Baldessar Castiglione
Il Libro del Cortegiano
I.
Leggesi che Pitagora sottilissimamente e con bel modo trovò la misura del corpo d'Ercule; e questo, che sapendosi quel spazio nel quale ogni cinque anni si celebravan i giochi Olimpici in Acaia presso Elide inanzi al tempio di Iove Olimpico esser stato misurato da Ercule, e fatto un stadio di seicento e vinticinque piedi, de' suoi proprii; e gli altri stadi, che per tutta Grecia dai posteri poi furono instituiti, esser medesimamente di seicento e vinticinque piedi, ma con tutto ciò alquanto piú corti di quello, Pitagora facilmente conobbe a quella proporzion quanto il piè d'Ercule fosse stato maggior degli altri piedi umani; e cosí, intesa la misura del piede, a quella comprese tutto 'l corpo d'Ercule tanto esser stato di grandezza superiore agli altri omini proporzionalmente, quanto quel stadio agli altri stadi. Voi adunque, messer Alfonso mio, per la medesima ragione, da questa piccol parte di tutto 'l corpo potete chiaramente conoscer quanto la corte d'Urbino fosse a tutte l'altre della Italia superiore, considerando quanto i giochi, li quali son ritrovati per recrear gli animi affaticati dalle facende piú ardue, fossero a quelli che s'usano nell'altre corti della Italia superiori. E se queste eran tali, imaginate qualin eran poi l'altre operazion virtuose, ov'eran gli animi intenti e totalmente dediti; e di questo io confidentemente ardisco di parlare con speranza d'esser creduto, non laudando cose tanto antiche che mi sia licito fingere, e possendo approvar quant'io ragiono col testimonio de molti omini degni di fede che vivono ancora, e presenzialmente hanno veduto e conosciuto la vita e i costumi che in quella casa fiorirono un tempo; ed io mi tengo obligato, per quanto posso, di sforzarmi con ogni studio vendicar dalla mortal oblivione questa chiara memoria e scrivendo farla vivere negli animi dei posteri. Onde forse per l'avvenire non mancherà chi per questo ancor porti invidia al secol nostro; ché non è alcun che legga le maravigliose cose degli antichi, che nell'animo suo non formi una certa maggior opinion di coloro di chi si scrive, che non pare che possano esprimer quei libri, avvegna che divinamente siano scritti. Cosí noi desideramo che tutti quelli, nelle cui mani verrà questa nostra fatica, se pur mai sarà di tanto favor degna che da nobili cavalieri e valorose donne meriti esser veduta, presumano e per fermo tengano la corte d'Urbino esser stata molto piú eccellente ed ornata d'omini singulari, che noi non potemo scrivendo esprimere; e se in noi fosse tanta eloquenzia, quanto in essi era valore, non aremmo bisogno d'altro testimonio per far che alle parole nostre fosse da quelli che non l'hanno veduto dato piena fede.
II.
Essendosi adunque ridutta il seguente giorno all'ora consueta la compagnia al solito loco e postasi con silenzio a sedere, rivolse ognun gli occhi a messer Federico ed al Magnifico Iuliano, aspettando qual di lor desse principio a ragionare. Onde la signora Duchessa, essendo stata alquanto cheta, - Signor Magnifico, - disse, - ognun desidera veder questa vostra donna ben ornata; e se non ce la mostrate di tal modo che le sue bellezze tutte si veggano, estimaremo che ne siate geloso -. Rispose il Magnifico: - Signora, se io la tenessi per bella, la mostrarei senza altri ornamenti e di quel modo che volse veder Paris le tre dee; ma se queste donne, che pur lo san fare, non m'aiutano ad acconciarla, io dubito che non solamente il signor Gasparo e 'l Frigio, ma tutti quest'altri signori aranno giusta causa di dirne male. Però, mentre che ella sta pur in qualche opinion di bellezza, forse sarà meglio tenerla occulta e veder quello che avanza a messer Federico a dir del cortegiano, che senza dubbio è molto piú bello che non po esser la mia donna. - Quello ch'io mi avea posto in animo, - rispose messer Federico, - non è tanto appertenente al cortegiano, che non si possa lassar senza danno alcuno; anzi è quasi diversa materia da quella che sin qui s'è ragionata. - E che cosa è egli adunque? - disse la signora Duchessa. Rispose messer Federico: - io m'era deliberato, per quanto poteva, dichiarir le cause de queste compagnie ed ordini de cavalieri fatti da gran príncipi sotto diverse insegne, com'è quel di San Michele nella casa di Francia; quel del Gartier, che è sotto il nome di San Georgio, nella casa d'Inghilterra; il Toison d'oro in quella di Borgogna; ed in che modo si diano queste dignità e come se ne privino quelli che lo meritano; onde siano nate, chi ne sian stati gli autori ed a che fine l'abbiano instituite; perché pur nelle gran corti son questi cavalieri sempre onorati. Pensavo ancor, se 'l tempo mi fosse bastato, oltre alla diversità de' costumi che s'usano nelle corti de' príncipi cristiani nel servirgli, nel festeggiare e farsi vedere nei spettaculi publici, parlar medesimamente qualche cosa di quella del Gran Turco, ma molto piú particularmente di quella del Sofi re di Persia; ché, avendo io inteso da mercatanti che lungamente son stati in quel paese, gli omini nobili di là esser molto valorosi e di gentil costumi ed usar nel conversar l'un con l'altro, nel servir donne, ed in tutte le sue azioni molta cortesia e molta discrezione e, quando occorre, nell'arme, nei giochi e nelle feste molta grandezza, molta liberalità e leggiadria, sonomi dilettato di saper quali siano in queste cose i modi di che essi piú s'apprezzano, in che consisteno le lor pompe ed attillature d'abiti e d'arme; in che siano da noi diversi ed in che conformi; che manera d'intertenimenti usino le lor donne, e con quanta modestia favoriscano chi le serve per amore. Ma invero non è ora conveniente entrar in questo ragionamento, essendovi massimamente altro che dire, e molto piú al nostro proposito che questo -.
III.
- Anzi, - disse il signor Gasparo, - e questo e molte altre cose son piú al proposito che 'l formar questa donna di palazzo, atteso che le medesime regule che son date per lo cortegiano, servono ancor alla donna; perché cosí deve ella aver rispetto ai tempi e lochi ed osservar, per quanto comporta la sua imbecillità, tutti quegli altri modi di che tanto s'è ragionato, come il cortegiano. E però in loco di questo non sarebbe forse stato male insegnar qualche particularità di quelle che appartengono al servizio della persona del principe, ché pur al cortegian si convien saperle ed aver grazia in farle; o veramente dir del modo che s'abbia a tener negli esercizi del corpo e come cavalcare, maneggiar l'arme, lottare ed in che consiste la difficultà di queste operazioni -. Disse allor la signora Duchessa ridendo: - I signori non si servono alla persona di cosí eccellente cortegiano, come è questo: gli esercizi poi del corpo e forze e destrezze della persona lassaremo che messer Pietro Monte nostro abbia cura d'insegnar, quando gli parerà tempo piú commodo; perché ora il Magnifico non ha da parlar d'altro che di questa donna della qual parmi che voi già cominciate aver paura, e però vorreste farci uscir di proposito -. Rispose il Frigio: - Certo è che impertinente e for di proposito è ora il parlar di donne, restando massimamente ancora che dire del cortegiano, perché non si devria mescolar una cosa con l'altra. - Voi sète in grande errore, - rispose messer Cesare Gonzaga; - perché come corte alcuna, per grande che ella sia, non po aver ornamento o splendore in sé, né allegria senza donne, né cortegiano alcun essere aggraziato, piacevole o ardito, né far mai opera leggiadra di cavalleria, se non mosso dalla pratica e dall'amore e piacer di donne, cosí ancora il ragionar del cortegiano è sempre imperfettissimo, se le donne, interponendovisi, non dànno lor parte di quella grazia, con la quale fanno perfetta ed adornano la cortegiania -. Rise il signor Ottaviano e disse: Eccovi un poco di quell'esca che fa impazzir gli omini -.
IV.
Allor il signor Magnifico, voltatosi alla signora Duchessa, - Signora, - disse, - poiché pur cosí a voi piace, io dirò quello che m'occorre, ma con grandissimo dubbio di non satisfare; e certo molto minor fatica mi saria formar una signora che meritasse esser regina del mondo, che una perfetta cortegiana, perché di questa non so io da chi pigliarne lo esempio; ma della regina non mi bisogneria andar troppo lontano e solamente basteriami imaginar le divine condizioni d'una Signora ch'io conosco e, quelle contemplando, indrizzar tutti i pensier mei ad esprimer chiaramente con le parole quello che molti veggon con gli occhi; e quando altro non potessi, lei nominando solamente arei satisfatto all'obligo mio -. Disse allora la signora Duchessa: - Non uscite dei termini, signor Magnifico, ma attendete all'ordine dato e formate la donna di palazzo, acciò che questa cosí nobil signora abbia chi possa degnamente servirla -. Seguitò il Magnifico: - Io adunque, Signora, acciò che si vegga che i comandamenti vostri possono indurmi a provar di far quello ancora ch'io non so fare, dirò di questa donna eccellente come io la vorrei; e formata ch'io l'averò a modo mio, non potendo poi averne altra, terrolla come mia a guisa di Pigmalione. E perché il signor Gaspar ha detto che le medesime regule che son date per lo cortegiano serveno ancor alla donna, io son di diversa opinione; ché, benché alcune qualità siano communi e cosí necessarie all'omo come alla donna, sono poi alcun'altre che piú si convengono alla donna che all'omo, ed alcune convenienti all'omo dalle quali essa deve in tutto esser aliena. Il medesimo dico degli esercizi del corpo; ma sopra tutto parmi che nei modi, maniere, parole, gesti e portamenti suoi, debba la donna essere molto dissimile dall'omo; perché come ad esso conviene mostrar una certa virilità soda e ferma, cosí alla donna sta ben aver una tenerezza molle e delicata, con maniera in ogni suo movimento di dolcezza feminile, che nell'andar e stare e dir ciò che si voglia sempre la faccia parer donna, senza similitudine alcuna d'omo. Aggiungendo adunque questa avvertenzia alle regule che questi signori hanno insegnato al cortegiano, penso ben che di molte di quelle ella debba potersi servire ed ornarsi d'ottime condizioni, come dice il signor Gaspar; perché molte virtú dell'animo estimo io che siano alla donna necessarie cosí come all'omo; medesimamente la nobilità, il fuggire l'affettazione, l'esser aggraziata da natura in tutte l'operazion sue, l'esser di boni costumi, ingeniosa, prudente, non superba, non invidiosa, non malèdica, non vana, non contenziosa, non inetta, sapersi guadagnar e conservar la grazia della sua signora e de tutti gli altri, far bene ed aggraziatamente gli esercizi che si convengono alle donne. Parmi ben che in lei sia poi piú necessaria la bellezza che nel cortegiano, perché in vero molto manca a quella donna a cui manca la bellezza. Deve ancor esser piú circunspetta ed aver piú riguardo di non dar occasion che di sé si dica male, e far di modo che non solamente non sia macchiata di colpa, ma né anco di suspizione, perché la donna non ha tante vie da diffendersi dalle false calunnie, come ha l'omo. Ma perché il conte Ludovico ha esplicato molto minutamente la principal profession del cortegiano ed ha voluto ch'ella sia quella dell'arme, parmi ancora conveniente dir, secondo il mio giudicio, qual sia quella della donna di palazzo; alla qual cosa quando io averò satisfatto, pensaromi d'esser uscito della maggior parte del mio debito.
V.
Lassando adunque quelle virtú dell'animo che le hanno da esser communi col cortegiano, come la prudenzia, la magnanimità, la continenzia e molte altre; e medesimamente quelle condizioni che si convengono a tutte le donne, come l'esser bona e discreta, il saper governar le facultà del marito e la casa sua e i figlioli quando è maritata, e tutte quelle parti che si richieggono ad una bona madre di famiglia, dico che a quella che vive in corte parmi convenirsi sopra ogni altra cosa una certa affabi1ità piacevole, per la quale sappia gentilmente intertenere ogni sorte d'omo con ragionamenti grati ed onesti, ed accommodati al tempo e loco ed alla qualità di quella persona con cui parlerà, accompagnando coi costumi placidi e modesti e con quella onestà che sempre ha da componer tutte le sue azioni una pronta vivacità d'ingegno, donde si mostri aliena da ogni grosseria; ma con tal maniera di bontà, che si faccia estimar non men pudica, prudente ed umana, che piacevole, arguta e discreta; e però le bisogna tener una certa mediocrità difficile e quasi composta di cose contrarie, e giunger a certi termini a punto, ma non passargli. Non deve adunque questa donna, per volersi far estimar bona ed onesta, esser tanto ritrosa e mostrar tanto d'aborrire e le compagnie e i ragionamenti ancor un poco lascivi, che ritrovandovisi se ne levi; perché facilmente si poria pensar ch'ella fingesse d'esser tanto austera per nascondere di sé quello ch'ella dubitasse che altri potesse risapere; e i costumi cosí selvatichi son sempre odiosi. Non deve tampoco, per mostrar d'esser libera e piacevole, dir parole disoneste, né usar una certa domestichezza intemperata e senza freno e modi da far creder di sé quello che forse non è; ma ritrovandosi a tai ragionamenti, deve ascoltargli con un poco di rossore e vergogna. Medesimamente fuggir un errore, nel quale io ho veduto incorrer molte; che è il dire ed ascoltare volentieri chi dice mal d'altre donne; perché quelle che, udendo narrare modi disonesti d'altre donne, se ne turbano e mostrano non credere, ed estimar quasi un mostro che una donna sia impudica, dànno argumento che, parendo lor quel diffetto tanto enorme, esse non lo commettano; ma quelle che van sempre investigando gli amori dell'altre e gli narrano cosí minutamente e con tanta festa, par che lor n'abbiano invidia e che desiderino che ognun lo sappia, acciò che il medesimo ad esse non sia ascritto per errore; e cosí vengon in certi risi, con certi modi, che fanno testimonio che allor senton sommo piacere. E di qui nasce che gli omini, benché paia che le ascoltino voluntieri, per lo piú delle volte le tengono in mala opinione ed hanno lor pochissimo riguardo, e par loro che da esse con que' modi siano invitati a passar piú avanti, e spesso poi scorrono a termini che dàn loro meritamente infamia ed in ultimo le estimano cosí poco, che non curano il lor commercio, anzi le hanno in fastidio; e, per contrario, non è omo tanto procace ed insolente, che non abbia riverenzia a quelle che sono estimate bone ed oneste; perché quella gravità temperata di sapere e bontà è quasi un scudo contra la insolenzia e bestialità dei prosuntuosi; onde si vede che una parola, un riso, un atto di benivolenzia, per minimo ch'egli sia, d'una donna onesta, è piú apprezzato da ognuno, che tutte le demostrazioni e carezze di quelle che cosí senza riservo mostran poca vergogna; e se non sono impudiche, con que' risi dissoluti, con la loquacità, insolenzia e tai costumi scurili fanno segno d'essere.
VI.
E perché le parole sotto le quali non è subietto di qualche importanzia son vane e puerili, bisogna che la donna di palazzo, oltre al giudicio di conoscere la qualità di colui con cui parla, per intertenerlo gentilmente, abbia notizia di molte cose; e sappia parlando elegger quelle che sono a proposito della condizion di colui con cui parla e sia cauta in non dir talor non volendo parole che lo offendano. Si guardi, laudando se stessa indiscretamente, o vero con l'esser troppo prolissa, non gli generar fastidio. Non vada mescolando nei ragionamenti piacevoli e da ridere cose di gravità, né meno nei gravi facezie e burle. Non mostri inettamente di saper quello che non sa, ma con modestia cerchi d'onorarsi di quello che sa, fuggendo, come s'è detto, l'affettazione in ogni cosa. In questo modo sarà ella ornata de boni costumi e gli esercizi del corpo convenienti a donna farà con suprema grazia e i ragionamenti soi saranno copiosi e pieni di prudenzia, onestà e piacevolezza; e cosí sarà essa non solamente amata, ma reverita da tutto 'l mondo e forse degna d'esser agguagliata a questo gran cortegiano, cosí delle condizioni dell'animo come di quelle del corpo -.
VII.
Avendo insin qui detto, il Magnifico si tacque e stette sopra di sé, quasi come avesse posto fine al suo ragionamento. Disse allor il signor Gasparo: - Voi avete veramente, signor Magnifico, molto adornata questa donna e fattola di eccellente condizione; nientedimeno parmi che vi siate tenuto assai al generale e nominato in lei alcune cose tanto grandi, che credo vi siate vergognato di chiarirle; e piú presto le avete desiderate, a guisa di quelli che bramano talor cose impossibili e sopranaturali, che insegnate. Però vorrei che ci dichiariste un poco meglio quai siano gli esercizi del corpo convenienti a donna di palazzo, e di che modo ella debba intertenere, e quai sian queste molte cose di che voi dite che le si conviene aver notizia; e se la prudenzia, la magnanimità, la continenzia e quelle molte altre virtú che avete detto, intendete che abbiano ad aiutarla solamente circa il governo della casa, dei figlioli e della famiglia (il che però voi non volete che sia la sua prima professione), o veramente allo intertenere e far aggraziatamente questi esercizi del corpo; e per vostra fé guardate a non mettere queste povere virtú a cosí vile officio, che abbiano da vergognarsene -. Rise il Magnifico e disse: - Pur non potete far, signor Gasparo, che non mostriate mal animo verso le donne; ma in vero a me pareva aver detto assai, e massimamente presso a tali auditori; ché non penso già che sia alcun qui che non conosca che, circa gli esercizi del corpo, alla donna non si convien armeggiare, cavalcare, giocare alla palla, lottare e molte altre cose che si convengono agli omini -. Disse allora l'Unico Aretino: - Appresso gli antichi s'usava che le donne lottavano nude con gli omini; ma noi avemo perduta questa bona usanza insieme con molt'altre -. Suggiunse messer Cesare Gonzaga: - Ed io a' mei dí ho veduto donne giocare alla palla, maneggiar l'arme, cavalcare, andar a caccia e far quasi tutti gli esercizi che possa fare un cavaliero -.
VIII.
Rispose il Magnifico: - Poich'io posso formar questa donna a modo mio, non solamente non voglio ch'ella usi questi esercizi virili cosí robusti ed asperi, ma voglio che quegli ancora che son convenienti a donna faccia con riguardo, e con quella molle delicatura che avemo detto convenirsele; e però nel danzar non vorrei vederla usar movimenti troppo gagliardi e sforzati, né meno nel cantar o sonar quelle diminuzioni forti e replicate, che mostrano piú arte che dolcezza; medesimamente gli instrumenti di musica che ella usa, secondo me, debbono esser conformi a questa intenzione. Imaginatevi come disgraziata cosa saria veder una donna sonare tamburri, piffari o trombe, o altri tali instrumenti; e questo perché la loro asprezza nasconde e leva quella soave mansuetudine, che tanto adorna ogni atto che faccia la donna. Però quando ella viene a danzar o a far musica di che sorte si sia, deve indurvisi con lassarsene alquanto pregare e con una certa timidità, che mostri quella nobile vergogna che è contraria della impudenzia. Deve ancor accommodar gli abiti a questa intenzione e vestirsi di sorte, che non paia vana e leggera. Ma perché alle donne è licito e debito aver piú cura della bellezza che agli omini e diverse sorti sono di bellezza, deve questa donna aver iudicio di conoscer quai sono quegli abiti che le accrescon grazia e piú accommodati a quelli esercizi ch'ella intende di fare in quel punto, e di quelli servirsi; e conoscendo in sé una bellezza vaga ed allegra, deve aiutarla coi movimenti, con le parole e con gli abiti, che tutti tendano allo allegro; cosí come un'altra, che si senta aver maniera mansueta e grave, deve ancor accompagnarla con modi di quella sorte, per accrescer quello che è dono della natura. Cosí, essendo un poco piú grassa o piú magra del ragionevole, o bianca o bruna, aiutarsi con gli abiti, ma dissimulatamente piú che sia possibile; e tenendosi delicata e polita, mostrar sempre di non mettervi studio o diligenzia alcuna.
IX.
E perché il signor Gasparo dimanda ancor quai siano queste molte cose di che ella deve aver notizia, e di che modo intertenere, e se le virtú deono servire a questo intertenimento, dico che voglio che ella abbia cognizion de ciò che questi signori hanno voluto che sappia il cortegiano; e de quelli esercizi che avemo detto che a lei non si convengono, voglio che ella n'abbia almen quel giudicio che possono aver delle cose coloro che non le oprano; e questo per saper laudare ed apprezzar i cavalieri piú e meno, secondo i meriti. E per replicar in parte con poche parole quello che già s'è detto, voglio che questa donna abbia notizie di lettere, di musica, di pittura e sappia danzar e festeggiare; accompagnando con quella discreta modestia e col dar bona opinion di sé ancora le altre avvertenze che son state insegnate al cortegiano. E cosí sarà nel conversare, nel ridere, nel giocare, nel motteggiare, in somma in ogni cosa graziatissima; ed intertenerà accommodatamente e con motti e facezie convenienti a lei ogni persona che le occorrerà. E benché la continenzia, la magnanimità, la temperanzia, la fortezza d'animo, la prudenzia e le altre virtú paia che non importino allo intertenere, io voglio che di tutte sia ornata, non tanto per lo intertenere, benché però ancor a questo possono servire, quanto per esser virtuosa ed acciò che queste virtú la faccian tale, che meriti esser onorata e che ogni sua operazion sia di quelle composta -.
X.
- Maravigliomi pur, - disse allora ridendo il signor Gaspar, - che poiché date alle donne e le lettere e la continenzia e la magnanimità e la temperanzia, che non vogliate ancor che esse governino le città e faccian le leggi e conducano gli eserciti; e gli omini si stiano in cucina o a filare -. Rispose il Magnifico, pur ridendo: - Forse che questo ancora non sarebbe male; - poi suggiunse: - Non sapete voi che Platone, il quale in vero non era molto amico delle donne, dà loro la custodia della città e tutti gli altri offici marziali dà agli omini? Non credete voi che molte se ne trovassero, che saprebbon cosí ben governar le città e gli eserciti, come si faccian gli omini? Ma io non ho lor dati questi offici, perché formo una donna di palazzo, non una regina. Conosco ben che voi vorreste tacitamente rinovar quella falsa calunnia, che ieri diede il signor Ottaviano alle donne: cioè che siano animali imperfettissimi e non capaci di far atto alcun virtuoso, e di pochissimo valore e di niuna dignità a rispetto degli omini; ma in vero ed esso e voi sareste in grandissimo errore, se pensaste questo -.
XI.
Disse allora il signor Gaspar: - Io non voglio rinovar le cose già dette, ma voi ben vorreste indurmi a dir qualche parola che offendesse l'animo di queste signore, per farmele nemiche, cosí come voi col lusingarle falsamente volete guadagnar la loro grazia. Ma esse sono tanto discrete sopra le altre, che amano piú la verità, ancora che non sia tanto in suo favore, che le laudi false; né hanno a male, che altri dica che gli omini siano di maggior dignità, e confessaranno che voi avete detto gran miraculi ed attribuito alla donna di palazzo alcune impossibilità ridicule e tante virtú, che Socrate e Catone e tutti i filosofi del mondo vi sono per niente; ché, a dir pur il vero, maravigliomi che non abbiate avuto vergogna a passar i termini di tanto. Ché ben bastar vi dovea far questa donna di palazzo bella, discreta, onesta, affabile e che sapesse intertenere senza incorrere in infamia con danze, musiche, giochi, risi, motti e l'altre cose che ogni dí vedemo che s'usano in corte; ma il volerle dar cognizion di tutte le cose del mondo ed attribuirle quelle virtú che cosí rare volte si son vedute negli omini, ancora nei seculi passati, è una cosa che né supportare né a pena ascoltare si po. Che le donne siano mo animali imperfetti e per conseguente di minor dignità che gli omini e non capaci di quelle virtú che sono essi, non voglio io altrimenti affirmare, perché il valor di queste signore bastaria a farmi mentire; dico ben che omini sapientissimi hanno lassato scritto che la natura, perciò che sempre intende e disegna far le cose piú perfette, se potesse, produria continuamente omini; e quando nasce una donna, è diffetto o error della natura e contra quello che essa vorrebbe fare. Come si vede ancor d'uno che nasce cieco, zoppo, o con qualche altro mancamento e negli arbori molti frutti che non maturano mai, cosí la donna si po dire animal produtto a sorte e per caso; e che questo sia, vedete l'operazion dell'omo e della donna e da quelle pigliate argumento della perfezion dell'uno e dell'altro. Nientedimeno essendo questi diffetti delle donne colpa di natura che l'ha produtte tali, non devemo per questo odiarle, né mancar di aver loro quel rispetto che vi si conviene; ma estimarle da piú di quello che elle si siano, parmi error manifesto -.
XII.
Aspettava il Magnifico Iuliano che 'l signor Gasparo seguitasse piú oltre; ma vedendo che già tacea, disse: - Della imperfezion delle donne parmi che abbiate addutto una freddissima ragione; alla quale, benché non si convenga forse ora entrar in queste suttilità, rispondo secondo il parere di chi sa e secondo la verità che la sustanzia in qualsivoglia cosa non po in sé ricevere il piú o il meno; ché, come niun sasso po esser piú perfettamente sasso che un altro quanto alla essenzia del sasso, né un legno piú perfettamente legno che l'altro, cosí un omo non po essere piú perfettamente omo che l'altro, e conseguentemente non sarà il maschio piú perfetto che la femina, quanto alla sustanzia sua formale, perché l'uno e l'altro si comprende sotto la specie dell'omo e quello in che l'uno dall'altro son differenti è cosa accidentale e non essenziale. Se mi direte adunque che l'omo sia piú perfetto che la donna, se non quanto alla essenzia, almen quanto agli accidenti, rispondo che questi accidenti bisogna che consistano o nel corpo o nell'animo; se nel corpo, per esser l'omo piú robusto, piú agile, piú leggero, o piú tollerante di fatiche, dico che questo è argumento di pochissima perfezione, perché tra gli omini medesimi quelli che hanno queste qualità piú che gli altri non son per quelle piú estimati; e nelle guerre, dove son la maggior parte delle opere laboriose e di forza, i piú gagliardi non son però i piú pregiati; se nell'animo, dico che tutte le cose che possono intender gli omini, le medesime possono intendere anche le donne; e dove penetra l'intelletto dell'uno, po penetrare eziandio quello dell'altra -.
XIII.
Quivi avendo il Magnifico Iuliano fatto un poco di pausa, suggiunse ridendo: - Non sapete voi che in filosofia si tiene questa proposizione, che quelli che sono molli di carne sono atti della mente? perciò non è dubbio che le donne, per esser piú molli di carne, sono ancor piú atte della mente e de ingegno piú accommodato alle speculazioni che gli omini -. Poi seguitò: - Ma lassando questo, perché voi diceste ch'io pigliassi argumento della perfezion dell'un e dell'altro dalle opere, dico, se voi considerate gli effetti della natura, trovarete ch'ella produce le donne tali come sono, non a caso, ma accommodate al fine necessario; ché, benché le faccia del corpo non gagliarde e di animo placido, con molte altre qualità contrarie a quelle degli omini, pur le condizioni dell'uno e dell'altro tendono ad un sol fine concernente alla medesima utilità. Ché secondo che per quella debole fievolezza le donne son men animose, per la medesima sono ancor poi piú caute; però le madri nutriscono i figlioli, i padri gli ammaestrano e con la fortezza acquistano di fori quello, che esse con la sedulità conservano in casa, che non è minor laude. Se considerarete poi l'istorie antiche (benché gli omini sempre siano stati parcissimi nello scrivere le laudi delle donne) e le moderne, trovarete che continuamente la virtú è stata tra le donne cosí come tra gli omini; e che ancor sonosi trovate di quelle che hanno mosso delle guerre e conseguitone gloriose vittorie; governato i regni con somma prudenzia e giustizia e fatto tutto quello che s'abbian fatto gli omini. Circa le scienzie, non vi ricorda aver letto di tante che hanno saputo filosofia? altre che sono state eccellentissime in poesia? altre che han trattato le cause ed accusato e diffeso inanti ai giudici eloquentissimamente? Dell'opere manuali saria lungo narrare, né di ciò bisogna far testimonio. Se adunque nella sustanzia essenziale l'omo non è piú perfetto della donna, né meno negli accidenti (e di questo, oltre la ragione, veggonsi gli effetti), non so in che consista questa sua perfezione.
XIV.
E perché voi diceste che intento della natura è sempre di produr le cose piú perfette e però, s'ella potesse, sempre produria l'omo, e che il produr la donna è piú presto errore o diffetto della natura che intenzione, rispondo che questo totalmente si nega; né so come possiate dire che la natura non intenda produr le donne, senza le quali la specie umana conservar non si po, di che piú che d'ogni altra cosa è desiderosa essa natura. Perciò col mezzo di questa compagnia di maschio e di femina produce i figlioli, i quali rendono i benefici ricevuti in puerizia ai padri già vecchi, perché gli nutriscono, poi gli rinovano col generar essi ancor altri figlioli, dai quali aspettano in vecchiezza ricever quello, che essendo giovani ai padri hanno prestato; onde la natura, quasi tornando in circulo, adempie la eternità ed in tal modo dona la immortalità ai mortali. Essendo adunque a questo tanto necessaria la donna quanto l'omo, non vedo per qual causa l'una sia fatta a caso piú che l'altro. È ben vero che la natura intende sempre produr le cose piú perfette e però intende produr l'omo in specie sua, ma non piú maschio che femina; anzi, se sempre producesse maschio, faria una imperfezione; perché come del corpo e dell'anima risulta un composito piú nobile che le sue parti, che è l'omo, cosí della compagnia di maschio e di femina risulta un composito conservativo della specie umaria, senza il quale le parti si destruiriano. E però maschio e femina da natura son sempre insieme, né po esser l'un senza l'altro; cosí quello non si dee chiamar maschio che non ha la femina, secondo la diffinizione dell'uno e dell'altro; né femina quella che non ha maschio. E perché un sesso solo dimostra imperfezione, attribuiscono gli antichi teologi l'uno e l'altro a Dio: onde Orfeo disse che Iove era maschio e femina; e leggesi nella Sacra Scrittura che Dio formò gli omini maschio e femina a sua similitudine, e spesso i poeti, parlando dei dèi, confondono il sesso -.
XV.
Allora il signor Gasparo, - Io non vorrei, - disse, - che noi entrassimo in tali suttilità, perché queste donne non c'intenderanno; e benché io vi risponda con ottime ragioni, esse crederanno, o almen mostraranno di credere, ch'io abbia il torto, e súbito daranno la sentenzia a suo modo. Pur, poiché noi vi siamo entrati, dirò questo solo che, come sapete essere opinion d'omini sapientissimi, l'omo s'assimiglia alla forma, la donna alla materia; e però, cosí come la forma è piú perfetta che la materia, anzi le dà l'essere, cosí l'omo è piú perfetto assai che la donna. E ricordomi aver già udito che un gran filosofo in certi suoi Problemi dice: "Onde è che naturalmente la donna ama sempre quell'omo che è stato il primo a ricever da lei amorosi piaceri? e per contrario l'omo ha in odio quella donna che è stata la prima a congiungersi in tal modo con lui?" e suggiungendo la causa afferma, questo essere perché in tal atto la donna riceve dall'omo perfezione e l'omo dalla donna imperfezione; e però ognun ama naturalmente quella cosa che lo fa perfetto ed odia quella che lo fa imperfetto. Ed oltre a ciò grande argumento della perfezion dell'omo e della imperfezion della donna è che universalmente ogni donna desidera esser omo, per un certo instinto di natura, che le insegna desiderar la sua perfezione -.
XVI.
Rispose súbito il Magnifico Iuliano: - Le meschine non desiderano l'esser omo per farsi piú perfette, ma per aver libertà e fuggir quel dominio che gli omini si hanno vendicato sopra esse per sua propria autorità. E la similitudine che voi date della materia e forma non si confà in ogni cosa; perché non cosí è fatta perfetta la donna dall'omo, come la materia dalla forma; perché la materia riceve l'essere dalla forma e senza essa star non po, anzi quanto piú di materia hanno le forme, tanto piú hanno d'imperfezione, e separate da essa son perfettissime; ma la donna non riceve lo essere dall'omo, anzi cosí come essa è fatta perfetta da lui, essa ancor fa perfetto lui; onde l'una e l'altro insieme vengono a generare, la qual cosa far non possono alcun di loro per se stessi. La causa poi dell'amor perpetuo della donna verso 'l primo con cui sia stata e dell'odio dell'omo verso la prima donna, non darò io già a quello che dà il vostro filosofo ne' suoi Problemi, ma alla fermezza e stabilità della donna ed alla instabilità dell'omo; né senza ragion naturale, perché essendo il maschio calido, naturalmente da quella qualità piglia la leggerezza, il moto e la instabilità; e, per contrario, la donna dalla frigidità, la quiete e gravità ferma e piú fisse impressioni -.
XVII.
Allora la signora Emilia rivolta al signor Magnifico, - Per amor di Dio, - disse, - uscite una volta di queste vostre "materie" e "forme" e maschi e femine e parlate di modo che siate inteso; perché noi avemo udito e molto ben inteso il male che di noi ha detto el signor Ottaviano e 'l signor Gasparo, ma or non intendemo già in che modo voi ci diffendiate; però questo mi par un uscir di proposito e lassar nell'animo d'ognuno quella mala impressione, che di noi hanno data questi nostri nemici. - Non ci date questo nome, Signora, - rispose il signor Gaspar, - ché piú presto si conviene al signor Magnifico, il qual col dar laudi false alle donne, mostra che per esse non ne sian di vere -. Suggiunse il Magnifico Iuliano: - Non dubitate, Signora, che al tutto si risponderà; ma io non voglio dir villania agli omini cosí senza ragione, come hanno fatto essi alle donne; e se per sorte qui fusse alcuno che scrivesse i nostri ragionamenti, non vorrei che poi in loco dove fossero intese queste "materie" e "forme", si vedessero senza risposta gli argomenti e le ragioni che 'l signor Gaspar contra di voi adduce. - Non so, signor Magnifico, - disse allora il signor Gasparo, - come in questo negar potrete che l'omo per le qualità naturali non sia piú perfetto che la donna, la quale è frigida di sua complessione, e l'omo calido; e molto piú nobile e piú perfetto è il caldo che 'l freddo, per essere attivo e produttivo; e, come sapete, i cieli qua giú tra noi infondono il caldo solamente e non il freddo, il quale non entra nelle opere della natura; e però lo esser le donne frigide di complessione credo che sia causa della viltà e timidità loro.
XVIII.
- Ancor volete, - rispose il Magnifico Iuliano, - pur entrare nelle sottilità; ma vederete che ogni volta peggio ve n'avverrà: e che cosí sia, udite. Io vi confesso che la calidità in sé è piú perfetta che la frigidità; ma questo non séguita nelle cose miste e composite perché, se cosí fusse, quel corpo che piú caldo fusse, quel saria piú perfetto; il che è falso, perché i corpi temperati sono perfettissimi. Dicovi ancora che la donna è di complession frigida in comparazion dell'omo, il quale per troppo caldo è distante dal temperamento; ma, quanto in sé, è temperata, o almen piú propinqua al temperamento che non è l'omo, perché ha in sé quell'umido proporzionato al calor naturale che nell'uomo per la troppa siccità piú presto se risolve e si consuma. Ha ancor una tal frigidità che resiste e conforta il calor naturale e lo fa piú vicino al temperamento; e nell'omo il superfluo caldo presto riduce il calor naturale all'ultimo grado, il quale, mancandoli il nutrimento, pur si risolve; e però, perché gli omini nel generar si diseccano piú che le donne, spesso interviene che son meno vivaci che esse; onde questa perfezione ancor si po attribuire alle donne che, vivendo piú lungamente che gli omini, eseguiscono piú quello che è intento della natura, che gli omini. Del calore che infundono i cieli sopra noi non si parla ora, perché è equivoco a quello di che ragioniamo; ché essendo conservativo di tutte le cose che son sotto 'l globo della luna, cosí calde come fredde, non po esser contrario al freddo. Ma la timidità nelle donne, avvegna che dimostri qualche imperfezione, nasce però da laudabil causa, che è la sottilità e prontezza dei spiriti, i quali rappresentano tosto le specie allo intelletto e però si perturbano facilmente per le cose estrinseche. Vederete ben molte volte alcuni, che non hanno paura né di morte né d'altro, né con tutto ciò si possono chiamare arditi, perché non conoscono il periculo e vanno come insensati dove vedeno la strada e non pensano piú; e questo procede da una certa grossezza di spiriti ottusi; però non si po dire che un pazzo sia animoso, ma la vera magnanimità viene da una propria deliberazione e determinata voluntà di far cosí e da estimare piú l'onore e 'l debito che tutti i pericoli del mondo; e benché si conosca la morte manifesta, esser di core e d'animo tanto saldo, che i sentimenti non restino impediti né si spaventino, ma faccian l'officio loro circa il discorrere e pensare, cosí come se fossero quietissimi. Di questa sorte avemo veduto ed inteso esser molti grandi omini; medesimamente molte donne, le quali e negli antichi seculi e nei presenti hanno mostrato grandezza d'animo e fatto al mondo effetti degni d'infinita laude, non men che s'abbian fatto gli omini -.
XIX.
Allor il Frigio, - Quelli effetti, - disse, - cominciarono quando la prima donna errando fece altrui errar contra Dio e per eredità lassò all'umana generazion la morte, gli affanni e i dolori e tutte le miserie e calamità, che oggidí al mondo si sentono -. Rispose il Magnifico Iuliano: - Poiché nella sacrestia ancor vi giova d'entrare, non sapete voi che quello error medesimamente fu corretto da una Donna, che ci apportò molto maggior utilità che quella non v'avea fatto danno, di modo che la colpa che fu pagata con tai meriti si chiama felicissima? Ma io non voglio or dirvi quanto di dignità tutte le creature umane siano inferiori alla Vergine Nostra Signora, per non mescolar le cose divine in questi nostri folli ragionamenti; né raccontar quante donne con infinita constanzia s'abbiano lassato crudelmente ammazzare dai tiranni per lo nome di Cristo, né quelle che con scienzia disputando hanno confuso tanti idolatri: e se mi diceste che questo era miracolo e grazia dello Spirito Santo, dico che niuna virtú merita piú laude, che quella che è approvata per testimonio de Dio. Molte altre ancor, delle quali tanto non si ragiona, da voi stesso potete vedere, massimamente legendo san Ieronimo, che alcune de' suoi tempi celebra con tante maravigliose laudi, che ben poriano bastar a qualsivoglia santissimo omo.
XX.
Pensate poi quante altre ci sono state delle quali non si fa menzione alcuna, perché le meschine stanno chiuse senza quella pomposa superbia di cercare appresso il vulgo nome di santità, come fanno oggidí molt'omini ippocriti maledetti, i quali, scordati o piú presto facendo poco caso della dottrina di Cristo, che vole che quando l'om digiuna se unga la faccia perché non paia che degiuni e comanda che le orazioni, le elemosine e l'altre bone opere si facciano non in piazza, né in sinagoge, ma in secreto, tanto che la man sinistra non sappia della destra, affermano non esser maggior bene al mondo che 'l dar bon esempio; e cosí, col collo torto e gli occhi bassi, spargendo fama di non voler parlare a donne, né mangiar altro che erbe crude, affumati con le toniche squarciate, gàbbano i semplici; che non si guardan poi da falsar testamenti, mettere inimicizie mortali tra marito e moglie e talor veneno, usar malie, incanti ed ogni sorte de ribalderia; e poi allegano una certa autorità di suo capo che dice "Si non caste, tamen caute"; e par loro con questa medicare ogni gran male e con bona ragione persuadere a chi non è ben cauto che tutti i peccati, per gravi che siano, facilmente perdona Idio, purché stiano secreti e non ne nasca il mal esempio. Cosí, con un velo di santità e con questa secretezza, spesso tutti i lor pensieri volgono a contaminare il casto animo di qualche donna; spesso a seminare odii tra fratelli, a governar stati, estollere l'uno e deprimer l'altro, far decapitare, incarcerare e proscrivere omini, esser ministri delle scelerità e quasi depositari delle rubbarie che fanno molti príncipi. Altri senza vergogna si dilettano d'apparer morbidi e freschi, con la cotica ben rasa e ben vestiti; ed alzano nel passeggiar la tonica per mostrar le calze tirate 2 e la disposizion della persona nel far le riverenzie. Altri usano certi sguardi e movimenti ancor nel celebrar la messa, per i quali presumeno essere aggraziati e farsi mirare. Malvagi e scelerati omini, alienissimi non solamente dalla religione, ma d'ogni bon costume; e quando la lor vita dissoluta è lor rimproverata, si fanno beffe e ridonsi di chi lor ne parla e quasi si ascrivono i vicii a laude -. Allora la signora Emilia: - Tanto piacer, - disse, - avete di dir mal de' frati, che for d'ogni proposito siete entrato in questo ragionamento. Ma voi fate grandissimo male a mormorar dei religiosi e senza utilità alcuna vi caricate la coscienzia; ché, se non fossero quelli che pregan Dio per noi altri, aremmo ancor molto maggior flagelli che non avemo -. Rise allora il Magnifico Iuliano e disse: - Come avete voi, Signora, cosí ben indovinato ch'io parlava de' frati, non avendo io loro fatto il nome? ma in vero il mio non si chiama mormorare, anzi parlo io ben aperto e chiaramente; né dico dei boni, ma dei malvagi e rei, de' quali ancor non parlo la millesima parte di ciò ch'io so. - Or non parlate de' frati, - rispose la signora Emilia; - ch'io per me estimo grave peccato l'ascoltarvi e però io, per non ascoltarvi, levarommi di qui -.
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Edizione telematica e revisione a cura di: Giuseppe Bonghi, 1999
Edizione HTML e impaginazione a cura di: Giuseppe Bonghi, Aprile 1999
Tratto da: Baldesar Castiglione, Il
libro del Cortegiano, a cura di Luigi Preti, Giulio Einaudi Editore, Torino 1965
© 1999 - by prof. Giuseppe Bonghi
- E-mail: Giuseppe Bonghi - bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 14 aprile, 1999