Pietro Bembo
Prose della volgar lingua
DI MESSER PIETRO BEMBO
A MONSIGNOR MESSER GIULIO CARDINALE DE' MEDICI
DELLA VOLGAR LINGUA
TERZO LIBRO
[3.LV.]
Avea tutte queste cose dette il Magnifico; e messer Federigo, udendo che egli si tacea, disse: - Voi m'avete col dir dianzi di quella parte del verbo, che si dice Amando Leggendo, una usanza della provenzale favella a memoria tornata di questa maniera, e ciò è, che essi danno e prepongono a questo modo di dire la particella In, e fannone In andando In leggendo, della quale usanza si vede che si ricordò Dante in questo verso:Però pur va, e in andando ascolta;
e il Petrarca in quest'altro:
E se l'ardor fallace
durò molt'anni in aspettando un giorno.
Il che si truova alcuna volta eziandio negli antichi prosatori, sí come in Pietro Crescenzo, il qual disse, parlando di letame: Ma il vecchio l'ha tutto perduto in amministrando e dando il suo umore in nutrimento, e in Giovan Villani, che disse: E fatto il detto sermone, venne innanzi il Vescovo, che fu di Vinegia; e gridò tre volte al popolo, se voleano per Papa il detto frate Pietro: e con tutto che 'l popolo assai se ne turbasse, credendosi avere Papa romano, per tema risposono in gridando che sí, e in Dante medesimo, che nel suo Convito disse: Quanta paura è quella di colui, che appresso sé sente ricchezza, in camminando, in soggiornando. Quantunque non contenti gli antichi di dare a questa parte del verbo la particella In, essi ancora le diedero la Con; sí come diede il medesimo Giovan Villani, il qual disse: Con levando ogni dí grandissime prede, in vece di dire Levando. Ma voi tuttavia non vi ritenete per questo -.
[3.LVI.]
Laonde il Magnifico, cosí a ragionare rientrando, disse: - Resterebbe, oltra le dette cose, a dirsi della particella del parlare, che a' verbi si dà in piú maniere di voci, Qui Lí Poi Dinanzi e simili, o delle altre particelle ancora, che si dicono ragionando come che sia. Ma elle sono agevoli a conoscere, e messer Ercole da sé apparare le si potrà senza altro. - Non dite cosí, - rispose incontanente messer Ercole, - ché ad uno del tutto nuovo, come sono io in questa lingua, d'ogni minuta cosa fa mestiero che alcuno avertimento gli sia dato, e quasi lume che il camino gli dimostri, per lo quale egli a caminare ha, non v'essendo stato giamai. - Cosí è - disse appresso messer Federigo, nel Magnifico risguardando che si tacea - e messer Ercole dice il vero. Di che voi farete cortesemente, a fornir quello che cosí bene avete, Giuliano, tanto oltre portato col vostro ragionamento; massimamente picciola parte a dire restando, se alle già dette si risguarderà -. Per la qual cosa il Magnifico, disposto a sodisfargli, seguitò e disse: - Sono voci da tutte le già dette separate, che quale a' verbi e quale a' nomi si danno, e quale all'uno e all'altro, e quale ancora a' membri medesimi del parlare come che sia si dà, piú tosto che ad una semplice parte di lui e ad una voce. Delle quali io cosí, come elle mi si pareranno dinanzi, alcuna cosa vi ragionerò, poscia che cosí volete. Sono adunque, di queste voci che io dico, Qui e Qua, che ora stanza e ora movimento dimostrano, e dannosi al luogo, nel quale è colui che parla; et è Costí, che sempre stanza, e Costà, che quando stanza dimostra e quando movimento, e a quel luogo si danno, nel quale è colui con cui si parla; e In costà detta pure in segno di movimento; et è Là, che si dà al luogo, nel quale né quegli che parla è né quegli che ascolta, e talora stanza segna e talora movimento, che poscia Lí, sí come Qui, non si disse se non da' poeti. La qual particella nondimeno s'è alle volte posta da' medesimi poeti in vece di Costà:Pur là su non alberga ira né sdegno.
Dissesi eziandio Colà, cioè in quel luogo e a quel luogo. Et è Quivi, che vale quel medesimo, e Ivi, dal latino e in sentimento e in voce tolta, la B nella V mutandovisi. È tuttavia, che alle volte Ivi si dà al tempo, e dicesi Ivi a pochi giorni; sí come anco Qui, che s'è detto Infino a qui, e come ancora Colà, che s'è detto Colà un poco dopo l'avemaria e Colà di dicembre e somiglianti. Ma queste due, Qui e Ivi, eziandio si ristrinsero, ché l'una Ci e l'altra Vi si disse, Venirci Andarvi e Tu ci verrai Io v'andrò. È ancor da sapere che, quando queste particelle Qua e Là insieme si pongono, non si dice Qui, ma dicesi Qua, per non fare l'una dall'altra dissomigliante: Chi qua con una, e chi là con un'altra cominciarono a fuggire. Se non quando la Qui dopo l'altra si dicesse: Senza che tu diventerai molto migliore e piú costumato e piú da bene là, che qui non faresti, e ancora: Pensa, che tali sono là i prelati, quali tu gli hai qui potuti vedere. Fassi il somigliante nella Di qua, quando con la Di là è posta: Acciò che io di là vantar mi possa, che io di qua amato sia dalla piú bella donna, che mai formata fosse dalla natura. Ché, senza essa parlandosi, Di qui e non Di qua si dice: Di qui alle porte di Parigi, Villa assai vicina di qui; e dassi alle volte al tempo: Donna, io ho avuto dallui che egli non ci può essere di qui domane, e simili. Fassi ancora nella Costà, quando con la Qua si pone: Né possa costà una sola, piú che qua molte. È il vero che, qual volta si dice Di qua per dire Di questo mondo, non si dice giamai Di qui, ancora che ella non s'accompagni con la Di là, o, accompagnandovisi, a lei si posponga; ma dicesi Di qua: Per quelli di qua, e Se di là, come di qua s'ama; e similmente quando è sola nel mezzo del parlare: A guisa, che quelle sono, che le donne qua chiamano rose. Dicesi eziandio In qua sempre, sí come sempre Infino a qui, e dicesi Qua giú, Qua sú, Qua entro, e Di quaentro, e parimente Costà sú, Costà giú, e Di costà, sí come Di colà, e Colà sú e Colà giú.
[3.LVII.]
Sono Ove e Dove, che alcuna volta s'è detto U' da' poeti, e vagliono quello stesso; se non che Dove alle volte vale quanto val Quando, posta in vece di condizione e di patto: Madonna Francesca dice che è presta di volere ogni tuo piacer fare, dove tu a lei facci un gran servigio, il che è tuttavia molto usato dalla lingua. Sono medesimamente Onde, di cui l'altr'ieri messer Federigo ci ragionò, e Donde, che poetica voce è piú che delle prose, e vagliono quanto si sa, e alcuna volta quanto Per la qual cosa, sí come vale anco Di che, voce assai usata dalle prose; come che il Petrarca eziandio la ponesse nelle sue rime:Di ch'io son fatto a molta gente exempio,
e
Di ch'io veggio 'l mio ben, e parte duolmi.
Da onde e Da ove, che Dante disse, sono piú tosto licenziosamente dette, che ben dette. È D'altronde, che è D'altra parte; et è Laonde, che alcuna volta s'è detto in vece di dire Onde, sí come si disse dal Boccaccio: La donna lo 'ncominciò a pregare per l'amor di Dio che piacer gli dovesse d'aprirle, perciò che ella non veniva laonde s'avisava, e alcun'altra volta in vece di dire Per la qual cosa: Il quale lui in tutti i suoi beni e in ogni suo onore rimesso avea, laonde egli era in grande e buono stato. Sí come Là dove, in vece di Dove, medesimamente s'è detto: Perché la Giannetta, ciò sentendo, uscí d'una camera e quivi venne, là dove era il Conte. Il che medesimamente nel Petrarca piú d'una volta si legge, e Dante medesimamente disse:
Ma là dove fortuna la balestra,
quivi germoglia, come gran di spelta
Le quali due particelle tuttavia sono state alle volte da' poeti ristrette ad essere solamente di due sillabe, che Là 've in vece di Là ove, e Là 'nde in vece di Laonde dissero; come che questa non si disse giamai, se non insieme con la prima persona, cosí: Là 'nd'io. Sono Indi e Quindi, che quel medesimo portano, ciò è Di là e ancora Dapoi, e Quinci, Di qua e Da questo, e Linci, Di là, che a questa guisa medesima formò Dante. Dissersi eziandio Di quinci e Di quindi, che anco Di quivi alcuna volta si disse. Come che Indi alcuna volta appo il Petrarca vale, quanto Per di là:
Però che dí e notte indi m'invita,
e io contra sua voglia altronde 'l meno;
sí come vale questa medesima Altronde, non quanto Da altra parte sí come suole per lo piú valere, ma quanto Per altra parte. E questa medesima Indi, che vale quanto Per di là, disse Dante Per indi nel suo Inferno, e Per quindi il Boccaccio nelle sue novelle. Sono Quincisú e Quindigiú e Quincentro, che tanto alcuna volta vale quanto Per qua entro; sí come la fe' valere, non solo Dante nelle terze rime sue piú volte, ma ancora il Boccaccio nelle sue novelle quando e' disse: Io son certo, che ella è ancora quincentro, e risguarda i luoghi de' suoi diletti. Dalla detta maniera di voci formò per aventura Dante la voce Costinci, ciò è Di costà, quando e' disse:
Ditel costinci, se non l'arco tiro.
La qual voce si potrebbe nondimeno senza biasimo alcuno usar nelle prose.
[3.LVIII.]
È Intorno, la quale alcuna volta si partí, e fecesene In quel torno, in vece di dire Intorno a quello, et è Dintorno e Dattorno il medesimo. Differente sentimento poi alquanto da queste ha la Attorno, che vale quanto Per le contrade e luoghi circonstanti; se non che Dattorno è alcune volte che vale questo stesso, e pongonsi oltre acciò una per altra. Dissesi eziandio alcuna volta Per attorno. Sono In e Ne quel medesimo; ma l'una si dice, quando la voce a cui ella si dà non ha l'articolo, In terra In cielo; l'altra quando ella ve l'ha, Nell'acqua Nel fuoco, o pure quando ella ve 'l dee avere, Ne' miei bisogni, in vece di dire Ne i miei bisogni. Il che non solamente si serva, come altra volta detto s'è, quasi continuo nelle prose, ma deesi fare parimente nel verso; sí come si vede sempre fatto e osservato dal Petrarca, nel quale, se si legge:Ma ben ti prego, che 'n la terza spera
Guitton saluti, e messer Cino, e Dante,
e ancora
Sai, che 'n mille trecento quarantotto
i dí sesto d'aprile in l'ora prima,
è incorrettamente scritto, perciò che deesi cosí leggere:
Ma ben ti prego, ne la terza spera,
Guitton saluti,
e ancora, Il dí sesto d'aprile a l'ora prima.
[3.LIX.]
Sono Poi e Poscia e Dapoi, che quel medesimo vagliono e dànnosi al tempo; e Dopo, che al luogo si dà, e ancora all'ordine, e alcuna volta eziandio al tempo; contraria di cui è Dinanzi. E come che, a quelle tre, paia che sempre la particella Che stia dietro in questo modo di ragionare: Poi che cosí vi piace, Poscia che io la vidi, Dapoi che sotto 'l cielo; non è tuttavia, che alcuna volta non si parli ancora senza essa:Ma poi vostro destino a voi pur vieta
l'esser altrove;
e Che poi a grado non ti fu, che io tacitamente e di nascoso con Guiscardo vivessi. Et è oltre acciò avenuto, che in questa voce Dapoi si sono tramutate le sillabe et èssi detto Poi da; sí come le tramutò il Boccaccio, che disse: E da che diavol siam noi poi da che noi siam vecchie. Et è alcuna volta stato, che s'è lasciato a dietro la voce Poi et èssi detto Da che, in vece di dire Dapoi che, non solo nel verso:
Con lei foss'io da che si parte il sole,
ma ancora nelle prose: Da che, non avendomi ancora quella contessa veduto, ella s'è innamorata di me. È oltre acciò da sapere, che gli antichi poeti posero la detta particella Poi e la seconda voce del verbo Posso, in una medesima rima con tutte queste voci Cui Lui Costui Colui Altrui Fui; sí come si legge nelle canzoni di Guido Cavalcanti e di Dino Frescobaldi e di Dante, lasciando da parte le terze rime sue, che sono, vie piú che non si convien, piene di libertà e d'ardire. Quantunque Brunetto Latini, che fu a Dante maestro, piú licenziosamente ancora che quelli non fecero, o pure piú rozzamente, Luna e Persona, Cagione e Comune, Motto e Tutto, Uso e Grazioso, Sapere e Venire, e dell'altre di questa maniera ponesse eziandio per rime nel suo Tesoretto; il quale nel vero tale non fu, che il suo discepolo, furandogliele, se ne fosse potuto arricchire.
[3.LX.]
Ma lasciando ciò da parte, è Appresso, che vale quanto Dapoi, oltra l'altro sentimento suo, che è alle volte Vicino e Accanto; e si disse ancor Presso. Contraria di cui è Da lunge e Da lungi, che sono del verso, e Di lungi e Dalla lungi, che sono delle prose. È ultimamente Poco dapoi, che si disse piú toscanamente Pocostante. È la Dinanzi, che io dissi, e Innanzi e Davanti e Avanti altresí; tra le quali, come che paia che molta differenza vi debba potere essere, sí come è che Dinanzi e Davanti si pongano con la voce, che da loro si regge: Dinanzi al Soldano Davanti la casa A me si para dinanzi Allo Stradico andò davanti, e Innanzi e Avanti senza essa: Avendo un grembiule di bucato innanzi sempre e Co' torchi avanti; e sí come è ancora che la Dinanzi al luogo si dia: Se noi dinanzi non gliele leviamo, e le altre si diano al tempo: Innanzi tratto Il dí davanti Avanti che otto giorni passino; egli nondimeno non è regolatamente cosí. Perciò che elle si pigliano una per altra molto spesso; se non che la Davanti rade volte si dice, senza la voce che da lei si regge, e la Innanzi e la Avanti vagliono ancora quanto Sopra e Oltre o simil cosa: Caro innanzi ad ogni altro e Da niuna altra cosa essere piú avanti, e oltre acciò si pongono in vece di Piú tosto, il che non aviene delle altre. Come che ancora in questo sentimento si dica alcuna volta Anzi: Che mi pare anzi che no, che voi ci stiate a pigione. La quale Anzi si dice parimente in luogo di Prima: Anzi che venir fatto le potesse, e tale volta in luogo di Avanti: Anzi la morte; senza quest'altro, che è il piú usato sentimento suo: Che caldo fa egli? anzi non fa egli caldo veruno. E avenne ancora che Avanti s'è presa, in luogo di dire In animo, overo in luogo di dire Trovato Pensato o somigliante cosa: Aguzzato lo 'ngegno, gli venne prestamente avanti quello che dir dovesse. Ante e Avante e Davante, che alcuna volta si dissero, sono solamente del verso. Oltra le quali particelle tutte è la Dianzi, la qual vale a segnar tempo che di poco passato sia, e la Per innanzi, che si dà al tempo che è a venire, contraria di cui è Per adietro, che al passato si dà; e dissersi ancora Per lo innanzi e Per lo adietro. Et è Da quinci innanzi e Da indi innanzi, la qual si disse alcuna volta Da indi in avanti, ma tuttavia di rado. È Testé, che tanto vale quanto Ora, che si disse ancora Testeso alcuna volta molto anticamente, e da Dante che piú d'una volta la pose nelle sue terze rime, e dal Boccaccio, che non solamente la pose ne' suoi sonetti, ma ancora nelle sue prose: Io non so, testeso mi diceva Nello, che io gli pareva tutto cambiato, e altrove: Tu non sentivi quello che io, quando tu mi tiravi testeso i capelli, e ancora: Egli dee venir qui testeso uno, che ha pegno il mio farsetto. Sono Tosto, e alcuna volta Tostamente, e Ratto quel medesimo; se non in quanto alle volte Tosto vale quanto val Subito, e dicesi Tosto che in vece di Subito che; il che di Ratto non si fa, quantunque il Petrarca dicesse:Ratto, come imbrunir veggio la sera,
sospir del petto, e degli occhi escon onde.
Et è Prestamente quello stesso, che si disse alcuna volta eziandio Rattamente e Spacciatamente e In fretta. Et è Immantenente e Incontanente altresí; ma quella è piú del verso, e questa è delle prose, che in loro si disse ancora Tantosto. Presto, che alcuni moderni pigliano in questo sentimento, vale quanto Pronto e Apparecchiato, et è nome e non mai altro, dal quale si forma Apprestare e Appresto, che è Apparecchiare e Apparecchiamento. È, oltre a queste, Repente solamente del verso. Sono Da mane e Da sera e Di merigge, che pare dal latino detta, la D in due G mutandovisi, sí come si muta in Oggi, per l'uso cosí fatto della lingua; il quale uso in molte altre voci ha luogo. Dicesi ancora Di meriggio e Di meriggiana, che disse il Boccaccio: Se alcun volesse o dormire o giacersi di meriggiana.
[3.LXI.]
Sono Unqua e Mai quello stesso; le quali non niegano, se non si dà loro la particella acconcia a ciò fare. Anzi è alle volte che due particelle in vece d'una se ne le danno, piú per un cotal modo di dire, che per altro; sí come diede il Boccaccio: Né giamai non m'avenne, che io perciò altro che bene albergassi. Et è Oggimai e Oramai, voci solamente delle prose, e Omai delle prose e del verso altresí; le quali si danno parimente a tutti i tempi. È Unque, che si dice eziandio Unqua nel verso; et è Unquanco, che di queste due voci Unqua e Anco è composto, e vale quanto Ancor mai, e altro che al passato e alle rime non si dà, e con la particella, che niega, si pon sempre. Sono Ancora e la detta Anco; l'una delle quali si dà al tempo, l'altra, che alcuna volta s'è detta Anche, vale quanto Eziandio. Nondimeno elle si pigliano spesse volte una per altra; se non in quanto la Anco e Anche si danno al tempo solamente nel verso. È il vero che l'una di loro si pon le piú volte quando alcuna consonante la segue, Ancor tu Ancor lei, e l'altra quando la segue alcuna vocale, Anch'io Anch'ella. Unquemai dire non si dovrebbe, che è un dire quel medesimo due volte; come che e Dante e messer Cino le ponessero nelle loro canzoni. Quandunque, che vuole propriamente dire Quando mai, oltra che si legge nelle terze rime di Dante, esso ancora e messer Cino medesimo la posero nelle loro canzoni, e il Boccaccio nelle sue prose. Ondunque, oltre a queste, medesimamente si legge alcuna fiata, e Dovunque molto spesso. È oltre acciò Quantunque, la qual voce alle volte s'è presa in luogo di questo nome Quanto, non solo ne' poeti, ma ancora nelle prose, e cosí nell'un genere come nell'altro; et èssi detto Quantunque volte e Quantunque gradi vuol, che giú sia messa. Prendesi ancora in vece di Quanto si voglia; sí come si prende in questo verso del Petrarca:Tra quantunque leggiadre donne e belle,
ciò è Tra donne quanto si voglia belle e leggiadre, e in quest'altro:
Dopo quantunque offese a mercé vene:
Dopo quante offese si voglia viene a mercé. Prendesi eziandio in vece di Tutto quello che: il Boccaccio: Al qual pareva pienamente aver veduto, quantunque disiderava della pazienza della sua donna, e altrove: Pur seco propose di voler tentare quantunque in ciò far se ne potesse; quasi dicesse quanto mai disiderato avea e quanto mai far se ne potesse. E cosí fia di sentimento piú somigliante alla formazion sua, e piú in ogni modo alle volte opererà, che se Quanto semplicemente si dicesse. L'altro sentimento suo, che vale quanto Benché, assai è a ciascuno per sé chiaro, et è solamente delle prose. È ancora Comunque, che in vece di Come assai sovente s'è detta; è Comunquemente quello stesso, ma detta tuttavia di rado.
[3.LXII.]
Leggesi Sovente, che è Spesso: di cui Guido Guinicelli ne fece nome, e Soventi ore disse in questi versi:Che soventi ore mi fa varïare
di ghiaccio in foco, e d'ardente geloso;
e Guido Cavalcanti in quest'altri:
Che soventi ore mi dà pena tale
che poca parte lo cor vita sente.
Sí come di Spesso fecero Spess'ore comunemente quasi tutti quegli antichi; alla cui somiglianza disse A tutt'ore il Petrarca. Dicesi alcuna volta eziandio Soventemente; sí come si disse da Pietro Crescenzo: E questo faccia soventemente che puote, in vece di dire quanto spesso puote; sí come egli ancora, in vece di dir Secondo, disse Secondamente molte volte. È Al tempo, che vale quanto Al bisogno, et è del verso. Et è In tempo delle prose, che si dice piú toscanamente A bada, cioè A lunghezza e a perdimento di tempo: dalla qual voce s'è detto Badare, che è Aspettare, e alcuna volta Avere attenzione e Por mente. Et è Per tempo, che vuol dire A buona ora. È Da capo, che vale comunalmente quanto Un'altra volta; truovasi nondimeno detta ancora in luogo di dire Da principio. Et è A capo, che vale quanto A fine. È Da sezzo, che è Da ultimo, a cui si dà alcuna volta l'articolo e fassene Al da sezzo; da queste si forma il nome Sezzaio. Et è Alla fine, che medesimamente si disse dagli antichi Alla perfine e alcuna volta Alla finita.
[3.LXIII.]
È Del tanto, che vuol dire quanto Per altrettanto, cioè Per altrettanta cosa, quanta è quella di che si parla, che si disse ancora in forma di nome, Altrotale, e Altrotali nel numero del piú. Et è Cotanto, che vale quanto val Tanto, se non che ella dimostra maggiormente quello di che si parla; onde dir si può, che ella piú tosto vaglia quanto vale Cosí grandemente: Madonna Francesca ti manda dicendo, che ora è venuto il tempo, che tu puoi avere il suo amore, il quale tu hai cotanto desiderato. Et è Duecotanto e Trecotanto, che sono Due volte tanto e Tre volte tanto; e fassene alle volte nomi, e diconsi nel numero del piú, e sono voci delle prose: Io avea tre cotanti genti di lui, cioè Tre volte piú gente di lui. Ultimamente è Alquanto; della qual voce Guido Guinicelli ne fece nome, e disse:E voce alquanta, che parla dolore;
e il Boccaccio ancora, che disse: Ma io intendo di farvi avere alquanta compassione, e Alquanta avendo della loro lingua apparata. È Guari, molto usata dagli antichi, che vale quanto val Molto; la quale voce, come che si ponga quasi per lo continuo con la particella che niega, Non ha guari Non istette guari, non è tuttavia, che alcuna fiata ella non si truovi ancora posta senza essa, ma è ciò sí di rado, che appena dire si può che faccia numero. Sono Piú e Meno, particelle assai chiare e conte a ciascuno; le quali nondimeno alcuna volta, in luogo di questi nomi Maggiore e Minore si pigliano, sí come si presero dal Boccaccio, quando e' disse: Della piú bellezza e della meno delle raccontate novelle disputando. Dall'una delle quali ne viene Almeno, e ancora Nondimeno Nientedimeno Nulladimeno, che son tutte tre quello stesso, delle quali tuttavia la primiera è la piú usata, e la ultima la meno. Vale quel medesimo ancora la Nonpertanto; vedesi nel Boccaccio: Nonpertanto quantunque molto di ciò si maravigliasse, in altro non volle prender cagione di doverla mettere in parole. È Per poco, che s'è posta alcuna volta, in vece di Quasi, dal medesimo Boccaccio: La quale ogni cosa cosí particolarmente de' fatti d'Andreuccio le disse, come avrebbe per poco detto egli stesso, e altrove, Laonde egli cominciò sí dolcemente, sonando, a cantare questo suono, che quanti nella real sala n'erano, parevano uomini aombrati: sí tutti stavano taciti e sospesi ad ascoltare; e il re per poco piú che gli altri. È Tale, in vece di Talmente detta alle volte da' poeti; e Quale, in vece di Qualmente, ma detta tuttavia piú di rado:
Qual sogliono i campion far nudi e unti,
avisando lor presa e lor vantaggio.
[3.LIV.]
È Perciò che delle prose, e alcuna volta Imperciò che; et è Però che del verso, e alle volte ancora Perché di quel medesimo sentimento:Non perch'io non m'aveggia,
quanto mia laude è ingiuriosa a voi;
la qual voce tuttavia è ancora delle prose: Colui, che andò, trovò il famigliare stato da messer Amerigo mandato, che avendole il coltello e 'l veleno posto innanzi, perché ella cosí tosto non eleggeva, le diceva villania. Et è oltre acciò Che, la quale da' poeti molto spesso in luogo di Perciò che, da' prosatori non cosí spesso, anzi rade volte si truova detta; sí come dal Boccaccio, che disse: Che per certo in questa casa non istarai tu mai piú. E questa medesima Che è ancora, che si pose dal Petrarca, in vece di Acciò che:
Un conforto m'è dato, ch'io non pera:
acciò che io non pera. E dal medesimo Boccaccio: Se egli è cosí tuo come tu di', ché non ti fai tu insegnare quello incantesimo, che tu possa fare cavalla di me, e fare i fatti tuoi con l'asino e con la cavalla? ciò è acciò che tu possa. Dove si vede che la detta Che, eziandio in vece di Perché, s'usa di dire comunemente: Ché non ti fai tu insegnare quello incantesimo? Sí come allo 'ncontro si dice la Perché in luogo di Che alcuna fiata: Che vi fa egli, perché ella sopra quel veron si dorma? E poco da poi: E oltre acciò maravigliatevi voi, perché egli le sia in piacere l'udir cantar l'usignuolo? Et è alle volte che la medesima Che si legge in vece di Sí che o In modo che: il medesimo Boccaccio: E seco nella sua cella la menò che niuna persona se n'accorse. E ancora in vece di Nel quale assai nuovamente il pose una volta il Petrarca:
Questa vita terrena è quasi un prato,
che 'l serpente tra fiori e l'erba giace.
È Il perché delle prose, usato tuttavia rade volte, in vece di dire Per la qual cosa: il Boccaccio: Il perché comprender si può, alla sua potenza essere ogni cosa suggetta; e ancora, in vece di dire Perché ciò sia o pure La cagione di ciò: il medesimo Boccaccio: Universalmente le femine sono piú mobili, e il perché si potrebbe per molte ragioni naturali dimostrare. Sono Benché e Comeché quello stesso; ma questa sarebbe per aventura solamente delle prose, se Dante nel verso recata non l'avesse. Et è la detta Perché, che si prende alle volte in quel medesimo sentimento et è del verso, e alle volte, anzi pure molto piú spesso, si piglia in vece di Per la qual cosa o Per le quali cose nelle prose; sí come si piglia ancora Di che, della qual dicemmo, e alcuna volta Sí che: Io intesi che vostro marito non c'era, sí che io mi sono venuto a stare alquanto con essovoi. Et è Nonché, la quale, oltra il comune sentimento suo, vale quello stesso anch'ella, ma rade volte cosí si prende. Prendesi nel Boccaccio: Non che la Dio mercé ancora non mi bisogna, in vece di dire Benché. È Purché, che vale quanto Solamente che; et è Tuttoché, che pur vale il medesimo di quell'altre, detta dalle prose, e nondimeno ricevuta da Dante piú d'una volta nel verso. La quale si disse ancora cosí, Tutto, senza giugnervi la particella Che: Giovan Villani: I campati di morte della battaglia, tutto fossono pochi, si ridussono ov'è oggi la città di Pistoia, e altrove, E tutto fosse per questa cagione uomo di sangue, sí fece buona fine. Dove si vede che alle volte la particella Sí vale quanto Nondimeno: Sí fece buona fine, ciò è Nondimeno fece buona fine. Né solo Giovan Villani usò il dire Tutto, in vece di Tuttoché, ma degli altri antichi prosatori ancora, sí come fu Guido Giudice, di cui dicemmo. Dissesi oltre acciò in quello sentimento medesimo Avegnadioché dagli antichi, e Avegnaché ancora, e ultimamente Avegna dal Petrarca:
Amor, avegna mi sia tardi accorto,
vòl che tra duo contrari mi distempre.
È oltre acciò, che alcuna volta Tuttoché altro sentimento ha e molto da questo lontano, sí come ha nel Boccaccio, che nella novella di Madonna Francesca disse: E, cosí dicendo, fu tutto che tornato in casa; e poco dapoi, Da' quali tutto che rattenuto fu; il che tanto porta, quanto è a dire: Poco meno che tornato in casa e Poco meno che rattenuto fu. Altro sentimento ancora, e diverso alquanto dal detto di sopra, hanno le voci Perché e Purché, in quanto elle tanto vagliono, quanto Eziandio che: il medesimo Boccaccio: Che perché egli pur volesse, egli no 'l potrebbe, né saprebbe ridire; e Dante:
E però, Donne mie, pur ch'io volessi,
non vi sapre' io dir ben quel ch'i' sono.
Somigliantemente diverso sentimento da' già detti ha talora la particella Che. Con ciò sia cosa che ella si pone alle volte invece di Piú che, quasi lasciandovisi la Piú nella penna e nondimeno intendendolavi: Giovan Villani: Però che allora la città di Firenze non avea che due ponti; e il Boccaccio: Il quale in tutto lo spazio della sua vita non ebbe che una sola figliuola.
[3.LXV.]
È, oltre a queste, Mentre, che vale quanto Infino e quanto Infin che, e ciò è secondo che a lei o si dà e giugne la particella Che, o si lascia; il che si fa parimente. Et è Parte, che vale quello stesso, detta nondimeno rade volte in questo sentimento: il Boccaccio: Parte che lo scolare questo diceva, la misera donna piagneva continuo; e altrove: Parte che il lume teneva a Bruno, che la battaglia de' topi e delle gatte dipigneva. Ponsi nondimeno comunalmente Parte dai poeti, in vece di dire In parte. È In quella, che vuol dire In quel mezzo, o pure In quel punto: messer Cino:Sta nel piacer della mia donna Amore,
come nel sol lo raggio, e 'n ciel la stella,
che nel mover degli occhi porge al core,
sí ch'ogni spirto si smarrisce in quella;
e Dante:
Qual è quel toro, che si slaccia in quella
c'ha ricevuto già 'l colpo mortale;
e il Boccaccio, il quale non pure ne' sonetti cosí disse:
E com'io veggio lei piú presso farsi,
levomi per pigliarla, e per tenerla,
e 'l vento fugge, et ella spare in quella;
ma ancora nelle novelle: O marito mio, disse la donna, e' gli venne dianzi di subito uno sfinimento ch'io mi credetti ch'e' fosse morto, e non sapea né che mi far né che mi dire, se non che frate Rinaldo nostro compare ci venne in quella. Il che imitando disse piú vagamente il Petrarca:
In questa passa 'l tempo;
e ancora,
Et in questa trapasso sospirando.
E questo sentimento ispresse egli e disse eziandio con quest'altra voce In tanto.
[3.LXVI.]
È Contro e Contra, che si disse parimenti Incontro e Incontra; ma quest'ultima è solo dei poeti, de' quali è A l'incontra altresí. Et è Rimpetto e A rimpetto e Di rimpetto solamente delle prose; e vagliono, non quello che vale A l'incontra, ma quello che vale Di rincontro e Per iscontro, e Affronte, contraria di cui è Di dietro. Et è Per mezzo, alle volte poco da queste lontana e alle volte molto; con ciò sia cosa che non riscontro, ma entramento dimostra:Per mezzo i boschi inospiti e selvaggi.
La qual si disse Per lo mezzo, qualora ella non ha dopo sé voce che da lei si regga: E misesi con le sue genti a passare l'oste de' nimici per lo mezzo. Ma questa voce Per mezzo si disse toscanamente ancora cosí Per mei, troncamente e tramutevolmente pigliandosi, come udite. Quantunque Mei si disse eziandio in vece di Meglio per abbreviamento dagli antichi; sí come la disse Buonagiunta:
Perché la gente mei me lo credesse;
e messer Cino:
Dunque sarebbe mei ch'i' fossi morto.
La qual poi si disse Me', non solo dagli altri poeti, ma dal Petrarca ancora:
Me' v'era che da noi fosse 'l diffetto.
Sono A lato e A petto, che quello stesso vagliono, ciò è A comperazione; l'una delle quali solamente è delle prose. Come che A lato alle volte porti e vaglia quello che ella dimostra; sí come fa Accanto che vale alle volte quanto queste, e alle volte quanto ella dimostra. Lontana da cui piú di sentimento che di scrittura è Da canto, ciò è Da parte. Et è Verso che usò il Boccaccio, e vale, oltra il proprio sentimento suo, quanto A comperazione: E se li re cristiani son cosí fatti re verso di sé, chente costui è cavaliere; verso di sé, disse, ciò è a comperazion di sé. Nel qual luogo si vede, che la voce Chente vale, non solamente quello che val Quanto, sí come la fe' valere il medesimo Boccaccio in moltissimi luoghi, ma ancora quello che val Quale; il che si vede eziandio in altre parti delle sue prose. Anzi la presero i piú antichi quasi sempre a questo sentimento. È Adietro, la quale stanza piú tosto dimostra che movimento e Indietro e Allo 'ndietro e Al di dietro, che movimento dimostrano; e dissersi altramente A ritroso, dal latino togliendosi, dalla quale s'è formato il nome et èssi detto Ritroso calle e Ritrosa via, come sarebbe quella de' fiumi, se essi secondo la favola ritornassero alle lor fonti; da cui si tolse a dire Ritrosa donna, e Ritrosía il vizio.
[3.LXVII.]
Leggesi Al tutto, che i piú antichi dissero Al postutto, forse volendo dire Al possibile tutto. Leggesi Niente, che Neente anticamente si disse, e Né mica o pure Non mica, e Nulla quello stesso; come che Non mica si sia eziandio separatamente detta, Elli non hanno mica buona speranza; e Miga altresí, e Niente alle volte si ponga in vece d'Alcuna cosa: Né alcuna altra rendita era, che di niente gli rispondesse, dove di niente disse il Boccaccio, in vece di dire d'alcuna cosa. Leggesi Punto in vece di Niente, e Cavelle, voce ora del tutto romagnuola, che Covelle si dice. Quantunque Punto alcuna volta eziandio, invece di Momento, si prenda; che si disse ancora Motto, sí come si vede in Brunetto Latini:E non sai tanto fare,
che non perdi in un motto
lo già acquistato tutto.
Leggesi eziandio Fiore, la qual particella posero i molto antichi e nelle prose e nel verso in vece di Punto. Leggesi Meglio e Il meglio; ma l'una si pon quando la segue la particella Che, alla quale la comperazione si fa: Sí facciam noi meglio che tutti gli altri uomini. Il meglio poi si dice, quando ella non la segue: E vuolvi il meglio del mondo. Dissesi questa eziandio cosí: Il migliore. È oltre acciò che Meglio vale quanto val Piú, o ancora Piú tosto; il quale uso messer Federigo ci disse che s'era preso da' Provenzali. Leggesi Molto e Assai, che quello stesso vagliono; ciascuna delle quali si piglia in vece di nome molto spesso. Leggesi Altresí, la qual vale comunemente quanto Ancora; ma vale alcuna volta eziandio quanto Cosí: E potrebbe sí andare la cosa, che io ucciderei altresí tosto lui, come egli me. Leggesi La Dio mercé La vostra mercé nelle prose, e Vostra mercé e Sua mercé nel verso. Quantunque Gianni Alfani, rimator molto antico, a quel modo la ponesse in questi versi d'una delle sue canzoni:
Ch'amor la sua mercé mi dice, ch'io
nolle tema mostrare
quella ferita, dond'io vò dolente;
e il Boccaccio in quest'altri d'una altresí delle sue ballate:
E quel che 'n questo m'è sommo piacere,
è ch'io gli piaccio quanto egli a me piace,
amor, la tua mercede.
[3.LXVIII.]
Leggesi Malgrado vostro Malgrado di lui Mal suo grado e A grado Di grado. Leggesi Ver, in vece di Verso, ne' poeti, Ver me Ver lui; che si disse ancora Inverso da' prosatori. Quantunque nel Boccaccio si legga eziandio cosí: Il dí seguente, mutatosi il vento, le cocche, ver ponente vegnendo, fer vela. E Sot e Sor, in vece di Sotto e di Sopra; ma queste tuttavia congiunte con altre voci, sí come sono Sotterra Sommettere Sopposto, e Soppidiano e Soppanno, che disse il Boccaccio, Soscritto Sostenuto Sospinto e Sormontare Soggiornare, quasi giorno sopra giorno menare, nelle prose; e Sorprendere Sorvenire, Sovrempiere Sorviziato Sorbondato, che dissero gli antichi rimatori, e Sorgozzone, che disse il Boccaccio nelle novelle, il che è percossa di mano che sopra il gozzo si dia; et è Gozzo la gola, onde ne viene il verbo Sgozzare, che è Tagliare il gozzo, e Ingozzare, e altre. Come che Lapo Gianni ponesse Sor da sé sola in questo verso:Che m'ha sor tutti amanti meritato;
e lo 'mperador Federigo in quest'altri:
Sor l'altre donne avete piú valore:
valor sor l'altre avete;
e degli altri scrittori antichi ancora la posero nelle lor prose. Leggesi Fuor e Fore e Fora e Fuori, le quali tutte sono del verso, ma la prima e l'ultima sono ancora delle prose; leggesi, dico, questa particella che pare che sempre abbia dopo sé il segno o del secondo caso, Fuor d'affanni, Fuor di tempo, alle volte ancora senza esso, sí come si legge in quel verso del Petrarca:
Fuor tutti i nostri lidi,
che lo poté per aventura pigliar da Guido Orlandi il qual disse:
e amor for misura è gran follore;
e da Francesco Ismera che disse:
Pensando che 'l partir fu for mia colpa;
o ancora da messer Cino, il quale cosí disse:
Uomo son for misura,
tant'è l'anima mia smarrita omai.
Et è alle volte, che in vece del detto segno se le dà la particella Che, come diede il Boccaccio: Il quale in ogni cosa era santissimo, fuori che nell'opera delle femine; e alle volte non se le dà, sí come non gliele diede il medesimo Boccaccio: Egli entrò co' suo' compagni in una casa, e quella trovò di roba piena esser dagli abitanti abandonata, fuor solamente da questa fanciulla. La qual particella si disse eziandio In fuori, e dissesi in questa maniera: La quale io amo, da Dio in fuori, sopra ogni altra cosa. Ponsi anch'ella con questa voce Senno, e formasene Forsennato, voce antica e non piú del verso che delle prose, di cui ancora ci ricordò l'altr'ieri messer Federigo dicendoci che era tolta da' Provenzali, e con quest'altra Via, e formasene Forviare, voce solamente delle prose, antica nondimeno anch'ella e oltre acciò poco usata.
[3.LXIX.]
Leggesi Come, non solo per voce, che comperazione fa, in risposta di quest'altra Cosí; ma ancora in vece di Che: Che per certo, se possibile fosse ad averla, procaccerebbe come l'avesse; dove come l'avesse si disse, in vece di dire che l'avesse. Leggesi ancora, in vece di Poiché o di Quando: Il qual come alquanto fu fatto oscuro, là se ne andò, e, Come costoro ebbero udito questo, non bisognò piú avanti. È oltre acciò alcuna volta, che ella si legge in vece di In qualunque modo: E disse a costui, dove voleva essere condotto, e come il menasse, era contento, ciò è in qualunque modo il menasse, era contento; e ancora in vece di Mentre: E come io il volea domandare chi fosse, e che avesse, et ecco M. Lambertuccio; né meno si legge in vece di Quanto: Oimè lasso, in come picciol tempo ho io perduto cinquecento fiorin d'oro e una sorella!. Nel qual sentimento, ella s'è detta eziandio troncamente da molti degli antichi in questa guisa Com, e dal Petrarca altresí, che disse:O nostra vita ch'è sí bella in vista,
com perde agevolmente in un mattino
quel che 'n molt'anni a gran pena s'acquista;
e altrove:
Ma com piú me n'allungo, e piú m'appresso.
[3.LXX.]
Leggesi la voce Oimè, che ora si disse, non solo in persona di colui che parla, sí come in quel luogo del Boccaccio, Oimè lasso; ma ancora in quella di cui si parla, Oisè; sí come si legge nel medesimo Boccaccio: Oisè, dolente sè, che 'l porco gli era stato imbolato. Dissesi oltre acciò la Oi anticamente, in vece della Ahi, che poi s'è detta e ora si dice: Oi mondo errante, e uomini sconoscenti di poca cortesia. Leggesi la particella O, non solo per voce che si dice chiamando che che sia; o per quella che, di due o piú cose ragionandosi, in dubbio o in elezion le pone degli ascoltanti, come qui, che io in dubbio o in elezion dissi, la quale O, Overo eziandio si disse; o pure per quell'altra che è di doglianza principio: O quanto è oggi cotal vita mal conosciuta; o ancora per quella che è segno d'alcun disio, e suolsi con la particella Se il piú delle volte mandar fuori:O se questa temenza
non temprasse l'arsura che m'incende,
beato venir men.
Mandasi tuttavia alcuna volta eziandio senza essa:
E o pur non molesto
le sia 'l mio ingegno, e 'l mio lodar non sprezze.
Ma leggesi oltre acciò per un cotal modo di parlare, che alle volte contiene in sé maraviglia piú tosto che altro; alle volte non la contiene; ora con richiesta posto, sí come la pose il Boccaccio, O mangiano i morti?, e ora senza essa. Et èssi detta ancora cosí, Ora e Or: Ora le parole furono assai, e il ramarichío della donna grande, e poco davanti, Or non son io, malvagio uomo, cosí bella come sia la moglie di Ricciardo?. Nella qual guisa ella si dice sempre nel verso:
O fido sguardo, or che volei tu dirme?.
Ma tornando alla O, che in vece d'Overo si dice, è da sapere che le danno i poeti spesse volte la D, quando la segue alcuna vocale, per empiere la sillaba; sí come diede Lapo Gianni, che disse:
Né spero dilettanza,
né gioia aver compita,
se 'l tempo non m'aita
od amor non mi reca altra speranza;
e come diede il Petrarca, dicendo:
Pomm'in cielo, od in terra, od in abisso.
Quantunque non solo alla O diedero i poeti la D, ma oltre acciò ancora alla particella Se; sí come fece Dante, che disse nelle sue canzoni:
Di che domandi amor, sed egli è vero;
e alla Né, sí come diede il Petrarca, il qual disse:
Ned ella a me per tutto 'l suo disdegno
torrà giamai;
e, oltre a questo, alla voce Che, sí come si vede in Gianni degli Alfani, il qual disse:
E se vedrà 'l dolore,
che 'l distrugge, i' mi vanto
ched e' ne sospirrà di pietà alquanto,
e nel Boccaccio, che in nome del dianzi detto Mico, disse:
Che vadi a lui, e donigli membranza
del giorno, ched io il vidi a scudo e lanza.
Come che ciò si legga non solo ne' versi, ma ancora nelle prose: E perciò poi ched e' vi pure piace, io il farò, e altrove, Fu da' medici consigliato, ched egli andasse a' bagni di Siena, e guarrebbe senza fallo. Sono ancor di quelli che dicono che eziandio alla particella E, che congiugne le voci, si dà alle volte la D, in vece della T, che latinamente parlandosi sta seco; sí come affermano che diede il Petrarca, quando e' disse:
S'avesse dato a l'opera gentile
con la figura voce ed intelletto;
con ciò sia cosa che piú alquanto empie la sillaba e falla piú graziosa la D, che la T.
[3.LXXI.]
Dicesi Non la voce che niega; contraria di cui è Sí, che afferma; come che ella eziandio, in vece di Cosí, si ponga per chi vuole. La qual Cosí si disse ancora Cosifattamente nelle prose. Né solo in vece di Cosí, ma ancora in vece di Che, la pose il Boccaccio piú volte, per un cotal modo di parlare, che altro non è che vago e gentile: Il fante di Rinaldo, veggendolo assalire, sí come cattivo, niuna cosa al suo aiuto adoperò; ma, volto il cavallo sopra il quale era, non si ritenne di correre, sí fu a Castel Guiglielmo, in luogo di dire: non si ritenne di correre, che fu a Castel Guiglielmo; e ancora, Egli è la fantasima, della quale io ho avuta a queste notti la maggior paura che mai si avesse tale; ché, come io sentita l'ho, io ho messo il capo sotto, né mai ho avuto ardir di trarlo fuori, sí è stato dí chiaro. Nella qual maniera, Dante medesimamente piú volte nelle sue rime la pose, e altri antichi scrittori ancora nelle loro prose. E oltre acciò che la detta particella si pone ad un altro sentimento, condizionalmente parlandosi, in questa maniera: Se ti piace, sí ti piaccia; se non, sí te ne sta, dove si pare che ella adoperi quasi per un giugner forza al ragionamento; e ancora non condizionalmente, sí come la pose Giovan Villani: Ma per seguire suoi diletti massimamente in caccia, sí non disponea le sue virtú al reggimento del reame; e il Boccaccio che disse: Che se mio marito ti sentisse, pogniamo che altro male non ne seguisse, sí ne seguirebbe, che mai in pace né in riposo con lui viver potrei. Dicesi eziandio alcuna volta Sí, in atto di sdegno e di disprezzo, e di tutto il contrario di quello che noi diciamo: Sí, tu mi credi con tue carezze infinte lusingare.[3.LXXII.]
Ma, tornando alla particella Non, aviene ancora che ella si dice bene spesso soverchiamente; e pure è toscanamente cosí detta: il medesimo Boccaccio: La qual sapea, che da altrui, che dallei, rimaso non era che moglie di Nastagio stata non fosse, dovendosi per lo diritto piú tosto dire: che moglie di Nastagio stata fosse; e altrove: Io temo forte che Lidia con consiglio e volere di lui questo non faccia, in vece di dire: questo faccia. La qual particella eziandio si dice No, quando con lei si fornisce e chiude il sentimento, Io no Questi no, ché, altramente dicendosi, si direbbe Non io Non questi; o quando ella si pon dopo 'l verbo:Ma romper no l'imagine aspra e cruda;
o ancora quando si pon due volte: Non farnetico no, Madonna, e Non son mio no, e A' quali dir di no non si puote, e simili; o quando ella si pon col Sí:
Ch'or sí or no s'intendon le parole.
Dicesi ancora No ogni volta, che dopo lei si pon l'articolo Il, e nelle prose e nel verso. Nel qual verso è alcun'altra volta, che ella cosí si dice quando la segue alcuna vocale, per lo medesimo divertimento della N ultima, che vi si fa:
Né chi lo scorga
v'è se no amor, che mai no 'l lascia un passo.
È oltre a questo, che la Non si pone in una maniera che vi s'intendono piú parole a fornire il sentimento; sí come si vede appo 'l Boccaccio: Non ne dovessi io di certo morire, che io non me ne metta a far ciò, che promesso l'ho, e come altri parla, ragionando tuttavia, massimamente tra sé stesso; Perciò che tanto è a dire in quel modo, come se si dicesse: Non rimarrà, se io ne dovessi di certo morire, che io non mi metta a far ciò, che promesso l'ho. Né poi, che ancor niega, e quasi sempre si pone in compagnia di sé stessa o d'altra voce che pur nieghi, è alle volte che, posta da' prosatori in un luogo, ha forza di negare ancora in altro luogo dinanzi, dove ella non è posta; cosí: E comandolle che piú parole né romor facesse, e ancora, Acciò che egli senza erede, né essi senza signore rimanessero. Et è alcune altre volte, che da' poeti si pone in vece di questa particella Overo, che si dice parimente O, come s'è detto:
Onde quant'io di lei parlai né scrissi;
e ancora,
Se gli occhi suoi ti fur dolci né cari.
È tuttavia, che questa particella s'è posta da' medesimi poeti, senza niun sentimento avere in sé, ma solo per aggiunta e quasi finimento ad altra voce, forse affine di dar modo piú agevole alla rima; sí come si vede in Dante, non solo nel suo poema, nel quale egli licenziosissimo fu, ma ancora nelle canzoni, che hanno cosí:
La nemica figura, che rimane
vittoriosa e fera,
e signoreggia la virtú che vole,
vaga di sé medesma andar mi fane
colà dov'ella è vera;
e come si vede in quelle di messer Cino, che cosí hanno:
E dice, lassa, che sarà di mene?
Il che si vede medesimamente nelle ottave rime del Boccaccio, posto e detto dallui piú volte.
[3.LXXIII.]
Leggesi la particella Se non, che si pone condizionalmente: Se ti piace, io ne son contento: se non ti piace, e' m'incresce. Et è spesse volte, che si dice Se non in vece di dire Eccetto; nel qual modo alcuna volta ella s'è mandata fuori con una sillaba di piú; et èssi detto Se non se e Se non si:Se non se alquanti c'hanno in odio il sole.
Come che la Se non si si pose sempre col verbo Essere: Se
non si furono i tali. Tuttavia è particella che, cosí pienamente detta, rade volte
si vede usata e nell'un modo e nell'altro. Dicesi eziandio alcuna volta Se non, in
luogo di dire Solamente: Io non sentiva alcun suono di qualunque instrumento,
quantunque io sapessi lui se non d'uno essere ammaestrato, che con gli orecchi levati io
non cercassi di sapere chi fosse il sonatore.
Ma tornando alla Se condizionale,
dico che ella, posta col verbo Fosse, si lasciò alcuna volta e tacquesi dagli
antichi, in un cotal modo di parlare, nel quale ella nondimeno vi s'intende; sí come si
tacque alcuna volta eziandio da' latini poeti. Il qual modo appo noi, non solamente ne'
poeti si legge, sí come furono Buonagiunta da Lucca, che parlando alla sua donna del
cuore di lui, che con lei stava, disse:
E tanto gli agradisce il vostro regno,
che mai da voi partir non potrebb'ello,
non fosse da la morte a voi furato,
ciò è se non fosse; e Lapo Gianni, che disse:
Amor, poiché tu se' del tutto ignudo,
non fossi alato, morresti di freddo,
ciò è se non fossi; o come fu Francesco Ismera, che disse:
Non fosse colpa, non saria perdono;
o come fu ancora il Petrarca, il qual disse:
Solamente quel nodo,
ch'amor circonda a la mia lingua, quando
l'umana vista il troppo lume avanza,
fosse disciolto, i' prenderei baldanza;
ma, oltre acciò, si legge eziandio nell'istoria di Giovan Villani, il qual disse: E poco vi fosse piú durato all'assedio, era stancato, in vece di dire: E se poco piú durato vi fosse. È alcun'altra volta ancora, che ella da' poeti si pone in vece di Cosí, a cui si rende la particella Che, in vece di Come, in questa maniera:
S'io esca vivo de' dubbiosi scogli,
e arrive il mio exilio ad un bel fine,
ch'i' sarei vago di voltar la vela,
ciò è, Cosí esca io vivo delli scogli, come io sarei vago di voltar la vela.
[3.LXXIV.]
Sono Intra e Infra quello stesso, che per abreviamento Tra e Fra si dissero. Delle quali le due vagliono molto spesso quanto val Dentro: Infra li termini d'una picciola cella, Andarono infra mare e Fra sé stesso cominciò a dire, Si mise tanto fra la selva; e la Intra alcuna volta altresí: Entrato in tra le ruine. Quantunque la Fra sia stata presa talora eziandio in un altro sentimento, che si disse dal medesimo Boccaccio: Fra qui ad otto dí, in vece di dire: Di qui ad otto dí; quasi dicesse: Fra otto dí. Ma la particella Tra, la quale s'è alle volte posta latinamente, Interrompere Interdetto nel verso e Intervenuto Interponendosi nelle prose, è tale volta che vale quanto vale In: Giovan Villani: I quali mandarono in Lombardia mille cavalieri tra due volte; e il Boccaccio: Sí come colui, che da lei tra una volta e altra aveva avuto quello che valeva ben trenta fiorin d'oro. Tuttavia ella si pone, in quel primo sentimento, eziandio molte volte con piú d'una voce: Tra te e me, Gran pezza stette tra pietoso e pauroso. Ponsi nondimeno con piú d'una voce ancora, di modo che ella un altro sentimento ha: Sí che tra per l'una cosa e per l'altra io non volli star piú; e altrove: E già tra per lo gridare e per lo piagnere e per la paura e per lo lungo digiuno era sí vinto, che piú avanti non potea. La qual particella pare che vaglia quanto suol valere la Sí, due volte o piú detta, sí come sarebbe a dire: Sí per questo e sí per quello. Dissesi oltre acciò da' molto antichi alcuna volta eziandio in vece della O, condizionalmente posta: E que' mi domandaro per la verità di cavalleria, ch'io dicessi qual fosse migliore cavaliere tra 'l buon re Meliadus, o 'l Cavaliere senza paura; e altrove: Li Romani tennero consiglio qual era meglio tra che gli uomini avessero due mogli, o le donne duo mariti. Il che si vede eziandio in Dante, che disse:La mia sorella, che tra bella e buona
non so qual fosse piú.
Et è ancora che Tra si dice alcun'altra volta, in luogo di dir Tutto; sí come si disse dal Boccaccio: E in brieve, tra ciò che v'era, non valeva altro che dugento fiorini; ciò è tutto ciò che v'era. Questa medesima particella tuttavia, quando col verbo si congiugne, ella ora dalla Intra, che la intera è, si toglie, Traporre Tramettere, che parimente Intramettere si disse; ora dalla Trans latina, a cui sempre si leva la N, Trasporre Trasportare Trasformare Trasandare, perciò che Translato, che disse il Petrarca, è latinamente, non toscanamente detto, e alcuna volta eziandio la S, Traboccare Trapelare Travagliare, quando propriamente si dice, Trafiggere.
[3.LXXV.]
Dassi al verbo alcuna volta eziandio la Fra, che dalla Infra si toglie, e fassene Frastornare, e ciò è Adietro alcuna cosa tornare, con ciò sia cosa che ella non al verbo Tornare si giugne, anzi al verbo Stornare, che quello stesso varrebbe se s'usasse a dire; sí come s'usa Sgannare Sdebitare Scignere, e molti nomi ancora, Smemorato Scostumato Spietato e infiniti altri, ne' quali la lettera S molto adopera in quanto al sentimento. Come che altri verbi e altre voci sono, nelle quali la S nulla può, ma giugnevisi e lasciavisi secondo che altrui giova di fare: Traviare Trasviare, l'una delle quali piú è del verso e l'altra piú delle prose, Guardo Sguardo; nella qual voce veder si può quanto diligente consideratore, eziandio delle minute cose, stato sia il Petrarca, perciò che ogni volta che dinanzi ad essa nel verso aveniva, che esser vi dovesse alcuna vocale, egli s'aggiugneva la S e diceva Sguardo, per empiere di quel piú la sillaba:Se 'l dolce sguardo di costei m'ancide;
ogni altra volta che vera alcuna consonante, egli allo 'ncontro gliele toglieva, affine di levarne l'asprezza e far piú dolce la medesima sillaba, e Guardo diceva continuo:
Fa ch'io riveggia il bel guardo, ch'un sole
fu sopra 'l ghiaccio, ond'io solea gir carco.
E ciò medesimamente fece di Pinto e Spinto, per quelle rade volte che gli avenne di porle nelle sue canzoni, e d'altre. Sono poi altre voci, alle quali la S, che io dico raggiunta, né quel molto né questo nulla si vede che può in loro. Puovvi nondimeno alquanto; sí come sono Spuntare Stendere Scorrere Sportato e Sporto, che disse il Boccaccio e Sprovato, che in sentimento di Ben provato Giovan Villani disse. E haccene eziandio alcuna, in cui la S ad un altro modo adopera. Con ciò sia cosa che molto diverso sentimento hanno Pende e Spende, Morto e Smorto, la qual voce da Smorire si forma, che è Impallidire, anticamente detto; e nel verso, Paventare è aver paura e Spaventare è farla; la qual poi nelle prose vale quanto l'uno e l'altro e formasi dal nome Spavento, là dove Paventare non par che abbia di che formarsi, ché Pavento per Paura, sí come Spavento, non si può dire. Dassi a' verbi e ad altre voci, oltre a queste, non solamente la Dis, che quello stesso opera che la S, quando ella molto adopera, e fassene Disama Disface Dispregio Disonore e infinite altre; ma ancora la Mis, che diminuimento e manchezza dimostra, e formasene Misfare, che è Peccare e commettere alcun male, con ciò sia cosa che quando si fa men che bene, si pecca, e Misagio, che è Disagio, da Giovan Villani dette; e Mispatto altresí e Misleale e Miscredenza dette dal Boccaccio; e alcuna di queste da altri ancora piú antichi, e per aventura dell'altre.
[3.LXXVI.]
Dicesi Quando che sia Come che sia Che che sia, e vagliono, l'una quanto vale A qualche tempo, e l'altra quanto vale A qualche modo e dissesi alcuna volta ancora cosí: In che che modo si sia; la terza tanto è a dire, quanto Ciò che si voglia, che si disse eziandio Che vuole dal Boccaccio nelle sue ballate:E che vuol se n'avenga.
Vale ancora molto spesso quanto Alcuna cosa. Leggesi, oltre a queste, una cotal maniera di voci: Carpone, quello dimostrante, che è l'andare co' piedi e con le mani, sí come sogliono fare i bambini che ancora non si reggono, formata dallo andar la terra carpendo, cioè prendendo, dal Petrarca detta; e Boccone e Rovescione, che sono l'una il cadere innanzi, detta dallo andare a bocca china, o pure lo stare con la bocca in giú, l'altra il cadere o stare rovescio e supino; e Tentone, che è l'andare con le mani innanzi a guisa di cieco, o come aviene quando altri è nel buio, detta dal tentare che si fa, per non percuotere in che che sia; e Brancolone, che è l'andare con le mani chinate, abbracciando e pigliando; e Frugone, frugando e stimolando; e Cavalcione, che è lo star sopra uomo o sopra altro, alla guisa che si fa sopra cavallo; e Ginocchione, che quello che ella vale assai per sé fa palese. È oltre a queste Supin, che disse Dante nel suo Inferno, in vece di dire Supinamente:
Supin giaceva in terra alcuna gente.
[3.LXXVII.]
Dicesi Forse, che cosí si pose sempre dagli antichi. Forsi, che poi s'è detta alcuna volta da quelli del nostro secolo, non dissero essi giamai. E dicesi Per aventura quello stesso. Gnaffe, che disse il Boccaccio nelle sue novelle, è parola del popolo, né vale per altro, che per un cominciamento di risposta e per voce che dà principio e via alle altre. Sono alcune altre voci, le quali, perciò che sono similmente voci in tutto del popolo, rade volte si son dette dagli scrittori; sí come è Mai, che disse il Boccaccio: Mai frate il diavol ti ci reca; che tanto vale quanto Per Dio, forse dal greco presa e per abbreviamento cosí detta, e ponsi piú spesso col Sí e col No che con altro, piú per uno uso cosí fatto, che per voler dire Per Dio sí o Per Dio no, come che la voce il vaglia. Altro vale la Mai, che disse Dante piú volte, sempre ponendoia con la Che:Io vedea lei; ma non vedea in essa
mai che le bolle, che 'l bollor levava,
e altrove:
La spada di qua su non taglia in fretta,
né tardo, mai ch'al parer di colui,
che desiando o temendo l'aspetta;
perciò che queste due particelle Mai che, le quali dal medesimo poeta si dissero alcuna volta Ma' che, vagliono come vale Salvo che o Se non o simil cosa. E sí come è Fa, dallui similmente una volta posta in queste medesime prose: Fa, truova la borsa, voce d'invito e da sollecitare altrui a fare alcuna cosa, che ora si dice Su piú comunemente. Quantunque ella alcuna volta vale altro, con ciò sia cosa che Fatti con Dio tanto a dire è quanto Rimanti con Dio. È oltre acciò Baco, voce che si dice a bambini per far loro paura, pure dal Boccaccio nella novella di messer Torello detta: Veggiam, chi t'ha fatto baco e ancora nel suo Corbaccio: Quivi, secondo che tu puoi aver veduto, con suo mantel nero in capo, e secondo che ella vuole che si creda per onestà molto davanti agli occhi tirato, va facendo baco baco a chi la scontra.
[3.LXXVIII.]
Sono oltre acciò alcune voci, che si dicono compiutamente due volte, sí come si dice A pena a pena e A punto a punto, che poco altro vale che quel medesimo, le quali si son dette poeticamente e provenzalmente, perciò che io a messer Federigo do intera fede, ancora cosí, A randa a randa, non solo da Dante, ma da altri Toscani ancora; e come A mano a mano, che vale quanto Appresso e quanto Incontanente e simili, quasi ella cosí congiunta quello di che si parla come se egli con mano si toccasse, o al tempo o al luogo che si dia questa voce, et è non meno del verso che delle prose; e come Via via, che vale quello stesso, dico detta due volte; perciò che detta solamente una volta cosí, Via, ella vale quanto val Molto, particella assai famigliare e del verso e delle prose; ma queste d'una lettera la mutarono, Vie dicendolane. Vale ancora spesso, quanto Fuori; o ponsi in segno di allontanamento, e in questo sentimento Via si dice continuo; e alcuna volta quanto Avanti o quanto Da o simile cosa, sí come la fe' valere il Boccaccio che disse: Infin vie l'altr'ieri, ciò è Infino avanti o Infin dall'altr'ieri; e alcun'altra si pone in luogo di concessione, e tanto a dir viene quanto Su: il medesimo Boccaccio: Via faccialevisi un letto tale, quale egli vi cape; e, Or via diangli di quello che va cercando; il che si dice medesimamente, Or Oltra Oltre. Ponsi ancora, oltre a tutto ciò, Via in vece di Fiate; il che è ora in usanza del popolo, tra quelli che al numerare e al moltiplicare danno opera nel far delle ragioni. Quantunque Guitton d'Arezzo in una sua canzone la ponesse, Spesse via in luogo di Spesse fiate dicendo. E come Ad ora ad ora, che vale quanto Alle volte, et è del verso, e dicesi alcuna volta A otta a otta nelle prose, nelle quali non mancò che ella ancora cosí, Otta per vicenda, non si sia detta. E come è ancora Tratto tratto, che vale anche ella quanto A mano a mano, o vero quanto Ogni tratto e Ogni punto, che disse il Boccaccio: E parevagli Tratto tratto che Scannadio si dovesse levar ritto, e quivi scannar lui. E altre voci sono, che due volte si dicono per maggiore ispression del loro sentimento, e l'una volta si dicono mezze o tronche, e l'altra intere; sí come Ben bene, che è delle prose, e Pian piano, che pose il Petrarca nelle sue canzoni, e Tututto, in vece di Tutto tutto, che pose il Boccaccio nelle sue ballate, in questi versi:E de' miei occhi tututto s'accese,
e ancora,
E com'io so, cosí l'anima mia
tututta gli apro, e ciò che 'l cuor desia;
e in altri suoi versi medesimamente, e sopra tutto nella Teseide. Né solo la pose ne' versi, ma ancora nelle prose: I vicini cominciarono tututti a riprender Tofano, e a dare la colpa allui. Né cominciò tuttavia dal Boccaccio a dirsi Tu in vece di Tutto, perciò che cosí si dicea da' piú antichi; sí come si vede in Giovan Villani, che disse: La notte vegnente la Tussanti, in vece di dire la Tutti Santi, ciò è la solennità di tutti i Santi; voce usata a dirsi nella Francia, e per aventura presa dallei. Et è questa voce stata da loro detta, sí come ora da' nostri uomini si dice Popoco; avegna che la voce Tututto sia piú tosto nome che altra particella del parlare, sí come son l'altre, delle quali io ora vi ragiono; anzi pure delle quali v'ho ragionato, perciò che a me non soviene ora piú in ciò che dirvi -.
[3.LXXIX.]
Con le quali parole avendo Giuliano dato fine al suo ragionamento, egli da seder si levò; appresso al quale gli altri due parimente si levarono, partir volendo. Ma mio fratello, che pensato avea di tenerli seco a cena, e aveala già fatta apparecchiare, partire non gli lasciò, pregandogli a rimanervi. Onde essi, senza molte disdette, di fare ciò che esso volea si contentarono. E messe le tavole, e data l'acqua alle mani, tutti insieme lietamente cenarono. E poscia al fuoco per alquanto spazio dimorati, sopra le ragionate cose per lo piú favellando, e spezialmente messer Ercole, il quale agli altri promettea di volere al tutto far pruova se fatto gli venisse di saper scrivere volgarmente, essendo già buona parte della lunga notte passata, gli tre, mio fratello lasciandone, si tornarono alle loro case. Biblioteca |
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Edizione telematica a cura di: Claudio Paganelli, 1999
Revisione, Edizione HTML e impaginazione a cura di: Giuseppe Bonghi, Aprile 1999
Tratto da: Pietro Bembo, Prose della
volgar lingua, Gli Asolani, Rime, a cura di Carlo Dionisotti, TEA Tascabili Editori
Associati, Milano 1997
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Ultimo aggiornamento: 21 aprile, 1999