Baldessar Castiglione
Il Libro del Cortegiano
LXI.
Un'altra sorte è ancor, che chiamiamo "bischizzi"; e questa consiste nel mutare o vero accrescere o minuire una lettera o sillaba, come colui che disse: "Tu dèi esser piú dotto nella lingua "latrina", che nella greca". Ed a voi, Signora, fu scritto nel titulo d'una lettera: "Alla signora Emilia impia". È ancora faceta cosa interporre un verso o piú, pigliandolo in altro proposito che quello che lo piglia l'autore, o qualche altro detto vulgato; talor al medesimo proposito, ma mutando qualche parola; come disse un gentilomo che avea una brutta e despiacevole moglie, essendogli domandato come stava, rispose: "Pensalo tu, ché Furiarum maxima iuxta me cubat". E messer Ieronimo Donato, andando alle Stazioni di Roma la Quadragesima insieme con molti altri gentilomini, s'incontrò in una brigata di belle donne romane, e dicendo uno di quei gentilomini:
Quot coelum stellas, tot habet tua Roma puellas; |
súbito suggiunse:
Pascua quotque haedos, tot habet tua Roma cinaedos, |
mostrando una compagnia di giovani, che dall'altra banda venivano. Disse ancora messer Marc'Antonio dalla Torre al vescovo di Padoa di questo modo: "Essendo un monasterio di donne in Padoa sotto la cura d'un religioso estimato molto di bona vita e dotto, intervenne che 'l padre, praticando nel monasterio domesticamente e confessando spesso le madri, cinque d'esse, che altrettante non ve n'erano, ingravidarono; e scoperta la cosa, il padre volse fuggire e non seppe; il vescovo lo fece pigliare ed esso súbito confessò, per tentazion del diavolo aver ingravidate quelle cinque monache; di modo che monsignor il vescovo era deliberatissimo castigarlo acerbamente. E perché costui era dotto, avea molti amici, i quali tutti fecer prova d'aiutarlo, e con gli altri ancor andò messer Marc'Antonio al vescovo per impetragli qualche perdono. Il vescovo per modo alcuno non gli volea udire; al fine facendo pur essi instanzia, e raccommandando il reo ed escusandolo per la commodità del loco, per la fragilità umana e per molte altre cause, disse il vescovo: "Io non ne voglio far niente, perché di questo ho io a render ragione a Dio"; e replicando essi, disse il vescovo: "Che responderò io a Dio, il dí del giudicio quando mi dirà: Redde rationem villicationis tuae? - rispose allor súbito messer Marc'Antonio: "Monsignor mio, quello che dice lo Evangelio: Domine, quinque talenta tradidisti mihi; ecce alia quinque superlucratus sum. Allora il vescovo non si poté tenere di ridere, e mitigò assai l'ira sua e la pena preparata al malfattore".
LXII.
È medesimamente bello interpretare i nomi e finger qualche cosa, perché colui di chi si parla si chiami cosí, o vero perché una qualche cosa si faccia; come pochi dí sono domandando il Proto da Luca, il qual, come sapete, è molto piacevole, il vescovato di Caglio, il Papa gli rispose: "Non sai tu che "caglio" in lingua spagnola vol dire "taccio" ? e tu sei un cianciatore; però non si converria ad un vescovo non poter mai nominare il suo titulo senza dir bugia; or "caglia" adunque". Quivi diede il Proto una risposta, la quale, ancor che non fosse di questa sorte, non fu però men bella della proposta; ché avendo replicato la domanda sua piú volte e vedendo che non giovava, in ultimo disse: "Padre Santo, se la Santità vostra mi dà questo vescovato, non sarà senza sua utilità, perch'io le lassarò dui officii". "E che offici hai tu da lassare?", disse il Papa. Rispose il Proto: "Io lasserò l'officio grande e quello della Madonna". Allora non poté il Papa, ancor che fosse severissimo, tenersi di ridere. Un altro ancor a Padoa disse che Calfurnio si dimandava cosí, perché solea scaldare i forni. E domandando io un giorno a Fedra perché era, che facendo la Chiesa il Vener santo orazioni non solamente per i cristiani, ma ancor per i pagani e per i giudei, non si facea menzione dei cardinali, come dei vescovi e d'altri prelati, risposemi che i cardinali s'intendevano in quella orazione che dice: Oremus pro haereticis et scismaticis. E 'l conte Ludovico nostro disse che io riprendeva una signora che usava un certo liscio che molto lucea, perché in quel volto, quando era acconcio, cosí vedeva me stesso come nello specchio; e però, per esser brutto, non arei voluto vedermi. Di questo modo fu quello di messer Camillo Palleotto a messer Antonio Porcaro, il qual parlando d'un suo compagno, che confessandosi diceva al sacerdote che digiunava volentieri ed andava alle messe ed agli offici divini e facea tutti i beni del mondo, disse: "Costui in loco d'accusarsi si lauda"; a cui rispose messer Camillo: "Anzi si confessa di queste cose, perché pensa che il farle sia gran peccato". Non vi ricorda come ben disse l'altro giorno il signor Prefetto quando Giovantomaso Galeotto si maravigliava d'un che domandava ducento ducati d'un cavallo? perché, dicendo Giovantomaso che non valeva un quattrino e che, tra gli altri diffetti, fuggiva dall'arme tanto, che non era possibile farglielo accostare, disse il signor Prefetto, volendo riprendere colui di viltà: "Se 'l cavallo ha questa parte di fuggir dall'arme, maravegliomi che egli non ne domandi mille ducati".
LXIII.
Dicesi ancora qualche volta una parola medesima, ma ad altro fin di quello che s'usa. Come essendo il signor Duca per passar un fiume rapidissimo e dicendo ad un trombetta: "Passa", il trombetta si voltò con la berretta in mano e con atto di reverenzia disse: "Passi la Signoria vostra". È ancor piacevol manera di motteggiare, quando l'omo par che pigli le parole e non la sentenzia di colui che ragiona; come quest'anno un Tedesco a Roma, incontrando una sera il nostro messer Filippo Beroaldo, del qual era discipulo, disse: "Domine magister, Deus det vobis bonum sero"; e 'l Beroaldo súbito rispose: "Tibi malum cito". Essendo ancor a tavola col Gran Capitano Diego de Chignones, disse un altro Spagnolo, che pur vi mangiava, per domandar da bere: "Vino"; rispose Diego, "Y no lo conocistes", per mordere colui d'esser marano. Disse ancor messer lacomo Sadoletto al Beroaldo, che affermava voler in ogni modo andare a Bologna: "Che causa v'induce cosí adesso lasciar Roma, dove son tanti piaceri, per andar a Bologna, che tutta è involta nei travagli?" Rispose il Beroaldo: "Per tre conti m'è forza andar a Bologna", e già aveva alzati tre dita della man sinistra per assignar tre cause dell'andata sua; quando messer Iacomo súbito l'interruppe e disse: "Questi tre conti che vi fanno andare a Bologna sono: l'uno il conte Ludovico da San Bonifacio, l'altro il conte Ercole Rangone, il terzo il conte de' Pepoli". Ognun allora rise, perché questi tre conti eran stati discipuli del Beroaldo e bei giovani, e studiavano in Bologna. Di questa sorte di motti adunque assai si ride, perché portan seco risposte contrarie a quello che l'omo aspetta d'udire, e naturalmente dilettaci in tai cose il nostro errore medesimo; dal quale quando ci trovamo ingannati di quello che aspettiamo, ridemo.
LXIV.
Ma i modi del parlare e le figure che hanno grazia nei ragionamenti gravi e severi, quasi sempre ancor stanno ben nelle facezie e giochi. Vedete che le parole contraposte dànno ornamento assai, quando una clausola contraria s'oppone all'altra. Il medesimo modo spesso è facetissimo. Come un Genoese, il quale era molto prodigo nello spendere, essendo ripreso da un usuraio avarissimo che gli disse: "E quando cessarai tu mai di gittar via le tue facultà?", "Allor", rispose, "che tu di robar quelle d'altri". E perché, come già avemo detto, dai lochi donde si cavano facezie che mordono, dai medesimi spesso si possono cavar detti gravi che laudino, per l'uno e l'altro effetto è molto grazioso e gentil modo quando l'omo consente o conferma quello che dice colui che parla, ma lo interpreta altramente di quello che esso intende. Come a questi giorni, dicendo un prete di villa la messa ai suoi populani, dopo l'aver publicato le feste di quella settimana, cominciò in nome del populo la confession generale; e dicendo: "Io ho peccato in mal fare, in mal dire, in mal pensare", e quel che séguita, facendo menzion de tutti i peccati mortali un compare, e molto domestico del prete, per burlarlo disse ai circunstanti: "Siate testimonii tutti di quello che per sua bocca confessa aver fatto perch'io intendo notificarlo al vescovo". Questo medesimo modo usò Sallaza dalla Pedrada per onorar una signora, con la quale parlando, poi che l'ebbe laudata, oltre le virtuose condizioni, ancor di bellezza, ed essa rispostogli che non meritava tal laude, per esser già vecchia, le disse: "Signora, quello che di vecchio avete, non è altro che lo assimigliarvi agli angeli, che furono le prime e piú antiche creature che mai formasse Dio".
LXV.
Molto serveno ancor cosí i detti giocosi per pungere, come i detti gravi per laudare, le metafore bene accomodate, e massimamente se son risposte e se colui che risponde persiste nella medesima metafora detta dall'altro. E di questo modo fu risposto a messer Palla de' Strozzi, il quale, essendo forauscito di Fiorenza e mandandovi un suo per altri negozi, gli disse quasi minacciando: "Dirai da mia parte a Cosimo de' Medici che la gallina cova". Il messo fece l'ambasciata impostagli; e Cosimo, senza pensarvi, súbito gli rispose: "E tu da mia parte dirai a messer Palla che le galline mal possono covar fuor del nido". Con una metafora laudò ancor messer Camillo Porcaro gentilmente il signor Marc'Antonio Colonna; il quale, avendo inteso che messer Camillo in una sua orazione aveva celebrato alcuni signori italiani famosi nell'arme e, tra gli altri, d'esso aveva fatto onoratissima menzione, dopo l'averlo ringraziato. gli disse: "Voi, messer Camillo, avete fatto degli amici vostri quello che de' suoi denari talor fanno alcuni mercatanti, li quali quando si ritrovano aver qualche ducato falso, per spazzarlo pongon quel solo tra molti boni ed in tal modo lo spendeno; cosí voi, per onorarmi, bench'io poco vaglia, m'avete posto in compagnia di cosí virtuosi ed eccellenti signori, ch'io col merito loro forsi passerò per buono". Rispose allor messer Camillo: "Quelli che falsifican li ducati sogliono cosí ben dorarli, che all'occhio paiono molto piú belli che i boni; però se cosí si trovassero alchimisti d'omini, come si trovano de' ducati, ragion sarebbe suspettar che voi foste falso, essendo, come sète, di molto piú bello e lucido metallo, che alcun degli altri". Eccovi che questo loco è commune all'una e l'altra sorte de' motti; e cosí sono molt'altri, dei quali si potrebbon dare infiniti esempi, e massimamente in detti gravi; come quello che disse il Gran Capitano, il quale, essendosi posto a tavola ed essendo già occupati tutti i lochi, vide che in piedi erano restati dui gentilomini italiani i quali avean servito nella guerra molto bene; e súbito esso medesimo si levò e fece levar tutti gli altri e far loco a que' doi e disse: "Lassate sentare a mangiar questi signori, che se essi non fossero stati, noi altri non aremmo ora che mangiare". Disse ancor a Diego Garzia, che lo confortava a levarsi d'un loco pericoloso, dove batteva l'artigliaria: "Dapoi che Dio non ha messo paura nell'animo vostro, non la vogliate voi metter nel mio". E 'l re Luigi, che oggi è re di Francia, essendogli, poco dapoi che fu creato re, detto che allor era il tempo di castigar i suoi nemici, che lo aveano tanto offeso mentre era duca d'Orliens, rispose che non toccava al re di Francia vendicar l'ingiurie fatte al duca d'Orliens.
LXVI.
Si morde ancora spesso facetamente con una certa gravità senza indur riso: come disse Gein Ottomanni, fratello del Gran Turco, essendo pregione in Roma, che 'l giostrare, come noi usiamo in Italia, gli parea troppo per scherzare e poco per far da dovero. E disse, essendogli referito quanto il re Ferrando minore fosse agile e disposto della persona nel correre, saltare, volteggiare e tai cose, che nel suo paese i schiavi facevano questi esercizi, ma i signori imparavano da fanciulli la liberalità e di questa si laudavano. Quasi ancora di tal manera, ma un poco piú ridiculo, fu quello che disse l'arcivescovo di Fiorenza al cardinale Alessandrino, che gli omini non hanno altro che la robba, il corpo e l'anima: la robba è lor posta in travaglio dai iurisconsulti, il corpo dai medici e l'anima dai teologi -. Rispose allor il Magnifico Iuliano: - A questo giunger si potrebbe quello che diceva Nicoletto, cioè che di raro si trova mai iurisconsulto che litighi, né medico che pigli medicina, né teologo che sia bon cristiano -.
LXVII.
Rise messer Bernardo, poi suggiunse: - Di questi sono infiniti esempi, detti da gran signori ed omini gravissimi. Ma ridesi ancora spesso delle comparazioni, come scrisse il nostro Pistoia a Serafino: "Rimanda il valigion che t'assimiglia"; ché, se ben vi ricordate, Serafino s'assimigliava molto ad una valigia. Sono ancora alcuni che si dilettano di comparar omini e donne a cavalli, a cani, ad uccelli e spesso a casse, a scanni, a carri, a candeglieri; il che talor ha grazia, talor è freddissimo. Però in questo bisogna considerare il loco, il tempo, le persone e l'altre cose che già tante volte avemo detto -. Allor il signor Gaspar Pallavicino: - Piacevole comparazione, - disse, - fu quella che fece il signor Giovanni Gonzaga nostro, di Alessandro Magno al signor Alessandro suo figliolo. - Io non lo so - rispose messer Bernardo. Disse il signor Gasparo: - Giocava il signor Giovanni a tre dadi e, come è sua usanza, aveva perduto molti ducati e tuttavia perdea; ed il signor Alessandro suo figliolo, il quale, ancor che sia fanciullo, non gioca men volentieri che 'l padre, stava con molta attenzione mirandolo, e parea tutto tristo. Il Conte di Pianella, che con molti altri gentilomini era presente, disse: "Eccovi, signore, che 'l signor Alessandro sta mal contento della vostra perdita e si strugge aspettando pur che vinciate, per aver qualche cosa di vinta; però cavatilo di questa angonia, e prima che perdiate il resto donategli almen un ducato, acciò che esso ancor possa andare a giocare co' suoi compagni". Disse allor il signor Giovanni: "Voi v'ingannate, perché Alessandro non pensa a cosí piccol cosa; ma, come si scrive che Alessandro Magno, mentre che era fanciullo, intendendo che Filippo suo padre avea vinto una gran battaglia ed acquistato un certo regno, cominciò a piangere, ed essendogli domandato perché piangeva rispose, perché dubitava che suo padre vincerebbe tanto paese, che non lassarebbe che vincere a lui; cosí ora Alessandro mio figliolo si dole e sta per pianger vedendo ch'io suo padre perdo, perché dubita ch'io perda tanto, che non lassi che perder a lui" -.
LXVIII.
E quivi essendosi riso alquanto, suggiunse messer Bernardo: - È ancora da fuggire che 'l motteggiar non sia impio; ché la cosa passa poi al voler esser arguto nel biastemmare e studiare di trovare in ciò novi modi; onde di quello che l'omo merita non solamente biasimo, ma grave castigo, par che ne cerchi gloria; il che è cosa abominevole; e però questi tali, che voglion mostrar di esser faceti con poca reverenzia di Dio, meritano esser cacciati dal consorzio d'ogni gentilomo. Né meno quelli che son osceni e sporchi nel parlare e che in presenzia di donne non hanno rispetto alcuno, e pare che non piglino altro piacer che di farle arrossire di vergogna, e sopra di questo vanno cercando motti ed arguzie. Come quest'anno in Ferrara ad un convito in presenzia di molte gentildonne ritrovandosi un Fiorentino ed un Sanese, i quali per lo piú, come sapete, sono nemici, disse il Sanese per mordere il Fiorentino: "Noi abbiam maritato Siena allo Imperatore ed avemogli dato Fiorenza in dota"; e questo disse, perché di que' dí s'era ragionato ch'e Sanesi avean dato una certa quantità di denari allo Imperatore ed esso aveva tolto la lor protezione. Rispose súbito il Fiorentino: "Siena sarà la prima cavalcata (alla franzese, ma disse il vocabulo italiano); poi la dote si litigherà a bell'aggio". Vedete che il motto fu ingenioso ma, per esser in presenzia di donne, diventò osceno e non conveniente -.
LXIX.
Allora il signor Gaspar Pallavicino, - Le donne, - disse, non hanno piacere di sentir ragionar d'altro; e voi volete levarglielo. Ed io per me sonomi trovato ad arrossirmi di vergogna per parole dettemi da donne, molto piú spesso che da omini. - Di queste tai donne non parlo io, - disse messer Bernardo; - ma di quelle virtuose, che meritano riverenzia ed onore da ogni gentilomo -. Disse il signor Gasparo: - Bisogneria ritrovare una sottil regola per cognoscerle, perché il piú delle volte quelle che sono in apparenzia le migliori in effetto sono il contrario -. Allor messer Bernardo ridendo disse: - Se qui presente non fosse il signor Magnifico nostro, il quale in ogni loco è allegato per protettor delle donne, io pigliarei l'impresa di rispondervi; ma non voglio far ingiuria a lui -. Quiv gnora Emilia, pur ridendo, disse: - Le donne non hanno bisogno di diffensore alcuno contra accusatore di cosí poca autorità; però lasciate pur il signor Gasparo in questa perversa opinione, e nata piú presto dal suo non aver mai trovato donna che l'abbia voluto vedere, che da mancamento alcuno delle donne; e seguitate voi il ragionamento delle facezie -.
Allora messer Bernardo, - Veramente, signora, - disse, - omai parmi aver detto de' molti lochi onde cavar si possono motti arguti, i quali poi hanno tanto piú grazia quanto sono accompagnati da una bella narrazione. Pur ancor molt'altri si potrian dire; come quando, o per accrescere o per minuire, si dicon cose che eccedeno incredibilmente la verisimilitudine; e di questa sorte fu quella che disse Mario da Volterra d'un prelato, che si tenea tanto grand'omo, che quando egli entrava in san Pietro s'abbassava per non dare della testa nell'architravo della porta. Disse ancora il Magnifico nostro qui che Golpino suo servitore era tanto magro e secco, che una mattina, soffiando sott'il foco per accenderlo, era stato portato dal fumo su per lo camino insino alla cima; ed essendosi per sorte traversato ad una di quelle finestrette, aveva aúto tanto di ventura, che non era volato via insieme con esso. Disse ancor messer Augustino Bevazzano che uno avaro, il quale non aveva voluto vendere il grano mentre che era caro, vedendo che poi s'era molto avvilito, per disperazione s'impiccò ad un trave della sua camera; ed avendo un servitor suo sentito il strepito, corse e vide il patron impiccato, e prestamente tagliò la fune e cosí liberollo dalla morte; da poi l'avaro, tornato in sé, volse che quel servitor gli pagasse la sua fune che tagliata gli avea. Di questa sorte pare ancor che sia quello che disse Lorenzo de' Medici ad un buffon freddo: "Non mi faresti ridere, se mi solleticasti". E medesimamente rispose ad un altro sciocco, il quale una mattina l'avea trovato in letto molto tardi, e gli rimproverava il dormir tanto, dicendogli: "Io a quest'ora son stato in Mercato Novo e Vecchio, poi fuor della Porta a san Gallo, intorno alle mura a far esercizio ed ho fatto mill'altre cose; e voi ancor dormite?" Disse allora Lorenzo: "Piú vale quello che ho sognato in un'ora io, che quello che avete fatto in quattro voi".
LXXI.
È ancor bello, quando con una risposta l'omo riprende quello che par che riprendere non voglia. Come il marchese Federico di Mantua, padre della signora Duchessa nostra, essendo a tavola con molti gentilomini, un d'essi, dapoi che ebbe mangiato tutto un minestro, disse: "Signor Marchese, perdonatimi"; e cosí detto, cominciò a sorbire quel brodo che gli era avanzato. Allora il Marchese súbito disse: "Domanda pur perdono ai porci, ché a me non fai tu ingiuria alcuna". Disse ancora messer Nicolò Leonico per tassar un tiranno ch'avea falsamente fama di liberale: "Pensate quanta liberalità regna in costui, che non solamente dona la robba sua, ma ancor l'altrui".
LXXII.
Assai gentil modo di facezie è ancor quello che consiste in una certa dissimulazione, quando si dice una cosa e tacitamente se ne intende un'altra; non dico già di quella manera totalmente contraria, come se ad un nano si dicesse gigante, e ad un negro, bianco; o vero, ad un bruttissimo, bellissimo, perché son troppo manifeste contrarietà, benché queste ancor alcuna volta fanno ridere; ma quando con un parlar severo e grave giocando si dice piacevolmente quello che non s'ha in animo. Come dicendo un gentilomo una espressa bugia a messer Augustin Foglietta ed affermandola con efficacia, perché gli parea pur che esso assai difficilmente la credesse, disse in ultimo messer Augustino: "Gentilomo, se mai spero aver piacer da voi, fatemi tanta grazia che siate contento, ch'io non creda cosa che voi dicate". Replicando pur costui, e con sacramento, esser la verità, in fine disse: "Poiché voi pur cosí volete, io lo crederò per amor vostro, perché in vero io farei ancor maggior cosa per voi". Quasi di questa sorte disse don Giovanni di Cardona d'uno che si voleva partir di Roma: "Al parer mio costui pensa male; perché è tanto scelerato, che stando in Roma ancor col tempo poria esser cardinale". Di questa sorte è ancor quello che disse Alfonso Santa Croce; il qual, avendo avuto poco prima alcuni oltraggi dal Cardinale di Pavia, e passeggiando fuor di Bologna con alcuni gentilomini presso al loco dove si fa la giustizia, e vedendovi un omo poco prima impiccato, se gli rivoltò con un certo aspetto cogitabundo e disse tanto forte che ognun lo sentí: "Beato tu, che non hai che fare col Cardinale di Pavia!"
LXXIII.
E questa sorte di facezie che tiene dell'ironico pare molto conveniente ad omini grandi, perché è grave e salsa e possi usare nelle cose giocose ed ancor nelle severe. Però molti antichi, e dei piú estimati, l'hanno usata, come Catone, Scipione Affricano minore; ma sopra tutti in questa dicesi esser stato eccellente Socrate filosofo, ed a' nostri tempi il re Alfonso Primo d'Aragona; il quale essendo una mattina per mangiare, levossi molte preciose anella che nelli diti avea per non bagnarle nello lavar delle mani e cosí le diede a quello che prima gli occorse, quasi senza mirar chi fusse. Quel servitore pensò che 'l re non avesse posto cura a cui date l'avesse e che, per i pensieri di maggior importanzia, facil cosa fosse che in tutto se lo scordasse; ed in questo piú si confirmò, vedendo che 'l re piú non le ridomandava; e stando giorni e settimane e mesi senza sentirne mai parola, si pensò di certo esser sicuro. E cosí essendo vicino all'anno che questo gli era occorso, un'altra mattina, pur quando il re voleva mangiare, si rappresentò, e porse la mano per pigliar le anella; allora il re, accostatosegli all'orecchio, gli disse: "Bastinti le prime, ché queste saran bone per un altro". Vedete come il motto è salso, ingenioso e grave e degno veramente della magnanimità d'uno Alessandro.
LXXIV.
Simile a questa maniera che tende all'ironico è ancora un altro modo, quando con oneste parole si nomina una cosa viciosa. Come disse il Gran Capitano ad un suo gentilomo, il quale dopo la giornata della Cirignola, e quando le cose già erano in securo, gli venne incontro armato riccamente quanto dir si possa, come apparechiato di combattere; ed allor il Gran Capitano, rivolto a don Ugo di Cardona, disse: "Non abbiate ormai piú paura di tormento di mare, ché santo Ermo è comparito"; e con quella onesta parola lo punse, perché sapete che santo Ermo sempre ai marinari appar dopo la tempesta e dà segno di tranquillità; e cosí volse dire il Gran Capitano che, essendo comparito questo gentilomo, era segno che il pericolo già era in tutto passato. Essendo ancora il signor Ottaviano Ubaldino a Fiorenza in compagnia d'alcuni cittadini di molta autorità, e ragionando di soldati, un di quei gli addimandò se conosceva Antonello da Forlí, il qual allor s'era fuggito dal stato di Fiorenza. Rispose il signor Ottaviano: "Io non lo conosco altrimenti, ma sempre l'ho sentito ricordare per un sollicito soldato"; disse allor un altro Fiorentino: "Vedete come egli è sollicito, che si parte prima che domandi licenzia".
LXXV.
Arguti motti son ancor quelli, quando del parlar proprio del compagno l'omo cava quello che esso non vorria; e di tal modo intendo che rispose il signor Duca nostro a quel castellano che perdé San Leo quando questo stato fu tolto da papa Alessandro e dato al duca Valentino; e fu, che essendo il signor Duca in Venezia in quel tempo ch'io ho detto, venivano di continuo molti de' suoi sudditi a dargli secretamente notizia come passavan le cose del stato; e fra gli altri vennevi ancor questo castellano, il quale, dopo l'aversi escusato il meglio che seppe, dando la colpa alla sua disgrazia, disse: "Signor, non dubitate, ché ancor mi basta l'animo di far di modo, che si potrà ricuperar San Leo". Allor rispose el signor Duca: "Non ti affaticar piú in questo; ché già il perderlo è stato un far di modo, che 'l si possa ricuperare". Son alcun'altri detti quando un omo, conosciuto per ingenioso, dice una cosa che par che proceda da sciocchezza. Come l'altro giorno disse messer Camillo Palleotto d'uno: "Questo pazzo, súbito che ha cominciato ad arricchire, s'è morto". È simile a questo modo una certa dissimulazion salsa ed acuta, quando un omo, come ho detto, prudente, mostra non intender quello che intende. Come disse il marchese Federico de Mantua, il quale, essendo stimulato da un fastidioso, che si lamentava che alcuni suoi vicini con lacci gli pigliavano i colombi della sua colombara e tuttavia in mano ne tenea uno impiccato per un piè insieme col laccio, che cosí morto trovato l'aveva, gli rispose che si provederia. Il fastidioso non solamente una volta ma molte replicando questo suo danno, col mostrar sempre il colombo cosí impiccato, dicea pur: "E che vi par, Signor, che far si debba di questa cosa?" Il Marchese in ultimo, "A me par," disse, "che per niente quel colombo non sia sepellito in chiesa, perché essendosi impiccato da se stesso, è da credere che fosse disperato". Quasi di tal modo fu quel di Scipione Nasica ad Ennio; ché, essendo andato Scipione a casa d'Ennio per parlargli, e chiamandol giú dalla strada, una sua fante gli rispose che egli non era in casa: e Scipione udí manifestamente che Ennio proprio avea detto alla fante che dicesse ch'egli non era in casa: cosí si partí. Non molto appresso venne Ennio a casa di Scipione e pur medesimamente lo chiamava stando da basso; a cui Scipione ad alta voce esso medesimo rispose che non era in casa. Allora Ennio, "Come? non conosco io", rispose, "la voce tua?" Disse Scipione: "Tu sei troppo discortese; l'altro giorno io credetti alla fante tua che tu non fossi in casa e ora tu nol vòi credere a me stesso".
LXXVI.
È ancor bello, quando uno vien morso in quella medesima cosa che esso prima ha morso il compagno; come essendo Alonso Carillo alla corte di Spagna ed avendo commesso alcuni errori giovenili e non di molta importanzia, per comandamento del re fu posto in prigione e quivi lasciato una notte. Il dí seguente ne fu tratto, e cosí, venendo a palazzo la mattina, giunse nella sala dove eran molti cavalieri e dame; e ridendosi di questa sua prigionia, disse la signora Boadilla: "Signor Alonso, a me molto pesava di questa vostra disavventura, perché tutti quelli che vi conoscono pensavan che 'l re dovesse farvi impiccare". Allora Alonso súbito, "Signora", disse, "io ancor ebbi gran paura di questo; pur aveva speranza che voi mi dimandaste per marito". Vedete come questo è acuto ed ingenioso; perché in Spagna, come ancor in molti altri lochi, usanza è che quando si mena uno alle forche, se una meretrice publica l'addimanda per marito, donasegli la vita. Di questo modo rispose ancor Rafaello pittore a dui cardinali suoi domestici, i quali, per farlo dire, tassavano in presenzia sua una tavola che egli avea fatta, dove erano san Pietro e san Paulo, dicendo che quelle due figure eran troppo rosse nel viso. Allora Rafaello súbito disse: "Signori, non vi maravigliate; ché io questi ho fatto a sommo studio, perché è da credere che san Pietro e san Paulo siano, come qui gli vedete, ancor in cielo cosí rossi, per vergogna che la Chiesa sua sia governata da tali omini come siete voi".
LXXVII.
Sono ancor arguti quei motti che hanno in sé una certa nascosa suspizion di ridere, come, lamentandosi un marito molto e piangendo sua moglie, che da se stessa s'era ad un fico impiccata, un altro se gli accostò e, tiratolo per la veste, disse: "Fratello, potrei io per grazia grandissima aver un rametto de quel fico, per inserire in qualche albero dell'orto mio?" Son alcuni altri motti pazienti e detti lentamente con una certa gravità; come, portando un contadino una cassa in spalla, urtò Catone con essa, poi disse: "Guarda". Rispose Catone: "Hai tu altro in spalla che quella cassa?" Ridesi ancor quando un omo, avendo fatto un errore, per remediarlo dice una cosa a sommo studio, che par sciocca, e pur tende a quel fine che esso disegna, e con quella s'aiuta. Come a questi dí, in consiglio di Fiorenza ritrovandosi doi nemici, come spesso interviene in queste republice, l'uno d'essi, il quale era di casa Altoviti, dormiva; e quello che gli sedeva vicino, per ridere, benché 'l suo avversario, che era di casa Alamanni, non parlasse né avesse parlato, toccandolo col cubito lo risvegliò e disse: "Non odi tu ciò che il tale dice? rispondi, ché gli Signori dimandano del parer tuo". Allora l'Altoviti, tutto sonnachioso e senza pensar altro, si levò in piedi e disse: "Signori, io dico tutto il contrario di quello che ha detto l'Alamanni". Rispose l'Alamanni: "Oh, io non ho detto nulla". Súbito disse l'Altoviti: "Di quello che tu dirai". Disse ancor di questo modo maestro Serafino, medico vostro urbinate, ad un contadino, il qual, avendo avuta una gran percossa in un occhio, di sorte che in vero glielo avea cavato, deliberò pur d'andar per rimedio a maestro Serafino; ed esso, vedendolo, benché conoscesse esser impossibile il guarirlo, per cavargli denari delle mani, come quella percossa gli avea cavato l'occhio della testa, gli promise largamente di guarirlo; e cosí ogni dí gli addimandava denari, affermando che fra cinque o sei dí cominciaria a riaver la vista. Il pover contadino gli dava quel poco che aveva; pur, vedendo che la cosa andava in lungo, cominciò a dolersi del medico e dir che non sentiva miglioramento alcuno, né discernea con quello occhio piú che se non l'avesse aúto in capo. In ultimo, vedendo maestro Serafino che poco piú potea trargli di mano, disse: "Fratello mio, bisogna aver pacienzia: tu hai perduto l'occhio, né piú v'è rimedio alcuno; e Dio voglia che tu non perdi anco quell'altro". Udendo questo, il contadino si mise a piangere e dolersi forte e disse: "Maestro, voi m'avete assassinato e rubato i miei denari; io mi lamentarò al signor Duca"; e facea i maggior stridi del mondo. Allora maestro Serafino in collera e per svilupparsi, "Ah villan traditor", disse, "dunque tu ancor vorresti avere dui occhi, come hanno i cittadini e gli omini da bene? vattene in malora": e queste parole accompagnò con tanta furia, che quel povero contadino spaventato si tacque e cheto cheto se n'andò con Dio, credendosi d'aver il torto.
LXXVIII.
È ancor bello quando si dechiara una cosa o si interpreta giocosamente. Come alla corte di Spagna comparendo una mattina a palazzo un cavaliero, il quale era bruttissimo, e la moglie, che era bellissima, l'uno e l'altro vestiti di damasco bianco, disse la Reina ad Alonso Carillo: "Che vi par, Alonso, di questi dui?" "Signora", rispose Alonso, "parmi che questa sia la dama e questo lo asco", che vol dir schifo. Vedendo ancor Rafaello de' Pazzi una lettra del Priore di Messina, che egli scriveva ad una sua signora, il soprascritto della qual dicea: Esta carta s'ha de dar a quien causa mi penar, "Parmi", disse, "Che questa lettera vada a Paolo Tolosa". Pensate come risero i circunstanti, perché ognuno sapea che Paolo Tolosa aveva prestato al Prior dieci mila ducati; ed esso, per esser gran spenditor, non trovava modo di rendergli. A questo è simile quando si dà una ammonizion famigliare in forma di consiglio, pur dissimulatamente. Come disse Cosimo de' Medici ad un suo amico, il qual era assai ricco, ma di non molto sapere, e per mezzo pur di Cosimo aveva ottenuto un officio fuor di Firenze; e dimandando costui nel partir suo a Cosimo, che modo gli parea che egli avesse a tenere per governarsi bene in questo suo officio, Cosimo gli rispose: "Vesti di rosato, e parla poco". Di questa sorte fu quello che disse il conte Ludovico ad uno che volea passar incognito per un certo loco pericoloso e non sapea come travestirsi; ed essendone il Conte addimandato, rispose: "Véstiti da dottore, o di qualche altro abito da savio". Disse ancor Giannotto de' Pazzi ad un che volea far un saio d'arme dei piú diversi colori che sapesse trovare: "Piglia parole ed opre del Cardinale di Pavia".
LXXIX.
Ridesi ancor d'alcune cose discrepanti; come disse uno l'altro giorno a messer Antonio Rizzo d'un certo Forlivese: "Pensate s'è pazzo, che ha nome Bartolomeo". Ed un altro: "Tu cerchi un maestro Stalla, e non hai cavalli"; ed, "A costui non manca però altro che la robba e 'l cervello". E d'alcun'altre che paion consentanee; come, a questi dí, essendo stato suspizione che uno amico nostro avesse fatto fare una renunzia falsa d'un beneficio, essendo poi malato un altro prete, disse Antonio Torello a quel tale: "Che stai tu a far, che non mandi per quel tuo notaro, e vedi di carpir quest'altro beneficio?" Medesimamente d'alcune che non sono consentanee; come l'altro giorno avendo il Papa mandato per messer Giovan Luca da Pontremolo e per messer Domenico dalla Porta, i quali, come sapete, son tutti dui gobbi, e fattogli Auditori, dicendo voler indrizzare la Rota, disse messer Latin Iuvenale: "Nostro Signore s'inganna, volendo con dui torti indrizzar la Rota".
LXXX.
Ridesi ancor spesso quando l'omo concede quello che se gli dice, ed ancor piú, ma mostra intenderlo altramente. Come, essendo il capitan Peralta già condutto in campo per combattere con Aldana e domandando il capitan Molart, che era patrino d'Aldana, a Peralta il sacramento, s'avea addosso brevi o incanti che lo guardassero da esser ferito, Peralta giurò che non avea addosso né brevi né incanti né reliquie né devozione alcuna in che avesse fede. Allor Molart, per pungerlo che fosse marano, disse "Non vi affaticate in questo, ché senza giurare credo che non abbiate fede né anco in Cristo". È ancor bello usar le metafore a tempo in tai propositi; come il nostro maestro Marco Antonio, che disse a Botton da Cesena, che lo stimulava con parole: "Botton, Bottone, tu sarai un dí il bottone e 'l capestro sarà la fenestrella". Ed avendo ancor maestro Marco Antonio composto una molto lunga comedia e di varii atti, disse il medesimo Botton pur a maestro Marc'Antonio: "A far la vostra comedia bisogneranno per lo apparato quanti legni sono in Schiavonia"; rispose maestro Marc'Antonio: "E per l'apparato della tua tragedia basteran tre solamente".
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Edizione telematica e revisione a cura di: Giuseppe Bonghi, 1999
Edizione HTML e impaginazione a cura di: Giuseppe Bonghi, Aprile 1999
Tratto da: Baldesar Castiglione, Il
libro del Cortegiano, a cura di Luigi Preti, Giulio Einaudi Editore, Torino 1965
© 1999 - by prof. Giuseppe Bonghi
- E-mail: Giuseppe Bonghi - bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 14 aprile, 1999