Dante Alighieri
Il Detto dAmore
Attribuito a Dante Alighieri:
Amor sì vuole e
parli chi n ogni guisa parli e ched i faccia un Detto, che sia per tutto detto chi laggia ben servito. Po che mebbe inservito e chi gli feci omaggio, i lho tenuto maggio e terrò già ma sempre; e questo, fin assemprè a ciascun amoroso, sin c Amor amoroso no gli sia nella fine, anzi, che metta a fine ciò che disira avere, che val mei caltro avere. Ed egli è sì cortese che chi gli sta cortese od a man giunte avante, esso sì l mette avante di ciò ched e disira, e di tutto il disir ha. Amor non vuol logaggio, ma e vuol ben lo gaggio che l tu cuor si a lu fermo. Allor dice: «I taffermo di ciò che tu domandi, sanza che tu don mandi»; e donati in presente, sanzesservi presente, di fino argento o doro. Per chi a lui madoro come leal amante A lu fo graze, amante quella che dogne bene è si guernita bene che n le non trovuon pare. E quandella mappare sì grande gioia mi dona, che lo me cor sadona a le sempre servire; e di le vo servire, tantha in le piacimento. Non so se piacimento le fia ched i la serva: almen può dir che servha, come chi poco vaglia. Amor nessun non vaglia, ma ciascun vuole ed ama, chi di lui ben sinama, e di colu fa forza che n compiacer fa forza. E non ha, in nulla, parte Amor, in nulla partè che non sia tutto presto a fine amante presto. Così sue cose livera a chi lamor non livera e mette pene e ntenza in far sua penetenza, tal chente Amor comanda a chi a lu saccomanda, e chi la porta in grado il mette in alto grado di ciò ched e disìa: Per me cotal dì sia! Per chi già non dispero, ma ciaschedun dì spero merzé, po n su travaglio i son sanza travaglio, e sonvi sì legato chi non vo che Legato già mai me ne prosciolga: se nha altri pro, sciolga! Amor malleghi, che che Ragion malleghi: di lei il me cor sicur ha, né più di lei non cura; ella si fa diessa: né fu né fia di essa! Amor blasma e disfama e dice che diffama, ma non del mi, certano; perchi, per le, certan ho che ciaschedun sabatte: me ched Amor sa, batte. Ed a me dice: «Folle, perché cosl taffolle daver tal signoria? I dico, signo ri ha chi porta su suggello. I per me non suggello chdella sua mprenta breve, è troppo corta e breve la gioia e la noia lunga. Or taglia geti, e lunga da lui, chegli è di parte che, chi da lu si parte, e fugge e sì va via. Or non tener sua via se vuo da lu campare; e se non, mal campare, che biado non vi grana, anzi perde la grana chiunque la vi getta. Per Dio, or te ne getta di quel falso diletto, e fa che si a diletto del mi, ched egli è fine, che dà gioia sanza fine. Lo dio dovhai credenza non ti farà credenza se non come Fortuna. Tu se in gran fortuna se non prendi buon porto per quel ched i tho porto, ed a me non tapprendi e l mi sermone apprendi. Or mi rispondi e di, chegli è ancor gran dì a farmi tua risposta; ma non mi far ri sposta a ciò chi ho proposato. Di tu, se pro posatho». , quandi ebbi intesa Ragion, chè stata intesa ;a trarmi de la regola dAmor, che l mondo regola, i le dissi: «Ragione, i ho salda ragione con Amor, e daccordo siam ben del nostro accordo, ed è scritto a mi conto chi non sia più tu conto. É la ragion dannata; perchi tho per dannata ed ebbi, per convento, po chi fu del convento dAmor cu Dio mantenga, e sempre me mantenga. Tu mi vuo trar damare e di cAmor amar è: i l truova dolce e fine, e su comincio e fine mi piacque e piacerà, ché n sé gran piacer ha. Or come vivere o? sanzAmor vive reo dchi si governa al mondo; sanzAmor egli è mondo ogne buona vertute né non può far vertute; dsanzAmor sì è nuia, che, con cu regna, envia andarne dritto al luogo là dove Envia ha·lluogo. E per ciò non ti credo, se tu diciessil Credo e l Paternostro e lAve, sì poco in te sennave. Addio, ched i mi torno, e fine amante torno per devisar partita comellè ben partita e di cors e di membra, sì come a me mi membra». Cape doro battuto paion, che mhan battuto, quelli che porta in capo, per chi a lor fo capo. La sua piacente cera non è sembiante a cera, anzè sì fresca e bella che lo me cor sabbella di non le mai affare, tantha piacente affare. La sua fronte e le ciglia bieltà dogne altra sciglia. Tanto son ben voltati che mie pensier voltati hanno ver lei, che gioia mi dà più caltra gioia. In su dolze riguardo di niun mal ha riguardo cu ella guarda in viso, tantha piacente avviso; ed ha sì chiara luce chal sol to la sua luce e lo scura e laluna, si come il sol la luna. Perchi a quella spera ho messa la mia spera e sì ben co·llei regno, i non vogli altro regno. La bocca e l naso e l mento ha più belli, e non mento, chunque non ebbe Alena; ed ha più dolce alena che nessuna pantera. Per chi ver sua pantera i mi sono n fedito, e dentro vho fedito; ed èmmene sì preso ched i vi son sì preso che mai, di mia partita, non mi farò partita. La gola sua e l petto sl chiar è, cha Dio a petto mi par esser la dia chi veggio quella Dia. Tantè bianca e lattata, che ma non fu allattata nulla di tal valuta. A me troppè valuta, ched ella sì mha dritto in saper tutto l dritto cAmor usa in sua corte, che non vha legge corte. Mani ha lunghette e braccia e chi co·llei sabbraccia già mai mal non ha gotta né di ren né di gotta: il su nobile stato sì mette in buono stato chiunque la rimira. Per che l me cor sì mira in lei e notte e giorno, e sempre a lei aggiorno, chAmor sì lha inchesto, ned e non ho inchesto se potesse aver termine, chamar vorria san termine. E quando va per via, ciascun di lei ha nvia per landatura gente; e quando parla a gente sì umilmente parla che boce dagnol par là. Il su danzar e l canto val vie più ad incanto che di nulla serena, ché laria fa serena: quando la boce lieva, ogne nuvol si lieva e laria riman chiara. Per che l me cor sì chiar ha di non far già mai cambio di lei a nessun cambio; chellè di sì gran pregio chi non troveria pregio nessun, che mai la vaglia. Amor, se Dio mi vaglia, il terrebbe a follore, e ben seria follo re quandio il pensasse punto. Ma Amor lha sì a punto nella mia mente pinta, chi la mi veggio pinta nel cor, si dormo o veglio. Unque Assessino al Veglio non fu già mai sì presto, né a Dio mai il Presto, comio a servir amante, per le vertù chha mante. E sio in lei pietanza truovo duna pietanza del su amor son contento, i sarò più contento, per la sua gran valenza, che sio avesse Valenza. Se Gelosia ha n sé gina di tormene segina, lo Dio damor mi mente; chéd i ho ben a mente ciò ched e mebbi in grado sed i l servisse a grado. Ben ci ha egli un cammino più corto; né l cammino, per ciò chi non ho entrata ched i per quellentrata potesse entrar un passo. Ricchezza guarda il passo, che non fa buona cara a que che no·llha cara. E sì fu i sì saggio ched i ne feci saggio, si potesse oltre gire. «Per neente taggire» mi disse, e con mal viso: «tu se da me diviso, per ciò il passo ti vieto; non perché tu sie vieto, ma tu non maccontasti unque, ma mi contasti: e io ciascun schifo che di me si fa schifo. Va tua via e sì procaccia, chi so ben, chi pro caccia, convien che bestia prenda. Se fai che Veno imprenda la guerra Gelosia, come che n gelo sia, convien chella si renda, e ched ella ti tenda del servir guiderdone, sanza che guiderdone. Ma tuttor ti ricorde, se ma meco taccorde, oro e argento apporta: i taprirò la porta, sanza che tu facci oste. E sì avrai ad oste Folle Larghezza mala, che scioglierà la mala e farà gran dispensa in sale ed in dispensa e n guardarobe e n cella. Povertà è su ancella: quella convien tappanni e che ti tragga panni e le tue buone calze, che già mai no·lle calze, e la camiscia e brache, se tu co·lle timbrache. Figlia fu a Cuor Fallito: per Dio, guarda n fallito non sia ciò chi tho detto! E sie con meco addetto e mostra ben voglienza daver mia benvoglienza; ché Povertatè insomma dogne dolor la somma. Ancor non tho nomato un su figliuol nomato: Imbolar uon lappella: chi da lu non sappella, egli l mena a le forche, là dove non ha for che e monti per la scala, dovogne ben gli scala, e danza a suon di vento, sanz aver mai avento. Or sì tho letto il salmo: ben credo a mente sa l mo, sì l tho mostrato ad agio. Se mai vien per mi agio, pensa desser maestro di ciò chi tammaestro; che Povertà tua serva non sia, né mai ti serva, ché l su servigio è malo, e ben può dicer «mal ho» cu ella spoglia o scalza; ché dogne ben lo scalza, e mettelo in tal punto cha vederlo par punto. E gli amici e parenti no gli son apparenti: ciascun le ren gli torna e ciascun se ne torna . . . . . . . . PerchAmor maggia matto, o che mi tenga a matto Ragion, cui poco amo, già, se Dio piace, ad amo chellaggia non mha crocco. Amor mha cinto il crocco, con che vuol ched i tenda si vo gir co·llui n tenda. E dice, si balestro se non col su balestro, o si credo a Ragione di nulla sua ragione chella mi dica o punga, o sed i metto in punga ricchezza per guardare, o si miro in guardare, a lui se non, ciò cho, di lui non faccia co; ma mi getta di taglia, e dice che n sua taglia i non prenda ma soldo, per livra né per soldo ched i già ma gli doni. Amor vuol questi doni: corpo e avere e anima, e con colui sinanima, chi gliel dà certamente (e chi altro accerta, mente), e sol lui per tesoro vuol chuon metta n tesoro. E chi di lui è preso, sì vuol che sia appreso dogne bellordinanza che l su bellor dinanza. Chi l cheta come dee, sì acchita ciò che dee. Dorgoglio vuol sie voto, ched egli ha fatto voto di non amarti guar dì s e dorgoglio nol guardi; che fortemente pecca que che dorgoglio ha pecca. Cortese e franco e pro convien che sie, e pro salute e doni e rendi: se tu a ciò ti rendi, dAmor sarai in grazia, e sì ti farà grazia. E se se forte e visto, a caval sie avvisto di punger gentemente, si che la gente mente ti pongan per diletto. Non ti truovi di letto mattino a qualche canto. Se tu sai alcun canto, non ti pesi il cantare quanto pesa un cantare, sì che noda la nota quella che l tu cor nota. Se sai giucar di lancia prendila e sì la lancia, e corri e sali e salta, che troppo gente assalta: far cosa che lor seggia, gli mette in alta seggia. Belle robe a podere, secondo il tu podere, vesti, fresche e novelle, sì che noda novelle lamor, cu tu ha caro più che l Soldano il Caro. E selle son di lana, sì non ti paia lana a devisar lintagli, se tu ha chi gli ntagli. Nove scarpette e calze convien che tuttor calze della persona conto ti tieni; e nul mal conto di tua bocca non soda, ma ciascun pregia e loda. Servi donne ed onora, ché via troppo donor ha chi vi mette sua ntenta. Salcuno il diavol tenta di lor parlare a taccia, sì gli di che si taccia. Sie largo; e, daltra parte, non far del tu cuor parte: tutto n quel luogo il metti là dove tu lammetti; chegli è dAmor partito chi l su cuor ha partito, ché non tien leal fino chi va come lalfino; ma sol con que saccorda che l su cammin va·ccorda. Mi detto ancor non fino, ché dun amico fino chieder, convien ti membri, che metta cuor e membri per te, se ti bisogna, e n ogne tua bisogna ti sia fedele e giusto. Ma, fé che do a San Giusto! seminati son chiari i buon amici chiari. Ma, se l truovi perfetto, più ricco che l Perfetto sarai di sua compagna; e sha bella compagna la tua fia più sicura, che Veno non si cura che non faccia far tratto, odi che lamor è tratto. Di lor piu il fatto isveglia, né ma per suon di sveglia né per servir che faccia nol guarda dritto in faccia. |
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Revisione, Edizione HTML e impaginazione a cura di: Giuseppe Bonghi, febbraio-marzo
Tratto da: Dante Alighieri, Il detto d'amore,
© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 06 febbraio 1998