Tripodaro Luigi
docente di Italiano e Storia
presso I.T.C. "O.F. Mossotti" di Novara
Introduzione generale
a
Giacomo Leopardi
Di carattere
molto sensibile e di ingegno precoce, il Leopardi, dopo aver trascorso I'infanzia e la
giovinezza in un ambiente austero e freddo, dedicandosi ad uno studio profondo ed assiduo
che lo rese padrone di una vastissima cultura ma rovinò irrimediabilmente la sua salute,
sviluppò una concezione della realtà molto simile a quella del Foscolo.
I1 mondo gli parve governato da leggi
meccaniche inesorabili e misteriose, che presiedono alla continua trasformazione della
materia, coinvolgendo ed annullando anche l'uomo. Anche in lui, come nel Foscolo, questa
convinzione è fonte di amarezza e di pessimismo, così come insorge anche in lui la
ribellione contro questa visione offertagli dalla ragione. In ciò egli manifesta la sua
natura e la sua spiritualità romantica.
Anche nel Leopardi hanno valore le
illusioni che illuminano la vita del Foscolo: la bellezza, la gloria, la patria, la
libertà, l'amore, la poesia; ma mentre nel Foscolo esse appaiono come conquiste raggiunte
per mezzo di uno slancio eroico, di accettazione e di esaltazione della condizione umana,
dolorosa ma ricca di dignità e nobiltà, in Leopardi sono idee nobilissime, insite nella
giovinezza dell'uomo, ma destinate a venir meno, ad essere demolite dalla ragione e
soprattutto dalla vita.
Possiamo scorgere nella storia spirituale
del Leopardi una lucida e continuare tendenza alla demolizione delle speranze umane, che
il poeta segue, ponendo in risalto inesorabilmente le varie ragioni che rendono infelice
la condizione dell'uomo.
La vita gli appare avvolta dal mistero e
dal dolore, che è l'unica certezza per l'uomo. I1 piacere non esiste se non come pausa
momentanea del male e un uscire dalla condizione di pena, mentre la vicenda umana gli
appare come una inutile corsa verso il nulla, e la storia stessa è contrassegnata dal
progressivo trionfo dell'infelicità. La natura, vista da lui in un primo momento (fino al
'23) come madre amorosa, gli appare in seguito come matrigna; essa, secondo il poeta, crea
l'uomo ma non si preoccupa della sua felicità. La prima causa dell'infelicità umana è
la ragione, che dissolve le illusioni e pone l'uomo di fronte alla realtà. Da questa
presa di coscienza derivano la delusione ed il tedio. A queste convinzioni il poeta
arrivò gradualmente; esse sono infatti il frutto, oltre che della sua sensibilità, della
sua stessa vicenda umana, tormentata da incomprensioni, delusioni, sventure.
Si riscontrano tre momenti nello svilvppo
del pensiero leopardiano, che non è tuttavia sistematico e non perviene ad un rigoroso
sistema filosofico (perchè egli è soprattutto poeta e pensa e si esprime in relazione ai
suoi casi ed alle sue esperienze, in una sorta di reazione sentimentale).
Questi tre momenti, rappresentati dal
pessimismo individuale, storico e cosmico, non si succedono ordinatamente anche se
corrispondono a tre modi distinti di interpretare la condizione umana. Pertanto, a volte
(soprattutto nella giovinezza) al poeta sembra che la sorte sia stata matrigna solo con
lui, condannandolo all'infelicità nel fisico e nello spirito,alla solitudine ed
all'incapacità di vivere come gli altri (mentre agli altri uomiri sono concesse le gioie
della vita, la giovinezza felice, gli affetti).
E' questa propriamente la fase del
pessimismo individuale. A volte, invece, appaiono in lui quelle riflessioni sulla
felicità dei primi uomini che si meravigliavano e gioivano per cose semplici e furono poi
resi infelici dal progresso, chiaramente ispirate dalla lettura del Vico e di Rousseau,
oltre che da meditazioni personali e negotive in rapporto alla storia, nelle cui conquiste
il poeta non crede. In ciò consiste appunto il pessimismo storico.
Infine, a volte l'esame della condizione
umana induce il poeta a concludere che a tutti è riservato lo stesso destino di dolore. A
questa condizione si adeguano inoltre tutti gli elementi del creato (pessimismo cosmico).
Le estreme conseguenza di questo atteggiamento portano a quella che è stata definita come
la "doglia universale".
Contro queste pessimistiche concezioni
insorge il sentimento, esprimendosi per mezzo della poesia, che nel Leopardi appare come
una continua rivolta contro le conclusioni della ragione. Essa è dettata dalle più
profonde convinzioni ed esigenze del poeta, che è convinto della nobiltà dell'uomo, il
quale non merita la sua infelicità, che è qualcosa di ingiusto e di assurdo. E' quindi,
la sua, una rivolta, che, pur mostrando pessimismo e dolore, non genera a sua volta
pessimismo. Infatti, cone afferma De Sanctis, "questo uomo odia la vita e te la fa
amare, dice che l'amore e la virtù sono illusioni, e te ne accende nell'anima un
desiderio vivissimo".
Leopardi, infatti, celebra la giovinezza
e la bellezza della natura e della vita, anche se con lo stato d'animo doloroso di colui
che da tutto ciò si sente escluso. Il suo, comunque, è un pessimisno eroico e mai
rassegnato. Egli reagisce perché ha in sè un'ansia religiosa che nessuna logica può
distruggere e perchè possiede una costante fiducia nella dignità umana. La sua energia
si esprime nelle sue stesse parole "...e di più vi dico francamente che io non mi
sottometto alla mia infelicità, nè piego il collo al destino o vengo seco a patti come
fanno gli altri uomini..."
La sua opera si traduce perciò anche in
una esortazione a non cedere al fato, ad opporre all'universo assurdo l'intatta nobiltà
dello spirito. Egli non tradusse però questa energia morale in azione, come il Foscolo,
ma la realizzò nel continuo approfondimento del suo pensiero. Le stesse lotte dei
patrioti non lo coinvolsero, né lo attrassero gli entusiasmi e le fedi del suo tempo.
Le sue concezioni, oltre che nella
poesia, sono espresse nelle Operette morali e nello Zibaldone.
Nella vicenda
letteraria del Leopardi si può riscontrare una precisa linea di sviluppo. Dopo la fase
che si definisce erudita (fino al '15), durante la quale egli compose la Storia
dell'astronomia (1813), il Saggio sopra gli essori popolari degli antichi
(l8l5), due tragedie (La virtù indiana e Pompeo in Egitto, 1815),
osserviamo, nel 1816, il passaggio del poeta a quella che egli considera come una
"conversione letteraria, un passaggio dalla erudizione al bello".
In questo periodo, infatti, la poesia gli
sembra adatta ad esprimere la sua sete di gloria ed il bisogno di uscire dalla solitudine.
Lo studio dell'Alfieri, la lettura dell'0rtis e del Werter e le sue stesse vicende
spirituali lo allontanano però ben presto dalla letteratura di stampo settecentesco e da1
gusto arcade e montiano, che caratterizza le sue prime poesie, rendendo più maturo il suo
stile e il suo pensiero ed avvicinandolo al Romanticismo (1817-19).
Ben presto, egli si trova ad avere in
sè,s pontaneamente, la sensibilità e le esigenze di questo movimento poetico, pur
assumendo, nel 1818, nel suo "Discorso di un italiano sulla poesia romantica",
col quale si inserisce nella polemica classico-romantica, la funzione di "scudiero
dei classici". In quell'anno compone due canzoni civili: All'Italia e Sopra
il monumento di Dante. Al 1820 risale la poesia Ad Angelo Mai ed al 1821
appartengono due componimenti: Nelle nozze della sorella Paolina e A un
vincitore di pallone
L'approdo ad una concezione tragica della
vita avviene nel 1819 ,quando il poeta è colpito da una malattia alla vista; il suo
pessinismo, tuttavia non è unicamente legato a motivi personali, ma assume caratteri
universali, intrecciandosi alla crisi filosofica, ideologica e politica di quegli anni,
che accompagna il passaggio dall'Illurinisno al Romanticismo.
Nel 1824 Leopardi compone le Operette
morali, un esempio di poesia in prosa, in cui la vicenda del poeta viene superata
dalla visione generale dei grandi temi connessi con il significato della vita umana, il
dolore universale, il mistero. In quest'opera Leopardi rivela le sue capacità di grande
prosatore.
Negli anni successivi appaiono i Primi
idilli: La vita solitaria, La sera del dì di festa, I1 sogno, L'infinito, Alla
luna.
Si svolge poi a Recanati, tra il '28 e il
'30, la seconda, grande, stagione della poesia leopardiana, cui appartengono i
"Grandi idilli" A Silvia, Le Ricordanze, I1 passero solitario, La quiete dopo
la tempesta, Il sabato del villaggio, I1 canto notturno di un pastore errante dell'Asia,
nelle quali il pessimismo raggiunge l'acme ed investe la concezione che il poeta ha
dell"umanità intera. Sono da ricordare anche le poesie che formano ii ciclo di
Aspasia e che risalegno al soggiorno fiorentino del poeta: I1 pensiero dominante, Amore
e morte, Consalvo, A se stesso, Aspasia.
Le principali opere in prosa sono lo Zibaldone
(1817-1832), i Pensieri, l'Epistolario.
Leopardi si serve della poesia come un
mezzo per esprimere sinceramente i suoi stati d'animo; chiama perciò canti i suoi
componimenti poetici, volendo affermare che essi sono soprattutto espressioni sincere e
immediate dei suoi sentimenti, senza particolari scopi letterari ed eruditi. I1 linguaggio
di cui si serve è definito da lui stesso "vago e peregrino", ossia non privo di
una certa bellezza, ottenuta con l'utilizzo di vocaboli preziosi, ma complessivamente
semplice e quasi dimesso. Esso non è privo, pertanto, del fascino delle cose naturali ed
autentiche. Gli effetti poetici sono raggiunti con semplici accorgimenti, come il soggetto
in fine di verso.
Il tema principale della poesia
leopardiana è la rimembranza; l'autore ritiene infatti che la fonte da cui scaturisce la
poesia sia principalnente la dsposizione a rievocare il passato. Accanto a questo tema,
che è tipicamente romantico, anzi ad esso intimamente legati, appaiono i temi della
giovinezza, del paesaggio, dell'infinito, del mistero, della morte, i colloqui con i
silenzi notturni, con la luna. La poesia rappresenta, oltre che la testimonianza, il
conforto della tormentata vicenda del poeta. Essa riflette il suo pessimismo, la sua
rivolta eroica, ed anche sembra che testimoni, negli ultimi componimenti, ossia La
ginestra ed Il tramonto della luna, la conquista di una certa fiducia, dovuta
alla scoperta del valore della solidarietà umana. Ciò completa il suo messaggio di
consapevolezza e di coraggio nei confronti del destino.
© 1998 - by prof. Giuseppe Bonghi - E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 21 febbraio 1998