Italo Svevo
Biografia
a cura di Giovanna Bozzola - Giuseppe Bonghi
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Ettore Schmitz nasce a Trieste il
19 dicembre 1861 da Francesco Schmitz (1828-1892), proprietario di una piccola vetreria e
agito commerciante, ebreo assimilato, e da Allegra Moravia, anche lei di origini ebree,
quinto di otto figli. La famiglia Schmitz era originaria della Renania (dove era nato il
nonno Adolfo, funzionario imperiale austriaco, che aveva sposato Rosa Macerata di
Treviso). La sua infanzia fu felicissima, all'ombra di una madre dal carattere dolcissimo,
che è riuscita a instaurare nella sua famiglia un clima molto sereno, nonostante che il
padre fosse poco incline alle manifestazioni d'affetto e trascorresse molte ore fuori di
casa per il suo lavoro.
Il padre decide per i figli maschi un
futuro come solidi ed esperti uomini d'affari. È per questo che, a dodici anni, Ettore
deve partire per il collegio tedesco di Segnitz, presso Würtzburg, dove resta per cinque
anni, insieme ai fratelli Adolfo ed Elio, per iniziarvi gli studi commerciali ed
apprendere correttamente il tedesco, lingua indispensabile per ogni commerciante
triestino: nel collegio si dava largo spazio allo studio delle materie commerciali e di
ben quattro lingue; così, in pochi mesi, impara la lingua, tanto da essere in grado di
scrivere in questa lingua una tesina filosofica. Ma si appassiona anche alla letteratura
tedesca e agli studi letterari. Legge con entusiasmo i classici tedeschi, il filosofo
Schopenhauer, il poeta Goethe e, in traduzione, Shakespeare e Turgenev. È di questo
periodo il primo amore per una fanciulla, Anna Hertz, la ragazza ricordata ne L'avvenire
dei ricordi.
A diciassette anni, nel 1878, lascia
definitivamente la Germania e torna a Trieste, dove dove viene iscritto all'Istituto
Superiore di Commercio "Pasquale Revoltella", che godeva di grande serietà e
rigore educativo e culturale; ma il giovane Svevo frequenta gli studi senza troppo
entusiasmo. In realtà, le sue aspirazioni segrete sono la letteratura e un viaggio a
Firenze, per apprendere dal vivo la corretta lingua italiana. Ma il progettato viaggio a
Firenze va a monte per l'improvviso tracollo dell'azienda vetraria del padre, la cui
attività subisce un vero e proprio disastro economico, tanto che Ettore deve cercarsi un
lavoro e lo trova presso la sede triestina della Banca Union di Vienna, nella quale
comincia a lavorare il 27 settembre 1880, un lavoro odiato che continuerà per diciotto
anni, compensato in parte dalla lettura dei classici italiani e francesi, con una
particolare predizione per i romanzieri naturalisti, e dalla sua produzione letteraria.
Il problema di una conoscenza più valida
della lingua italiana, comunque, lo accompagnerà per tutta la vita, anche se col passare
degli anni è innegabile il progressivo miglioramento del possesso del mezzo linguistico
non solo come uso grammaticale e sintattico, ma soprattutto come conoscenza delle
sfumature semantiche delle parole, che acquistano una particolare pregnanza in ogni
singolo linguaggio in dipendenza degli usi, dei costumi, della cultura, della letteratura,
ed Ettore Schmitz viveva in una città che aveva un substrato culturale più tedesco (il
territorio era ancora sottomesso a Vienna) che italiano oltread aver ricevuto la prima
educazione scolastica e culturale, come abbiamo visto, a Segnitz.
Nel 1880 comincia la sua produzione
letteraria; scrive alcuni abbozzi di commedie: prima Ariosto governatore, poi Il
primo amore (in marzo), Le roi est mort: vive le Roi! (in luglio), e
successivamente I due poeti. L'anno seguente scrive alcune novelle: Difetto
moderno, La storia dei miei lavori, I tre caratteri, intitolandola poi La gente
superiore, iniziando a collaborare all'Indipendente, quotidiano in lingua
italiana di tendenze irredentiste, diretto da Luigi Cambon e Attilio Ortis, con lo
pseudonimo di E. Samigli, anche se Svevo è soprattutto un cosmopolita tollerante,
grazie anche ai suoi numerosi viaggi di lavoro all'estero, specialmente in Inghilterra: la
collaborazione col giornale si protrarrà fino al 1890.
Nel 1886 perde il fratello prediletto,
Elio; ne soffrirà profondamente, un po' confortato dall'amicizia, basata su una profonda
comprensione reciproca, del pittore diciannovenne Umberto Veruda, conosciuto in quello
stesso periodo. Era legato da una profonda intimità spirituale al fratello, anima
d'artista, che aveva seguito con affetto la sua attività letteraria, e che per primo
aveva creduto nelle sue qualità letterarie espresse in un diario, nel quale registrava
anche tutti i lavori intrapresi, sia quelli smessi che quelli portati a termine.
Nel 1890 appare sull'Indipendente
la novella Una lotta" e, a puntate dal 4 al 13 ottobre, il lungo racconto L'assassinio
di via Belpoggio, nel quale narra la storia di un facchino che uccide con una
coltellata al cuore, e poi deruba di una forte somma, un occasionale compagno di sbornie;
"all'inizio la fa franca,, ma in seguito la stretta del rimorso, l'incertezza e
l'incapacità di assumere cinicamente il ruolo dell'innocente gli fanno commettere una
tale quantità di errori da insospettire chi gli vive accanto, finché viene arrestato e
confessa il delitto". Accanto a una struttura realistica circolare chiusa (nella
quale il finale, l'arresto e la confessione, si ribalta sull'inizio, l'assassinio,
ricomponendo l'elemento iniziale di rottura, che in questo caso è rappresentato dal fatto
che l'assassinio resta impunito) di stampo tipicamente verista e naturalista (si sente
l'influsso di Zola), sentiamo già la presenza dell'analisi e dell'introspezione
psicologica e un atteggiamento mentale proprio della cultura mitteleuropea del tempo, con
Kafka e Musil in primo piano. Per questo possiamo affermare che questo lungo racconto
rappresenta il vero esordio letterario dello scrittore triestino.
Il primo aprile 1892 muore il padre. In
quel frangente rivede, dopo anni, la cugina, ormai diciottenne, figlia dello zio
Gioachino, proprietario di un'industria di pitture antivegetative, Livia Veneziani: tra i
due giovani nasce un tenero affetto. Nello stesso anno, lo scrittore pubblica, presso
l'editore Vram di Trieste, il suo primo romanzo Una vita, con lo pseudonimo di
Italo Svevo, un romanzo non privo di riferimenti autobiografici, come pure i due
successivi, ambientato in larga misura in una banca. In giugno, riceve una lettera di
congratulazioni dallo scrittore tedesco, futuro premio Nobel, Paul Heise. L'opera passa
inosservata, a parte una breve recensione di Domenico Oliva sul "Corriere della
sera" e qualche superficiale articolo sulla stampa triestina.
Il romanzo narra la vicenda di un
impiegato di origini contadine, Alfonso Nitti, che lavora presso la banca Maller di
Trieste, mentre vive a pensione nella squallida casa della famiglia Lanucci; s'innamora
della figlia di Maller, Annetta, volubile col gusto dell'intrigo, un po' infantile. I due
cominciano a scrivere insieme un romanzo e Alfonso riesce a sedurre Annetta con la
complicità di Francesca, governante e amante del vecchio Maller. Ma l'eventualità del
matrimonio, ormai possibile dopo aver vinto la concorrenza del brillante avvocato Macario,
tipo deciso e sicuro di sé, che aspira alla mano di Annetta, lo spaventa e si rifugia in
campagna col pretesto della malattia della madre, che poi trova veramente malata e in fin
di vita. Quando ritorna, Alfonso scopre che Annetta si è fidanzata con Macario; comincia
così una rapida discesa della sua fortuna, mal adattandosi al suo impiego, che viene
ridotto di importanza, fino al punto da fare una scenata al banchiere, monacciandolo; per
questo viene sfidato a duello dal fratello di Annetta, ma prima dello scontro si uccide.
Il fallimento della possibilità del
matrimonio tra Annetta ed Alfonso ubbidisce da un lato al rispetto delle invalicabili
differenze di classe sociale cui i due protagonisti appartengono e dall'altro a motivi
soggettivi che risiedono nello spirito stesso di Alfonso, incerto ed insicuro: sa che la
sua partenza è una rinuncia volontaria, o perlomeno il riconoscimento della sua
incapacità di gestire la situazione nuova che si è venuta a creare dopo la seduzione,
delle sue intime contraddizioni, della sostanziale debolezza nell'affrontare i casi della
vita che vanno al di là della semplice manifestazione fisica e delle apparenze.
Nell'ottobre 1895 muore la madre, mentre
l'affettuosa amicizia con Livia Veneziani è diventata nel frattempo un grande amore, per
cui il 20 dicembre viene festeggiato il loro fidanzamento, che sarà coronato dal
matrimonio celebrato con rito cattolico il 30 luglio 1896 e segna una svolta nella vita
dello scrittore. Felice fu l'unione con Livia, una donna "materna ed energica,
amorosa e fedele, schietta negli affetti quanto energica nel governo domestico".
Svevo andrà ad abitare nella casa dei suoceri, villa Veneziani, continuando a mantenere i
suoi impieghi: la banca (fino al 1899), il lavoro notturno al "Piccolo" (l'altro
quotidiano triestino), dove era incaricato dello spoglio della stampa estera), un lavoro
assai gravoso che lascerà per insegnare corrispondenza commerciale francese e tedesca
all'istituto "Revoltella". Nel settembre 1897 nasce la figlia Letizia e due anni
dopo, lasciando la Banca Union, entra a far parte come impiegato dell'azienda del suocero,
la Moravia Veneziani, migliorando la propria condizione economica,
Dopo una gestazione abbastanza lunga
(aveva cominciato a scriverlo sul finire del 1892), dal 15 giugno al 16 settembre 1898
appare a puntate sull'Indipendente il suo secondo romanzo, Senilità, che
nello stesso anno uscirà in volume in mille copie presso l'editore Vram, sempre a spese
dell'autore. Paul Heise giudicherà negativamente il romanzo, mentre la critica nazionale
lo ignora, come aveva ignorato il primo romanzo, Una vita. Amareggiato, l'autore si
immerge nella lettura di Ibsen, Dostoevskij, Tolstoj, Cechov e, depresso dall'insuccesso,
decide di smettere con la letteratura, dedicandosi attivamente nella ditta del suocero al
lavoro di contabilità e di commercializzazione dei prodotti che intanto stavano
cominciando ad avere un grande successo anche all'estero, anche grazie ai nuovi impianti
voluti da Olga Veneziani, vera matriarca della famiglia.
Così lo stesso Svevo nel suo Profilo
biografico ne riassume la trama: È il racconto dell'avventura amorosa che il
trentenne Emilio Brentani si concede cogliendola di proposito sulle vie di Trieste. Emilio
è un impiegatuccio che gode nei circoli cittadini di una piccola fama letteraria e si
duole di aver sprecato (e di non aver goduto) tanta parte di vita. Vorrebbe vivere come fa
lo scultore Balli, suo amico, che è indennizzato dall'insuccesso artistico da un grande
successo personale, con le donne specialmente. Finora ad Emilio era sembrato di non aver
saputo imitare l'amico, per le grandi responsabilità che su di lui incombevano, la sorte
di una sorella, Amalia, che vive accanto a lui nella stessa inerzia, non più giovane e
affatto bella. Subito la sorella è agitata vedendo che il fratello senza alcun ritegno si
dedica al gioco pericoloso e proibito dell'amore, ma presto si convince in seguito
all'esempio del fratello e alle teorie del Balli, ch'essa fu ingannata a che l'amore
dovrebbe essere il diritto di tutti. Per Emilio, intanto, la piccola avventura cui aveva
voluto abbandonarsi si fa importante proprio in sproporzione al valore morale di
Angiolina. Anzi ogni scoperta di una bassezza o di un tradimento di Angiolina non ha altro
effetto che di legarlo meglio a lei. Egli sente il suo attaccamento e la sua soggezione a
quella donna quale un delitto. Non sapendo imitare il Balli, ne invoca l'aiuto.
L'intervento del Balli tra i due amanti e anche tra il fratello e la sorella ha degli
effetti disastrosi. Tutt'e due le donne si innamorano di lui. Inutilmente Emilio tenta di
allontanarlo da Angiolina, perché costei gli si attacca, ma con facilità l'allontana
dalla sorella che ora dovrebbe ritornare alla sua prima inerzia e invece segretamente si
procura l'oblio con l'etere profumato. Un giorno Emilio trova la sorella nel delirio della
polmonite. Richiama il Balli e i due uomini aiutati da una vicina assistono la moribonda.
Ancora una volta per aver scoperto un nuovo tradimento con Angiolina, Emilio lasdcia sola
la sorella, ma poi ritorna a lei e le resta accanto finché chiude gli occhi. (Italo
Svevo, Profilo autobiografico, in Opera Omnia, III, ed. Dall'Oglio,
Milano 1968).
Ma lontano dalla letteratura non riesce a
stare molto. Nel 1901 iniziano i suoi viaggi d'affari in Europa (Francia e Inghilterra) e
due anni dopo pubblica Un marito, la sua prima commedia di grande impegno. Intanto
nel 1904 muore l'amico pittore Umberto Veruda, modello del tormentato personaggio di Balli
di Senilità.
A causa dei suoi viaggi, è costretto a
imparare l'inglese, e nel 1906 a Trieste conosce James Joyce, giunto a Trieste nel 1903,
che in quegli anni si guadagnava da vivere dando lezioni private alla Berlitz School. Tra
i due nasce una grande amicizia e a una profonda stima reciproca, rafforzata anche dallo
scambio di opinioni letterarie e dalla lettura reciproca dei loro manoscritti, che
generano un favorevole giudizio critico sulle rispettive opere. Joyce aveva apprezzato i
due romanzi, soprattutto Senilità. Testimonia la moglie Livia nel suo Vita di
mio Marito: "... Tra il maestro, oltremodo irregolare, ma d'altissimo ingegno
(che conosceva diciotto lingue tra antiche e moderne) e lo scolaro d'eccezione, le lezioni
si svolgevano con un andamento fuori del comune... Si parlava di letteratura e si
sfioravano mille argomenti".
Nel 1915, l'Italia entra in guerra e Joyce
è costretto a lasciare Trieste per Zurigo, ma i due scrittori si terranno sempre in
contatto epistolare. I suoceri di Svevo si trasferiscono in Inghilterra e la fabbrica di
vernici viene chiusa. «Nell'agosto del 1915, (annota Livia Veneziani, op. cit.),
gli esperti e i tecnici militari austriaci si presentarono alla fabbrica per
sequestrare macchinari e merci, pretendendo anche il segreto, gelosamente custodito, delle
formule della vernici, e minacciando Ettore d'internamento.» Durante la guerra Svevo
continua a studiare, mentre s'incontra spesso con gli amici irredentisti al caffè
Tergesteo e Joyce gli scrive spesso da Zurigo. Diventa intanto membro del comitato di
salute pubblica prima dell'entrata delle truppe italiane a Trieste. Dà la sua
collaborazione al giornale La Nazione.
Nella formazione culturale di Svevo
agiscono elementi diversi, legati all'ambiente mitteleuropeo di Trieste, alla famiglia,
alla diffidenza antipositivistica verso la scienza applicata all'arte e all'influsso del
pensiero di Schopenhauer, Nietzsche e Freud. Non va poi dimenticata la sua ascendenza
ebraica, che si esprime nella condanna di ogni forma di antisemitismo e nello spirito
cosmopolita, contrario ad ogni estremismo irredentistico. Il suo maggior interprete, il
torinese Giacomo Debenedetti, di religione ebraica, lo accusò di aver dato nomi non
ebraici ai suoi personaggi (Zeno Cosini, Alfonso Nitti) "così costituzionalmente e
nevroticamente ebrei".
Nel 1922 inizia a tradurre L'interpretazione
dei sogni di Freud e lavora attorno ad un progetto di pace universale. Era venuto a
contatto con le teorie freudiane attraverso le cure cui fu sottoposto il cognato che
soffriva di gravi turbe psichiche; il malato fu affidato alle cure della nuova scienza
medica che a Trieste giungeva da Vienna, a Freud, ma i risultati non si videro. Cercò di
capire qualcosa di più, con l'aiuto di un nipote medico, ma il suo interessamento restò
sempre a livello superficiale, anche se indubbiamente deve avergli messo in testa l'idea
che l'uomo va analizzato nelle pieghe più riposte della sua personalità: allo stesso
modo il personaggio, che rappresenta l'uomo moderno, va visto in profondità, va
"psicanalizzato", almeno allo scopo di capire meglio come è fatto dentro e
perché agisce in quella determinata maniera, quali sono gli elementi esterni che ne
condizionano il comportamento.
Da tre anni, intanto, aveva iniziato La
coscienza di Zeno. Dopo aver rivisto Joyce a Parigi, e consegnatogli alcuni preziosi
appunti che lo scrittore irlandese aveva lasciato a Trieste nella fretta della partenza
per la Svizzera, Svevo lavora intensamente alla stesura definitiva del romanzo, che esce
presso l'editore Cappelli, il primo maggio 1923. Scarsissimi, al solito, gli echi sulla
stampa. Il dottor E. Weiss, al quale lo scrittore si rivolge, gli dice di non poter
parlare del libro, "..perché con la psicanalisi non ha nulla a vedere". Del
resto, lo stesso Svevo scrisse: " Freud non può avere per la letteratura altra
importanza di quella che ebbero a suo tempo Nietzsche e Darwin", convinto che la
malattia non può essere eliminata dalla condizione esistenziale dell'uomo moderno.
Il racconto delle vicende del romanzo,
narrate in prima persona, non seguono un ordine cronologico, ma sono divise per temi
generali:
Il
fumo;
La
morte di mio padre;
La
storia del mio matrimonio;
La
moglie e l'amante;
Storia
di una associazione commerciale;
Psico-analisi;
Zeno Cosini viene invitato a scrivere la sua storia dallo psicanalista presso il quale è
in cura. "Queste memorie vengono poi pubblicate dal medico per vendetta nei confronti
del suo paziente infedele che ha deciso di interrompere la cura. Per cui c'è una Prefazione,
firmata dal dottor S. che spiega il fatto ("Io sono il dottore di cui in questa
novella si parla talvolta con parole poco lusinghiere [...]") e un Preambolo
in cui prende la parola Zeno Cosini. Nell'ultima parte, però, al ricordo si sostituisce
il diario in presa diretta, e Zeno alla data del 3 maggio 1915 esprime la sua
"risoluzione irrevocabile" di abbandonare la cura, e alla data del 24 marzo 1916
racconta di aver ricevuto una lettera dalla Svizzera del dottor S. che gli chiede altri
appunti. I brani finali sono dunque una risposta al dottore, in cui Zeno vanta il suo
successo commerciale grazie alla guerra ed estende, in pagine famose, la sua concezione di
malattia a tutto l'universo". (Giorgio Bertone e Luigi Surdich, La letteratura
italiana, Minerva Italica, Bergamo 1990).
Nel 1924 spedisce il testo a Joyce, che
gli risponde con una lettera piena di lodi, consigliandolo di mandarlo ai suoi amici
letterati e critici francesi, quali V.Larbaud e B.Cremieux. L'esito è positivo. Nella
primavera del '25, Svevo incontra a Parigi i suoi estimatori e si lega di amicizia
confidenziale soprattutto con la signora Cremieux, che gli parla di Proust, autore a lui
sconosciuto. Bazlett fa conoscere a Eugenio Montale i romanzi di Svevo: nel numero IV,
novembre - dicembre 1925, della rivista L'esame, il poeta pubblica il primo dei
suoi scritti critici sveviani. Nel 1926 escono su Le navire d'argent larghi
estratti delle sue opere. L'evento trascina l'interesse della critica italiana e francese.
Svevo scrive La madre; Una burla riuscita; Vino generoso; La novella del buon vecchio e
della bella fanciulla.
Nel 1927 appare l'edizione francese de La
coscienza di Zeno nella traduzione di Paul-Henry Michel e nell'aprile dello stesso anno va
in scena al Teatro degli indipendenti di Roma il suo atto unico Terzetto spezzato
Nel 1928, Svevo, che, nel frattempo, si
era profondamente appassionato all'opera di Kafka, inizia il suo quarto romanzo, Il
vecchione che purtroppo resterà incompiuto: l'11 settembre lo scrittore, la cui fama
ha raggiunto ormai dimensioni europee, tornando insieme alla moglie e a un nipotino da
Bormio a Trieste si schianta con la macchina contro un albero: muore il 13 settembre,
all'ospedale di Motta di Livenza.
© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi - E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento 20/07/97