La
linea di fondo comune a questi saggi, se mai si può dire che vi si manifesti
una tendenza unica, è la diffidenza verso tutte le pretese di possedere
una conoscenza assoluta e immodificabile, intorno a questioni di fatto o
di principio, in qualsiasi sfera del comportamento umano"
(dalla prefazione dell'autore)
Davvero un libro bellissimo, da cui ci si stacca a fatica. Si tratta
della raccolta di sette saggi di Isaiah Berlin, raccolti in volume, ma
scritti in occasioni diverse, per lo più conferenze destinate a un
pubblico non specializzato.
Il libro focalizza la propria attenzione sulla Russia dell'Ottocento e
su tale periodo Berlin, uno dei più illustri pensatori liberali della
nostra epoca, sa darci una descrizione viva della situazione storica,
politica e culturale, elaborando un'avvincente e veridica storia dell'intelligencija
russa.
Emergono i ritratti vivaci e tridimensionali dei protagonisti del tempo, alcuni
ignoti o poco conosciuti anche dal lettore colto. Su tutti Herzen,
Belinskij e Bakunin.
Nella Russia dell'Ottocento, schiacciata dal dispotismo, la letteratura
viene ad assumere un rilievo eccezionale. I libri e le idee vengono
dibattuti con ardore e accanimento. Arte e vita divengono fenomeni
inscindibili come non mai. Nella Lettera aperta a Gogol' del 15
luglio 1847, Vissarion Grigorevic Belinskij, che accusa l'autore de Le
anime morte di aver messo il suo genio al servizio della reazione e
dell'oscurantismo, scrive: " Solo nella letteratura, nonostante
la nostra censura tartara, c'è ancora un po' di vita e qualche
progresso. Ecco perché la vocazione dello scrittore gode di tanto
prestigio tra noi, ecco perché qui il successo letterario è così
facile anche quando il talento è scarso... Ecco perché, specie tra
noi, si rivolge un'attenzione generale... a qualsiasi manifestazione di
ogni tendenza cosiddetta liberale, per quanto modeste siano le doti
dello scrittore... Il pubblico... vede negli scrittori russi le sue sole
guide, i soli difensori e salvatori dalle tenebre dell'autocrazia,
dell'ortodossia e ella nazionalità...".
Il riccio e la volpe è il saggio che dà il titolo al libro e
che affronta con molta finezza la personalità umana e le opere letterarie
di Tolstoj.
Muovendo da un frammento di Archiloco che recita: "La volpe sa
molte cose, ma il riccio ne sa una grande", Berlin suddivide gli
scrittori (e i pensatori e gli esseri umani in generale) in due grandi
categorie: coloro che fanno riferimento a un principio ispiratore o a un
sistema unitario più o meno articolato e coerente e coloro che,
viceversa, perseguono molti fini, talvolta contraddittori, il cui
pensiero si muove su più piani, seguendo una traiettoria centrifuga e
non unitaria.
"La personalità intellettuale o artistica del primo tipo
appartiene ai ricci, la seconda alle volpi; e senza insistere in una
rigida dicotomia, senza neanche preoccuparci troppo di cadere in qualche
contraddizione, possiamo dire che, in questo senso, Dante appartiene
alla prima categoria, Shakespeare alla seconda; Platone, Lucrezio,
Pascal, Hegel, Dostoevskij, Nietzsche, Ibsen, Proust sono in varia
misura ricci; Erodoto, Aristotele, Montaigne, Erasmo, Moliere, Goethe,
Puskin, Balzac, Joyce sono volpi".
Il Berlin critico letterario e della cultura usa un linguaggio vivo e
comprensibile, che ammalia il lettore, lontano anni luce dagli aggrovigliati
snobismi dei critici accademici.
Splendido il saggio finale su Turgenev e sul suo capolavoro Padri e
figli. Mai mi era capitato di leggere un saggio sullo scrittore russo
così scintillante ed esauriente.
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