Dante Alighieri

Il fiore

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Sonetti
LXX-XCII

                  SONETTO LXX
                L'Amante e Amico

         "Po' mi convien ovrar di tradigione
E a·tte pare, Amico, ch'i' la faccia,
I' la farò, come ch'ella mi spiaccia,
Per venir al di su di quel cagnone.
         Ma sì·tti priego, gentil compagnone,
Se·ssai alcuna via che·ssia più avaccia
Per MalaBocca e' suo' metter in caccia
E trar Bellacoglienza di pregione,
         Che·ttu sì·lla mi insegni, ed i' v'andrò
E menerò comeco tal aiuto
Ched i' quella fortez[z]a abatterò".
         "E' nonn-à guari ch'i' ne son venuto",
Rispuose Amico, "ma 'l ver ti dirò,
Che·ss'i' v'andai, i' me ne son pentuto.

             SONETTO LXXI
                      Amico

         "L'uom'apella il camin TroppoDonare;
E' fu fondato per FolleLarghez[z]a;
L'entrata guarda madonna Ric[c]hez[z]a,
Che non i lascia nessun uon passare,
         S'e' nonn-è su' parente o su' compare:
Già tanto nonn-avreb[b]e in sé bellez[z]a,
Cortesia né saver né gentilez[z]a,
Ched ella gli degnasse pur parlare.
         Se puo' per quel camin trovar passag[g]io,
Tu·ssì abatterà' tosto il castello,
Bellacoglienza trarà' di servag[g]io.
         Non vi varrà gittar di manganello,
Néd a le guardie lor folle musag[g]io,
Porte né mura, né trar di quadrello.

              SONETTO LXXII
                      Amico

         "Or sì·tt'ò detto tutta la sentenza
Di ciò che·ssag[g]io amante far dovria:
Così l'amor di lor guadagneria,
Sanz'aver mai tra·llor malivoglienza.
         Se mai trai di pregion Bellacoglienza,
Sì fa che·ttu ne tenghi questa via,
Od altrimenti mai non t'ameria,
Che ch'ella ti mostrasse in aparenza.
         E dàlle spazio di poter andare
Colà dove le piace per la villa;
Pena perduta seria in le' guardare:
         Ché·ttu ter[r]esti più tosto un'anguilla
Ben viva per la coda, e fossi i·mmare,
Che non faresti femina che ghilla".

         SONETTO LXXIII
                L'Amante

         Così mi confortò il buon Amico,
Po' si partì da me sanza più dire;
Allor mi comincià' fort'a gechire
Ver' MalaBocca, il mi' crudel nemico.
         Lo Schifo i' sì pregiava men ch'un fico,
Ch'egli avea gran talento di dormire;
Vergogna si volea ben sofferire
Di guer[r]eg[g]iarmi, per certo vi dico.
         Ma e' v'era Paura, la dottosa,
C[h]'udendomi parlar tutta tremava:
Quella nonn-era punto dormigliosa;
         In ben guardar il fior molto pensava;
Vie più che·ll'altre guardi'era curiosa,
Perciò che ben in lor non si fidava.

               SONETTO LXXIV
                     L'Amante

         Intorno dal castello andai cercando
Sed i' potesse trovar quel[l]'entrata
La qual FolleLarghez[z]a avea fondata,
Per avacciar ciò che giva pensando.
         Allor guardai, e sì vidi ombreando
Di sotto un pin una donna pregiata,
Sì nobilmente vestita e parata
Che tutto 'l mondo gia di lei parlando.
         E sì avea in sé tanta bel[l]ez[z]a
Che tutto intorno lei aluminava
Col su' visag[g]io, tanto avea chiarez[z]a;
         Ed un suo amico co·llei si posava.
La donna sì avea nome Ric[c]hez[z]a,
Ma·llui non so com'altri l'apellava.

              SONETTO LXXV
        L'Amante e Ric[c]hez[z]a

         Col capo inchin la donna salutai,
E sì·lla cominciai a domandare
Del camin c[h]'uomo apella TroppoDare.
Quella rispose: "Già per me no'l sai;
         E se 'l sapessi, già non vi 'nterrai,
Chéd i' difendo a ciaschedun l'entrare
Sed e' nonn-à che spender e che dare,
Sì farai gran saver se·tte ne vai:
         C[h]'unquanche non volesti mi' acontanza,
Né mi pregiasti mai a la tua vita.
Ma or ne prenderò buona vengianza:
         Ché sie certano, se·ttu m'ài schernita,
i' ti darò tormento e malenanza,
Sì ch'e' me' ti var[r]ia avermi servita".

               SONETTO LXVI
                       Amico

         "Se·ttu ài altra amica procacciata,
O ver che·ttu la guardi a procac[c]iare,
E sì non vuo' per ciò abandonare
La prima cu' à' lungo tempo amata,
         Se·ttu a la novella à' gioia donata,
Sì dì ch'ella la guardi di recare
In luogo ove la prima ravisare
No·lla potesse, ché seria smembrata.
         O s'ella ancor ne fosse in sospez[z]one,
Fa saramenta ch'ella t'ag[g]ia torto,
C[h]'unque ver' lei non fosti i·mesprigione;
         E s'ella il pruova, convien che sie acorto
A dir che forza fu e tradigione:
Allor la prendi e sì·lle 'nnaffia l'orto.

           SONETTO LXXVII
        L'Amante e Dio d'Amore

         Già no·mi valse nessuna preghera
Ched i' verso Ric[c]hez[z]a far potesse,
Ché poco parve che le ne calesse,
Sì la trovai ver' me crudel e fera.
         Lo Dio d'Amor, che guar' lungi no·mm'era,
Mi riguardò com'io mi contenesse,
E parvemi ched e' gli ne increscesse;
Sì venne a me e disse: "In che manera,
         Amico, m'ài guardato l'omanag[g]io
Che mi facesti, passat'à un anno?".
I' gli dissi: "Messer, vo' avete il gag[g]io
         Or, ch'è il core". "E' non ti fia già danno,
Ché tu·tti se' portato come sag[g]io,
Sì avrai guiderdon del grande afanno".

             SONETTO LXXVIII
                     L'Amante

         Lo Dio d'Amor per tutto 'l regno manda
Messag[g]i e lettere a la baronia:
Che davanti da lui ciaschedun sia,
Ad alcun priega e ad alcun comanda;
         E ch'e' vorrà far lor una domanda
La qual fornita converrà che·ssia:
D'abatter il castel di Gelosia,
Sì ch'e' non vi dimori inn-uscio banda.
         Al giorno ciaschedun si presentò,
Presto di far il su' comandamento:
Dell'armadure ciaschedun pensò,
         Per dar a Gelosia pene e tormento.
La baronia i' sì vi nomerò
Secondo ched i' ò rimembramento.

             SONETTO LXXIX
             La baronia d'Amore

         Madonna Oziosa venne la primiera
Con NobiltàdiCuor e con Ric[c]hezza:
Franchigia, Cortesia, Pietà, Larghez[z]a,
Ardimento e Onor, ciaschedun v'era.
         Diletto e Compagnia seguian la schiera;
Angelicanza, Sicurtà e Letezza
E Solaz[z]o e Bieltate e Giovanez[z]a
Andavan tutte impresso la bandera.
         Ancor v'era Umiltate e Pacienza;
Giolività vi fue e BenCelare
E Falsembiante e CostrettaAstinenza.
         Amor si cominciò a maravigliare
Po' vide Falsembiante in sua presenza,
E disse: "Chi·ll'à tolto a sicurare?".

            SONETTO LXXX
            CostrettaAstinenza

         AstinenzaCostretta venne avanti,
E disse: "E' vien comeco in compagnia,
Ché sanza lui civir no·mmi poria,
Tanto non pregherei né Die né ' santi;
         E me e sé governa co' sembianti
Che gli 'nsegnò sua madre Ipocresia.
I' porto il manto di papalardia
Per più tosto venir a tempo a' guanti.
         E così tra noi due ci governiamo
E nostra vita dimeniàn gioiosa,
Sanza dir cosa mai che noi pensiamo.
         La ciera nostra par molto pietosa,
Ma nonn-è mal nes[s]un che non pensiamo,
Ben paià·noi gente relegiosa".

              SONETTO LXXXI
        Dio d'Amor e Falsembiante

         Lo Dio d'Amor sor[r]ise, quando udìo
AstinenzaCostretta sì parlare,
E disse: "Qui à gente d'alt'affare!
Dì, Falsembiante, se·tt'aiuti Idio,
         S'i' ti ritegno del consiglio mio,
Mi potrò io in te punto fidare?".
"Segnor mio sì, di nulla non dottare,
Ch'altro c[h]'a lealtà ma' non pens'io".
         "Dunqu'è cotesto contra tua natura".
"Veracemente ciò è veritate,
Ma tuttor vi met[t]ete in aventura!
         Mai i·lupo di sua pelle non gittate,
No·gli farete tanto di laidura,
Se voi imprima no·llo scorticate".

            SONETTO LXXXII
                  Dio d'Amore

         Amor disse a' baroni: "I' v'ò mandato
Perch'e' convien ch'i' ag[g]ia il vostro aiuto,
Tanto che quel castel si' abattuto
Che Gelosia di nuovo à già fondato.
         Onde ciascun di voi è mi' giurato:
Sì vi richeg[g]io che sia proveduto
Per voi in tal maniera che tenuto
Non sia più contra me, ma si' aterrato.
         Ch'e' pur convien ch'i' soccorra Durante,
Chéd i' gli vo' tener sua promessione,
Ché trop[p]o l'ò trovato fin amante.
         Molto penò di tòr[r]elmi Ragione:
Que' come sag[g]io fu sì fermo e stante
Che no·lle valse nulla su' sermone".

             SONETTO LXXXIII
          Il consiglio della baronia

         La baronia sì fece parlamento
Per devisar in che maniera andranno
O la qual porta prima assaliranno;
Sì fur ben tutti d'un acordamento,
         Fuor che Ric[c]hez[z]a, che fe' saramento
Ch'ella non prendereb[b]e per me affanno,
Néd al castel non dareb[b]e già danno
Per pregheria né per comandamento
         Che nessuna persona far potesse,
Perciò ch'i' non volli anche sua contezza:
Sì era dritto ch'i' me ne pentesse.
         Ben disse ch'i' le feci gran carezza
Sotto dal pin, ma non c[h]'ancor vedesse
Che Povertà no·m'avesse in distrezza.

               SONETTO LXXXIV
L'ordinanze delle battaglie de la baronia

         Al Die d'Amor ricordaro il fatto,
E disser ch'e' trovavar d'acordanza
Che Falsembiante e CostrettaAstinanza
Dessono a MalaBocca scacco matto;
         Larghez[z]a e Cortesia traes[s]er patto
Con quella che·ssa ben la vec[c]hia danza,
E Pietate e Franchez[z]a dear miccianza
A quello Schifo che sta sì 'norsato;
         E po' vada Diletto e BenCelare,
Ed a Vergogna dean tal lastrellata
Ched ella non si possa rilevare;
         Ardimento a Paura dea ghignata,
E Sicurtà la deg[g]ia sì pelare
Ched ella non vi sia ma' più trovata.

             SONETTO LXXXV
                 Lo Dio d'Amore

         Amor rispuose: "A me sì piace assai
Che l'oste avete bene istabulita;
Ma·ttu, Ric[c]hez[z]a, c[h]'or mi se' fallita,
Sed i' potrò, tutte ne penterai.
         S'uomini ric[c]hi i' posso tener mai,
Non poss'io già star un giorno in vita,
S'avanti che da me facciar partita
Non recherò a poco il loro assai.
         Uomini pover' fatt'ànno lor sire
Di me, e ciaschedun m'à dato il core:
Per ch'a tal don mi deg[g]io ben sofrire.
         Se di ric[c]hez[z]a sì come d'amore
I' fosse dio, non possa io ben sentire
Sed i' no·gli mettesse in gran riccore".

             SONETTO LXXXVI
         La risposta de la baronia

         "S'uomini ric[c]hi vi fanno damag[g]io,
Vo' avete ben chi ne farà vendetta:
Non fate forza s'ella non s'afretta,
Ché no' la pagherén ben de l'oltrag[g]io.
         Le donne e le pulzelle al chiar visag[g]io
Gli metteranno ancor a tal distretta,
Ma' che ciascuna largo si prometta,
Che strutto ne sarà que' ch'è 'l più sag[g]io.
         Ma Falsembiante trametter non s'osa
Di questi fatti, né sua compagnia,
Ché gra·mmal gli volete: ciò ci posa.
         Sì vi priega tutta la baronia
Che·riceviate, e [a]menderà la cosa".
"Da po' che vo' volete, e così sia".

              SONETTO LXXXVII
                          Amore

         Amor sì disse: "Per cotal convento,
FalsoSembiante, i·mmia corte enter[r]ai,
Che tutti i nostri amici avanzerai
E metterai i nemici in bassamento.
         E sì·tti do per buon cominciamento
Che re de' barattier' tu sì sarai:
Ché pez[z]'à che 'n capitolo il fermai,
Ch'i' conoscea ben tu' tradimento.
         Or sì vo' che·cci dichi in audienza,
Pe·ritrovarti se n'avrén mestiere,
I·luogo dove tu·ffai residenza,
         Né di che servi, né di che mestiere.
Fa che n'ag[g]iàn verace conoscenza;
Ma no'l farai, sì·sse' mal barattiere".

             SONETTO LXXXVIII
                   Falsembiante

         "Po' ch'e' vi piace, ed i' sì 'l vi diròe",
Diss'alor Falsembiante: "or ascoltate,
Chéd i' sì vi dirò la veritate
De·luogo dov'io uso e dov'i' stoe.
         Alcuna volta per lo secol voe,
Ma dentro a' chiostri fug[g]o in salvitate,
Ché quivi poss'io dar le gran ghignate
E tuttor santo tenuto saròe.
         Il fatto a' secolari è troppo aperto:
Lo star guari co·lor no·mmi bisogna,
C[h]'a me convien giucar troppo coperto.
         Perch'i' la mia malizia mi ripogna,
Vest'io la roba del buon frate Alberto:
Chi tal rob'àe, non teme mai vergogna.

             SONETTO LXXXIX
                  Falsembiante

         "I' sì mi sto con que' religiosi,
Religiosi no, se non in vista,
Che·ffan la ciera lor pensosa e trista
Per parer a le genti più pietosi;
         E sì si mostran molto sofrettosi
E 'n tapinando ciaschedun a[c]quista:
Sì che perciò mi piace lor amista,
C[h]'a barattar son tutti curiosi.
         Po' vanno procacciando l'acontanze
Di ric[c]he genti, e van[n]ole seguendo,
E sì voglion mangiar le gran pietanze,
         E' preziosi vin' vanno bevendo:
E queste son le lor grandi astinanze;
Po' van la povertà altrui abellendo.

             SONETTO XC
               Falsembiante

         "E' sì vanno lodando la poverta,
E le ric[c]hez[z]e pescan co' tramagli,
Ed ivi mettor tutti lor travagli,
Tutto si cuoprar e' d'altra coverta.
         Di lor non puo' tu trare cosa certa:
Se·ttu lor presti, me' val a chitarli;
Che se·ttu metti pena in ra[c]quistarli,
Ciascun di lor si ferma in darti perta.
         E ciascun dice ch'è religioso
Perché vesta di sopra grossa lana,
E 'l morbido bianchetto tien nascoso;
         Ma già religione ivi non grana,
Ma grana nel cuor umile e piatoso
Che 'n trar sua vita mette pena e ana.

              SONETTO XCI
                 Falsembiante

         "Com'i' v'ò detto, in cuore umile e piano
Santa religion grana e fiorisce:
Religioso non si inorgoglisce;
Tuttora il truova l'uon dolce e umano.
         A cotal gente i' sì do tosto mano,
Ché vita di nessun no·mm'abelisce
Se non inganna e baratta e tradisce;
Ma 'l più ch'i' posso, di lor sì mi strano,
         Ché con tal gente star ben non potrei;
C[h]'a voi, gentil signor, ben dire l'oso,
Che s'i' vi stes[s]e, i' sì mi 'nfignirei.
         E però il mi' volere i' sì vi chioso,
Che pender prima i' sì mi lascierei
Ched i' uscisse fuor di mi' proposo.

              SONETTO XCII
               Fa[l]sembiante

         "Color con cui sto si ànno il mondo
Sotto da lor sì forte aviluppato,
Ched e' nonn-è nes[s]un sì gran prelato
C[h]'a lor possanza truovi riva o fondo.
         Co·mmio baratto ciaschedun afondo:
Che sed e' vien alcun gra·litterato
Che voglia discovrir il mi' peccato,
Co·la forza ch'i' ò, i' sì 'l confondo.
         Mastro Sighier non andò guari lieto:
A ghiado il fe' morire a gran dolore
Nella corte di Roma, ad Orbivieto.
         Mastro Guiglielmo, il buon di Sant'Amore,
Fec'i' di Francia metter in divieto
E sbandir del reame a gran romore.

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© 1999 - by prof. Giuseppe Bonghi
E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 10 giugno 1999