Baldessar Castiglione

Il Libro del Cortegiano

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IL TERZO LIBRO DEL CORTEGIANO
DEL CONTE BALDESAR CASTIGLIONE
A MESSER ALFONSO ARIOSTO

XLI.

         Ma io non voglio dir piú avanti e bastami che mi consentiate che le donne si astengano piú dalla vita impudica che gli omini; e certo è che d'altro freno non sono ritenute, che da quello che esse stesse si mettono; e che sia vero, la piú parte di quelle che son custodite con troppa stretta guardia, o battute dai mariti o padri, sono men pudiche che quelle che hanno qualche libertà. Ma gran freno è generalmente alle donne l'amor della vera virtú e 'l desiderio d'onore, del qual molte, che io a' miei dí ho conosciute, fanno piú stima che della vita propria; e se volete dir il vero, ognun di noi ha veduto giovani nobilissimi, discreti, savi, valenti e belli, aver dispensato molt'anni amando, senza lassare adrieto cosa alcuna di sollicitudine, di doni, di preghi, di lacrime, in somma di ciò che imaginar si po; e tutto in vano. E se a me non si potesse dire che le qualità mie non meritarono mai ch'io fossi amato, allegherei il testimonio di me stesso, che piú d'una volta per la immutabile e troppo severa onestà d'una donna fui vicino alla morte -. Rispose il signor Gasparo: - Non vi maravigliate di questo, perché le donne che son pregate sempre negano di compiacer chi le prega e quelle che non son pregate pregano altrui -.

XLII.

         Disse messer Cesare: - Io non ho mai conosciuti questi, che siano dalle donne pregati; ma sí ben molti, li quali, vedendosi aver in vano tentato e speso il tempo scioccamente, ricorrono a questa nobil vendetta e dicono aver avuto abondanzia di quello che solamente s'hanno imaginato; e par loro che il dir male e trovare invenzioni, acciò che di qualche nobil donna per lo vulgo si levino fabule vituperose, sia una sorte di cortegiania. Ma questi tali, che di qualche donna di prezzo villanamente si dànno vanto, o vero o falso, meritano castigo e supplicio gravissimo; e se talor loro vien dato, non si po dir quanto siano da laudar quelli che tale officio fanno. Ché se dicon bugie, qual scelerità po esser maggiore, che privar con inganno una valorosa donna di quello che essa piú che la vita estima? e non per altra causa, che per quella che la devria fare d'infinite laudi celebrata? Se ancora dicon vero, qual pena poria bastare a chi è cosí perfido, che renda tanta ingratitudine per premio ad una donna, la qual, vinta dalle false lusinghe, dalle lacrime finte, dai preghi continui, dai lamenti, dalle arti, insidie e periuri, s'ha lassato indurre ad amar troppo; poi, senza riservo, s'è data incautamente in preda a cosí maligno spirto? Ma per respondervi ancor a questa inaudita continenzia d'Alessandro e di Scipione, che avete allegata, dico ch'io non voglio negare che e l'uno e l'altro non facesse atto degno di molta laude; nientedimeno, acciò che non possiate dire che per raccontarvi cose antiche io vi narri fabule, voglio allegarvi una donna de' nostri tempi di bassa condizione, la quale mostrò molto maggior continenzia che questi cui grand'omini.

XLIII.

         Dico adunque che io già conobbi una bella e delicata giovane, il nome della quale non vi dico per non dar materia di dir male a molti ignoranti, i quali súbito che intendono una donna esser innamorata, ne fan mal concetto. Questa adunque, essendo lungamente amata da un nobile e ben condicionato giovane, si volse con tutto l'animo e cor suo ad amar lui; e di questo non solamente io, al quale essa di sua voluntà ogni cosa confidentemente dicea, non altrimenti che s'io non dirò fratello, ma una sua intima sorella fussi stato, ma tutti quelli che la vedeano in presenzia dell'amato giovane erano ben chiari della sua passione. Cosí, amando essa ferventissimamente quanto amar possa un amorevolissimo animo, durò dui anni in tanta continenzia, che mai non fece segno alcuno a questo giovane d'amarlo, se non quelli che nasconder non potea; né mai parlare gli volse, né da lui accettar lettere, né presenti, che dell'uno e dell'altro non passava mai giorno che non fosse sollicitata; e quanto lo desiderasse, io ben lo so; ché se talor nascostamente potea aver cosa che del giovane fosse stata, la tenea in tante delizie, che parea che da quella le nascesse la vita ed ogni suo bene; né pur mai in tanto tempo d'altro compiacer gli volse che di vederlo e di lassarsi vedere, e qualche volta intervenendo alle feste publiche ballar con lui, come con gli altri. E perché le condicioni dell'uno e dell'altra erano assai convenienti, essa e 'l giovane desideravano che un tanto amor terminasse felicemente ed esser insieme marito e moglie. Il medesimo desideravano tutti gli altri omini e donne di quella città, eccetto il crudel padre di lei, il qual per una perversa e strana opinion volse maritarla ad un altro piú ricco; ed in ciò dalla infelice fanciulla non fu con altro contradetto, che con amarissime lacrime. Ed essendo successo cosí mal avventurato matrimonio con molta compassion di quel populo e desperazion dei poveri amanti, non bastò però questa percossa di fortuna per estirpare cosí fundato amor dei cori né dell'uno né dell'altra; che dopo ancor per spacio di tre anni durò, avvegna che essa prudentissimamente lo dissimulasse e per ogni via cercasse di troncar que' desidèri, che ormai erano senza speranza. Ed in questo tempo seguitò sempre la sua ostinata voluntà della continenzia; e vedendo che onestamente aver non potea colui che essa adorava al mondo, elesse non volerlo a modo alcuno e seguitar il suo costume di non accettare ambasciate, né doni, né pur sguardi suoi; e con questa terminata voluntà la meschina, vinta dal crudelissimo affanno e divenuta per la lunga passione estenuatissima, in capo di tre anni se ne morí; e prima volse rifutare i contenti e piacer suoi tanto desiderati, in ultimo la vita propria, che la onestà. Né le mancavan modi e vie da satisfarsi secretissimamente e senza pericolo d'infamia o d'altra perdita alcuna; e pur s'astenne da quello che tanto da sé desiderava e di che tanto era continuamente stimulata da quella persona, che sola al mondo desiderava di compiacere; né a ciò si mosse per paura, o per alcun altro rispetto, che per lo solo amore della vera virtú. Che direte voi d'un'altra, la quale in sei mesi quasi ogni notte giacque con un suo carissimo innamorato; nientedimeno, in un giardino copioso di dolcissimi frutti, invitata dall'ardentissimo suo proprio desiderio e da' preghi e lacrime di chi piú che la propria vita le era caro, s'astenne dal gustarli; e benché fosse presa e legata ignuda nella stretta catena di quelle amate braccia, non si rese mai per vinta, ma conservò immaculato il fior della onestà sua?

XLIV.

         Parvi, signor Gasparo, che questi sian atti di continenzia equali a quella d'Alessandro? il quale, ardentissimamente innamorato non delle donne di Dario, ma di quella fama e grandezza che lo spronava coi stimuli della gloria a patir fatiche e pericoli per farsi immortale, non che le altre cose ma la propria vita sprezzava per acquistar nome sopra tutti gli omini; e noi ci maravigliamo che con tai pensieri nel core s'astenesse da una cosa la qual molto non desiderava? Ché, per non aver mai piú vedute quelle donne, non è possibile che in un punto l'amasse, ma ben forse l'aborriva, per rispetto di Dario suo nemico; ed in tal caso ogni suo atto lascivo verso di di quelle saria stato iniuria e non amore; e però non è gran cosa che Alessandro, il quale non meno con la magnanimità che con l'arme vinse il mondo, s'astenesse da far ingiuria a femine. La continenzia ancor di Scipione è veramente da laudar assai; nientedimeno, se ben considerate, non è da agguagliare a quella di queste due donne; perché esso ancora medesimamente s'astenne da cosa non desiderata, essendo in paese nemico, capitano novo, nel principio d'una impresa importantissima; avendo nella patria lassato tanta aspettazion di sé ed avendo ancor a rendere cunto a giudici severissimi, i quali spesso castigavano non solamente i grandi ma i piccolissimi errori; e tra essi sapea averne de' nemici; conoscendo ancor che, s'altramente avesse fatto, per esser quella donna nobilissima e ad un nobilissimo signor maritata, potea concitarsi tanti nemici e talmente, che molto gli arian prolungata e forse in tutto tolta la vittoria. Cosí per tante cause e di tanta importanzia s'astenne da un leggero e dannoso appetito, mostrando continenzia ed una liberale integrità; la quale, come si scrive, gli diede tutti gli animi di que' populi e gli valse un altro esercito ad espugnar con benivolenzia i cori, che forse per forza d'arme sariano stati inespugnabili; sicché questo piú tosto un stratogema militare dir si poria, che pura continenzia: avvegna ancora che la fama di questo non sia molto sincera, perché alcuni scrittori d'autorità affermano questa giovane esser stata da Scipion goduta in amorose delizie; ma di quello che vi dico io, dubbio alcuno non è -.

XLV.

         Disse il Frigio: - Dovete averlo trovato negli Evangeli. - Io stesso l'ho veduto, - rispose messer Cesare, - e però n'ho molto maggior certezza che non potete aver né voi né altri, che Alcibiade si levasse dal letto di Socrate non altrimenti che si facciano i figioli dal letto dei padri; ché pur strano loco e tempo era il letto e la notte per contemplar quella pura bellezza, la qual si dice che amava Socrate senza alcun desiderio disonesto; massimamente amando piú la bellezza dell'animo che del corpo, ma nei fanciulli e no nei vecchi, ancor che siano piú savi. E certo non si potea già trovar miglior esempio per laudar la continenzia degli omini che quello di Senocrate; che essendo versato negli studi, astretto ed obligato dalla profession sua, che è la filosofia, la quale consiste nei boni costumi e non nelle parole, vecchio, esausto del vigor naturale, non potendo né mostrando segno di potere, s'astenne da una femina publica, la quale per questo nome solo potea venirgli a fastidio. Piú crederci che fosse stato continente se qualche segno de risentirsi avesse dimostrato, ed in tal termine usato la continenzia; o vero astenutosi da quello che i vecchi piú desiderano che le battaglie di Venere, cioè dal vino; ma per comprobar ben la continenzia senile, scrivesi che di questo era pieno e grave. E qual cosa dir si po piú aliena dalla continenzia d'un vecchio, che la ebrietà? e se lo astenerse dalle cose veneree in quella pigra e fredda età merita tanta laude, quanta ne deve meritar in una tenera giovane, come quelle due di chi dianzi v'ho detto? delle quali l'una imponendo durissime leggi a tutti i sensi suoi, non solamente agli occhi negava la sua luce, ma toglieva al core quei pensieri, che soli lungamente erano stati dulcissimo cibo per tenerlo in vita; l'altra, ardente inamorata, ritrovandosi tante volte sola nelle braccia di quello che piú assai che tutto 'l resto del mondo amava, contra se stessa e contra colui che piú che se stessa le era caro combattendo, vincea quello ardente desiderio che spesso ha vinto e vince tanti savi omini. Non vi pare ora, signor Gasparo, che dovessino i scrittori vergognarsi di far memoria di Senocrate in questo caso e chiamarlo per continente? ché chi potesse sapere, io metterei pegno che esso tutta quella notte sino al giorno seguente ad ora di desinare dormí come morto, sepulto nel vino; né mai, per stropicciar che gli facesse quella femina, poté aprir gli occhi, come se fusse stato allopiato -.

XLVI.

         Quivi risero tutti gli omini e donne; e la signora Emilia, pur ridendo, - Veramente, - disse, - signor Gasparo, se vi pensate un poco meglio, credo che trovarete ancor qualche altro bello esempio di continenzia simile a questo -. Rispose messer Cesare: - Non vi pare, Signora, che bello esempio di continenzia sia quello altro che egli ha allegato di Pericle? Maravigliomi ben che 'l non abbia ancor ricordato la continenzia e quel bel detto che si scrive di colui, a chi una donna domandò troppo gran prezzo per una notte ed esso le rispose che non comprava cosí caro il pentirsi -. Rideasi tuttavia; e messer Cesare, avendo alquanto tacciuto, - Signor Gasparo, - disse, - perdonatime s'io dico il vero, perché in somma queste sono le miraculose continenzie che di se stessi scrivono gli omini, accusando per incontinenti le donne, nelle quali ogni dí si veggono infiniti segni di continenzia; ché certo, se ben considerate, non è ròcca tanto inespugnabile né cosí ben diffesa, che essendo combattuta con la millesima parte delle machine ed insidie, che per espugnar il constante animo d'una donna s'adoprano, non si rendesse al primo assalto. Quanti creati da signori, e da essi fatti ricchi e posti in grandissima estimazione, avendo nelle mani le lor fortezze e ròcche, onde dependeva tutto 'l stato e la vita ed ogni ben loro, senza vergogna o cura d'esser chiamati traditori, le hanno perfidamente per avarizia date a chi non doveano? e Dio volesse che a' dí nostri di questi tali fosse tanta carestia, che non avessimo molto maggior fatica a ritrovar qualcuno che in tal caso abbia fatto quello che dovea, che nominar quelli che hanno mancato. Non vedemo noi tant'altri che vanno ogni dí ammazzando omini per le selve e scorrendo per mare, solamente per rubar denari? Quanti prelati vendono le cose della chiesa di Dio? quanti iurisconsulti falsificano testamenti? quanti periuri fanno? quanti falsi testimoni, solamente per aver denari? quanti medici avvelenano gl'infermi per tal causa? quanti poi per paura della morte fanno cose vilissime? E pur a tutte queste cosí efficaci e dure battaglie spesso resiste una tenera e delicata giovane; ché molte sonosi trovate, le quali hanno eletto la morte piú presto che perder l'onestà -.

XLVII.

         Allora il signor Gasparo, - Queste, - disse, - messer Cesare, credo che non siano al mondo oggidí -. Rispose messer Cesare: - Io non voglio ora allegarvi le antiche; dicovi ben questo, che molte si trovariano e trovansi, che in tal caso non si curan di morire. Ed or m'occorre nell'animo che quando Capua fu saccheggiata dai Franzesi, che ancora non è tanto tempo che voi nol possiate molto bene avere a memoria, una bella giovane gentildonna capuana, essendo condotta fuor di casa sua, dove era stata presa da una compagnia di Guasconi, quando giunse al fiume che passa per Capua finse volersi attaccare una scarpa tanto che colui che la menava un poco la lassò, ed essa súbito si gittò nel fiume. Che direte voi d'una contadinella, che non molti mesi fa, a Gazuolo in Mantoana, essendo ita con una sua sorella a raccórre spiche ne' campi, vinta dalla sete entrò in una casa per bere dell'acqua; dove il patron della casa, che giovane era, vedendola assai bella e sola, presala in braccio, prima con bone parole, poi con minacce, cercò d'indurla a far i suoi piaceri; e contrastando essa sempre piú ostinatamente, in ultimo con molte battiture e per forza la vinse. Essa cosí scapigliata e piangendo ritornò nel campo alla sorella, né mai, per molto ch'ella le facesse instanzia, dir volse che dispiacere avesse ricevuto in quella casa; ma tuttavia, caminando verso l'albergo e mostrando di racchetarsi a poco a poco e parlar senza perturbazione alcuna, le diede certe commissioni; poi, giunta che fu sopra Oglio, che è il fiume che passa accanto Gazuolo, allontanatasi un poco dalla sorella, la quale non sapea né imaginava ciò ch'ella si volesse fare, súbito vi si gittò dentro. La sorella dolente e piangendo l'andava secondando quanto piú potea lungo la riva del fiume, che assai velocemente la portava all'ingiú; ed ogni volta che la meschina risurgeva sopra l'acqua, la sorella le gittava una corda che seco avea recata per legar le spiche; e benché la corda piú d'una volta le pervenisse alle mani, perché pur era ancor vicina alla ripa, la costante e deliberata fanciulla sempre la rifiutava e dilungava da sé; e cosí fuggendo ogni soccorso che dar le potea vita, in poco spacio ebbe la morte; né fu questa mossa dalla nobilità di sangue, né da paura di piú crudel morte o d'infamia, ma solamente dal dolore della perduta virginità. Or di qui potete comprendere quante altre donne facciano atti dignissimi di memoria che non si sanno, poiché avendo questa, tre dí sono, si po dir, fatto un tanto testimonio della sua virtú, non si parla di lei, né pur se ne sa il nome. Ma se non sopragiungea in quel tempo la morte del vescovo di Mantua, zio della signora Duchessa nostra, ben saria adesso quella ripa d'Oglio, nel loco onde ella se gittò, ornata d'un bellissimo sepulcro per memoria di cosí gloriosa anima, che meritava tanto piú chiara fama dopo la morte, quanto in men nobil corpo vivendo era abitata -.

XLVIII.

         Quivi fece messer Cesare un poco di pausa; poi suggiunse: - A' mei dí ancora in Roma intervenne un simil caso; e fu che una bella e nobil giovane romana, essendo lungamente seguitata da uno che molto mostrava amarla, non volse mai, non che d'altro, ma d'un sguardo solo compiacergli; di modo che costui per forza di denari corruppe una sua fante; la quale, desiderosa di satisfarlo per toccarne piú denari, persuase alla patrona che un certo giorno non molto celebrato andasse a visitar la chiesa di san Sebastiano; ed avendo il tutto fatto intendere allo amante e mostratogli ciò che far dovea, condusse la giovane in una di quelle grotte oscure che soglion visitar quasi tutti quei che vanno a san Sebastiano; ed in questa tacitamente s'era nascosto prima il giovane, il quale, ritrovandosi solo con quella che amava tanto, cominciò con tutti i modi a pregarla piú dolcemente che seppe che volesse avergli compassione e mutar la sua passata durezza in amore; ma poi che vide tutti i prieghi esser vani, si volse alle minacce; non giovando ancora queste, cominciò a batterla fieramente; in ultimo, essendo in ferma disposizion d'ottener lo intento suo, se non altrimenti, per forza, ed in ciò operando il soccorso della malvagia femina che quivi l'aveva condotta, mai non potè tanto fare che essa consentisse; anzi e con parole e con fatti, benché poche forze avesse, la meschina giovane si diffendeva quanto le era possibile; di modo che tra per lo sdegno conceputo, vedendosi non poter ottener quello che volea, tra per la paura che non forse i parenti di lei, se risapeano la cosa, gli ne facessino portar la pena, questo scelerato, aiutato dalla fante, la quale del medesimo dubitava, affogò la mal avventurata giovane e quivi la lassò; e fuggitosi, procurò di non esser trovato. La fante, dallo error suo medesimo acciecata, non seppe fuggire, e presa per alcuni indici confessò ogni cosa; onde ne fu come meritava castigata. Il corpo della costante e nobil donna con grandissimo onore fu levato di quella grotta e portato alla sepultura in Roma, con una corona in testa di lauro, accompagnato da un numero infinito d'omini e di donne, tra' quali non fu alcuno che a casa riportasse gli occhi senza lacrime; e cosí universalmente da tutto 'l populo fu quella rara anima non men pianta che laudata.

XLIX.

         Ma per parlarvi di quelle che voi stesso conoscete, non vi ricorda aver inteso che andando la signora Felice dalla Rovere a Saona, e dubitando che alcune vele che s'erano scoperte fossero legni di papa Alessandro che la seguitassero, s'apparecchiò con ferma deliberazione, se si accostavano, e che rimedio non vi fusse di fuga, di gittarsi nel mare; e questo non si po già credere che lo facesse per leggerezza, perché voi cosí come alcun altro conoscete ben di quanto ingegno e prudenzia sia accompagnata la singular bellezza di quella signora. Non posso pur tacere una parola della signora Duchessa nostra, la quale, essendo vivuta quindeci anni in compagnia del marito come vidua, non solamente è stata costante di non palesar mai questo a persona del mondo, ma essendo dai suoi proprii stimulata ad uscir di questa viduità, elesse piú presto patir esilio, povertà ed ogn'altra sorte d'infelicità, che accettar quello che a tutti gli altri parea gran grazia e prosperità di fortuna; - e seguitando pur messer Cesare circa questo, disse la signora Duchessa: - Parlate d'altro e non intrate piú in tal proposito, ché assai dell'altre cose avete che dire -. Suggiunse messer Cesare: - So pur che questo non mi negherete, signor Gasparo, né voi, Frigio. - Non già, - rispose il Frigio; - ma una non fa numero -.

L.

         Disse allora messer Cesare: - Vero è che questi cosí grandi effetti occorrono in poche donne; pur ancora quelle che resistono alle battaglie d'amore, tutte sono miracolose; e quelle che talor restano vinte sono degne di molta compassione; ché certo i stimuli degli amanti, le arti che usano, i lacci che tendono son tanti e cosí continui, che troppa maraviglia è che una tenera fanciulla fuggir gli possa. Qual giorno, qual ora passa mai, che quella combattuta giovane non sia dallo amante sollicitata con denari, con presenti e con tutte quelle cose che imaginar sa che le abbiano a piacere? A qual tempo affacciar mai si po alla finestra, che sempre non veda passar l'ostinato amante con silenzio di parole ma con gli occhi che parlano, col viso afflitto e languido, con quegli accesi sospiri, spesso con abundantissime lacrime? Quando mai si parte di casa per andar a chiesa o ad altro loco, che questo sempre non le sia innanzi e ad ogni voltar di contrata non se le affronti con quella trista passion dipinta negli occhi, che par che allor allora aspetti la morte? Lasso tante attillature, invenzioni, motti, imprese, feste, balli, giochi, maschere, giostre, torniamenti, le quai cose essa conosce tutte esser fatte per sé. La notte poi mai risvegliarsi non sa, che non oda musica, o almen quello inquieto spirito intorno alle mura della casa gittar sospiri e voci lamentevoli. Se per avventura parlar vole con una delle sue fanti, quella, già corrotta per denari, súbito ha apparecchiato un presentuzzo, una lettera, un sonetto, o tal cosa, da darle per parte dello amante; e quivi entrando a proposito, le fa intendere quanto arde questo meschino, come non cura la propria vita per servirla; e come da lei niuna cosa ricerca men che onesta e che solamente desidera parlarle. Quivi a tutte le difficultà si trovano rimedi, chiavi contrafatte, scale di corde, sonniferi; la cosa si dipinge di poco momento; dànnosi esempi di molt'altre che fanno assai peggio; di modo che ogni cosa tanto si fa facile, che essa niuna altra fatica ha che di dire: "Io son contenta"; e se pur la poverella per un tempo resiste, tanti stimuli le aggiungono, tanti modi trovano, che col continuo battere rompeno ciò che le osta. E molti sono che, vedendo le blandicie non giovargli, si voltano alle minacce e dicono volerle publicar per quelle che non sono ai lor mariti. Altri patteggiano arditamente coi padri e spesso con i mariti, i quali per denari o per aver favori dànno le proprie figliole e mogli in preda contra la lor voglia. Altri cercano con incanti e malie tôr loro quella libertà che Dio all'anime ha concessa; di che si vedono mirabili effetti. Ma io non saprei ridire in mill'anni tutte le insidie che opran gli omini per indur le donne alle lor voglie, che sono infinite; ed oltre a quelle che ciascun per se stesso ritrova non è ancora mancato chi abbia ingeniosamente composto libri, e postovi ogni studio per insegnar di che modo in questo s'abbiano ad ingannar le donne. Or pensate come da tante reti possano esser sicure queste semplici colombe, da cosí dolce esca invitate. E che gran cosa è adunque se una donna, veggendosi tanto amata ed adorata molt'anni da un bello, nobile ed accostumato giovane, il quale mille volte il giorno si mette a pericolo della morte per servirle, né mai pensa altro che di compiacerle, con quel continuo battere, che fa che l'acqua spezza i durissimi marmi, s'induce finalmente ad amarlo, e vinta da questa passione lo contenta di quello che voi dite che essa, per la imbecillità del sesso, naturalmente molto piú desidera che l'amante? Parvi che questo error sia tanto grave, che quella meschina, che con tante lusinghe è stata presa, non meriti almen quel perdono, che spesso agli omicidi, ai ladri, assassini e traditori si concede? Vorrete voi che questo sia vicio tanto enorme che, per trovarsi che qualche donna in esso incorre, il sesso delle donne debba esser sprezzato in tutto e tenuto universalmente privo di continenzia, non avendo rispetto che molte se ne trovano invittissime, che ai continui stimuli d'amore sono adamantine e salde nella lor infinita constanzia piú che i scogli all'onde del mare?

LI.

         Allora il signor Gasparo, essendosi fermato messer Cesare di parlare, cominciava per rispondere; ma il signor Ottaviano ridendo, - Deh, per amor di Dio, - disse, - datigliela vinta, ch io conosco che voi farete poco frutto; e parmi vedere che v'acquistarete non solamente tutte queste donne per inimiche, ma ancora la maggior parte degli omini -. Rise il signor Gasparo e disse: - Anzi ben gran causa hanno le donne di ringraziarmi; perché s'io non avessi contradetto al signor Magnifico ed a messer Cesare, non si sariano intese tante laudi che essi hanno loro date -. Allora messer Cesare, - Le laudi, - disse, - che il signor Magnifico ed io avemo date alle donne ed ancora molte altre erano notissime, però sono state superflue. Chi non sa che senza le donne sentir non si po contento o satisfazione alcuna in tutta questa nostra vita, la quale senza esse saria rustica e priva d'ogni dolcezza e piú aspera che quella dell'alpestre fiere? Chi non sa che le donne sole levano de' nostri cori tutti li vili e bassi pensieri, gli affanni, le miserie e quelle turbide tristezze che cosí spesso loro sono compagne? E se vorremo ben considerar il vero, conosceremo ancora che, circa la cognizion delle cose grandi, non desviano gli ingegni, anzi gli svegliano; ed alla guerra fanno gli omini senza paura ed arditi sopra modo. E certo impossibil è che nel cor d'omo, nel qual sia entrato una volta fiamma d'amore, regni mai piú viltà; perché chi ama desidera sempre farsi amabile piú che po, e teme sempre non gli intervenga qualche vergogna che lo possa far estimar poco da chi esso desidera esser estimato assai; né cura d'andare mille volte il giorno alla morte, per mostrar d'esser degno di quell'amore; però chi potesse far un esercito d'innamorati, li quali combattessero in presenzia delle donne da loro amate, vinceria tutto 'l mondo, salvo se contra questo in opposito non fosse un altro esercito medesimamente innamorato. E crediate di certo che l'aver contrastato Troia dieci anni a tutta Grecia non procedette d'altro che d'alcuni innamorati, li quali, quando erano per uscir a combattere, s'armavano in presenzia delle lor donne, e spesso esse medesime gli aiutavano e nel partir diceano lor qualche parola che gli infiammava e gli facea piú che omini; poi nel combattere sapeano esser dalle lor donne mirati dalle mura e dalle torri; onde loro parea che ogni ardir che mostravano, ogni prova che faceano, da esse riportasse laude; il che loro era il maggior premio che aver potessero al mondo. Sono molti che estimano la vittoria del re di Spagna Ferrando ed Isabella contra il re di Granata esser proceduta gran parte dalle donne; ché il piú delle volte quando usciva lo esercito di Spagna per affrontar gli inimici, usciva ancora la regina Isabella con tutte le sue damigelle e quivi si ritrovavano molti nobili cavalieri innamorati; li quali finché giongeano al loco di veder gli nemici, sempre andavano parlando con le lor donne; poi, pigliando licenzia ciascun dalla sua, in presenzia loro andavano ad incontrar gli nimici con quell'animo feroce che dava loro amore, e 'l desiderio di far conoscere alle sue signore che erano servite da omini valorosi; onde molte volte trovaronsi pochissimi cavalieri spagnoli mettere in fuga ed alla morte infinito numero di Mori, mercè delle gentili ed amate donne. Però non so, signor Gasparo, qual perverso giudicio v'abbia indutto a biasimar le donne.

LII.

Non vedete voi che di tutti gli esercizi graziosi e che piaceno al mondo a niun altro s'ha da attribuire la causa, se alle donne no? Chi studia di danzare e ballar leggiadramente per altro, che per compiacere a donne? Chi intende nella dolcezza della musica per altra causa, che per questa? Chi a compor versi, almen nella lingua vulgare, se non per esprimere quegli affetti che dalle donne sono causati? Pensate di quanti nobilissimi poemi saremmo privi, e nella lingua greca e nella latina, se le donne fossero state da' poeti poco estimate. Ma lassando tutti gli altri, non saria grandissima perdita se messer Francesco Petrarca, il qual cosí divinamente scrisse in questa nostra lingua gli amor suoi, avesse volto l'animo solamente alle cose latine, come aría fatto se l'amor di madonna Laura da ciò non l'avesse talor desviato? Non vi nomino i chiari ingegni che sono ora al mondo e qui presenti, che ogni dí parturiscono qualche nobil frutto e pur pigliano subietto solamente dalle bellezze e virtú delle donne. Vedete che Salomone, volendo scrivere misticamente cose altissime e divine, per coprirle d'un grazioso velo finse un ardente ed affettuoso dialogo d'uno innamorato con la sua donna, parendogli non poter trovar qua giú tra noi similitudine alcuna piú conveniente e conforme alle cose divine, che l'amor verso le donne; ed in tal modo volse darci un poco d'odor di quella divinità, che esso e per scienzia e per grazia piú che gli altri conoscea. Però non bisognava, signor Gasparo, disputar di questo, o almen con tante parole; ma voi col contradire alla verità avete impedito che non si siano intese mill'altre cose belle ed importanti circa la perfezion della donna di palazzo -. Rispose il signor Gasparo: - Io credo che altro non vi si possa dire; pur se a voi pare che il signor Magnifico non l'abbia adornata a bastanza di bone condicioni, il diffetto non è stato il suo, ma di chi ha fatto che piú virtú non siano al mondo, perché esso le ha date tutte quelle che vi sono -. Disse la signora Duchessa ridendo: - Or vedrete che 'l signor Magnifico pur ancor ne ritroverà qualche altra -. Rispose il Magnifico: - In vero, Signora, a me par d'aver detto assai e, quanto per me, contentomi di questa mia donna; e se questi signori non la voglion cosí fatta, lassinla a me -.

LIII.

         Quivi tacendo ognuno, disse messer Federico: - Signor Magnifico, per stimularvi a dir qualche altra cosa, voglio pur farvi una domanda circa quello che avete voluto che sia la principal professione della donna di palazzo, ed è questa; ch'io desidero intendere come ella debba intertenersi circa una particularità che mi pare importantissima; ché, benché le eccellenti condicioni da voi attribuitele includino ingegno, sapere, giudicio, desterità, modestia e tant'altre virtú, per le quali ella dee ragionevolmente saper intertenere ogni persona e ad ogni proposito, estimo io però che piú che alcuna altra cosa le bisogni saper quello che appartiene ai ragionamenti d'amore; perché, secondo che ogni gentil cavaliero usa per instrumento d'acquistar grazia di donne quei nobili esercizi, attillature e bei costumi che avemo nominati, a questo effetto adopra medesimamente le parole; e non solo quando è astretto da passione, ma ancora spesso per far onore a quella donna con cui parla, parendogli che 'l mostrar d'amarla sia un testimonio che ella ne sia degna e che la bellezza e meriti suoi sian tanti, che sforzino ognuno a servirla. Però vorrei sapere come debba questa donna circa tal proposito intertenersi discretamente e come rispondere a chi l'ama veramente e come a chi ne fa dimostrazion falsa; e se dee dissimular d'intendere, o corrispondere, e rifiutare, e come governarsi -.

LIV.

         Allor il signor Magnifico, - Bisogneria prima, - disse, insegnarle a conoscer quelli che simulan d'amare e quelli che amano veramente; poi, del corrispondere in amore o no, credo che non si debba governar per voglia d'altrui, che di se stessa -. Disse messer Federico: - Insegnatele adunque quai siano i piú certi e sicuri segni per discernere l'amor falso dal vero, e di qual testimonio ella se debba contentar per esser ben chiara dell'amore mostratole -. Rispose ridendo il Magnifico: - Io non lo so perché gli omini oggidí sono tanto astuti, che fanno infinite dimostrazion false e talor piangono quando hanno ben gran voglia di ridere; però bisogneria mandargli all'Isola Ferma, sotto l'arco dei leali innamorati. Ma acciò che questa mia donna, della quale a me convien aver particular protezione per esser mia creatura, non incorra in quegli errori ch'io ho veduto incorrere molt'altre, io direi ch'ella non fosse facile a creder d'esser amata; né facesse come alcune, che non solamente non mostrano di non intendere chi lor parla d'amore, ancora che copertamente, ma alla prima parola accettano tutte le laudi che lor son date, o ver le negano d'un certo modo, che è piú presto un invitare d'amore quelli coi quali parlano, che ritrarsi. Però la maniera dell'intertenersi nei ragionamenti d'amore, ch'io voglio che usi la mia donna di palazzo, sarà il rifiutar di creder sempre che chi le parla d'amore, l'ami però; e se quel gentilomo sarà, come pur molti se ne trovano, prosuntuoso e che le parli con poco rispetto, essa gli darà tal risposta, che 'l conoscerà chiaramente che le fa dispiacere; se ancora sarà discreto ed usarà termini modesti e parole d'amore copertamente, con quel gentil modo che io credo che faria il cortegiano formato da questi signori, la donna mostrerà non l'intendere e tirarà le parole ad altro significato, cercando sempre modestamente, con quello ingegno e prudenzia che già s'è detto convenirsele, uscir di quel proposito. Se ancor il ragionamento sarà tale, che ella non possa simular di non intendere, pigliarà il tutto come per burla, mostrando di conoscere che ciò se le dica piú presto per onorarla che perché cosí sia, estenuando i meriti suoi ed attribuendo a cortesia di quel gentilomo le laudi che esso le darà; ed in tal modo si farà tener per discreta, e sarà piú sicura dagli inganni. Di questo modo parmi che debba intertenersi la donna di palazzo circa i ragionamenti d'amore -.

LV.

         Allora messer Federico, - Signor Magnifico, - disse, - voi ragionate di questa cosa, come che sia necessario che tutti quelli che parlano d'amore con donne dicano le bugie e cerchino d'ingannarle; il che se cosí fosse, direi che i vostri documenti fossero boni; ma se questo cavalier che intertiene ama veramente e sente quella passion che tanto affligge talor i cori umani, non considerate voi in qual pena, in qual calamità e morte lo ponete, volendo che la donna non gli creda mai cosa che dica a questo proposito? Dunque i scongiuri, le lacrime e tant'altri segni non debbono aver forza alcuna? Guardate, signor Magnifico, che non si estimi che, oltre alla naturale crudeltà che hanno in sé molte di queste donne, voi ne insegnate loro ancora di piú -. Rispose il Magnifico: - Io ho detto non di chi ama, ma di chi intertiene con ragionamenti amorosi, nella qual cosa una delle piú necessarie condicioni è che mai non manchino parole; e gli innamorati veri, come hanno il core ardente, cosí hanno la lingua fredda, col parlar rotto e súbito silenzio; però forsi non saria falsa proposizione il dire: chi ama assai parla poco. Pur di questo credo che non si possa dar certa regula, per la diversità dei costumi degli omini; né altro dir saprei, se non che la donna sia ben cauta, e sempre abbia a memoria che con molto minor periculo posson gli omini mostrar d'amare, che le donne -.

LVI.

         Disse il signor Gasparo ridendo: - Non volete voi, signor Magnifico, che questa vostra cosí eccellente donna essa ancora ami, almen quando conosce veramente esser amata? Atteso che se 'l cortegiano non fosse redamato, non è già credibile che continuasse in amare lei; e cosí le mancheriano molte grazie, e massimamente quella servitú e riverenzia, con la quale osservano e quasi adorano gli amanti la virtú delle donne amate. Di questo, - rispose il Magnifico, - non la voglio consigliare io; dico ben che lo amar come voi ora intendete estimo che convenga solamente alle donne non maritate; perché quando questo amore non po terminare in matrimonio, è forza che la donna n'abbia sempre quel remorso e stimulo che s'ha delle cose illicite, e si metta a periculo di macular quella fama d'onestà che tanto l'importa -. Rispose allora messer Federico ridendo: - Questa vostra opinion, signor Magnifico, mi par molto austera, e penso che l'abbiate imparata da qualche predicator, di quelli che riprendon le donne innamorate de' seculari per averne essi miglior parte; e parmi che imponiate troppo dure leggi alle maritate, perché molte se ne trovano, alle quali i mariti senza causa portano grandissimo odio e le offendono gravemente, talor amando altre donne, talor facendo loro tutti i dispiaceri che sanno imaginare; alcune sono dai padri maritate per forza a vecchi, infermi, schifi e stomacosi, che le fan vivere in continua miseria. E se a queste tali fosse licito fare il divorzio e separarsi da quelli co' quali sono mal congiunte, non saria forse da comportar loro che amassero altri che 'l marito; ma quando, o per le stelle nemiche, o per la diversità delle complessioni, o per qualche altro accidente, occorre che nel letto, che dovrebbe esser nido di concordia e d'amore, sparge la maledetta furia infernale il seme del suo veneno, che poi produce lo sdegno, il suspetto e le pungenti spine dell'odio che tormenta quelle infelici anime, legate crudelmente nella indissolubil catena insino alla morte, perché non volete voi che a quella donna sia licito cercar qualche refrigerio a cosí duro flagello e dar ad altri quello che dal marito è non solamente sprezzato, ma aborrito? Penso ben che quelle che hanno i mariti convenienti e da essi sono amate, non debbano fargli ingiuria; ma l'altre, non amando chi ama loro, fanno ingiuria a se stesse. - Anzi a se stesse fanno ingiuria amando altri che il marito, - rispose il Magnifico. - Pur, perché molte volte il non amare non è in arbitrio nostro, se alla donna di palazzo occorrerà questo infortunio che l'odio del marito o l'amor d'altri la induca ad amare, voglio che ella niuna altra cosa allo amante conceda eccetto che l'animo; né mai gli faccia dimostrazion alcuna certa d'amore, né con parole, né con gesti, né per altro modo, tal che esso possa esserne sicuro -.

LVII.

         Allora messer Roberto da Bari, pur ridendo, - Io, - disse, - signor Magnifico, mi appello di questa vostra sentenzia e penso che averò molti compagni; ma poiché pur volete insegnar questa rusticità, per dir cosí, alle maritate, volete voi che le non maritate siano esse ancora cosí crudeli e discortesi e che non compiacciano almen in qualche cosa i loro amanti? Se la mia donna di palazzo, - rispose il signor Magnifico, non sarà maritata, avendo d'amare voglio che ella ami uno col quale possa maritarsi; né reputarò già errore che ella gli faccia qualche segno d'amore; della qual cosa voglio insegnarle una regula universale con poche parole, acciò che ella possa ancora con poca fatica tenerla a memoria: e questa è che ella faccia tutte le demostrazioni d'amore a chi l'ama, eccetto quelle che potessero indur nell'animo dell'amante speranza di conseguir da lei cosa alcuna disonesta. Ed a questo bisogna molto avvertire, perché è uno errore dove incorrono infinite donne, le quali per l'ordinario niun'altra cosa desiderano piú che l'esser belle; e perché lo avere molti innamorati ad esse par testimonio della lor bellezza, mettono ogni studio per guadagnarne piú che possono; però scorrono spesso in costumi poco moderati, e lassando quella modesia temperata che tanto lor si conviene, usano certi sguardi procaci, con parole scurili ed atti pieni di impudenzia, parendo lor che per questo siano vedute ed udite voluntieri, e che con tai modi si facciano amare; il che è falso, perché le demostrazioni che si fan loro nascono da un appetito mosso da opinion di facilità, non d'amore. Però voglio che la mia donna di palazzo non con modi disonesti paia quasi che s'offerisca a chi la vole ed uccelli piú che po gli occhi e la voluntà di chi la mira, ma con i meriti e virtuosi costumi suoi, con la venustà, con la grazia induca nell'animo di chi la vede quello amor vero che si deve a tutte le cose amabili, e quel rispetto che leva sempre la speranza di chi pensa a cosa disonesta. Colui adunque che sarà da tal donna amato, ragionevolmente devrà contentarsi d'ogni minima demostrazione, ed apprezzar piú da lei un sol sguardo con affetto d'amore, che l'essere in tutto signor d'ogni altra; ed io a cosí fatta donna non saprei aggiunger cosa alcuna, se non che ella fosse amata da cosí eccellente cortegiano come hanno formato questi signori, e che essa ancor amasse lui, acciò che e l'uno e l'altra avesse totalmente la sua perfezione -.

LVIII.

         Avendo insin qui detto, il signor Magnifico taceasi, quando il signor Gasparo ridendo, - Or, - disse, - non potrete già dolervi che 'l signor Magnifico non abbia formato la donna di palazzo eccellentissima e da mo, se una tal se ne trova, io dico ben che ella merita esser estimata eguale al cortegiano -. Rispose la signora Emilia: - Io m'obligo trovarla, sempre che voi trovarete il cortegiano -. Suggiunse messer Roberto: Veramente negar non si po che la donna formata dal signor Magnifico non sia perfettissima; nientedimeno in queste ultime condicioni appartenenti allo amore parmi pur che esso l'abbia fatta un poco troppo austera, massimamente volendo che con le parole, gesti e modi suoi ella levi in tutto la speranza allo amante e lo confermi piú che ella po nella disperazione; ché, come ognun sa, li desidèri umani non si estendono a quelle cose, delle quali non s'ha qualche speranza. E benché già si siano trovate alcune donne le quali, forse superbe per la bellezza e valor loro, la prima parola che hanno detta a chi lor ha parlato d'amore è stata che non pensino aver mai da lor cosa che vogliano, pur con lo aspetto e con le accoglienze sono lor poi state un poco piú graziose, di modo che con gli atti benigni hanno temperato in parte le parole superbe; ma se questa donna e con gli atti e con le parole e coi modi leva in tutto la speranza, credo che 'l nostro cortegiano, se egli sarà savio, non l'amerà mai, e cosí essa averà questa imperfezion di trovarsi senza amante -.

LIX.

         Allor il signor Magnifico, - Non voglio, - disse, - che la mia donna di palazzo levi la speranza d'ogni cosa, ma delle cose disoneste, le quali, se 'l cortegiano sarà tanto cortese e discreto come l'hanno formato questi signori, non solamente non le sperarà, ma pur non le desiderarà; perché se la bellezza, i costumi, l'ingegno, la bontà, il sapere, la modestia e tante altre virtuose condicioni che alla donna avemo date, saranno la causa dell'amor del cortegiano verso lei, necessariamente il fin ancora di questo amore sarà virtuoso; e se la nobilità, il valor nell'arme, nelle lettere, nella musica, la gentilezza, l'esser nel parlar, nel conversar pien di tante grazie, saranno i mezzi con i quali il cortegiano acquistarà l'amor della donna, bisognerà che 'l fin di quello amore sia della qualità che sono i mezzi per li quali ad esso si perviene; oltra che, secondo che al mondo si trovano diverse maniere di bellezze, cosí si trovano ancora diversi desidèri d'omini; e però intervien che molti, vedendo una donna di quella bellezza grave, che andando, stando, motteggiando, scherzando e facendo ciò che si voglia, tempera sempre talmente tutti i modi suoi, che induce una certa riverenzia a chi la mira, si spaventano, né osano servirle; e piú presto, tratti dalla speranza, amano quelle vaghe e lusenghevoli, tanto delicate e tenere, che nelle parole, negli atti e nel mirar mostrano una certa passion languidetta, che promette poter facilmente incorrere e convertirsi in amore. Alcuni, per esser sicuri degli inganni, amano certe altre tanto libere e degli occhi e delle parole e dei movimenti, che fan ciò che prima lor viene in animo con una certa simplicità che non nasconde i pensier suoi. Non mancano ancor molti altri animi generosi, i quali, parendo loro che la virtú consista circa la difficultà e che troppo dolce vittoria sia il vincer quello che ad altri pare inespugnabile, si voltano facilmente ad amar le bellezze di quelle donne, che negli occhi, nelle parole e nei modi mostrano piú austera severità che l'altre, per far testimonio che 'l valor loro po sforzare un animo ostinato e indur ad amar ancor le voglie ritrose e rubelle d'amore. Però questi tanto confidenti di se stessi, perché si tengono securi di non lassarsi ingannare, amano ancor volentieri certe donne, che con sagacità ed arte pare che nella bellezza coprano mille astuzie; o veramente alcun'altre, che hanno congiunta con la bellezza una manera sdegnosetta di poche parole, pochi risi, con modo quasi d'apprezzar poco qualunque le mira o le serva. Trovansi poi certi altri, che non degnano amar se non donne che nell'aspetto, nel parlare ed in tutti i movimenti suoi portino tutta la leggiadria, tutti i gentil costumi, tutto 'l sapere e tutte le grazie unitamente cumulate, come un sol fior composto di tutte le eccellenzie del mondo. Sí che se la mia donna di palazzo averà carestia di quegli amori mossi da mala speranza, non per questo restarà senza amante; perché non le mancheran quei che saranno mossi e dai meriti di lei e dalla confidenzia del valor di se stessi, per lo quale si conosceran degni d'essere da lei amati -.

LX.

         Messer Roberto pur contradicea, ma la signora Duchessa gli diede il torto, confirmando la ragion del signor Magnifico; poi suggiunse: - Noi non abbiam causa di dolersi del signor Magnifico, perché in vero estimo che la donna di palazzo da lui formata possa star al paragon del cortegiano ed ancor con qualche vantaggio; perché le ha insegnato ad amare, il che non han fatto questi signori al suo cortegiano -. Allora l'Unico Aretino, - Ben è conveniente, - disse, - insegnar alle donne lo amare, perché rare volte ho io veduto alcuna che far lo sappia; ché quasi sempre tutte accompagnano la lor bellezza con la crudeltà ed ingratitudine verso quelli che piú fidelmente le serveno e che per nobilità, gentilezza e virtù meritariano premio de' loro amori; e spesso poi si dànno in preda ad omini sciocchissimi e vili e da poco, e che non solamente non le amano, ma le odiano. Però, per schifar questi cosí enormi errori, forsi era ben insegnare loro prima il far elezione di chi meritasse essere amato, e poi lo amarlo; il che degli omini non è necessario, ché pur troppo per se stessi lo sanno; ed io ne posso esser bon testimonio, perché lo amare a me non fu mai insegnato, se non dalla divina bellezza e divinissimi costumi d'una Signora, talmente che nell'arbitrio mio non è stato il non adorarla, non che ch'io in ciò abbia avuto bisogno d'arte o maestro alcuno; e credo che 'l medesimo intervenga a tutti quelli che amano veramente; però piú tosto si converria insegnar al cortegiano il farsi amare che lo amare.


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Edizione telematica e revisione a cura di: Giuseppe Bonghi, 1999
Edizione HTML e impaginazione a cura di: Giuseppe Bonghi, Aprile 1999
Tratto da: Baldesar Castiglione, Il libro del Cortegiano, a cura di Luigi Preti, Giulio Einaudi Editore, Torino 1965

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Ultimo aggiornamento: 14 aprile, 1999