Giuseppe Bonghi

Introduzione
a
ENEIDE - libro VI
di
VIRGILIO

Introduzione
l'Oltretomba

Riassunto

       Enea approda sulle coste italiche dopo aver perso Palinuro e si reca verso l'antro della Sibilla, sacerdotessa di Apollo, che lo invita a sacrificare sette giovenchi e sette pecore. Enea la prega di accompagnarlo nell'Averno, ma prima deve seppellire Miseno e trovare un ramo d'oro sacro a Proserpina. Lasciata la Sibilla, viene trovato il corpo di Miseno al quale si danno onorate esequie; quindi si osserva il volo delle colombe che si dirigono verso il punto del bosco dove si trova il ramo d'oro che viene colto. Ritornano dalla Sibilla ed Enea immola un'agnella nera e una vacca sterile alla dea Notte e a Proserpina.
       La Sibilla invoca gli dèi che hanno dominio sulle anime ed entra nel Tartaro insieme ad Enea; entrano nel Vestibolo, dove si trovano Lutto, Affanni, Malattie, Vecchiaia, Paura, Fame, Dolore, Morte, Sonno, Guerra, le Eumenidi e Discordia. Da un'altra parte si trovano i Centauri, le Scille biformi, Briareo, l'Idra, la Chimera, le Arpie e Gerione. Si avviano quindi verso l'acheronte, incontrano il custode Caronte che guida la nave con le anime da portare oltre il fiume, presso il quale si trovano le anime di coloro che non hanno avuto sepoltura e devono vagare per cento anni prima di passare l'Acheronte. Enea incontra Palinuro, che racconta la sua morte, avvenuta ad opera di un popolo crudele, e non nel mare come si credeva.
       Trasportati da Caronte al di là del fiume, Enea vede Cerbero, mostro con tre bocche e Minosse, l'inquisitore e giudice infernale. Qui incontra per prime le anime morte per amore, tra cui Procri, Erifile e soprattutto Didone, alla quale si rivolge, ma che resta immobile e silenziosa. Proseguendo il cammino Enea vede gli eroi troiani, tra cui Partenopeo, Adrasto, i figli di Antenore e di Priamo e soprattutto Deifobo, orrendamente mutilato da Menelao nella notte suprema di Troia, dopo il tradimento di Elena che aveva sposato alla morte di Paride.
       Intanto il tempo stringe e i due arrivano a un bivio: a sinistra si va verso il Tartaro e a destra verso l'Eliso. La città di Dite è circondata dal Flegetonte, un fiume di fuoco e a sua guardia è posta Tisifone. La Sibilla svela ad Enea che nessuno si può fermare sulla porta del Tartaro, di cui Radamanto ha il governo, ascolta le colpe e assegna le pene. Nel Tartaro si si incontra prima l'Idra dalle cinquanta teste, i Titani guardati da Tisifone. Qui si trovano coloro che odiarono i fratelli e percossero i padri o commisero altri gravi peccati.
       Arrivano quindi sulla porta di Dite, sulla quale viene appeso il ramo d'oro. Dentro trovano Orfeo e la stirpe di Dardano. Ai Dardani la Sibilla chiede dove si trova Anchise; il poeta Museo li guida verso la meta. Raggiungono Anchise e dopo il saluto si portano sul'alto di una collina dalla quale il vecchio padre mostra al figlio gli eroi che faranno la storia di Roma, dai primi re di Alba Longa, ai sette re di Roma, ai primi consoli della Repubblica e agli uomini più illustri di questa. Infine Enea torna fra i suoi e si dirige con le navi verso Gaeta.

Il personaggio

       Il personaggio centrale è indubbiamente la Sibilla, nella sua doppia funzione di veggente e sacerdotessa di Apollo e contemporaneamente di guida di Enea nell'oltretomba, verso la quale l'eroe prova sempre un atteggiamento di sottomissione, di umile ubbidienza ai suoi ordini. La Sibilla non sembra comunque mai agire in prima persona, ma in ossequio a norme, di Ecate e di Apollo, che sono le sue guide. Per questo rimprovera aspramente Palinuro: le norme che lei stessa osserva alle quali sono sottomesse tutte le anime dell'Averno.

La Struttura

       Possiamo dividere il secondo libro in tre macrosequenze, che hanno come elemento centrale: la Sibilla, il Tartaro, l'Eliso

macrosequenze libro VI
- 1 -

vv.1-235
la
Sibilla

Enea arriva in Italia sulle coste cumane e si dirige dalla Sibilla, pregandola di accompagnarlo nell'Averno per incontrare il padre. Tutto può avvenire dopo aver dato sepoltura a Miseno e aver trovato il ramo d'oro sacro a Proserpina.
- 2 -

vv. 236-636
l'oltretomba
il
Tartaro

Entrati nell'Averno incontrano nel vestibolo tutti i mali dell'uomo e i mostri della fantasia umana, quindi al bivio la Sibilla svela chi si trova nel Tartaro, nel quale è proibito entrare, dove si trovano le anime che hanno commesso gravi colpe nella vita.
- 3 - vv. 637-901
l'oltretomba
l'
Eliso
Nell'Eliso incontrano Anchise, che dall'alto di un poggio mostra ad Enea le anime di coloro che si incarneranno per far grande Roma, dai primi re di Alba Longa ai sette re di Roma e infine ai più importanti personaggi della Repubblica.

 

microsequenze libro VI
- 1 - vv. 1-13
Cuma e il tempio di Apollo
Piangendo la morte dell'amico Palinuro, Enea approda sulle coste di Cuma e, mentre i suoi uomini perlustrano il territorio, si avvia verso la rocca protetta da Apollo e verso l'antro immane dell'orrenda Sibilla, alla quale il dio Apollo infonde la sua volontà e la sua conoscenza del futuro che la profetessa rivela agli uomini.
- 2 -

vv. 14-33
Dedalo e le porte del tempio

Dedalo, fuggendo da Creta con ali di cera, volò verso settentrione e toccò per la prima volta terra vicino a Cuma e consacrò a Febo-Apollo le ali che lo avevano aiutato a fuggire ed eresse un tempio: sulla porta c'erano queste raffigurazioni:
- la morte di Androgeo,
- l'urna adoperata dagli Ateniesi per l'estrazione dei nomi dei giovani da avviare a Minosse come tributo per il sacrificio al Minotauro,
- l'unione di Pasifae col toro donato da Poseidone a Minosse,
- Arianna e Teseo aiutati da Dedalo.
- Anche Icaro avrebbe avuto un posto sulla porta se il padre fosse riuscito a raffigurarne la morte.
- 3 -  vv. 33-41
davanti all'antro della Sibilla
Avrebbero guardato attentamente ogni cosa, se non avessero visto Acate già di ritorno con la Sibilla Deifobe, figlia di Glauco, sacerdotessa di Apollo, che invita Enea a non perdere tempo e a sacrificare sette giovenchi e sette pecore tratte da una mandria mai toccata. Quindi la sacerdotessa invita i Teucri ad entrare nel suo antro.
- 4 -  vv. 42-53
la Sibilla invasata
Il fianco della rupe Euboica s'apre in un antro dove si entra per cento porte dalle quali escono con altrettante voci i responsi della Sibilla. Giunti sulla porta la Sibilla annuncia la presenza del dio Apollo, mentre all'improvviso si trasfigura in volto, diventa ansante e la sua voce non ha più nulla di mortale, e invita Enea a non indugiare in voti e preghiere.
- 5 - 

vv. 53-76
la preghiera
di Enea

Dopo aver detto queste parole, tace ed Enea innalza la sua preghiera a Febo che ha sempre avuto pietà dei destini di Troia, ha guidato la mano di Paride contro Achille ed Enea stesso su tanti mari, fra i Massili, fino in Italia. Prega che tutti gli dei risparmino i suoi Penati e quelli di Troia e i Teucri possano finalmente stanziarsi in Italia, così come dicono i Fati, e allora innalzerà un tempio e indirà feste in onore di Apollo. Prega la Sibilla, alla quale innalzerà un sacrario nella città che costruirà, di non rilasciare il suo vaticinio scritto su foglie che possono essere scompigliate dai venti, ma di pronunciarlo lei stessa.
- 6 -  vv. 77-97
il responso della Sibilla
La Sibilla, infuria nell'antro non ancora completamente posseduta dal dio Apollo, finché è resa docile: allora si aprono le cento porte dell'antro e portate dal vento si ode il suo vaticinio su Enea, scampato ai pericoli del mare ma non ancora a quelli di terra; è approdato nel regno Lavinio, ma qui troverà una guerra feroce come quella già sostenuta contro i greci e causa di tanto male sarà ancora un matrimonio con una donna straniera. La Sibilla invita Enea, infine, a combattere con coraggio predicendogli che la prima via di salvezza gli sarà offerta da una città fondata da un greco.
- 7 -  vv. 98-123
Enea chiede alla Sibilla di poter scendere nel Tartaro per vedere il padre
Appena finisce il furore e la Sibilla, ispirata dal dio Apollo si calma, Enea le rivolge una preghiera, chiedendole di portarlo nell'Averno, poiché lei può aprire le porte che conducono nel regno dei morti, per poter vedere il padre che aveva salvato dalle armi nemiche nella notte di Troia e che tante pene aveva dovuto sopportare per mari e per terre, cercandola di convincerla dicendole che anche lui è figlio di un dio e può vedere l'oltretomba come Teseo o come Orfeo e Polluce
- 8 -  vv. 124-155
la Sibilla acconsente
il ramo d'oro
La Sibilla risponde ad Enea che la porta dell'Averno è sempre aperta: il problema non è entrare, ma uscire; a pochi Giove lo ha concesso. Il Tartaro è composto da una selva circondata dal fiume Cocito. Per portare a termine il suo folle amore per il padre e traversare due volte lo Stige e il Tartaro, deve comunque cogliere prima un ramo d'oro, consacrato a Giunone, da portare alla bella Proserpina, da strappare con le sole mani, cosa che gli sarà facile se così vorranno gli dei; deve, poi, seppellire un compagno morto, Miseno, e quindi condurre nere pecore per il primo sacrificio: così potrà vedere lo Stige e il Tartaro inaccessibile ai vivi.
- 9 -  vv. 156-174
la storia della morte di Miseno ad opera di Tritone
Enea lascia l'antro della Sibilla insieme ad Acate, parlando con lui e chiedendosi chi fosse il compagno morto; e parlando giungono alla spiaggia, e lì vedono il corpo di Miseno figlio di Eolo, grande trombettiere, che col suono della sua tromba eccitava gli animi dei soldati in battaglia, oltre a combattere con l'asta che sapeva maneggiare bene, già al servizio di Ettore, e dopo la morte di questi per mano di Achille, passato fra i compagni di Enea. Un giorno sfidò, pazzo, a una gara gli dèi e Tritone punì la sua superbia afferrandolo di sorpresa e sommergendolo nei flutti vicino agli scogli.
- 10 -  vv. 175-189
Funerali di Miseno: preparativi
Ritrovato il corpo di Miseno, piansero tutti e si affrettarono ad innalzare la pira per bruciare il cadavere raccogliendo legna in una selva antica, rifugio di fiere; lavorarono tutti, anche Enea, che col cuore afflitto, rivolge un pensiero all'amico unendolo alle parole della veggente e alla speranza di trovare il ramo d'oro così come aveva trovato il suo corpo.
- 11 -  vv. 190-211
Ritrovamento del ramo d'oro
similitudine
Appena ebbe finito di parlare, due colombe da cielo si posarono sul prato davanti ad Enea che riconobbe gli uccelli sacri alla madre e prega di essere guidato da loro e di non essere abbandonato in questo momento difficile dalla madre. Quindi osserva il volo delle colombe e dove queste si vanno a posare: le segue e scopre il ramo d'oro, simile al vischio che nel freddo invernale circonda verdeggiante con aurei frutti i tronchi rotondi nelle selve: subito lo svelle e lo porta nella grotta della Sibilla.
- 12 -  vv. 212-235
Funerali di Miseno
Intanto i Teucri preparavano i funerali di Miseno piangendo. Innalzarono una grande pira con pini resinosi e querce e ponendovi sopra le sue armi risplendenti mentre il corpo viene lavato e unto, deposto sul feretro e ricoperto con le sue vesti; infine, tenendo il capo volto all'indietro, avvicinano fiaccole ardenti alla base della pira. Quando tutto fu compiuto le ceneri vennero spruzzate con vino e i resti raccolti in un'urna di bronzo da Corineo che pronunciò anche l'estremo saluto. Infine Enea fece innalzare un grande sepolcro sul quale furono posate le sue armi, un remo e la tromba sotto un monte che porta il suo nome e lo mantiene eterno nei secoli.
- 13 -  vv. 236-254
il sacrificio notturno
Quindi Enea esegue gli ordini della Sibilla. Esiste un'immensa grotta, protetta dal lago Averno, dalla quale escono esalazioni dannose che non permettono il volo degli uccelli sopra di essa; qui la Sibilla dispone quattro giovenchi dal dorso nero, taglia loro dei peli dalla fronte fra le corna e li getta sul fuoco e invoca Ecate mentre altri immergono il coltello nella gola degli animali raccogliendo il caldo sangue. Enea immola un'agnella nera alle dee Notte e Terra e una vacca sterile a Proserpina; poi innalza a Plutone delle are notturne e getta sul fuoco intere membra di tori versando olio sulle viscere in fiamme.
- 14 -  vv. 255-267
l'entrata nel Tartaro
Alle prime luci dell'alba si sente arrivare Ecate circondata dalle cagne infernali dello Stige. Allora la veggente grida a tutti di lasciare il bosco e ad Enea di intraprendere il cammino, sguainando la spada e facendo appello al suo coraggio: s'incammina seguita da Enea.
- 15 -  vv. 264-267
invocazione
Invocazione: il poeta invoca gli dèi Caos e Flegetonte e tutti quelli che hanno dominio sulle anime di concedergli di raccontare ciò che ha udito e rivelare ciò che ha visto nella terra profonda e oscura.
- 16 -  vv. 268-281
il vestibolo del Tartaro
i mali dell'uomo
La Sibilla ed Enea andavano nelle tenebre attraversando i degni delle anime morte all'incerto lume della luna. Davanti al vestibolo, vicino al primo ingresso del Tartaro, si trovano i mali dell'uomo:
- Lutto,
- Affanni vendicatori,
- Malattie pallide,
- Vecchiaia triste,
- Paura,
- Fame, cattiva consigliera,
- Miseria turpe,
- Morte,
- Dolore,
- Sonno, fratello della Morte,
- Piaceri malvagi dell'animo,
- Guerra portatrice di Morte,
- le Eumenidi (Erinni o Furie) su letti di ferro,
- Discordia pazza con capelli viperini cinti di bende sanguinanti.  
- 17 -  vv. 282-294
il vestibolo del Tartaro
i mostri
In mezzo un olmo stende i suoi enormi rami ombrosi, sede dei Sogni fallaci, attaccati sotto ciascuna foglia. Nel vestibolo si trovano:
- Centauri,
- Scille biformi,
- Briareo dalle cento braccia,
- Idra di Lerna, che stride orribilmente, uccisa da Ercole
- Chimera armata di fiamme,
- Gorgoni,
- Arpie,
- Gerione dai tre corpi ucciso da Ercole.

Enea, preso da paura, sfodera la spada e avanza contro quei fantasmi e si sarebbe precipitato contro di loro se non l'avesse avvisato la Sibilla che erano vuote immagini senza corpo.

- 18 -  vv. 295-316
Caronte

similitudini

Dal vestibolo comincia la via che porta all'Acheronte, un gorgo di fango che erutta la sua melma nel Cocito, dove incontra il custode Caronte, il nocchiero che trasporta le anime al di là del fiume, un vecchio dalla barba bianca e dagli occhi di bragia. Caronte spinge la nave e la guida con le vele, dopo aver scelto a caso le anime da trasportare tra quelle radunate sulle rive, dove si sono precipitate pregando di essere subito trasportate, e aver allontanato quelle non scelte.
Similitudini: le anime si raccolgono sulla riva come le foglie cadono numerose staccandosi al primo freddo dell'autunno o come gli uccelli raggiungono numerosi dal mare la terra dopo aver abbandonato nella fredda stagione i luoghi d'origine in cerca di caldo.
- 19 -  vv. 317-336
l'attesa delle anime insepolte
Enea, meravigliato e commosso, chiede alla Sibilla chi sono le anime che s'affollano presso il fiume, perché alcune vengono traghettate ed altre invece vengono respinte. La Sibilla gli risponde che dove si trova Enea può vedere la palude Stigia e le anime di coloro che traghettate hanno ricevuto sepoltura sulla terra, quelle che invece si affollano sulla riva e sono respinte da Caronte sono rimaste insepolte e devono vagare per cento anni prima di passare l'Acheronte. Fra le anime in attesa Enea riconosce Leucaspi ed Oronte, annegati nella tempesta che aveva spinto la flotta Troiana sulle sponde libiche.
- 20 -  vv. 336-371
Enea incontra Palinuro
la storia della morte di Palinuro
la richiesta di Palinuro
Fra queste anime Enea incontra Palinuro, riconosciuto a stento nell'oscurità e gli chiede quale dio lo abbia fatto morire visto che Apollo, che non aveva mai mentito nei suoi responsi, gli aveva profetizzato che sarebbe giunto sano e salvo in Italia. Palinuro, allora, racconta la storia della sua morte, che non era stata causata da nessun dio: quando era precipitato in acqua, stretto al timone di cui era custode e preoccupato per le sorti della nave di Enea priva di timone e di nocchiero, per tre notti tempestose era stato sbattuto dalle onde, e alla quarta alba finalmente aveva visto la terra; ma quando ormai stava per toccare colle mani adunche le rocce sporgenti, una gente crudele lo aveva assalito ed egli non aveva nemmeno potuto difendersi a causa della veste bagnata: ed ora il suo corpo giaceva insepolto. Per questo chiede ad Enea che o provveda a seppellirlo o gli dia una mano trasportandolo con sé sulla livida palude in modo che in sedi più tranquille possa almeno in morte riposare.
- 21 -  vv. 372-383
la Sibilla
rimprovera
Palinuro
A Palinuro risponde la Sibilla, rimproverandogli l'empio desiderio di essere trasportato altre le acque Stigie andando contro i decreti degli dèi; ma Palinuro può trovare conforto nel fatto che i popoli della località dove è stato ucciso placheranno le sue ossa erigendogli una tomba sulla quale porteranno vittime sacrificali. La Sibilla placò l'anima di Palinuro che per un poco si rallegrò del nome dato alla terra su cui era morto.
- 22 -  vv. 384-397
Caronte ad Enea
Enea e la Sibilla proseguono il cammino e, mentre si avvicinano alla riva, da lontano vengono visti da Caronte che grida contro Enea di fermare i passi e dire perché viene armato nel regno delle Ombre, del Sonno e della Notte, precisando che non era stato lieto di accogliere nemmeno Ercole, che aveva legato e trascinato via il cane Cerbero per portarlo da Eusristeo, e la coppia Teseo e Piritoo che avevano tentato di rapire Proserpina, la regina di Dite.
- 23 -  vv. 398-416
la risposta della Sibilla
il passaggio
del fiume
La Sibilla, (detta Anfrisia) rassicura Caronte dicendogli che Enea non porta violenza con le armi, per cui possono stare tranquilli sia Cerbero che Proserpina, ma vuole semplicemente andare ad incontrare il padre tra le ombre del profondo Erebo, e lo prega almeno di riconoscere il ramo d'oro. Si calma Caronte vedendo il ramo d'oro e s'avvicina con la nave, allontanando le anime che vi avevano già preso posto. Gemette la navicella sotto il peso di Enea che infine insieme alla Sibilla venne trasportato al di là del fiume e depositato sull'erba verdeazzurra.
- 24 -  vv. 417-425
Cerbero
Cerbero, l'enorme mostro con tre bocche, rintrona col suo latrato l'inferno giacendo davanti all'ingresso dell'antro; la Sibilla gli getta una focaccia soporosa e il mostro, mangiandola ingordo, si stende smisurato in tutto l'antro sdraiato per terra; mentre il mostro è addormentato, Enea oltrepassa l'ingresso allontanandosi dalla riva della palude Stigia che nessun'anima può riattraversare.
- 25 -  vv. 426-439
Minosse
Subito si sentono voci e lamenti e anime piangenti di bambini colti da morte immatura, vicini ai quali si trovano le anime dei condannati a morte per accuse ingiuste: Minosse è l'inquisitore infernale che convoca i morti silenziosi e apprende la loro vita e le loro colpe. Infine si trovano in quel luogo le anime dei suicidi, che vorrebbero ora godere dell'aria del mondo e dei duri affanni, ma la legge si oppone ed essi sono racchiusi dallo Stige che scorre loro intorno per nove volte.
- 26 -  vv. 440-466
L'incontro con Didone
Non lontano vengono indicati i campi del Pianto, dove occulti sentieri nascondono quelli che sono morti consumati da un amore crudele e soffrono anche nella morte, come Fedra, Procri, Erifile, Evadne, Pasifae, Laodamia, Cene che pregò Poseidone di essere mutata in maschio e alla sua morte riassunse la forma femminile. Tra esse si trova Didone e appena la vede Enea, le rivolge la parola, addolorato per essere stato la causa della sua morte e giurandole che ha lasciato le sue spiagge solo perché spinto dagli ordini degli dei, gli stessi ordini che ora lo conducono fra le ombre dei morti e la invita a fermarsi, a non fuggire, perché questa è l'ultima volta che il Fato gli concede di parlarle.
- 27 -  vv. 467-476
il silenzio di Didone
Così Enea ha cercato di lenire il dolore di Didone, che rimase col volto immobile e impietrito come il marmo della ripa Marpesia, cogli volti a terra. Infine Didone si allontana nella selva dove si trova l'antico marito Sicheo che uguaglia il suo amore e soffre le stesse pene: Enea allora si allontana provando dolore per la sorte di Didone.
- 28 -  vv. 477-493
i Dardanidi
Enea prosegue il cammino nei campi che accolgono gli eroi guerrieri: Tideo, Partenopeo e il pallido Adrasto; i Dardani caduto in guerra: Glauco, Medonte, Tersiloco, i figli di Antenore, Polibete, Ideo auriga di Priamo, mentre gli eroi Greci al vederlo nelle sue armi splendenti fuggono trepidanti, come fecero già in vita, mentre un grido strozzato esce dalla loro gola.
- 29 -  vv. 494-508
Enea parla a Deifobo
Qui vede Deifobo, figlio di Priamo, sposo di Elena alla morte di Paride, col corpo tutto straziato, con le mani, le orecchie e le narici tagliate e lo riconobbe a stento, così sfigurato e tremante di paura e gli si rivolse con la sua voce conosciuta, chiedendogli chi era stato a sottoporlo a un così crudele supplizio e assicurandolo che gli aveva innalzato una tomba prima di partire dopo che gli era giunta notizia che era caduto stanco dell'uccisione di molti pelasgi su un mucchio confuso di cadaveri.
- 30 -  vv. 509-534
il racconto di Deifobo
Il figlio di Priamo racconta la sua morte, riconoscendo prima di tutto che ogni cosa per lui fu fatta da Enea: il suo Fato dipese dalla scelleratezza di Elena; trascorsa la notte suprema nella falsa gioia della vittoria, nella notte uscirono gli armati dal cavallo mentre Elena simulando un coro di baccanti agitando la fiaccola faceva segnali dall'alto delle mura. Intanto Deifobo, vinto dalla stanchezza e dal sonno, si getta sul letto in una quiete simile alla morte ed Elena porta via dalla casa tutte le armi e la stessa spada che teneva sotto il capo e chiama l'antico marito, cui si unisce Ulisse.
Infine chiede ad Enea come mai si trova nelle tristi dimore dell'Averno.
- 31 -  vv. 535-547
Deifobo e la Sibilla
Intanto l'Aurora aveva raggiunto la metà del suo cammino e la Sibilla invita Enea ad affrettarsi, indicandogli che la strada a quel punto si biforca: a destra va verso le mura della città di Dite e verso l'Eliso, a sinistra va invece verso il Tartaro dove si trovano i malvagi. Intanto Deifobo si volta e torna verso le ombre augurando ad Enea destini migliori dei suoi.
- 32 -  vv. 548-561
Tisifone
Enea si volta a guardare e vede sotto una rupe grandi mura circondate da tre file di bastioni lambite dal Flegetonte, il fiume di fuoco che trascina massi rimbombanti: di fronte una enorme porta con colonne di acciaio che né uomini né dèi avrebbero potuto abbattere: a guardia si trova Tisifone avvolta in una veste insanguinata; si odono intanto rumori e strepiti di ferro ed Enea chiede spiegazioni alla Sibilla.
- 33 -  vv. 562-627
Sibilla descrive il Tartaro
vv.562-572
Tisifone
La Sibilla rivela ad Enea che a nessuno è lecito soffermarsi sulla porta del Tartaro, anche se a lei da Ecate è stato concesso di vedere tutto, le anime e i luoghi. Radamanto ha il governo del luogo: ascolta le colpe commesse tra i vivi delle quali qualcuno ha rimandato l'espiazione a dopo la morte e assegna il castigo; le anime sono prese poi in consegna da Tisifone che le sferza armata di un flagello e agitando minacciosa i contorti serpenti e chiamando la schiera delle sorelle ad aiutarla.
- 34 -  vv. 562-627
Sibilla descrive il Tartaro
vv. 573-607
gemelli Aloidi
Salmoneo
Tizio
Lapiti
Issione
Pirìtoo
Solo allora davanti alle anime si aprono le porte del Tartaro e la prima figura che si incontra è l'Idra dalle cinquanta teste; poi il Tartaro si apre in un enorme precipizio due volte più grande di quanto la vista del cielo si stende fino all'Olimpo: qui i figli della Terra e di Crono, la gioventù dei Titani si voltola dopo essere stata scaraventata dal fulmine di Giove, qui si trovano i gemelli Aloidi Oto ed Efialte, che tentarono di rovesciare il cielo e di cacciare Giove; qui si trova Salmoneo che si credeva simile a Giove imitandone i tuoni e i fulmini girando per le contrade e le città dell'Elide su un carro trainato da quattro cavalli, ma fu scaraventato da un fulmine nel Tartaro; qui si trova Tizio grande quanto nove jugeri mentre un immane avvoltoio gli rode il fegato che ricresce sempre; qui si trovano i Lapiti, Issione e Pirìtoo sotto una nera rupe in bilico che sembra stia per cadere mentre davanti a loro è imbandita una ricca mensa regale che non possono toccare colle loro mani perché impediti da Tisifone, la più vecchia delle Furie, che agita una fiaccola ed urla con voce tonante.
- 35 -  vv. 562-627
Sibilla descrive il Tartaro
vv. 608-627
tipi di dannati nel Tartaro
Qui si trovano coloro che
- odiarono i fratelli
- e percossero i padri
- e ingannarono un protetto
- o ammassarono ricchezze senza dividerle,
- o furono uccisi per adulterio
- o non esitarono a tradire giuramenti fatti.

Inutile sapere a quali pene sono stati condannati: rotolano un sasso o pendono legati ai raggi d'una ruota; siede l'infelice Teseo e Flegias ammonisce tutti a non disprezzare gli dèi. Qui si trovano coloro che
- vendettero per oro la patria,
- per denaro fecero le leggi o le abrogarono
- o penetrarono nel letto della propria figlia per un amore illecito.

Non basterebbero cento lingue e cento bocche per descrivere tutti i delitti ed enumerare tutte le pene.

- 36 -  v. 628-639
i preparativi sulla porta di Dite
Finito di parlare, la Sibilla invita Enea a completare il suo compito e ad affrettarsi: vede già le mura costruite dai Ciclopi e le porte dove depositare le offerte dei doni. Avanzano e raggiungono le porte; Enea si asperge con acqua lustrale e affigge sulla porta il ramo d'oro. Possono quindi raggiungere i luoghi beati e i boschi fortunati.
- 37 -  vv. 640-647
l'Eliso
Orfeo
Un ampio cielo, con stelle e sole proprio, copre con luce purpurea i campi. Una parte dei beati esercitano i propri corpi o lottano sull'arena, altri ritmano danze coi piedi. Orfeo, il sacerdote Tracio, con una lunga veste, suona una lira con sette corde con le dita o col plettro.
- 38 -  vv. 648-659
eroi Troiani - fiume Eridano
Qui si trova la stirpe di Teucro: Ilo, Assaraco e Dardano, il fondatore di Troia, mentre in disparte si trovano le armi e i carri vuoti; anche sotterra provano l'amore per le armi e per i carri; da un'altra parte alcuni cantano un peana in onore di Apollo in mezzo a un bosco di lauro dal quale scorre il fiume Eridano.
- 39 -  vv. 660-678
Museo
Qui si trovano quelli che furono feriti combattendo per la patria e coloro che hanno vaticinato in nome di Febo Apollo o hanno reso più civili gli uomini colle arti o hanno meritato di essere ricordati: tutti hanno le tempie fasciate con bende bianche. A loro si rivolge la Sibilla chiedendo dove si trova Anchise, e le risponde il poeta Museo dicendo che nessuno ha un luogo fisso, ma se lo seguono potrà metterli sulla giusta via dopo aver superato il crinale della collina.
- 40 -  vv. 679-702
incontro tra Anchise ed Enea
Intanto Anchise guarda le anime racchiuse in una valle verdeggiante: sono gli amati nipoti che avranno nelle mani il futuro, le vicende e i costumi di Roma. Quando vede Enea, gli si rivolge con ansia, contento che finalmente può rivederlo, sentirlo e parlargli, vedendo avverato ciò che aspettava contando i giorni; e accoglie il figlio che tanti pericoli ha affrontato per tante terre e tanti mari, soprattutto temendo l'amore di Didone che avrebbe potuto trattenere il figlio. Ed Enea gli risponde chiedendogli di poterlo abbracciare. Tre volte tenta di abbracciare il padre e per tre volte risulta vano il tentativo.
- 41 -  vv. 703-723
la valle del Lete

similitudine

Intanto Enea vede un bosco isolato e il fiume Lete, che scorre vicino alle dimore delle anime, vicino al quale si assiepa genti e popoli numerosi, come le api numerose in estate si posano sui fiori. Lo stupito Enea chiede chi sono e il padre gli rivela che sono le anime destinate a tornare sulla terra e può vedere anche i suoi discendenti che avranno nelle mani i destini che possono farlo rallegrare di aver raggiunto l'Italia. Enea chiede allora come possono le anime essere così misere da desiderare di tornare sulla terra.
Similitudine: le anime si affollano leggere vicino al fiume Lete come in estate le api si affollano sui fiori
- 42 -  vv. 724-751
l'origine della vita terrena e delle pene infernali
Uno spirito vivifica ogni cosa: cielo, terra, mare, luna , sole e tutte sono mosse da un'unica anima che si mescola al grande corpo universale. Di qui ha origine la vita degli uomini, degli animali, dei volatili e degli esseri che sono generati in fondo al mare.
Gli esseri, particelle del grande corpo universale, hanno un'energia ignea e un'origine celeste, finché il male li rende ottusi e mortali: per questo le anime temono e gioiscono, bramano e provano dolore, chiusi nelle tenebre della mancanza di conoscenza e nel carcere rappresentato dal corpo.
Quando la vita nell'ultimo giorno abbandona le anime, queste sono ancora gravate dai mali terreni, ormai induriti negli anni: per questo nell'aldilà esse devono pagare la pena dei mali commessi;
solo dopo aver pagato le pene e lavato la macchia contratta per cui lo spirito torna puro e celeste, le anime, dopo mille anni, sono chiamate da un dio al fiume Lete affinché comincino di nuovo a desiderare di tornare sulla terra nei corpi.
- 43 -  vv. 752-776
ROMA
Albalonga
Quindi Anchise conduce il figlio in mezzo a una folla di anime e raggiunge un'altura dalla quale può passare tutte le anime in rassegna, per spiegargli la gloria che raggiungerà la stirpe di Dardano e indicargli i discendenti italici. Per primo gli fa vedere un giovane che si appoggia a un'asta senza punta di ferro: è Silvio, che sarà re e padre di Re e nascerà da lui dopo aver sposato Lavinia; vicini gli sono Proca, Capi, Numitore e Silvio Enea, alcuni dei re Albani, che conquisteranno terre e città come Nomento e Gabii, Fidene e Pomezia, Bola e Cora.
- 44 -  vv. 777-787
le origini
Romolo, figlio di Marte, che sarà allevato da Acca Laurenzia di sangue Troiano discendente di Assaraco: da lui nascerà la Roma che eguaglierà il suo impero alla vastità delle terre e circonderà con le sue mura sette colli e sarà rappresentata dalla corona a forma di torre come quella di Cibele che sul suo cocchio corre per le città della Frigia.
- 45 -  vv. 788-807
la potenza romana
Allora invita il figlio a guardare i futuri Romani: Giulio Cesare e Cesare Augusto, nipote del primo, che riporterà nel Lazio l'epoca d'oro dei tempi di Saturno ed estenderà il suo impero da Oriente ad Occidente. Già ora, attraverso i responsi dei veggenti, tremano i regni del Caspio e le sette foci del Nilo. Nemmeno Ercole ha percorso tanta terra nel corso delle sue dodici fatiche, come quelle della cerva dai piedi di bronzo o dell'Idra di Lerna, né Libero col suo carro guidato con redini intrecciate di pampini: come può Enea avere ancora dubbi sui destini che lo attendono in Italia?
- 46 -  vv. 808-825
i re romani
i primi uomini della
Repubblica
Anchise mostra Numa Pompilio, della città di Curi, che fonderà nuovamente la città con leggi e costumi, e Tullo Ostilio che spingerà alle armi un popolo tranquillo, e Anco Marzio e i due re Tarquinii, il Prisco e il Superbo, e vicino l'anima di Bruto il vendicatore che farà cacciare l'ultimo re e verrà eletto primo console della nuova Repubblica insieme a Tarquinio Collatino, e durante il suo consolato avrà il doloroso compito di mandare a morte i suoi figli ribelli per amore della bella libertà; e mostrerà i Decii, i Drusi e Tito Manlio Torquato e Camillo.
- 47 -  vv. 826-853
gli uomini illustri della Repubblica
E mostra le anime di coloro che, ora in pace, in futuro saranno dilaniate da una feroce guerra civile: il suocero Giulio Cesare e il genero Pompeo, e invita a non abituare i cuori a queste lotte e non rivolgere le armi contro la patria. Quindi mostra Lucio Mummio che distruggerà Corinto e Lucio Emilio Paolo che sconfiggerà i Greci vendicando gli avi di Troia e il tempio di Minerva due volte profanato (da Ulisse e da Aiace). E mostra Catone, Cossa e Fabio Massimo che sconfisse Annibale: quindi ricorda ai Romani che loro compito è quello di governare il mondo, di perdonare i popoli sottomessi e debellare i superbi.
- 48 -  vv. 854-866
Claudio Marcello
Infine mostra Claudio Marcello che nel 222 vincerà contro i Cartaginesi e i Galli Insubri e sarà il terzo ad appendere spoglie nemiche nel tempio del padre Romolo Quirino. Allora Enea chiede chi è quel giovane che lo accompagna: è figlio o nipote?
- 49 -  vv. 867-892
Marcello il Giovane
Allora Anchise che quel giovane vivrà troppo poco, perché il Fato non lo permetterà e agli dèi sarebbe sembrata eccessiva la potenza romana con tutti questi doni: dolorosi pianti accompagneranno le sue esequie: egli è Marcello, degno di compianto. Infine Anchise mostra al figlio ogni cosa, incendiando il suo animo di amore per la futura gloria, e lo informa sui popoli con cui farà guerra e come potrà superare ogni difficoltà.
- 50 -  vv. 893-901
l'uscita
Due sono le porte del sonno: una è quella di corno attraverso la quale le anime fanno arrivare agli uomini sogni veraci; l'altra è d'avorio, attraverso la quale arrivano sogni fallaci. Anchise conduce il figlio e la Sibilla presso le due porte e li fa uscire attraverso la porta d'avorio. Una volta fuori Enea torna alle navi e si dirige verso Gaeta e una volta arrivato nel porto getta l'ancora e si ferma: stanno immobili le poppe sulla spiaggia.


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Ultimo aggiornamento: 05 febbraio 1998