Dante Alighieri

Il fiore

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Sonetti
XCIII-CV

                SONETTO XCIII
                  FalsoSembiante

         "I' sì vo per lo mondo predicando
E dimostrando di far vita onesta;
Ogne mi' fatto sì vo' far a sesta,
E gli altrui penso andar aviluppando.
         Ma chi venisse il fatto riguardando,
Ed egli avesse alquanto sale in testa,
Veder potreb[b]e in che 'l fatto si ne-sta,
Ma no'l consiglierè' andarne parlando.
         Ché que' che dice cosa che mi spiaccia,
O vero a que' che seguor mi' penone,
E' convien che·ssia morto o messo in caccia,
         Sanza trovar in noi mai ridenzione
Né per merzé né per cosa ch'e' faccia:
E' pur convien ch'e' vada a distruzione".

                SONETTO XCIV
       Dio d'Amore e Falsembiante

         Come FalsoSembiante sì parlava,
Amor sì 'l prese allora âragionare,
E dis[s]egli, in rompendo su' parlare,
C[h]'al su' parer ver' Dio troppo fallava.
         E poi il domandò se l'uon trovava
Religione in gente seculare.
Que' disse: "Sì, nonn-è mestier dottare
"Che più che 'n altro luogo ivi fruttava;
         Chéd e' sareb[b]e troppo gran dolore
Se ciaschedun su' anima perdesse
Perché vestisse drappo di colore.
         Né lui né altri già ciò non credesse":
Ché 'n ogne roba porta frutto e fiore
Religion, ma' che 'l cuor le si desse.

             SONETTO XCV
               Falsembiante

         "Molti buon' santi à l'uon visti morire
E molte buone sante gloriose,
Che fuor divote e ben religiose
E robe di color' volean vestire:
         Né non lasciâr perciò già di santire;
Ma elle non fur anche dispittose,
Anz'eran caritevoli e pietose
E sofferian per Dio d'esser martìre.
         E s'i' volesse, i' n'andrè' assà' nomando;
Ma apressoché tutte le sante e' santi
Che·ll'uon va per lo mondo og[g]i adorando,
         Ten[n]er famiglie, e sì fecer anfanti;
Vergine e caste donne gîr portando
Cotte e sorcotti di colori e manti.

            SONETTO XCVI
               Falsembiante

         "L'undicimilia vergini beate
Che davanti da Dio fanno lumera,
In roba di color ciaschedun'era
Il giorno ch'elle fur martoriate:
         Non ne fur per ciò da Dio schifate.
Dunque chi dice che·ll'anima pèra
Per roba di color, già ciò non chera,
Ché già non fiar per ciò di men salvate:
         Ché 'l salvamento vien del buon corag[g]io;
La roba non vi to' né non vi dona.
E questo sì dé creder ogne sag[g]io,
         Che non sia intendimento di persona
Che que' che veste l'abito salvag[g]io
Si salvi, se nonn-à l'opera bona.

             SONETTO XCVII
                Falsembiante

         "Chi della pelle del monton fasciasse
I·lupo, e tra·lle pecore il mettesse,
Credete voi, perché monton paresse,
Che de le pecore e' non divorasse?
         Già men lor sangue non desiderasse,
Ma vie più tosto inganar le potesse;
Po' che·lla pecora no'l conoscesse,
Se si fug[g]isse, impresso lui n'andasse.
         Così vo io mi' abito divisando
Ched i' per lupo non sia conosciuto,
Tutto vad'io le genti divorando;
         E, Dio merzé, i' son sì proveduto
Ched i' vo tutto 'l mondo og[g]i truffando,
E sì son santo e produomo tenuto.

             SONETTO XCVIII
                   Falsembiante

         "Sed e' ci à guari di cota' lupelli,
La Santa Chiesa sì è malbalita,
Po' che·lla sua città è asalita
Per questi apostoli, c[h]'or son, novelli:
         Ch'i' son certan, po' ch'e' son suo' rubelli,
Ch'ella non potrà essere guarentita;
Presa sarà sanza darvi fedita
Né di traboc[c]hi né di manganelli.
         Se Dio non vi vuol metter argomento,
La guer[r]a sì fie tosto capitata,
Sì ch'ogne cosa andrà a perdimento:
         Ed a me par ch'E' l'à dimenticata,
Po' sòfera cotanto tradimento
Da color a cui guardia l'à lasciata.

             SONETTO XCIX
                Falsembiante

         "Sed e' vi piace, i' sì m'andrò posando
Sanza di questi fatti più parlare;
Ma tuttor sì vi vo' convenenzare
Che tutti i vostri amici andrò avanzando,
         Ma' che comeco ciascun vada usando;
Sì son e' morti se no'l voglion fare;
E la mia amica convien onorare,
O 'l fatto loro andrà pur peg[g]iorando.
         Egli è ben ver ched i' son traditore,
E per ladron m'à Dio pezz'à giug[g]iato,
Perch'i' ò messo il mondo in tanto er[r]ore.
         Per molte volte mi son pergiurato;
Ma i' fo il fatto mio sanza romore,
Sì che nessun se n'è ancora adato.

                  SONETTO C
                  Falsembiante

         "I' fo sì fintamente ogne mio fatto
Che Proteus[so], che già si solea
Mutare in tutto ciò ched e' volea,
Non sep[p]e unquanche il quarto di baratto
         Come fo io, che non tenni ancor patto,
E nonn-è ancor nessun che se n'adea,
Tanto non stea commeco o mangi o bea
Che nella fine no·gli faccia un tratto.
         Chéd i' so mia faz[z]on sì ben cambiare
Ched i' non fui unquanche conosciuto
In luogo, tanto vi potesse usare:
         Ché chi mi crede più aver veduto,
Cogli atti miei gli so gli oc[c]hi fasciare,
Sì ch'e' m'à incontanente isconosciuto.

                SONETTO CI
                 Falsembiante

         "I' sì so ben per cuor ogne linguag[g]io;
Le vite d'esto mondo i' ò provate:
Ch'un'or divento prete, un'altra frate,
Or prinze, or cavaliere, or fante, or pag[g]io,
         Secondo ched i' veg[g]io mi' vantag[g]io;
Un'altr'or son prelato, un'altra abate;
Molto mi piaccion gente regolate,
Ché co·llor cuopr'i' meglio il mi' volpag[g]io.
         Ancor mi fo romito e pellegrino,
Cherico e avocato e g[i]ustiziere
E monaco e calonaco e bighino;
         E castellan mi fo e forestiere,
E giovane alcun'ora e vec[c]hio chino:
A brieve mott'i' son d'ogni mestiere.

                  SONETTO CII
                    Falsembiante

         "Sì prendo poi, per seguir mia compagna,
Cioè madon[n]a CostrettaAstinenza,
Altri dighisamenti a sua vogl[i]enza,
Perch'ella mi sollaz[z]a e m'acompagna;
         E metto pena perch'ella rimagna
Comeco, perch'ell'è di gran sofrenza
E s[ì] amostra a·ttal gran benvoglienza
Ch'ella vor[r]eb[b]e che fosse in Ispagna.
         Ella si fa pinzochera e badessa
E monaca e rinchiusa e serviziale,
E fassi sopriora e prioressa.
         Idio sa ben sed ell'è spiritale!
Altr'or si fa noviz[z]a, altr'or professa;
Ma, che che faccia, non pensa c[h]'a male.

                SONETTO CIII
                  Falsembiante

         "Ancor sì no·mi par nulla travaglia
Gir per lo mondo inn-ogne regione
E ricercar ogne religione;
Ma della religion, sa·nulla faglia,
         I' lascio il grano e prendone la paglia,
Ch'i' non vo' che·ll'abito a lor faz[z]one
E predicar dolze predicazione:
Con questi due argomenti il mondo abaglia.
         Così vo io mutando e suono e verso
E dicendo parole umili e piane,
Ma molt'è il fatto mio a·dir diverso:
         Ché tutti que' c[h]'og[g]i manùcar pane
No·mi ter[r]ian ch'i' non gisse traverso,
Ch'i' ne son ghiotto più che d'unto il cane".

                  SONETTO CIV
            Amore e Falsembiante

         FalsoSembiante si volle sofrire
Sanza dir de' suo' fatti più in avante,
Ma 'l Die d'Amor non fece pa sembiante
Ched e' fosse anoiato dell'udire,
         Anzi gli disse per lui ringioire:
"E' convien al postutto, Falsembiante,
C[h]'ogne tua tradigion tu sì·cci cante,
Sì che non vi rimanga nulla a dire,
         Ché·ttu mi pari un uon di Gesocristo
E 'l portamento fai di santo ermito".
"Egli è ben vero, ma i' sono ipocristo".
         "Predicar astinenza i' t'ò udito".
"Ver è, ma, per ch'i' faccia il viso tristo,
I' son di buon' morsei dentro farsito.

                SONETTO CV
                 Falsembiante

         "Di buon' morselli i' sì m'empio la pancia,
E, se si truova al mondo di buon vino,
E' convien ch'i' me ne empia lo bolino;
Ad agio vo' star più che 'l re di Francia:
         Ché gli altrù' fatti so' tutti una ciancia
Verso de' mie', che son mastro divino
E le cose sacrete m'indovino
E tutto 'l mondo peso a mia bilancia.
         Ancor vo' da le genti tal vantag[g]io,
Ch'i' vo' riprender sanz'esser ripreso:
Ed è ben dritto, ch'i' sono 'l più sag[g]io;
         Sì porto tuttor, sotto, l'arco teso,
Per dar a quel cotal male e damag[g]io
Che 'n gastigarm[i] stesse punto inteso".

                 SONETTO CVI
           Amore e Falsembiante

         "Tu sì va' predicando povertate
E lodila". "Ver è, ad uopo altrui,
Ch'i' non son già su' amico, né ma' fui,
Anzi le porto crudel nimistate:
         Ch'i' amerei assà' meglio l'amistate
Del re di Francia che quella a colui
Che va caendo per l'uscial altrui
E muor sovente di necessitate.
         E ben avess'egli anima di santo,
Il pover, no·mi piace sua contez[z]a,
E più ch'i' posso il metto da l'un canto;
         E sed amor gli mostro, sì è fintez[z]a.
Ma convien ch'i' mi cuopra di quel manto:
Per mostrar ch'i' sia buon, lor fo carez[z]a.

                 SONETTO CVII
                     Falsembiante

         "E quand'io veg[g]o ignudi que' truanti
Su' monti del litame star tremando,
Che fredo e fame gli va sì acorando
Ch'e' non posson pregar né Die né ' santi,
         E 'l più ch'i' posso lor fug[g]o davanti,
Sanza girne nessun riconfortando,
Anzi lor dico: "Al diavol v'acomando
Con tutti que' che non àn de' bisanti".
         Ché·lla lor compressione è freda e secca,
Sì ch'i' non so ch'i' di lor trar potesse:
Or che darà colui che 'l coltel lecca?
         Di gran follia credo m'intramettesse
Voler insegnar vender frutta a trec[c]a,
O ch'i' a·letto del cane unto chiedesse.

               SONETTO CVIII
                   Falsembiante

         "Ma quand'i' truovo un ben ricco usuraio
Infermo, vo'l sovente a vicitare,
Chéd i' ne credo danari aportare
Non con giomelle, anzi a colmo staio.
         E quando posso, e' non riman danaio
A·ssua famiglia onde possa ingrassare;
Quand'egli è morto, il convio a sotter[r]are,
Po' torno e sto più ad agio che gen[n]aio.
         E sed i' sono da nessun biasmato
Perch'io il pover lascio e 'l ric[c]o stringo,
Intender fo che 'l ricco à più peccato,
         E perciò sì 'l conforto e sì 'l consiglio,
Insin ch'e' d'ogne ben s'è spodestato,
E dato â me, che 'n paradiso il pingo.

               SONETTO CIX
                 Falsembiante

         "Io dico che 'n sì grande dannazione
Va l'anima per grande povertade
Come per gran riccez[z]a, in veritade;
E ciaschedun dé aver questa 'ntenzione,
         Ché 'n un su' libro dice Salamone:
"Guardami, Idio, per la Tua gran pietade,
Di gran ric[c]hez[z]a e di mendichitade,
E dàmi del Tu' ben sol per ragione.
         Ché que' c[h]'à gran ric[c]hez[z]a, sì oblia
Que' che 'l criò, per lo su' gran riccore,
Di che l'anima mette i·mala via.
         Colui cui povertà tien in dolore,
Convien che·ssia ladrone, o muor d'envia,
O serà falsonier o mentitore".

                   SONETTO CX
                     Falsembiante

         "Ancor sì non comanda la Scrittura
Che possent'uon di corpo cheg[g]ia pane,
Né ch'e' si metta a viver d'altrù' ane:
Questo non piace a Dio, né non n'à cura;
         Né non vuol che·ll'uon faccia sale o mura,
De le limosine, alle genti strane;
Ma vuol c[h]'uon le diparta a genti umane
Di cui forza e santade à gran paura.
         E sì difende 'l buon Giustiniano,
E questo fece scriver nella leg[g]e,
Che nes[s]un dia limosina a uon sano
         Che truovi a guadagnare, e·ttu t'aveg[g]i[e]
Ch'a lavorare e' non vuol metter mano;
Ma vuol che·ttu 'l gastighi e cacci e feg[g]i[e].

                    SONETTO CXI
                       Falsembiante

         "Chi di cotà' limosine è 'ngrassato,
In paradiso non dé atender pregio,
Anzi vi dé atender gran dispregio,
Almen s'e' non è privilegiato;
         E s'alcun n'è, sì n'è fatto ingannato
E 'l papa che li diè il su' col[l]egio,
Ché dar non credo dovria privilegio
C[h]'uon sano e forte gisse mendicato:
         Ché·lle limosine che son dovute
A' vec[c]hi o magagnati san' possanza,
A cui la morte seria gran salute,
         Colui che·lle manuca i·lor gravanza,
Elle gli fieno ancor ben [car] vendute:
Di questo non bisogna aver dottanza.

                SONETTO CXII
                   Falsembiante

         "Tanto quanto Gesù andò per terra,
I suo' discepoli e' non dimandaro
Né pane né vino, anzi il guadagnaro
Co·le lor man, se·llo Scritto non erra.
         Co' buon' mastri divin' ne feci guerra
Perché questo sermone predicaro
Al popolo a Parigi, e sì 'l provaro,
C[h]'uon ch'è truante col diavol s'aferra.
         Ancor, po' che Gesù si tornò in cielo,
San Paolo predicava i compagnoni
Ched e' sì non vendes[s]er lo Guagnelo:
         Sì che di grazia fecer lor sermoni;
Di lor lavor vivien, già no'l vi celo,
Sanza fondar castella né magioni.

                SONETTO CXIII
                    Falsembiante

         "Ver è ch'e' ci à persone ispeziali
Che van cherendo lor vita per Dio,
Per ch'i' vi dico ben c[h]'al parer mio
Egli è mercé far bene a que' cotali.
         Di questi sono alquanti bestiali
Che non ànno iscienza in lavorio,
Ed altri v'à che l'ànno, ma è rio
Il tempo, e' lor guadagni sì son frali.
         A` 'ncor di gentil gente discacciata,
Che non son costumati a lavorare,
Ma son vi[v]uti sol di lor entrata.
         A cotà' genti dé ciascun donare,
Ché lor limosina è bene impiegata,
Sì è mercé atarli governare.

                SONETTO CXIV
                    Falsembiante

         "Ad alcun altro che·ffa lavoraggio,
Ma ben sua vita trar non ne poria,
Sì gli consente Idio ben truandia
Per quel che gli fallisce al su' managgio.
         Od altro pover c[h]'avesse corag[g]io
Di volere studiar in chericia,
Gran merced'è a farli cortesia
Insin ch'e' sia de la scienza sag[g]io.
         E se 'n cavalleria alcun volesse
Intender, per la fede con sé alzare,
Non falleria già sed e' chiedesse
         Infin ch'e' sé potesse ben montare,
E avere spezieria ch'e' potesse
Condursi nella terra d'oltremare".

                 SONETTO CXV
        Dio d'Amore e Falsembiante

         "Dì, Falsembiante: in che maniera puote
Seguire Idio chi à tutto venduto,
Ed àllo tutto a' pover' dispenduto,
E le sue borse son rimase vote,
         Ed è forte e possente e à grosse gote?
Gli sarebbe per dritto conceduto
C[h]'a trar sua vita domandasse aiuto,
Come quest'altri che·ttu or mi note?".
         "Dico di no: che se Dio fe' comando
C[h]'on desse tutto a' poveri, e po' 'L sieva,
La Sua 'ntenzion non fu in truandando,
         E questo intendimento ti ne lieva,
Ma con buon'opre tuttor lavorando,
C[h]'uon forte in truandar l'anima grieva.

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© 1999 - by prof. Giuseppe Bonghi
E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 10 giugno 1999