La bontà sembra un valore assai trascurato nei
rapporti che viviamo quotidianamente. Tutta la vita
economica e i rapporti personali che ne sono sovente
il riflesso, sono improntati alla competizione,
all'aggressività, al superare gli antagonisti.
Le altre persone con cui intratteniamo scambi
giornalieri, finiamo col percepirli talvolta come
avversari da distruggere.
Si tratta del "Mors tua, vita mea" dei
latini, della darwiniana lotta per la sopravvivenza.
Di qui alla legge della giungla, si sa, il passo è
breve.
In Italia si è persino creato un brutto neologismo,
"buonismo", per screditare coloro che
manifestano una qualche forma di solidarietà verso i
più deboli e viceversa per giustificare ogni sorta
di nefandezze perpetrate dai più forti.
Vediamo i nostri simili sempre più impegnati a
desiderare con voracità il potere, la ricchezza, il
successo, da ottenere in qualsiasi modo; il fine, si
dice, giustifica i mezzi.
I dirigenti delle grandi aziende, ma qualche volta
anche i quadri intermedi, vengono scelti per la loro
capacità di comandare, che troppo spesso non è
altro che un agire senza soverchi scrupoli, spremere
i sottoposti, prevaricare in nome del profitto. E'
spesso considerato come "bravo manager"
colui che valorizza la propria azienda licenziando i
dipendenti; a questo processo viene dato il nome di
ristrutturazione aziendale o qualche nome inglese in
apparenza neutro, scientifico, ma le conseguenze
umane sono comunque quelle spiacevoli
dell'insicurezza economica e talvolta della povertà.
Eppure all'interno della nostra coscienza avvertiamo
che questo modo di vivere è sbagliato, ci crea
disagio e sofferenza; finiamo così col ribellarci in
modo salutare, anche se soltanto in maniera del tutto
interiore, a questo stato di cose. Sentiamo che,
portato alle estreme conseguenze, questo nostro stile
di vita è disumano, inautentico, faticoso.
Una parte di noi, io credo consistente, aspira alla
bontà, alla gentilezza, alla cortesia. Vuole un
mondo più amorevole, vuole più dolcezza, più buon
cuore, più generosità, più giustizia. Poter essere
d'aiuto agli altri e poter chiedere aiuto quando ne
ha bisogno. Fare finalmente qualcosa contro il
proprio intessesse immediato.
Per esempio, almeno in un periodo dell'anno, a
Natale, ci proponiamo di essere tutti più buoni.
Secondo me non si tratta soltanto di un rituale
ipocrita. Rappresenta il riconoscimento, certo
parziale e contraddittorio, che la bontà è una
nostra esigenza, che è forse iscritta nei nostri
geni.
Vediamo allora persone, solitamente avare di sé e
del proprio denaro, non accontentarsi di celebrare un
Natale consumistico, ma fare beneficenza, aiutare i
bisognosi, dedicare un po' del proprio tempo libero
al benessere degli altri.
Ma la bontà non può essere un passatempo natalizio.
Ci sono persone che si dedicano con slancio e
generosità agli altri durante tutto l'anno.
Sono coloro che, in silenzio e quasi in punta di
piedi, si fanno carico di assistere volontariamente
le persone malate, le vanno a trovare in ospedale,
recano loro conforto, cercano di rendere la loro
sofferenza più dolce e sopportabile. Coloro che si
dedicano con slancio all'aiuto e al recupero di
giovani disadattati, di ragazze fuorviate e
sfruttate, di persone in difficoltà economica, o
semplicemente disorientate, in crisi, di alcolisti o
"drogati", di carcerati o disabili.
Un'amica di mia madre, per esempio, ha rinunciato
quest'anno ai regali di Natale, per devolvere il
denaro, che avrebbe speso in articoli del tutto
superflui, per aiutare una conoscente, che la morte
del giovane marito ha ridotto in ristrettezze
economiche.
Non solo: ha consegnato all'amica anche i soldi
guadagnati con le proprie ore di lavoro
straordinario.
La nostra coscienza si sta talmente raffinando
inoltre, che non tolleriamo, finalmente, nemmeno le
sofferenze imposte ad esseri viventi appartenenti a
specie diverse dalla nostra, agli animali e persino
alle piante.
Il cane, il gatto e il canarino di casa, il
pesciolino nell'acquario sono diventati nella vita i
nostri inseparabili e familiari compagni di viaggio,
ma anche quegli animali non domestici, spesso
destinati al macello per fini alimentari li
percepiamo come dotati di una qualche forma, spesso
complessa, di intelligenza e sensibilità.
Non tolleriamo che vengano maltrattati, torturati,
che vengano loro inferte sofferenze evitabili. Ci
sentiamo solidali con loro.
Ed ecco che ci sono persone che, a proprie spese,
curano gli animali randagi o feriti e dedicano parte
del proprio tempo alle associazioni che li difendono.
C'è pure chi, nel proprio lavoro, qualunque sia, va
oltre il proprio dovere professionale e cerca di
aiutare sinceramente il prossimo negli uffici, nella
scuola, negli ospedali. Si tratta di una forma
silenziosa, inapparente, di bontà e proprio per
questo suo anonimato, di una delle forme più
preziose.
Insomma, a dispetto delle guerre, degli attentati,
degli assassini, dei crimini, di cui stampa e
televisione ci rendono sconsolati testimoni, la
bontà non ha segnato il passo, anzi sembra conoscere
un suo momento di ritrovata popolarità.
Non a caso Norberto Bobbio, un filosofo e un
pensatore che tutta l'Italia ammira, ha dedicato un
suo profondo saggio alla mitezza. E lo scrittore
inglese Nick Hornby, molto amato dalle giovani
generazioni, ha intitolato un suo recente romanzo :
"Come diventare buoni".
Siamo giunti finalmente alla consapevolezza che
aiutare chi è rimasto indietro non è un cedere una
parte di se stessi, un impoverirsi, ma un
arricchimento necessario.
"Ama il prossimo tuo come te stesso" è il
precetto fondamentale della nostra religione e il
fondamento insuperato della nostra civiltà .
E poi, al di là delle sempre possibili
ingratitudini, talvolta succede il miracolo e chi
aiutiamo è in grado di donarci la parte migliore,
più umana, di se stesso.
Riferimenti bibliografici
Bobbio N., Elogio
della mitezza e altri scritti morali, Parma, Pratiche Editrice,
1998
Hornby N., Come
diventare buoni, Milano, Tea, 2005