderio di trovare nel mio volto qualcosa che potesse pur piacere: ma questo desiderio non lebbi nel primo giorno, nel quale anzi avvertentemente sfuggiva la vista e il pensiero della immagine mia, non altrimenti che facessi delle facce altrui. Del resto tanto è lungi chio mi vergogni della mia passione, che anzi sino al punto chella nacque, sempre me ne sono compiaciuto meco stesso, e me ne compiaccio, rallegrandomi di sentire qualcheduno di quegli affetti senza i quali non si può esser grande, e di sapermi affliggere vivamente per altro che per cose appartenenti al corpo, e dessermi per prova chiarito che il cuor mio è soprammodo tenero e sensitivo, e forse una volta mi farà fare e scrivere qualche cosa che la memoria nabbia a durare, o almeno la mia coscienza a goderne, molto più che lanimo mio era ne passati giorni, come ho detto, disdegnosissimo delle cose basse, e vago tra dilicatissimi e sublimi, ignoti ai più degli uomini. Non negherò dunque di avere in questo tempo con ogni cura aiutati e coltivati gli affetti miei miei, né che una parte del dispiacere chio provava vedendogli a infievolire non dal gusto e dal desiderio chio avea di sentire e di amare. Ma sempre sincerissimamente detestando ogni ombra di romanzeria, non credo daver sentito affetto né moto altro che spontaneo, e non ho in queste carte scritta cosa che non abbia effettivissimamente e spontaneamente sentita: né ho pur mai voluto in questi giorni leggere niente damoroso, perché, come ho notato, gli affetti altrui mi stomacavano, ancorché non ci fosse punto daffettazione; manco il Petrarca, comeché credessi che ci avrei trovato sentimenti somigliantissimi ai miei. Ed anche ora appena con grande stento e ritrosia minduco a lasciar cadere gli occhi sopra qualche cosa di questo genere, quando me ne capita loccasione. Ed io so molto bene di parecchi altri effetti che lamore o talvolta o anche dordinario fa; ma perché in me non gli ha fatti, né io gli ho descritti, nonostanteché forse qualche volta nabbia avuto qualche sentore, ma così dubbio o piccolo che non nho voluto far caso.
Il Lunedì e il Martedì 22 e 23 di decembre 1817
Non avendo per laddietro fatto parola né dato indizio della mia passione a chicchessia, la manifestai a mio fratello Carlo, fattigli leggere i versi e queste carte, ai 29 di Decembre, durandomi nellanimo, come ancora mi durano oggi 2 di Gennaio 1818, le vestigia evidentissime degli affetti passati, ai quali non manca per ridar su altro che loccasione.
© aprile 1998 - by prof. Giuseppe Bonghi
E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 16 luglio 1998