Si tratta di uno dei più famosi
canti della Commedia. Narra della toccante vicenda di Francesca da
Rimini, che ne è la delicata protagonista.
All'entrata del secondo cerchio, Minosse, il mitico re di Creta,
confessa i dannati, applica le sanzioni divine e li distribuisce nei
vari cerchi infernali. Minosse è trasfigurato da Dante in un mostro un
po' grottesco, alla luce della cultura popolaresca medioevale.
Le anime qui punite sono quelle dei lussuriosi, condannate ad essere
sbatacchiate da una tempesta continua, così come in vita vissero in
balìa delle loro passioni.
Dante scorge Semiramide, l'imperatrice assira, Didone, la regina di
Cartagine, Cleopatra, l'amante di Cesare e Antonio, Elena, la cui
bellezza fu la causa della guerra di Troia. E vede anche Paride e Tristano.
Ma soprattutto il poeta incontra Francesca e il suo amante, Paolo. La
leggenda dice che Francesca da Polenta sposò per procura tale
Gianciotto Malatesta, della potente casata che nel tredicesimo secolo reggeva
Rimini.
Gianciotto, che era storpio, aveva un fratello meraviglioso nell'aspetto
e nel carattere, di nome Paolo. Francesca e Paolo, complice la lettura
di un romanzo erotico-cavalleresco (Galeotto fu il libro e chi lo
scrisse), si innamorano. Gianciotto scopre la
tresca e li uccide entrambi, nel pittoresco castello di Gradara.
È Francesca stessa che narra la propria miserevole vicenda al poeta,
esponendo durante il colloquio le concezioni amorose del tempo, le
stesse abbracciate dagli stilnovisti, Dante compreso. Si tratta di
enunciati tratti da un prontuario di dottrina erotica, scritto da
Andrea Cappellano nel dodicesimo secolo.
Amor, ch'al co' gentil ratto s'apprende,
(...) Amor, ch'a nullo amato amar perdona (...).
Dante si impietosisce al racconto di Francesca ("Francesca,
i tuoi martiri a lacrimar mi fanno triste e pio (...)"); c'è in lui, sicuramente, complicità emotiva con i due
amanti, che lo riportano alla sua giovinezza, quando egli stesso
condivideva il medesimo ideale amoroso.
La commozione però non ha ragione delle considerazioni di carattere
etico e non impedisce al poeta di condannare i due amanti.
Francesca è un'adultera che ha violato la sacralità del
matrimonio. Pur con tutte le attenuanti è morta senza pentirsi ed è
perciò una peccatrice anche se la sua nobiltà d'animo la riscatta
agli occhi del lettore e commuove noi e il poeta, di cui ci colpisce
ancor oggi la complessità dell'atteggiamento: di condanna e, insieme,
di umana comprensione.
Mentre che l'uno spirto questo disse,
l'altro piangea, sì che di pietade
io venni men così com'io morisse;
e caddi come corpo morto cade.