Giuseppe Bonghi
Commento critico alle poesie 249-252
Del Canzoniere
di Francesco Petrarca
Questi sonetti
appartengono alla seconda parte del Canzoniere, intitolata In morte di Madonna Laura
e formano un solo gruppo, perché in essi il poeta rappresenta il suo stato danimo
nel momento in cui, essendo lontano da Laura, fa dei sogni che gli preannunziano la morte
della donna. Nei primi due (249-250) è ritratto più vivamente il dramma psicologico, e
la bellezza delle immagini e la tristezza dei sentimenti, pur facendo contrasto fra loro,
si fondono armonicamente: è la poesia delle cose, della quotidianità, cui il poeta non
aggiunge nulla di suo. La quotidianità e il silenzio di Laura nel quale risuona solo una
frase :"Non sperar di vedermi in terra mai!" che serve da suggello ad ogni
sogno, che chiude una realtà, quella terrena, per aprirne unaltra, quella divina e
ultraterrena.
La critica non è riuscita a stabilire
quando essi siano stati scritti, se prima o dopo la morte della donna, così come incerta
o impossibile da ricostruire resta la data di scrittura di molte poesie del Canzoniere: il
19 maggio 1348 Petrarca, mentre si trovava in Verona, ebbe la notizia della morte di
Laura, avvenuta il 6 aprile e la poesia 267 ben esprime il pianto del poeta che canta la
donna rievocando lorigine del suo amore nel bel volto e negli occhi e nel riso (la
bocca) che sono i tre elementi corporei più realistici ma anche più simbolicamente
presenti e ripetuti: il volto come sole, le labbra sorridenti come elemento che affascina
e fa restare muti e sbalorditi di fronte a tanta bellezza e gli occhi, il soave sguardo,
attraverso i quali si penetra nel cuore dove lamore arriva e ingigantisce fino a
conquistare ogni più riposta fibra della vita.
Vediamoli ora singolarmente.
Qual paura ho, quando mi torna a mente
Petrarca ripensa
allultima volta che ha visto Laura in vita, in una visita effettuata poco prima di
partere per lItalia, dove lo raggiungerà la notizia della morte della sua donna; e
non cè cosa cui pensi così volentieri e di sovente come lultima volta che ha
visto Laura, leggiadra insieme alle altre donne che le facevano compagnia, ed aveva un
atteggiamento grave e pensoso, come cole che, benchè non fosse ancora inferma, stava già
per cadere nella sua ultima malattia. Petrarca la rivede mentre stava fra le altre donne,
come una rosa tra fiori meno belli e meno odorosi, dal volto né lieto né triste, come
chi teme qualcosa e non sente altro male: non aveva la solita leggiadria e perfino il suo
vestire quel giorno era più dimesso, senza perle o ghirlande o panni sgargianti: perfino
il solito riso e il canto e il parlare in modo dolce e umano non aveva quel giorno.
Lultimo ricordo di quel giorno in Petrarca è quasi un triste presagio della morte
vicina.
Tutto il sonetto è costruito su un
movimento lento, "grave" dice Petrarca, come colui che si muove con lentezza e
fatica, oppresso da una tristezza di cui non sa riconoscere la causa, come gravi sono i
movimenti di coloro che stanno per ammalarsi, perché hanno il corpo mal disposto e
preparato al male ormai prossimo. Insieme a lei, in quellultima visione della donna,
rimane il cuore del poeta, che la rivede sempre presente nella sua dote più umana
(umilmente), né lieta né dogliosa, perché non sentiva dolore o allegrezza, ma un
qualche timore per il male ormai vicino.
Lo stesso movimento lento è sottolineato
dalluso preponderante di parole bisillabe e le poche trisillabe sono quasi tutte
riferite a Laura (pensosa, Madonna, dogliosa, leggiadria, deposta, ghirlande, allegri,
umano), mentre al poeta si riferiscono solo quelli che riguardano il suo ricordo
(volentier, sovente, riveggio). Le parole trisillabiche tendono ad allargare il movimento,
mentre quelle bisillabiche tendono ad eliminarlo, come il verso famoso di Dante: "e
caddi come corpo morto cade".
Il contrasto tra lumano e il
terreno è riservato solo allultimo verso; anzi, solo alla seconda parte: e
piaccia a Dio che nvano, quasi a chiedere un supremo aiuto o a cercare un
estremo rifugio per allontanare una visione di morte che comunque è lontana dal concetto
cristiano della morte come momento di passaggio verso una felicità più compiuta.
Solea lontana in sonno consolarme
Questo sonetto crea un
certo contrasto con il precedente: la realtà è mutata da quando Laura non cè
più: mentre nelle volte precedenti, durante la sua lontananza, lei soleva consolarlo in
sogno con la sua dolce angelica figura, ora lo spaventa e lo contrista e nulla può
essergli daiuto contro il dolore e la paura di perderla; spesso nel volto della sua
donna al poeta sembra di vedere un misto di pietà e di grave dolore, non tanto per sé,
quanto per il dolore che la sua morte avrebbe procurato al poeta, perché sapeva quanto
questi avrebbe sofferto per la sua morte.
Nel sogno al Petrarca, è una delle rare
volte!, Laura parla, mesta e grave: "non ti ricordi quellultima sera, quando ti
lasciai con gli occhi tuoi molli di pianto andandomene perché ormai tardi? Non te lo
potei dire allora, ma ora perché lho provato ed è vero: non sperare di vedermi mai
in terra". Laura gli appare viva, anche se vicina alla morte, ma resa ormai esperta
dalla sua condizione di morte; gli dice una cosa che avrebbe voluto dirgli
quellultima sera (non mi vedrai più viva su questa terra) ma non potè forse per la
presenza delle altre donne e sicuramente perché ormai non cera più tempo, era sera
e sera fatto tardi. È la coscienza della morte, una profezia non rivelata per un
senso umanissimo di pudore.
O misera et orribil visione
O misera ed orribile visione; è vero: Laura si è spenta, lei che soleva farlo contento con la sua angelica persona
In dubbio di mio stato, or piano or canto
In questo sonetto
Petrarca dimostra quanto dubbiosa sia la sua condizione attuale, oscillante tra la letizia
della vita di lei e il dolore per la sua morte, in un bifrontismo esistenziale tutto umano
che sostituisce il più classico bifrontismo tra vita terrena e vita celeste, tra
felicità umana e felicità divina, tra lamore umano e lamore divino; per
questo ora piange per il timore ora canta per la speranza: per sfogare il suo dolore teme
per la morte di Laura e spera di vederla ancora in vita. Unico sollievo a questo affanno
amoroso è labbandono alla poesia, con la quale sfogare dolori e speranza; ma la
poesia stessa affligge e consuma il suo cuore in un fuoco di sofferenze.
È la speranza che i suoi occhi possano
rivedere il bel volto di Laura che si lega alla coscienza che in alternativa gli stessi
suoi occhi potrebbero essere condannati a un sempiterno pianto: il bel viso di Laura possa
restituirà agli occhi del poeta la luce così necessaria che deriva proprio dagli occhi
della donna, oppure condannerà quegli occhi a un sempiterno pianto? (e Petrarca non sa
più cosa pensare di se stesso
); ed è mai possibile che quel santo viso per
raggiungere il Cielo, che gli spetta di diritto, non si curi di quel che avviene sulla
terra agli occhi del poeta, ai quali come la luce del sole è necessario il volto della
donna?
In questa paura e in questa perpetua
guerra vive il poeta, che non sa più quel che già è stato, come colui che sulla strada
del dubbio teme e sbaglia; e va errando non riconoscendo più quale sia il vero cammino
verso la salvezza, condotto tra dubbiosi pensieri temendo di non sapere ancora cosa sarà
di lui dopo la morte di Laura e lo spegnimento della luce che emanava dal suo volto e che
illuminava il suo cammino: Laura con la sua presenza illuminava la strada della sua
salvezza