Giuseppe Bonghi
VITA
D E L C A R D I N A L
PIETRO BEMBO
Pietro Bembo,
"della nobilissima Famiglia Bemba, che tra le Patrizie di questa eccelsa Repubblica
è una delle più antiche, il quale per la varietà e finezza della erudizione fu uno de'
più gran letterati, che abbia in qualunque tempo avuto l'Italia", nacque a Venezia
il 20 maggio 1470 da Bernardo e da Elena Marcella Morosini. Suo padre era
uno dei più autorevoli personaggi della Repubblica Veneta, molto rispettato per le sue
doti di equilibrio e di intelligenza, per cui viene utilizzato spesso in ambascerie
delicate.
Pietro venne allevato con gran diligenza,
e indirizzato nello studio delle belle Lettere, tanto che presto avrebbe fatto capire
quali livelli avrebbe potuto raggiungere per la bontà dellingegno di cui era stato
dotato da madre natura.
Nel 1478, il padre viene mandato dal
Governo della Serenissima come "Ambasciadore" presso la Repubblica di Firenze,
un impegno che lavrebbe impegnato per due anni, e porta con sé Pietro che aveva la
tenera età di soli otto anni, perché apprendesse dal vivo la lingua toscana, lasciando
da parte quella veneziana, che viste le prove ancor scarse sul piano letterario, sarebbe
per logica di cose rimasta piuttosto un dialetto che diventare una lingua nella quale
potesse esprimersi anche chi veneziano non era. E a Firenze non conobbe solo la lingua
fiorentina, ma rivolse la sua attenzione anche alle bellezze oltre che allimportanza
della conoscenza di quella latina, che in quegli anni stava riscuotendo un apprezzabile
successo ad opera dello studioso Gasparino Barziza, in questo protetto e spronato da
Lorenzo de' Medici, e soprattutto era la lingua ufficiale usata nelle relazioni politiche
e negli argomenti che avevano una qualche attinenza con le scienze.
Nel 1480 ritorna in Venezia, dove
continua i suoi studi; nel 1487-1488 compie il suo primo viaggio a Roma col padre
ambasciatore presso Papa Innocenzo VIII, un Papa col quale il prestigio e la moralità
della Chiesa stava subendo una decadenza dolorosa, che culminò proprio nel 1488 con il
matrimonio (20 gennaio) celebrato in Vaticano tra suo figlio Franceschetto e Maddalena
figlia del signore di Firenze, un matrimonio che nel contratto portava anche alla nomina a
cardinale di Giuliano dei Medici che aveva appena 13 anni e che già dalletà di
sette anni era diventato protonotaro apostolico e diventerà poi Papa col nome di Leone X.
Alla fine del 1488, tornato da Roma,
Bernardo viene creato Podestà di Bergamo, e si porta dietro il giovane Pietro.
Lincarico durò due anni, e il soggiorno restò per sempre nella sua memoria per la temperatezza
dell'aere, e dell'amenità del sito; qui ebbe egli occasione di conoscere importanti
personaggi, come il Calepino, Frate Jacopo Filippo, Giovambattista Pio, Guidotto
Prestinari, e Giovanfrancesco Suardo, il quale ultimo cominciava a ravvivare in Bergamo il
vero gusto di scrivere poesie in volgare fiorentino. Cominciava pertanto il Bembo a
comporre con molta grazia così in verso come in prosa, e tanto il latino quanto in
volgare, studiandosi di imitare, quanto meglio potesse, lo stile de' migliori maestri.
Tornato a Venezia ebbe come primo vero maestro Giovanni Alessandro Urticio, sia per la
lingua latina che per la letteratura italiana.
Nel 1491 lo ritroviamo a Venezia, dove
incontra nel mese di giugno il Poliziano:
Il 3 giugno 1491 Giovanni Pico della Mirandola e Angelo Poliziano partivano da Firenze per un viaggio di studi nell'Italia settentrionale Dopo aver fatto tappa a Bologna, Ferrara e Padova, il Poliziano giungeva a Venezia. Qui appena giunto, il 23 giugno, in casa Bembo egli cominciava a collazionare un suo esemplare a stampa delle commedie di Terenzio con un codice antichissimo (ora Vat. Lat. 3226). Terenzio non era l'autore che più potesse interessare il Poliziano. Ma la nuova filologia, che questi aveva inaugurato due inni prima con la sua Miscellanea voleva che di ogni autore, anche dei più triti, si rivedesse e misurasse la tradizione, e che l'antichità e purezza della testimonianza, scritta o incisa, testi letterari o iscrizioni, valesse per sé. Il Terenzio di casa Bembo apparteneva alla più alta aristocrazia dei codici scritti ancora nell'età classica e sopravvissuti per dieci secoli circa all'usura del tempo e alle distruzioni dell'età barbarica. Su quei caratteri grandi e remoti gli occhi dei Poliziano si accendevano di entusiasmo: " O foelix nimium prior aetas! Ego Angelus Politianus homo vetustatis minime incuriosus, nullum aeque me vidisse ad hanc diem codicem antiquum fateor ". Questa postilla fu scritta dal Poliziano sul codice stesso dei Bembo, certo per invito dei proprietari : segno della stima che essi avevano per l'umanista. Del suo lavoro di collazione il Poliziano scrisse poi nel suo esemplare di Terenzio il seguente ricordo: " Ego Angelus Politianus contuleram codicem hunc terentianum cum venerandae vetustatis codice, maioribus conscripto litteris, quem mihi utendum commodavit Petrus Bembus venetus patricius, Bernardi iurisconsulti et equitis filius, studiosus litterarum adulescens... Ipse etiam Petrus operam mihi suam in conferendo commodavit ". Questa postilla del maggiore umanista e poeta italiano del Quattrocento è il primo documento che induce nella storia dell'umanesimo e della letteratura italiana il nome di Pietro Bembo. È una degna iniziazione, e l'incontro dei due, per breve che fosse, certo lasciò un segno nella vita del più giovane.
(Carlo Dionisotti, in Pietro Bembo, Prose della volgar lingua, Gli Asolani, Rime, a cura di Carlo Dionisotti, Utet-Classici Italiani TEA, Milano 1989, pp. 7-8)
Anche lincontro
col Poliziano convince il giovane Bembo che se vuole perfezionare il possesso della lingua
latina deve conoscere anche la lingua greca; così chiede al padre il permesso di recarsi
a Messina, per studiare il greco alla scuola di Costantino Lascaris, ritenuto forse il
migliore dei grecisti italiani dellepoca. Il padre Bernardo esaudisce a malincuore
il desiderio del figlio, perché sa che in questo modo non potrà proseguire il cammino
della via diplomatica e politica al quale sarebbe stato destinato come discendente di una
delle più nobili famiglie veneziane; ma egli era anche un appassionato umanista e un
collezionista di libri (come abbiamo visto nellepisodio dellincontro col
Poliziano), e le pagine da lui scritte e postillate, rende ancora limmagine di un
uomo per cui per cui la dottrina e la poesia, la lettura degli antichi e dei moderni, e la
conversazione geniale, erano inseparabili dalle responsabilità e ambizioni della vita
politica. (Dionisotti) Alletà di 22 anni parte dunque nel 1492 da Venezia, in
compagnia di un altro gentiluomo, amico e compagno di viaggio chiamato M. Angelo Gabriele,
e se ne andò per la via di Napoli a Messina per mare, ove trattenutosi per due anni e
mezzo imparò così felicemente la lingua Greca, che non solo la parlava, ma la scriveva
anche con grande correttezza e proprietà. Nel 1494 torna a Venezia, dove si allarga la
cerchia degli amici, e con lamico Gabriele prosegue gli studi a Padova, dove seguì
soprattutto le lezioni di filosofia di Niccolò Leonico Tomeo.
Frutto di questo soggiorno fu anche la
scrittura di unoperetta, il De Aetna (allepoca tradotto: Lincendio
dellEtna) un dialogo latino tra lautore e proprio il padre
sulleruzione dellEtna, che venne pubblicato in Prima edizione a Venezia da Aldo
Manuzio con la data di febbraio MVD, cioè 1595 (da intendere 1596 per una questione
di ordinamento del calendario veneziano) con una dedica indirizzata proprio allamico
e compagno di studi a Messina Angelo Gabriele: la pubblicazione, una delle prime di Aldo
Manuzio, che aveva cominciato le sue pubblicazioni con la grammatica greca di Costantino
Lascaris e Bembo e lamico avevano portato da Messina. La fama di Pietro Bembo
cominciò a diffondersi non solo per loperetta pubblicata, ma anche perché si
esprimeva perfettamente nelle tre lingue maggiori dellepoca, la Toscana, la Latina e
quella Greca (già questo lo metteva al di sopra di molti letterati dell'epoca e lo
rendeva degno di lodi e di onori presso e già conosciuto presso le corti italiane), in un
periodo particolarmente doloroso per lItalia umanistica per la morte di Ermolao
Barbaro (il più grande umanista veneziano, 1493) e nello stesso anno 1494 del Poliziano
e di Pico della Mirandola, tutti e tre nel fiore delletà.
Il padre cercò di avviare Pietro verso
la carriera diplomatica e politica, e il giovane si mise ad attendere alle cose pubbliche
soprattutto per devozione verso il genitore; ma le prime difficoltà, il dover ricorrere
talvolta a compromessi e il competere con personaggi certamente inferiori a lui per rango
e/o per intelligenza lo spinse a rivolgere lanimo e lattenzione agli studi che
più amava. Un aneddoto (raccontato da Beccatelli nella sua vita del Bembo)
racconta che proprio mentre si trovava in questa incertezza, entrò per pregare in una
Chiesa, dove un sacerdote stava officiando una messa ed era giunto alla lettura del
Vangelo; il Bembo entrò proprio mentre lofficiante pronunciava le parole Petre
sequere me. Al Bembo parve che linvito fosse rivolto proprio a lui tanto da
deliberare di intraprendere appena possibile la carriera ecclesiastica, decidendo
addirittura di ritirarsi nella Badia della Croce dellAvellana nello Stato
dUrbino. Da questa decisione lo distolsero proprio il Duca Guidobaldo di Montefeltro
e la sua consorte Elisabetta Gonzaga dove si recherà nel 1497.
In quellanno, lo troviamo a
Ferrara, dove suo padre era stato spedito come Vicedomino, un titolo che ha
pochi riscontri nella vita politica italiana del tempo: la flotta veneziana aveva
sconfitto quella del Duca di Ferrara, procacciandosi il diritto di inviare in quella
città un gentiluomo, eletto dal Senato, che avrebbe governato la Città "quasi
compagno del Duca". Proprio a Ferrara, tra i disturbi della corte, dove si trattenne
fino al 1499, scrisse Gli Asolani, che ottennero un grande successo in un ambiente
frequentato da illustri letterati, coi quali stringerà profonda amicizia, fra i quali Baldassar
Castiglione, Bernardo Dovizio da Bibbiena, per ricordare solo i più importanti
e noti, e soprattutto quel Giuliano dei Medici, terzogenito di Lorenzo il Magnifico, che
diverrà Papa col nome di Leone X. Gli Asolani hanno alla base la "ricerca del
vero, le dottrine classiche e cristiane, e la speculazione neoplatonica
sullamore" che in quei mesi lautore stava approfondendo con specifici
studi filosofici.
Lopera fu intitolata così da
Asolo, piccolo paese del Trevigiano, eletto da Caterina Cornaro, vedova dellultimo
Lusignano, re di Cipro, per sua dimora e ritiro; qui si era recato il Bembo nel settembre
1496, fra conviti e danze con cui si festeggiava il matrimonio della più favorita fra le
damigelle della Cornaro, esaltando da una parte lamore come una sorgente della
nostra più grande felicità, dallaltra condannando la passione amorosa come la
profonda causa delle sciagure umane. Il Bembo passa dallamore umano alla
contemplazione dellamore divino, di cui ragiona con idee fondamentalmente
platoniche.
Sono anche gli anni dellamore, di
cui poco, anzi quasi nulla sappiamo; dagli Asolani (scrive Dionisotti, cit.)
"Si intravede abbastanza un amore forte e dolorosamente troncato e lungamente
ricordato. Siamo invece bene informati di un secondo amore nato e durato mentre la
composizione degli Asolani era già in corso: amore d'un uomo ormai sui trent'anni e d'una
donna anch'essa nel pieno fiore della vita, moglie e madre. Di qui, dalle lettere di lui e
di lei, si intende quanto la donna contasse, quanta usura e rischio, ma quanto stimolo
anche e pienezza di vita comportasse l'amore. Poi, ancora prima che gli Asolani
uscissero a stampa, fu il più celebre amore per Lucrezia Borgia, e di nuovo e sempre più
la prepotente personalità della donna si misura con quella dell'uomo e lo esalta".
Tornato a Venezia, conosce Maria
Savorgnan, forse lamore più profondo della sua vita, di cui molto si conosce
attraverso lo scambio di lettere trascorso tra i due. Nei due anni trascorsi si stringe
molto lamicizia con Aldo Manuzio, presso il quale cura la pubblicazione delle Rime
del Petrarca nel 1501 e la Commedia di Dante lanno seguente. Le due opere curate dal
Bembo si pongono, all'inizio del nuovo secolo, come l'inizio di quel lungo processo di
rivalutazione della cultura italiana del Duecento e del Trecento che meritava di stare a
fianco dei grandi classici latini e greci, un processo che coinvolgerà tutta la cultura
italiana in genere e fiorentina in particolare.
Nel 1502 tornò a Ferrara, dove conobbe Lucrezia
Borgia, che nel febbraio di quellanno era andata sposa al Duca Alfonso
dEste e se ne innamorò. Questo nuovo soggiorno ferrarese segnò una specie di
lacerazione nei rapporti con la Repubblica e col gruppo storico di amici veneziani: i suoi
interessi sono ormai di tuttaltra natura. Nel mese di maggio compì il suo secondo
viaggio a Roma, con gli amici V. Querini e V. Superchio.
Il 1503 è un anno particolarmente
doloroso: il 30 dicembre gli muore il fratello Carlo che aveva appena compiuto 31 anni; il
dolore fu acerbo e angoscioso per molti anni: col fratello aveva perso il confidente più
sincero, colui al quale tutto poteva essere detto per riceverne non tanto un consiglio
quanto una parola di conforto.
Nel marzo 1505 presso la stamperia
dellamico Aldo Manuzio uscì la prima edizione degli Asolani, e nei mesi di aprile e
maggio compì un viaggio a Roma col padre ambasciatore. Nel giugno, con l'amico Paolo
Canale, tornò a Venezia facendo tappa a Urbino, Ferrara e Mantova, dove conobbe Isabella
d'Este.
Nel 1506 abbandonò Venezia e si stabilì
a Urbino, ospite del duca Guidobaldo da Montefeltro, la cui corte raffinata era
stata idealizzata dal Castiglione nella sua opera il Cortegiano, col quale strinse
amicizia; qui conobbe anche Il Bibbiena e Federico Fregoso e compose lanno
successivo le Stanze per una festa di carnevale e la canzone Alma cortese in
morte del fratello Carlo, che così larga eco ebbero presso i contemporanei. Nelle
cinquanta stanze si finge che gli ambasciatori di Venere, giunti a Urbino, roccaforte
della pudicizia femminile, invitino le gentildonne urbinati allamore, a
quellamore che Gismondo aveva celebrato nel secondo libro degli Asolani, di
cui, però, abbandonato il fondo filosofico, restava il puro e semplice discorso
dellamore, espresso con semplicità lirica, senza quegli elementi narrativi e
descrittivi che spesso hanno appensantito la sua opera in prosa. La canzone per la morte
del fratello, morto come abbiamo detto il 30 dicembre 1503, sono lespressione di un
compianto eroico e solenne, sia nella forma che nel contenuto: il lutto personale si
allarga fin quasi a toccare un dolore che poteva essere solo universale in una catastrofe
generale.
Nel 1508 il Papa, al quale dalla Dacia
era stato mandato un libro scritto con abbreviature particolarmente difficili, che nessuno
era riuscito ad interpretare, lo fece dare al Bembo, che glielo sciolse prontamente.
Ottenne così da Giulio II la commenda di san Giovanni di Bologna dell'ordine
gerosolimitano (ma ne entrò in possesso effettivo solo nel 1517) e si obbligò in tal
modo a proseguire nel cammino della carriera ecclesiastica. Ai primi del 1512 mandava al
gruppo dei vecchi amici veneziani i primi due libri delle Prose, ai quali negli
ultimi tempi aveva lavorato alacremente, e li mandò proprio a quegli amici dai quali si
era distaccato nel 1506, quasi a significare una certa continuità con gli ideali del
passato e della gioventù. Ma era destino che le Prose dovevano rimanere per il
momento interrotte.
Nel 1512, infatti, lasciò Urbino per
stabilirsi a Roma, ospite di Federico Fregoso, che presso la Curia godeva di un
grande prestigio, per poter attendere meglio forse a quella carriera ecclesiastica che
aveva appena intrapresa e ricevette da Leone X lincarico di "segretario ai
brevi", quelle lettere pontificie che venivano spedite con minore solennità e
generalmente per affari di minore importanza rispetto alle bolle: queste epistole brevi,
composte in elegante stile ciceroniano, verranno raccolte in sedici libri e stampate nel
1535: la raccolta verrà dedicata a Paolo III; era un impegno che lo teneva strettamente
legato alluso del latino, come daltronde tutto lambiente umanistico
romano, con la sola eccezione di Angelo Colocci, grande animatore del ciceronianismo e
dotto conoscitore della poesia provenzale. A Roma conobbe Ambrogina Faustina Della
Torre, soprannominata la Morosina.
Il gennaio 1513 è la data in cui invia
lepistola polemica De Imitatione a Giovan Francesco Pico, in risposta
a una epistola di questi del 19 settembre 1512; a questa risponderà il Pico, ma la
polemica finì lì; nella una discussione Bembo, che finì con lassumere una
posizione centrale rispetto alluso del latino e del volgare e allo studio della
letteratura classica e della letteratura volgare, parlavano due linguaggi diversi: il Pico
privilegiava laspetto filosofico, e quindi linvenzione e latto creativo,
mentre il Bembo privilegiava lespressione e quindi la scelta linguistica e
stilistica, compito dellartista, su un piano comunque diverso da quello usato dagli
altri parlanti, che ubbidiscono a una esigenza espressiva differente.
Nello stesso 1513 muore Papa Giulio II, e
dopo breve conclave viene eletto il 13 marzo il trentottenne Giovanni de Medici,
figlio di Lorenzo il Magnifico che aveva soltanto il diaconato e che prima
dellincoronazione dovette essere investito del sacerdozio e del vescovado. Il nuovo
Papa, già molto malato, tanto che non potè neppure partecipare ai lavori del conclave,
assume il nome di Leone X, "uomo di bellissime lettere, e degno figliuolo del gran
Lorenzo de' Medici, per onorare il suo Pontificato, volle aver due Segretari de' più
famosi d'Italia; onde prima d'uscir di Conclave elesse il Bembo, e Jacopo Sadoleto.
Nel qual ufficio si diportarono amendue così eccellentemente, che diedero esempio alla
Corte di Roma, come gli uomini saggi sappiano senza invidia perseverar lungamente in uno
stesso posto, e come si possano, anzi debbansi le cose Ecclesiastiche scriver con gravità
e con eleganza insieme" (Beccatelli, cit.). Una eleganza in cui però
il gusto dellimitazione dei classici talvolta si rivelò un po pesante.
Il Bembo aveva 43 anni, quando da Papa lo
nominò Segretario, e mantenne quell'ufficio fino al 1521, anno della morte di Leone X,
acquistandosi il favore sia della Corte che del Papa, dal quale fu adoperato non solo come
Segretario ma anche come Consigliere e inviato in missioni abbastanza importanti, come
quella a Venezia del 1514.; e il Pontefice ne riconobbe i meriti, accrescendogli l'entrata
di beni Ecclesiastici fino a tre mila fiorini d'oro; gli anni romani trascorsero
abbastanza rapidamente, e il pontificato di Leone X trascorse in una "festa continua,
come ricorda il Gregorovius, nella più strana mescolanza di paganesimo e cristianesimo:
mascherate carnevalesche, spettacoli di mitologia antica, storie romane rappresentate
sopra magnifiche scene; e d'altra parte processioni e splendide feste di chiesa, e
rappresentazioni della Passione nel Colosseo, e classiche declamazioni in Campidoglio, e
quotidiane cavalcate di cardinali, e cerimonie d'ingressi di ambasciatori e principi con
comitive così numerose che sembravano eserciti, e cortei del papa" e cacce alla
Magliana e a Viterbo "con falchi in pugno, traendosi dietro mute di cani e pesanti
bagagli e turbe di servi e il seguito di cardinali e degli oratori stranieri e l'allegro
sciame dei poeti di Roma", mentre il vicario di Cristo si abbandonava a burle e
mostrava di divertirsi tra i buffino e le etere, fra le quali spiccavano Beatrice
Ferrarese e Lucrezia da Clarice detta "matrema non vole", risposta che soleva
dare ai suoi amanti per vendere caro il proprio corpo. In questo clima di lussuria e
corruzione, come mai la Chiesa ne aveva vissuti nella sua storia millenaria, al Bembo
venne spesso in mente di allontanarsi; ma la decisione era comunque difficile da
prendersi, per evitare di crearsi nemici che avrebbero potuto inseguirlo ovunque.
Il Bembo corrispose alla liberalità del
Papa con il suo impegno e con fedeltà assoluta, allontanandosi da Roma solo nel 1519 per
la morte del padre, recandosi per un anno, da maggio fino allaprile 1520, a Venezia,
dove giunge il 2 giugno, e Padova, per mettere ordine in una eredità dissestata dai
numerosi debiti lasciati dal genitore. Fu un anno di dolore e di ripensamenti e
meditazioni sulla sua vita, che ormai stava toccando i cinquantanni. Tornato a Roma
aumentò il suo impegno, occupando gran parte della notte nello scrivere e negli studi, e
il giorno nelle sue pubbliche occupazioni, tanto da cadere in una gravissima infermità
per debolezza di stomaco e di tutta la persona: su consiglio dei medici ed esortazione del
Papa lasciò Roma e si recò a Padova alla fine dellaprile 1521, per riacquistare la
salute.
Deciso a vivere per sé e per i suoi
studi, dopo aver superato momenti molto gravi che lo obbligheranno ad interrompere ogni
attività e perfino la corrispondenza con i suoi amici più cari, comincerà a stare bene
solo nei primi mesi dellanno seguente 1522, aiutato e accudito dalla Morosina,
con la quale convisse "more uxorio" e dalla quale ebbe tre figli: Lucilio nel
1523 (che morirà giovanissimo), Torquato nel 1525 (che abbraccerà lo stato
ecclesiastico) ed Elena nel 1528. In quello stesso anno fece la sua "Professione
religiosa" nell'ordine gerosolimitano.
Intanto il 21 Dicembre del 1521 moriva il
Pontefice, e il Bembo, decise di tornare a vivere una vita più dedita agli studi,
lasciando ad altri le incombenze e le ambizioni della vita di Corte; si ritirò allora a
Padova dove si provvide di una casa in cui creò quasi un museo di rarità che aveva pochi
eguali in Italia, di cui così parla Benedetto Varchi: oltre la gran quantità d'ogni
sorta di nobilissimi libri antichi e moderni in tutte le lingue e facoltà, scritti di
mano propria molte volte degli Autori medesimi, che gli composero, era di tante statue e
così perfette, di tante pitture e così nobili ricco ed adorno, senza l'infinita
moltitudine di diverse medaglie, vasi, pietre, gioie, ed altre varie cose preziosissime,
parte per l'artificio, parte per l'antichità, parte per la stravaganza e bizzaria loro
riguardevoli; che a lui stesso fu detto da uno, il quale era andato in quelle parti solo
per veder la grandezza di Venezia e di Padova, io per me vorrei piuttosto la metà dello
studio di Monsignor Bembo che tutto intero l'Arzenale de' Veneziani.
Aveva poi unito alla casa anche un
bellissimo giardino, nel quale si dilettava di Botanica, con la coltivazione di erbe rare
e pregevoli , insieme ad aranci, e ad ogni più bella specie di fiori. A Padova
trascorreva linverno; mentre per trascorrere lestate se ne andava a
Villabozza, possesso antico di famiglia, non molto lontano di Padova, ove in gioventù
aveva fatto gran parte de' suoi studi. Così scrivendo ora Latino, ora Toscano, fecondo
che meglio gli tornava, godette il Bembo molti anni d'una tranquillissima vita, che spesso
era onorata dalla visita dei suoi più cari amici e di letterati stranieri che giungevano
in Italia. Cominciò così un proficuo periodo letterario, durante il quale per prima cosa
portò a compimento le Prose della volgar lingua.
Nemmeno lelezione a Papa di
Clemente VII, uno dei peggiori papi della storia della Chiesa, al secolo Giulio de
Medici, figlio di quel Giuliano de Medici, rimasto vittima nella congiura de
Pazzi, e cugino di Leone X, dal quale era stato nominato prima arcivescovo e poi
Cardinale: sotto il suo papato avvenne quel sacco di Roma da parte dei Lanzichenecchi che
segna nella storia il punto più basso della storia di Roma. Lunica nota positiva
che tutti gli ascrivono è la sua fama di mecenate, come molti altri papi del Cinquecento.
Bembo nel 1524 scrive, in onore del
Vescovo di Verona G.M. Giberti, potente Datario di Clemente VII, un poemetto latino, Benacus,
subito pubblicato1524; tra lottobre e il novembre dello stesso anno si recò a Roma
per offrire a Clemente VII il manoscritto di dedica delle Prose della volgar lingua,
cominciate già molti anni prima, ma interrotte per il lungo soggiorno romano sotto Papa
Leone X , e vi si trattenne fino a tutto il marzo 1525. Rientrò a Padova in aprile,
ritornando al suo solito ozio, e nel mese di settembre fece uscire la prima edizione, a
Venezia presso Tacuino delle Prose della volgar lingua, con la finzione di un
dialogo avvenuto a Venezia nel 1502, come se nel frattempo nulla fosse successo.
Nel dicembre 1529 si recò a Bologna per
le feste della incoronazione imperiale, e il Bembo apparve, alla folla di nobili e
notabili accorsa da ogni parte dItalia, come il letterato di maggiore importanza,
colui che aveva detto qualcosa di fondamentale e che doveva essere guardato con attenzione
e ammirazione, certi che nuovi tempi si preparavano per la cultura. Rientrò a Padova alla
fine di gennaio del 1530. Nel mese di marzo uscì intanto a Venezia la prima edizione
delle Rime e dei Dialoghi latini e, presso Sabbio, la seconda edizione,
fortemente rielaborata degli Asolani, che dovevano rappresentare, sul piano
pratico, la riprova dellimitazione del Petrarca sul piano della poesia e del
Boccaccio sul piano della prosa.
Lanno prima l8 maggio era
morto a Blois in Francia Andrea Navagero Ambasciatore della Repubblica Veneta, allievo di
alcuni fra i più importanti uomini di cultura di Venezia, come Sabellico e Pomponazzi, al
quale già molti anni prima stato dato lincarico di portare a termine le Storie
Veneziane, insieme a quella di custode della biblioteca del cardinale Bessarione, che
il Sabellico aveva narrato fino allanno 1487; ma aveva nel testamento lasciato
scritto che fossero bruciati tutti i suoi scritti, perché non li aveva potuti correggere
a suo modo; alla sua morte lincarico venne affidato al Bembo, che a tale richiesta,
senza guardare né all'età già molto avanzata, né agli altri suoi studi, rispose
cortesemente d'ubbidire volentieri: e così nel 1530, tornando a Padova, assunse
lincarico di scrivere in latino la Storia di Venezia e di bibliotecario presso la
Biblioteca Nicena di Venezia, la futura Biblioteca Marciana. In pochi anni scrisse i
dodici libri che la compongono (Rerum Venetarum historiae libri XII) con quella
eleganza, che ha spesso il sapore dello stile di Cesare, ch'egli spesso diceva di voler
imitare, narrando gli avvenimenti fino allanno 1513. Nel 1532 gli muore il figlio
Lucilio e il 6 agosto 1535 la Morosina, presenza discreta e amorosa, la cui morte spinse
ancor di più il Bembo verso un costume di vita quasi monacale.
Il 25 settembre 1534 moriva Papa Clemente
VII e in un conclave di appena due giorni venne eletto il 12 ottobre Alessandro Farnese
che prese il nome di Paolo III, uomo di grande esperienza (era cardinale da 40 anni);
Nel 1535, in aprile uscì la seconda
edizione, "In Venezia per li fratelli da Sabbio in 4. (questo titolo medesimo
dedizion seconda portano pure le Ristampe dello Scotto, di Comin da Trino, del
Bindoni, di Bartolomeo detto lImperadore, ed altre che furono da questa
ricopiate)", delle Rime, e nel mese di giugno la prima edizione sempre a
Venezia, ma presso Giovanni Padovano e Venturino Ruffinelli, dei Brevi scritti a
nome di Leone X.
Nel luglio 1538 uscì la seconda edizione
a Venezia presso Marcolini delle Prose della volgar lingua.
Il 23 marzo 1539 nominò Cardinale il
Bembo mentre questi si trovava a Venezia. Pochi mesi dopo, consacrato sacerdote il giorno
di Natale, si trasferì a Roma, dove fu ricevuto dal Papa con grandissima dimostrazione di
stima e d'affetto, e spesso era trattenuto presso di sé dal Pontefice che lo voleva
consigliere sulle spinose vicende della Curia. Fu in questa occasione che rinunciò alla
poesia, alle belle lettere, assumendo uno spirito nuovo con la nuova dignità
cardinalizia, e fece oggetto principale dei suoi studi non conservando dei suoi antichi
lavori che la Storia di Venezia. Ritrovò molti degli amici, come il Sadoleto e il
Contarini e soprattutto Giovanni Della Casa che per tutto il periodo in cui fu Nunzio
Apostolico presso la Serenissima Repubblica Veneziana, "avendo una assai nobile
abitazione in Roma, di cui pagava scudi trecento l'anno d'affitto, la volle cortesemente
lasciare al Bembo con molti fornimenti, ed un bellissimo camerino acconcio de' suoi panni
molto ricchi, con un letto di velluto, ed alquante statue antiche, ed altre belle pitture,
senza ch'egli ne pagasse un picciolo, quando il Casa avea infiniti, che l'averebbon tolta
con pagargli l'affitto di molta grazia. Nè contento di quello gli lasciò ancora una
bellissima vigna poco fuori della più bella porta di Roma, dove il Cardinale solea
andar qualche volta a diporto.
Il 29 luglio 1541 venne nominato vescovo
di Gubbio e contro il costume vigente, si recò nel suo Vescovado, trattenendosi finché
tutti i problemi furono risolti.
1543 estate tornò per l'ultima volta a
Venezia e vi si trattenne fino a ottobre per le nozze della figlia Elena con Pietro
Gradenigo, dandole una dote ricchissima che assorbiva gran parte del suo patrimonio.
Lanno seguente, il 18 Febbraio del
1544, fu trasferito al ricco Vescovado di Bergamo, che in quel momento gli veniva anche
molto utile per poter pagare i debiti contratti per il matrimonio della figlia; ma non vi
si potè recare anche perché ormai abbastanza cagionevole di salute e il Papa preferiva
per consigli averlo a Roma; l8 luglio gli fu assegnato da sua Santità per
Coadiutore Vettor Soranzo Vescovo Titolare di Nicea, che andò a reggere il Vescovado,
conducendo con sé Torquato Bembo, figlio del Cardinale, per fargli studiare il Greco e il
Latino. Nello stesso anno decise di tradurre la sua Storia di Venezia in volgare, lavoro
che ultimò prima di morire.
Le condizioni di salute peggiorarono
rapidamente "per un'enfiagione di gambe" che lo rendeva debole e malfermo. Negli
ultimi giorni della sua vita battè il capo e il fianco contro una porta un po
troppo stretta per potervi passare col cavallo; poco dopo, avendo rifiutato le cure del
caso pensando che fosse cosa di poco conto, venne assalito da una febbriciattola che
landò lentamente consumando, ma non tanto che egli stesso non se ne avvedesse.
Così il Beccatelli racconta gli ultimi momenti della sua vita: "La notte medesima
che morì, fu visitato dal Cardinal Polo, il quale da vero amico e Cristiano gli ricordò
alcune cose pie a proposito di quel gran passo, in che si trovava, e fra l'altre gli
disse: Monsignor mio Reverendissimo ora é il tempo, che V. S. si ricordi del sogno di
Monsignor Cosimo nostro di Fano: e questo era, che a Cosimo Gherio Vescovo di Fano di
esemplarissima vita, poco avanti che morisse, era paruto dormendo di trovarsi in Paradiso
coi Cardinali Contarino, Bembo, e Polo. La qual cosa fatta allor sovvenire dal Polo al
Card. Bembo, egli resosi a questa voce più vigilante, rispose: Non fu sogno quello, ma
visione, Monsignor mio: io me ne ricordo benissimo, e spero in Cristo glorioso di averlo a
verificar ora, e riveder quel Santo Figliuolo col mio onoratissimo fratello il Card.
Contarino; e staremo aspettando allegramente V. S. Reverendissima, quando Dio piacerà di
unirlaci; e con questo e simili ragionamenti, presi prima con divozione i SS
Sacramenti della Chiesa, rese l'anima al Redentor suo a' 20. di Gennaio del 1547. l'anno
di sua età 76. e mesi 8".
Con solenni ed onorevoli esequie, e fu
sepolto nella chiesa di Santa Maria alla Minerva, dietro laltare maggiore, fra i
Papi Leone X e Clemente VII; sulla sepoltura il Cardinal Sadoleto suo vecchio Collega ed
amico, gli scrisse l'Epitaffio seguente:
DEO IMM. S.
ET VIRTUTI AC MEMORIAE PETRI BEMBI
PATRITII VENETI S.R.E. CARDINALIS,
CUIUS INGENII,
LITERARUM, ELOQUENTIIAE GLORIA
IN SUO SAECULO PRINCEPS,
ET ANTIQUORUM LAUDIBUS PAR;
GRATIA AUTEM IN AMPLISSIMO ORDINE,
IN MORIBUS
PROBITAS, HUMANITAS, LIBERALITAS
SUPRA COMMUNEM MODUM
SEMPER EXISTIMATA SUNT;
QUOD DE EJUS VITA HOMINUM JUDICIUM,
BEATA MORS SANCTISSIME AB EO
ET PACATISSIME OBITA,
DIVINO QUOQUE CONFIRMATA
TESTIMONIO
Qualche anno dopo
lamico M. Girolamo Quirino, uno de' più cari confidenti che il Cardinale avesse
avuto, gli fece erigere un bel Monumento di marmo, opera di Michele Sanmicheli, che ancora
adesso possiamo ammirare nella navata mediana della Chiesa di SantAntonio a Padova.
Lanno dopo la sua morte 1548 Carlo
Gualteruzzi, amico e esecutore testamentario del Bembo, curò l'edizione delle opere di
lui, conforme all'ultima volontà dell'autore. Uscirono a Roma, coi tipi di Valerio
Dorico, i primi tre volumi: il dialogo De Urbini ducibus, già edito nel 1530, la
prima edizione del primo libro delle Lettere e la terza edizione delle Rime.
Per difficoltà di varia natura il seguito dell'edizione non potè più aver luogo a Roma.
© 1999 - by prof. Giuseppe Bonghi
- E-mail: Giuseppe Bonghi - bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 18 agosto, 1999