Decameron
Madonna Beritola, con due cavriuoli sopra una isola trovata, avendo due figliuoli perduti, ne va in Lunigiana; quivi l'un de'figliuoli col signor di lei si pone e colla figliuola di lui giace ed è messo in prigione. Cicilia ribellata al re Carlo, e il figliuolo riconosciuto dalla madre, sposa la figliuola del suo signore e il suo fratello ritrova e in grande stato ritornano.
Avevan le donne parimente e i giovani riso molto de'casi
d'Andreuccio dalla Fiammetta narrati, quando Emilia, sentendo la novella finita, per
comandamento della reina, così cominciò:
Gravi cose e noiose sono i movimenti vari della Fortuna,
de'quali perché quante volte alcuna cosa si parla, tante è un destare delle nostre
menti, le quali leggiermente s'addormentano nelle sue lusinghe, giudico mai rincrescer non
dover l'ascoltare e a'felici e agli sventurati, in quanto li primi rende avvisati e i
secondi consola. E per ciò, quantunque gran cose dette ne sieno avanti, io intendo di
raccontarvene una novella non meno vera che pietosa; la quale, ancora che lieto fine
avesse, fu tanta e sì lunga l'amaritudine, che appena che io possa credere che mai da
letizia seguita si raddolcisse.
Carissime donne, voi dovete sapere che appresso la morte di
Federigo secondo imperadore fu re di Cicilia coronato Manfredi, appo il quale in
grandissimo stato fu un gentile uomo di Napoli chiamato Arrighetto Capece, il quale per
moglie avea una bella e gentil donna similmente napoletana, chiamata madonna Beritola
Caracciola. Il quale Arrighetto, avendo il governo dell'isola nelle mani, sentendo che il
re Carlo primo avea a Benevento vinto e ucciso Manfredi, e tutto il regno a lui si
rivolgea, avendo poca sicurtà della corta fede de'ciciliani e non volendo suddito
divenire del nimico del suo signore, di fuggire s'apparecchiava. Ma questo da' ciciliani
conosciuto, subitamente egli e molti altri amici e servitori del re Manfredi furono per
prigioni dati al re Carlo, e la possessione dell'isola appresso. Madonna Beritola in tanto
mutamento di cose, non sappiendo che d'Arrighetto si fosse e sempre di quello che era
avvenuto temendo, per tema di vergogna, ogni sua cosa lasciata, con un suo figliuolo
d'età forse d'otto anni, chiamato Giusfredi, e gravida e povera, montata sopra una
barchetta, se ne fuggì a Lipari, e quivi partorì un altro figliuol maschio, il quale
nominò lo Scacciato; e presa una balia, con tutti sopra un legnetto montò per tornarsene
a Napoli a' suoi parenti.
Ma altramenti avvenne che il suo avviso; perciò che
per forza di vento il legno, che a Napoli andar dovea, fu trasportato all'isola di Ponzo,
dove, entrati in un picciol seno di mare, cominciarono ad attender tempo al loro viaggio.
Madama Beritola, come gli altri, smontata in su l'isola e sopra quella un luogo solitario
e rimoto trovato, quivi a dolersi del suo Arrighetto si mise tutta sola. E questa maniera
ciascun giorno tenendo, avvenne che, essendo ella al suo dolersi occupata, senza che
alcuno o marinaro o altri se n'accorgesse, una galea di corsari sopravvenne, la quale
tutti a man salva gli prese, e andò via.
Madama Beritola, finito il suo diurno lamento, tornata al
lito per rivedere i figliuoli, come usata era di fare, niuna persona vi trovò; di che
prima si maravigliò, e poi, subitamente di quello che avvenuto era sospettando, gli occhi
infra 'l mare sospinse, e vide la galea, non molto ancora allungata, dietro tirarsi il
legnetto; per la qual cosa ottimamente conobbe, sì come il marito, aver perduti i
figliuoli; e povera e sola e abbandonata, senza saper dove mai alcuno doversene ritrovare,
quivi vedendosi, tramortita, il marito è figliuoli chiamando, cadde in su 'l lito. Quivi
non era chi con acqua fredda o con altro argomento le smarrite forze rivocasse; per che a
bello agio poterono gli spiriti andar vagando dove lor piacque; ma, poi che nel misero
corpo le partite forze insieme colle lagrime e col pianto tornate furono, lungamente
chiamò i figliuoli, e molto per ogni caverna gli andò cercando. Ma poi che la sua fatica
conobbe vana e vide la notte sopravvenire, sperando e non sappiendo che, di sé medesima
alquanto divenne sollicita, e dal lito partitasi, in quella caverna, dove di piagnere e di
dolersi era usa, si ritornò.
E poi che la notte con molta paura e con dolore
inestimabile fu passata, e il dì nuovo venuto, e già l'ora della terza valicata, essa,
che la sera avanti cenato non avea, da fame costretta, a pascere l'erbe si diede; e,
pasciuta come potè, piagnendo, a vari pensieri della sua futura vita si diede. Nè quali
mentre ella dimorava, vide venire una cavriuola ed entrare ivi vicino in una caverna, e
dopo alquanto uscirne e per lo bosco andarsene; per che ella, levatasi, là entrò donde
uscita era la cavriuola, e videvi due cavriuoli forse il dì medesimo nati, li quali le
parevano la più dolce cosa del mondo e la più vezzosa; e, non essendolesi ancora del
nuovo parto rasciutto il latte del petto, quegli teneramente prese e al petto gli si pose.
Li quali, non rifiutando il servigio, così lei poppavano come la madre avrebber fatto; e
d'allora innanzi dalla madre a lei niuna distinzion fecero. Per che, parendo alla gentil
donna avere nel diserto luogo alcuna compagnia trovata, l'erbe pascendo e bevendo l'acqua,
e tante volte piagnendo quante del marito e de'figliuoli e della sua preterita vita si
ricordava, quivi e a vivere e a morire s'era disposta, non meno dimestica della cavriuola
divenuta che de' figliuoli.
E così dimorando la gentil donna divenuta fiera, avvenne
dopo più mesi che per fortuna similmente quivi arrivò un legnetto di pisani, dove ella
prima era arrivata, e più giorni vi dimorò. Era sopra quel legno un gentile uomo
chiamato Currado de' marchesi Malespini con una sua donna valorosa e santa; e venivano di
pellegrinaggio da tutti i santi luoghi li quali nel regno di Puglia sono, e a casa loro se
ne tornavano. Il quale, per passare malinconia, insieme colla sua donna e con alcuni suoi
famigliari e con suoi cani, un dì ad andare fra l'isola si mise, e non guari lontano al
luogo, dove era madama Beritola, cominciarono i cani di Currado a seguire i due cavriuoli,
li quali già grandicelli pascendo andavano; li quali cavriuoli da' cani cacciati, in
nulla altra parte fuggirono che alla caverna dove era madama Beritola. La quale, questo
vedendo, levata in piè e preso un bastone, li cani mandò indietro; e quivi Currado e la
sua donna, che i lor cani seguitavano, sopravvenuti, vedendo costei, che bruna e magra e
pilosa divenuta era, si maravigliarono, ed ella molto più di loro. Ma poi che a' prieghi
di lei ebbe Currado i suoi cani tirati indietro, dopo molti prieghi la piegarono a dire
chi ella fosse e che quivi facesse; la quale pienamente ogni sua condizione e ogni suo
accidente e il suo fiero proponimento loro aperse. Il che udendo Currado, che molto bene
Arrighetto Capece conosciuto avea, di compassion pianse, e con parole assai s'ingegnò di
rimuoverla da proponimento sì fiero, offerendole di rimenarla a casa sua o di seco
tenerla in quello onore che sua sorella, e stesse tanto che Iddio più lieta fortuna le
mandasse innanzi. Alle quali proferte non piegandosi la donna, Currado con lei lasciò la
moglie e le disse che da mangiare quivi facesse venire, e lei, che tutta era stracciata,
d'alcuna delle sue robe rivestisse e del tutto facesse che seco la ne menasse.
La gentil donna con lei rimasa, avendo prima molto con
madama Beritola pianto de' suoi infortuni, fatti venire vestimenti e vivande, colla
maggior fatica del mondo a prendergli e a mangiar la condusse; e ultimamente, dopo molti
prieghi, affermando ella di mai non volere andare ove conosciuta fosse, la 'ndusse a
doversene seco andare in Lunigiana insieme co' due cavriuoli e colla cavriuola, la quale
in quel mezzo era tornata e, non senza gran maraviglia della gentil donna, l'avea fatta
grandissima festa. E così venuto il buon tempo, madama Beritola con Currado e colla sua
donna sopra il lor legno montò, e con loro insieme la cavriuola e i due cavriuoli
(da'quali, non sappiendosi per tutti il suo nome, ella fu Cavriuola dinominata), e con
buon vento tosto infino nella foce della Magra n'andarono, dove smontati, alle lor
castella ne salirono. Quivi appresso la donna di Currado madama Beritola, in abito
vedovile, come una sua damigella, onesta e umile e obediente stette, sempre a'suoi
cavriuoli avendo amore e faccendogli nutricare.
I corsari, li quali avevano a Ponzo preso il legno sopra il
quale madama Beritola venuta era, lei lasciata sì come da lor non veduta, con tutta
l'altra gente a Genova n'andarono; e quivi tra'padroni della galea divisa la preda,
tocco'per avventura, tra l'altre cose, in sorte ad un messer Guasparrin d'Oria la balia di
madama Beritola e i due fanciulli con lei; il quale lei co'fanciulli insieme a casa sua ne
mandò, per tenergli a guisa di servi né servigi della casa.
La balia, dolente oltre modo della perdita della sua donna
e della misera fortuna nella quale sé e i due fanciulli caduti vedea, lungamente pianse.
Ma, poi che vide le lacrime niente giovare e sé esser serva con loro insieme, ancora che
povera femina fosse, pure era savia e avveduta; per che, prima come potè il meglio
riconfortatasi, e appresso riguardando dove erano pervenuti, s'avvisò che, se i due
fanciulli conosciuti fossono, per avventura potrebbono di leggiere impedimento ricevere; e
oltre a questo sperando che, quando che sia, si potrebbe mutar la fortuna ed essi
potrebbero, se vivi fossero, nel perduto stato tornare, pensò di non palesare ad alcuna
persona chi fossero, se tempo di ciò non vedesse; e a tutti diceva, che di ciò domandata
l'avessero, che suoi figliuoli erano. E il maggiore non Giusfredi, ma Giannotto di Procida
nominava; al minore non curò di mutar nome; e con somma diligenzia mostrò a Giusfredi
perché il nome cambiato gli avea e a qual pericolo egli potesse essere se conosciuto
fosse; e questo non una volta ma molte e molto spesso, gli ricordava; la qual cosa il
fanciullo, che intendente era, secondo l'ammaestramento della savia balia ottimamente
faceva. Stettero adunque, e mal vestiti e peggio calzati, ad ogni vil servigio adoperati,
colla balia insieme pazientemente più anni i due garzoni in casa messer Guasparrino.
Ma Giannotto, già d'età di sedici anni, avendo più animo
che a servo non s'apparteneva, sdegnando la viltà della servil condizione, salito sopra
galee che in Alessandria andavano, dal servigio di messer Guasparrino si partì , e in
più parti andò in niente potendosi avanzare. Alla fine, forse dopo tre o quattro anni
appresso la partita fatta da messer Guasparrino, essendo bel giovane e grande della
persona divenuto, e avendo sentito il padre di lui, il quale morto credeva che fosse,
essere ancor vivo, ma in prigione e in cattività per lo re Carlo guardato, quasi della
fortuna disperato, vagabundo andando, pervenne in Lunigiana, e quivi per ventura con
Currado Malespina si mise per famigliare, lui assai acconciamente e a grado servendo. E
come che (non) rade volte la sua madre, la quale colla donna di Currado era, vedesse,
niuna volta la conobbe, né ella lui; tanto la età l'uno e l'altro, da quello che esser
soleano quando ultimamente si videro, gli avea trasformati.
Essendo adunque Giannotto al servigio di Currado, avvenne
che una figliuola di Currado, il cui nome era Spina, rimasa vedova d'uno Niccolò da
Grignano, alla casa del padre tornò; la quale, essendo assai bella e piacevole e giovane
di poco più di sedici anni, per ventura pose gli occhi addosso a Giannotto, ed egli a
lei, e ferventissimamente l'uno dell'altro s'innamorò. Il quale amore non fu lungamente
senza effetto; e più mesi durò avanti che di ciò niuna persona s'accorgesse. Per la
qual cosa essi, troppo assicurati, cominciarono a tener maniera men discreta che a così
fatte cose non si richiedea. E andando un giorno per un bosco bello e folto d'alberi la
giovane insieme con Giannotto, lasciata tutta l'altra compagnia, entrarono innanzi; e
parendo loro molto di via aver gli altri avanzati, in un luogo dilettevole e pien d'erba e
di fiori, e d'alberi chiuso, ripostisi, a prendere amoroso piacere l'un dell'altro
incominciarono.
E, come che lungo spazio stati già fossero insieme, avendo
il gran diletto fattolo loro parere molto brieve, in ciò dalla madre della giovane prima,
e appresso da Currado, soprappresi furono. Il quale, doloroso oltre modo questo vedendo,
senza alcuna cosa dire del perché, amenduni gli fece pigliare a tre suoi servidori e ad
uno suo castello legati menargliene; e d'ira e di cruccio fremendo andava, disposto di
fargli vituperosamente morire. La madre della giovane, quantunque molto turbata fosse e
degna reputasse la figliuola per lo suo fallo d'ogni crudel penitenzia, avendo per alcuna
parola di Currado compreso qual fosse l'animo suo verso i nocenti, non potendo ciò
comportare, avacciandosi sopraggiunse l'adirato marito, e cominciollo a pregare che gli
dovesse piacere di non correr furiosamente a volere nella sua vecchiezza della figliuola
divenir micidiale e a bruttarsi le mani del sangue d'un suo fante, e che egli altra
maniera trovasse a sodisfare all'ira sua, sì come di fargli imprigionare e in prigione
stentare e piagnere il peccato commesso. E tanto e queste e molte altre parole gli andò
dicendo la santa donna, che essa da uccidergli l'animo suo rivolse; e comandò che in
diversi luoghi ciascun di loro imprigionato fosse, e quivi guardati bene, e con poco cibo
e con molto disagio servati infino a tanto che esso altro diliberasse di loro; e così fu
fatto.
Quale la vita loro in cattività e in continue lagrime e in
più lunghi digiuni che loro non sarien bisognati si fosse, ciascuno sel può pensare.
Stando adunque Giannotto e la Spina in vita così dolente ed essendovi già uno anno,
senza ricordarsi Currado di loro, dimorati, avvenne che il re Piero di Raona, per trattato
di messer Gian di Procida, l'isola di Cicilia ribellò e tolse al re Carlo; di che
Currado, come ghibellino, fece gran festa. La quale Giannotto sentendo da alcuno di quelli
che a guardia l'aveano, gittò un gran sospiro, e disse: - Ahi lasso me! che passati sono
omai quattordici anni che io sono andato tapinando per lo mondo, niuna altra cosa
aspettando che questa, la quale, ora che venuta è, acciò che io mai d'aver ben più non
speri, m'ha trovato in prigione, della quale mai se non morto uscire non spero!
- E come ? - disse il prigioniere - che monta a te quello
che i grandissimi re si facciano? Che avevi tu a fare in Cicilia?
A cui Giannotto disse: - El pare che 'l cuor mi si
schianti, ricordandomi di ciò che già mio padre v'ebbe a fare; il quale, ancora che
picciol fanciul fossi quando me ne fuggii, pur mi ricorda che io nel vidi signore, vivendo
il re Manfredi.
Seguì il prigioniere: - E chi fu tuo padre?
- Il mio padre - disse Giannotto - posso io omai
sicuramente manifestare, poi del pericolo mi veggio fuori, il quale io temeva scoprendolo.
Egli fu chiamato ed è ancora, s'el vive, Arrighetto Capece, e io non Giannotto, ma
Giusfredi ho nome; e non dubito punto, se io di qui fossi fuori, che tornando in Cicilia
io non vi avessi ancora grandissimo luogo.
Il valente uomo, senza più avanti andare, come prima ebbe
tempo, tutto questo raccontò a Currado. Il che Currado udendo, quantunque al prigioniere
mostrasse di non curarsene, andatosene a madonna Beritola, piacevolmente la domandò se
alcun figliuolo avesse d'Arrighetto avuto che Giusfredi avesse nome. La donna piagnendo
rispose che, se il maggiore de' suoi due che avuti avea fosse vivo, così si chiamerebbe e
sarebbe d'età di ventidue anni.
Questo udendo Currado, avvisò lui dovere esser desso, e
caddegli nell'animo, se così fosse, che egli ad una ora poteva una gran misericordia fare
e la sua vergogna e quella della figliuola tor via, dandola per moglie a costui; e per
ciò fattosi segretamente Giannotto venire, partitamente d'ogni sua passata vita
l'esaminò. E trovando per assai manifesti indizi lui veramente esser Giusfredi, figliuolo
d'Arrighetto Capece, gli disse: - Giannotto, tu sai quanta e quale sia la 'ngiuria la qual
tu m'hai fatta nella mia propia figliuola, là dove, trattandoti io bene e amichevolmente,
secondo che servidor si dee fare, tu dovevi il mio onore e delle mie cose sempre e cercare
e operare; e molti sarebbero stati quegli, a'quali se tu quello avessi fatto che a me
facesti, che vituperosamente ti avrebber fatto morire; so il che la mia pietà non
sofferse. Ora, poi che così è come tu mi dì , che tu figliuolo sé di gentile uomo e di
gentil donna, io voglio alle tue angoscie, quando tu medesimo vogli, porre fine e trarti
della miseria e della cattività nella qual tu dimori, e ad una ora il tuo onore e 'l mio
nel suo debito luogo riducere. Come tu sai, la Spina, la quale tu con amorosa, avvegna che
sconvenevole a te e a lei, amistà prendesti, è vedova, e la sua dota è grande e buona;
quali sieno i suoi costumi, e il padre e la madre di lei, tu il sai; del tuo presente
stato niente dico. Per che, quando tu vogli, io sono disposto, dove ella disonestamente
amica ti fu, ch'ella onestamente tua moglie divenga e che in guisa di mio figliuolo qui,
con esso meco e con lei, quanto ti piacerà dimori.
Aveva la prigione macerate le carni di Giannotto, ma il
generoso animo dalla sua origine tratto non aveva ella in cosa alcuna diminuito, né
ancora lo 'ntero amore il quale egli alla sua donna portava. E quantunque egli
ferventemente disiderasse quello che Currado gli offereva e sé vedesse nelle sue forze,
in niuna parte piegò quello che la grandezza dello animo suo gli mostrava di dover dire,
e rispose: - Currado, né cupidità di signoria né desiderio di denari né altra cagione
alcuna mi fece mai alla tua vita né alle tue cose insidie, come traditor, porre. Amai tua
figliuola e amo e amerò sempre, per ciò che degna la reputo del mio amore; e se io seco
fui meno che onestamente, secondo la oppinion de'meccanici, quel peccato commisi, il quale
sempre seco tiene la giovanezza congiunto e che, se via si volesse torre, converrebbe che
via si togliesse la giovanezza, e il quale, se i vecchi si volessero ricordare d'essere
stati giovani e gli altrui difetti colli loro misurare e li loro cogli altrui, non saria
grave come tu e molti altri fanno; e come amico e non come nemico il commisi. Quello che
tu offeri di voler fare sempre il disiderai, e se io avessi creduto che conceduto mi
dovesse esser suto, lungo tempo è che domandato l'avrei; e tanto mi sarà ora più caro,
quanto di ciò la speranza è minore. Se tu non hai quello animo che le parole tue
dimostrano, non mi pascere di vana speranza; fammi ritornare alla prigione e quivi quanto
ti piace mi fa affliggere, ché quanto io amerò la Spina, tanto sempre per amor di lei
amerò te, che che tu mi ti facci, e avrotti in reverenza.
Currado, avendo costui udito, si maravigliò e di grande
animo il tenne e il suo amore fervente reputò, e più ne l'ebbe caro; e per ciò levatosi
in piè, l'abbracciò e baciò, e senza dar più indugio alla cosa, comandò che quivi
chetamente fosse menata la Spina. Ella era nella prigione magra e pallida divenuta e
debole, e quasi un'altra femina che esser non soleva parea, e così Giannotto un altro
uomo: i quali nella presenzia di Currado di pari consentimento contrassero le sponsalizie
secondo la nostra usanza.
E poi che più giorni, senza sentirsi da alcuna persona di
ciò che fatto era alcuna cosa, gli ebbe di tutto ciò che bisognò loro e di piacere era
fatti adagiare, parendogli tempo di farne le loro madri liete, chiamate la sua donna e la
Cavriuola, così verso lor disse: - Che direste voi, madonna, se io vi facessi il vostro
figliuolo maggior riavere, essendo egli marito d'una delle mie figliuole?
A cui la Cavriuola rispose: - Io non vi potrei di ciò
altro dire se non che, se io vi potessi più esser tenuta che io non sono, tanto più vi
sarei quanto voi più cara cosa che non sono io medesima a me mi rendereste; e
rendendomela in quella guisa che voi dite, alquanto in me la mia perduta speranza
rivocareste -; e lagrimando si tacque.
Allora disse Currado alla sua donna: - E a te che ne
parrebbe, donna, se io così fatto genero ti donassi?
A cui la donna rispose: - Non che un di loro, che gentili
uomini sono, ma un ribaldo, quando a voi piacesse, mi piacerebbe.
Allora disse Currado: - Io spero infra pochi dì farvi di
ciò liete femine.
E veggendo già nella prima forma i due giovani ritornati,
onorevolmente vestitigli, domandò Giusfredi: - Che ti sarebbe caro sopra l'allegrezza la
qual tu hai, se tu qui la tua madre vedessi?
A cui Giusfredi rispose: - Egli non mi si lascia credere
che i dolori de'suoi sventurati accidenti l'abbian tanto lasciata viva; ma, se pur fosse,
sommamente mi saria caro, sì come colui che ancora per lo suo consiglio mi crederrei gran
parte del mio stato ricoverare in Cicilia.
Allora Currado l'una e l'altra donna quivi fece venire.
Elle fecero amendune maravigliosa festa alla nuova sposa, non poco maravigliandosi, quale
spirazione potesse essere stata che Currado avesse a tanta benignità recato, che
Giannotto con lei avesse congiunto. Al quale madama Beritola, per le parole da Currado
udite, cominciò a riguardare, e da occulta virtù desta in lei alcuna rammemorazione de'
puerili lineamenti del viso del suo figliuolo, senza aspettare altro dimostramento, colle
braccia aperte gli corse al collo; né la soprabondante pietà e allegrezza materna le
permisero di potere alcuna parola dire, anzi sì ogni virtù sensitiva le chiusero che
quasi morta nelle braccia del figliuol cadde. Il quale, quantunque molto si maravigliasse,
ricordandosi d'averla molte volte avanti in quel castello medesimo veduta e mai non
riconosciutola, pur non dimeno conobbe incontanente l'odor materno e sé medesimo della
sua preterita trascutaggine biasimando, lei nelle braccia ricevuta lagrimando teneramente
baciò. Ma poi che madama Beritola, pietosamente dalla donna di Currado e dalla Spina
aiutata e con acqua fredda e con altre loro arti, in sé le smarrite forze ebbe rivocate,
rabbracciò da capo il figliuolo con molte lagrime e con molte parole dolci; e piena di
materna pietà mille volte o più il basciò, ed egli lei reverentemente molto la vide e
ricevette.
Ma poi che l'accoglienze oneste e liete furo iterate tre e
quattro volte, non senza gran letizia e piacere de'circustanti, e l'uno all'altro ebbe
ogni suo accidente narrato; avendo già Currado a'suoi amici significato con gran piacere
di tutti il nuovo parentado fatto da lui, e ordinando una bella e magnifica festa, gli
disse Giusfredi: - Currado, voi avete fatto me lieto di molte cose e lungamente avete
onorata mia madre; ora, acciò che niuna parte in quello che per vo'si possa ci resti a
fare, vi priego che voi mia madre e la mia festa e me facciate lieti della presenza di mio
fratello, il quale in forma di servo messer Guasparrin d'Oria tiene in casa il quale come
io vi dissi già, e lui e me prese in corso; e appresso che voi alcuna persona mandiate in
Cicilia, il quale pienamente s'informi delle condizioni e dello stato del paese, e mettasi
a sentire quello che è d'Arrighetto mio padre, se egli è o vivo o morto; e se è vivo,
in che stato; e d'ogni cosa pienamente informato, a noi ritorni.
Piacque a Currado la domanda di Giusfredi e, senza alcuno
indugio, discretissime persone mandò e a Genova e in Cicilia. Colui che a Genova andò,
trovato messer Guasparrino, da parte di Currado diligentemente il pregò che lo Scacciato
e la sua balia gli dovesse mandare, ordinatamente narrandogli ciò che per Currado era
stato fatto verso Giusfredi e verso la madre.
Messer Guasparrin si maraviò forte, questo udendo, e
disse: - Egli è vero che io farei per Currado ogni cosa, che io potessi, che gli
piacesse; e ho bene in casa avuti, già sono quattordici anni, il garzon che tu dimandi e
una sua madre, li quali io gli manderò volentieri; ma dira'gli da mia parte che si guardi
di non aver troppo creduto o di non credere alle favole di Giannotto, il qual dì che oggi
si fa chiamar Giusfredi, per ciò che egli è troppo più malvagio che egli non s'avvisa.
E così detto, fatto onorare il valente uomo, si fece in
segreto chiamar la balia e cautamente la esaminò di questo fatto. La quale, avendo udita
la rebellion di Cicilia e sentendo Arrighetto esser vivo, cacciata via la paura che già
avuta avea, ordinatamente ogni cosa gli disse. e le cagioni gli mostrò per che quella
maniera che fatto aveva tenuta avesse.
Messer Guasparrino, veggendo li detti della balia con
quegli dello ambasciador di Currado ottimamente convenirsi. cominciò a dar fede alle
parole; e per un modo e per un altro, sì come uomo che astutissimo era, fatta inquisizion
di questa opera, e più ogni ora trovando cose che più fede gli davano al fatto,
vergognandosi del vil trattamento fatto del garzone, in ammenda di ciò, avendo una sua
bella figlioletta d'età d'undici anni, conoscendo egli chi Arrighetto era stato e fosse,
con una gran dota gli diè per moglie; e, dopo una gran festa di ciò fatta. col garzone e
colla figliuola e collo ambasciadore di Currado e colla balia montato sopra una galeotta
bene armata, se ne venne a Lerici; dove, ricevuto da Currado, con tutta la sua brigata
n'andò ad un castel di Currado, non molto di quivi lontano, dove la festa grande era
apparecchiata.
Quale la festa della madre fosse rivedendo il suo
figliuolo, qual quella de'due fratelli, qual quella di tutti e tre alla fedel balia, qual
quella di tutti fatta a messer Guasparrino e alla sua figliuola, e di lui a tutti, e di
tutti insieme con Currado e colla sua donna e co'figliuoli e co'suoi amici, non si
potrebbe con parole spiegare; e per ciò a voi, donne, la lascio ad imaginare. Alla quale,
acciò che compiuta fosse, volle Domeneddio, abbondantissimo donatore quando comincia,
sopraggiugnere le liete novelle della vita e del buono stato d'Arrighetto Capece.
Per ciò che, essendo la festa grande e i convitati (le
donne e gli uomini) alle tavole ancora alla prima vivanda, sopraggiunse colui il quale
andato era in Cicilia, e tra l'altre cose, raccontò d'Arrighetto che, essendo egli in
Catania per lo re Carlo guardato in prigione quando il romore contro al re si levò nella
terra, il popolo a furore corse alla prigione e, uccise le guardie, lui n'avean tratto
fuori, e sì come capitale nemico del re Carlo, l'avevano fatto lor capitano e seguitolo a
cacciare e ad uccidere i franceschi. Per la qual cosa egli sommamente era venuto nella
grazia del re Pietro, il quale lui in tutti i suoi beni e in ogni suo onore rimesso aveva;
laonde egli era in grande e in buono stato; aggiugnendo che egli aveva lui con sommo onore
ricevuto e inestimabile festa aveva fatta della sua donna e del figliuolo, de'quali mai
dopo la presura sua niente aveva saputo; e oltre a ciò mandava per loro una saettia con
alquanti gentili uomini, li quali appresso venieno.
Costui fu con grande allegrezza e festa ricevuto e
ascoltato; e prestamente Currado con alquanti dei suoi amici in contro si fecero a'gentili
uomini che per madama Beritola e per Giusfredi venieno, e loro lietamente ricevette, e al
suo convito, il quale ancora al mezzo non era, gl'introdusse. Quivi e la donna e Giusfredi
e oltre a questi tutti gli altri con tanta letizia gli videro, che mai simile non fu
udita; e essi, avanti che a mangiar si ponessero, da parte d'Arrighetto e salutarono e
ringraziarono, quanto il meglio seppero e più poterono, Currado e la sua donna dell'onore
fatto e alla donna di lui e al figliuolo; e Arrighetto e ogni cosa che per lui si potesse
offersero al lor piacere. Quindi a messer Guasparrino rivolti, il cui beneficio era
inoppinato, dissero sé essere certissimi che, qualora ciò che per lui verso lo Scacciato
stato era fatto da Arrighetto si sapesse, che grazie simiglianti e maggiori rendute
sarebbono. Appresso questo, lietissimamente nella festa delle due nuove spose e con li
novelli sposi mangiarono.
Nè solo quel dì fece Currado festa al genero e agli altri
suoi e parenti e amici, ma molti altri. La quale poi che riposata fu, parendo a madama
Beritola e a Giusfredi e agli altri di doversi partire, con molte lagrime da Currado e
dalla sua donna e da messer Guasparrino, sopra la saettia montati, seco la Spina
menandone, si partirono; e avendo prospero vento, tosto in Cicilia pervennero, dove con
tanta festa da Arrighetto tutti parimente, è figliuoli e le donne, furono in Palermo
ricevuti, che dire non si potrebbe giammai: dove poi molto tempo si crede che essi tutti
felicemente vivessero, e, come conoscenti del ricevuto beneficio, amici di Messer
Domeneddio.
Indici delle giornate
Indice delle novelle della seconda giornata
© 1997 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 08 febbraio 1998