Dante Alighieri
LA DIVINA COMMEDIA
INFERNO
sabato 9 aprile, all'ora di mezzogiorno | cerchio VIII, bolgia VIII, immersa in un profondo silenzio e avvolta da fitto buio, in cui lampeggiano le fiamme che nascondono le anime dei dannati. | Ulisse | consiglieri fraudolenti: posero la loro intelligenza non al servizio della verità ma della frode e dell'inganno e sono condannati a stare avvolti da una fiamma che risplende vivamente. |
Comincia il canto vigesimosesto dello 'Nferno. Nel quale mostra l'autore come pervenne all'ottava bolgia, nella quale dice esser puniti i frodolenti consiglieri in fiamme di fuoco; e quivi ode da Ulisse il fine suo. |
Godi, Fiorenza, poi che
se sì grande, che per mare e per terra batti lali, e per lo nferno tuo nome si spande! Tra li ladron trovai cinque cotali tuoi cittadini onde mi ven vergogna, e tu in grande orranza non ne sali. Ma se presso al mattin del ver si sogna, tu sentirai di qua da picciol tempo di quel che Prato, non chaltri, tagogna. E se già fosse, non saria per tempo. Così fossei, da che pur esser dee! ché più mi graverà, compiù mattempo. Noi ci partimmo, e su per le scalee che navea fatto iborni a scender pria, rimontò l duca mio e trasse mee; e proseguendo la solinga via, tra le schegge e tra rocchi de lo scoglio lo piè sanza la man non si spedia. Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio quando drizzo la mente a ciò chio vidi, e più lo ngegno affreno chi non soglio, perché non corra che virtù nol guidi; sì che, se stella bona o miglior cosa mha dato l ben, chio stessi nol minvidi. Quante l villan chal poggio si riposa, nel tempo che colui che l mondo schiara la faccia sua a noi tien meno ascosa, come la mosca cede alla zanzara, vede lucciole giù per la vallea, forse colà dove vendemmia e ara: di tante fiamme tutta risplendea lottava bolgia, sì comio maccorsi tosto che fui là ve l fondo parea. E qual colui che si vengiò con li orsi vide l carro dElia al dipartire, quando i cavalli al cielo erti levorsi, che nol potea sì con li occhi seguire, chel vedesse altro che la fiamma sola, sì come nuvoletta, in sù salire: tal si move ciascuna per la gola del fosso, ché nessuna mostra l furto, e ogne fiamma un peccatore invola. Io stava sovra l ponte a veder surto, sì che sio non avessi un ronchion preso, caduto sarei giù sanzesser urto. E l duca che mi vide tanto atteso, disse: «Dentro dai fuochi son li spirti; catun si fascia di quel chelli è inceso». «Maestro mio», rispuosio, «per udirti son io più certo; ma già mera avviso che così fosse, e già voleva dirti: chi è n quel foco che vien sì diviso di sopra, che par surger de la pira dovEteòcle col fratel fu miso?». Rispuose a me: «Là dentro si martira Ulisse e Diomede, e così insieme a la vendetta vanno come a lira; e dentro da la lor fiamma si geme lagguato del caval che fé la porta onde uscì de Romani il gentil seme. Piangevisi entro larte per che, morta, Deidamìa ancor si duol dAchille, e del Palladio pena vi si porta». «Sei posson dentro da quelle faville parlar», dissio, «maestro, assai ten priego e ripriego, che l priego vaglia mille, che non mi facci de lattender niego fin che la fiamma cornuta qua vegna; vedi che del disio ver lei mi piego!». Ed elli a me: «La tua preghiera è degna di molta loda, e io però laccetto; ma fa che la tua lingua si sostegna. Lascia parlare a me, chi ho concetto ciò che tu vuoi; chei sarebbero schivi, perche fuor greci, forse del tuo detto». Poi che la fiamma fu venuta quivi dove parve al mio duca tempo e loco, in questa forma lui parlare audivi: «O voi che siete due dentro ad un foco, sio meritai di voi mentre chio vissi, sio meritai di voi assai o poco quando nel mondo li alti versi scrissi, non vi movete; ma lun di voi dica dove, per lui, perduto a morir gissi». Lo maggior corno de la fiamma antica cominciò a crollarsi mormorando pur come quella cui vento affatica; indi la cima qua e là menando, come fosse la lingua che parlasse, gittò voce di fuori, e disse: «Quando mi diparti da Circe, che sottrasse me più dun anno là presso a Gaeta, prima che sì Enea la nomasse, né dolcezza di figlio, né la pieta del vecchio padre, né l debito amore lo qual dovea Penelopé far lieta, vincer potero dentro a me lardore chi ebbi a divenir del mondo esperto, e de li vizi umani e del valore; ma misi me per lalto mare aperto sol con un legno e con quella compagna picciola da la qual non fui diserto. Lun lito e laltro vidi infin la Spagna, fin nel Morrocco, e lisola di Sardi, e laltre che quel mare intorno bagna. Io e compagni eravam vecchi e tardi quando venimmo a quella foce stretta dovErcule segnò li suoi riguardi, acciò che luom più oltre non si metta: da la man destra mi lasciai Sibilia, da laltra già mavea lasciata Setta. "O frati", dissi "che per cento milia perigli siete giunti a loccidente, a questa tanto picciola vigilia di nostri sensi chè del rimanente, non vogliate negar lesperienza, di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza". Li miei compagni fecio sì aguti, con questa orazion picciola, al cammino, che a pena poscia li avrei ritenuti; e volta nostra poppa nel mattino, de remi facemmo ali al folle volo, sempre acquistando dal lato mancino. Tutte le stelle già de laltro polo vedea la notte e l nostro tanto basso, che non surgea fuor del marin suolo. Cinque volte racceso e tante casso lo lume era di sotto da la luna, poi che ntrati eravam ne lalto passo, quando napparve una montagna, bruna per la distanza, e parvemi alta tanto quanto veduta non avea alcuna. Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto, ché de la nova terra un turbo nacque, e percosse del legno il primo canto. Tre volte il fé girar con tutte lacque; a la quarta levar la poppa in suso e la prora ire in giù, comaltrui piacque, infin che l mar fu sovra noi richiuso». |
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sabato 9 aprile, all'ora di mezzogiorno | cerchio VIII, bolgia VIII, immersa in un profondo silenzio e avvolta da fitto buio, in cui lampeggiano le fiamme che nascondono le anime dei dannati. | Guido da Montefeltro | consiglieri fraudolenti: posero la loro intelligenza non al servizio della verità ma della frode e dell'inganno e sono condannati a stare avvolti da una fiamma che risplende vivamente. |
Comincia il canto vigesimosettimo dello 'Nferno. Nel quale l'autore nella sopradetta bolgia discrive aver trovato il conte Guido da Monte Feltro, a cui racconta lo stato di Romagna, e ode le colpe sue. |
Già era dritta in sù la
fiamma e queta per non dir più, e già da noi sen gia con la licenza del dolce poeta, quandunaltra, che dietro a lei venia, ne fece volger li occhi a la sua cima per un confuso suon che fuor nuscia. Come l bue cicilian che mugghiò prima col pianto di colui, e ciò fu dritto, che lavea temperato con sua lima, mugghiava con la voce de lafflitto, sì che, con tutto che fosse di rame, pur el pareva dal dolor trafitto; così, per non aver via né forame dal principio nel foco, in suo linguaggio si convertian le parole grame. Ma poscia chebber colto lor viaggio su per la punta, dandole quel guizzo che dato avea la lingua in lor passaggio, udimmo dire: «O tu a cu io drizzo la voce e che parlavi mo lombardo, dicendo "Istra ten va, più non tadizzo", perchio sia giunto forse alquanto tardo, non tincresca restare a parlar meco; vedi che non incresce a me, e ardo! Se tu pur mo in questo mondo cieco caduto se di quella dolce terra latina ondio mia colpa tutta reco, dimmi se Romagnuoli han pace o guerra; chio fui di monti là intra Orbino e l giogo di che Tever si diserra». o era in giuso ancora attento e chino, quando il mio duca mi tentò di costa, dicendo: «Parla tu; questi è latino». E io, chavea già pronta la risposta, sanza indugio a parlare incominciai: «O anima che se là giù nascosta, Romagna tua non è, e non fu mai, sanza guerra ne cuor de suoi tiranni; ma n palese nessuna or vi lasciai. Ravenna sta come stata è moltanni: laguglia da Polenta la si cova, sì che Cervia ricuopre co suoi vanni. La terra che fé già la lunga prova e di Franceschi sanguinoso mucchio, sotto le branche verdi si ritrova. E l mastin vecchio e l nuovo da Verrucchio, che fecer di Montagna il mal governo, là dove soglion fan di denti succhio. Le città di Lamone e di Santerno conduce il lioncel dal nido bianco, che muta parte da la state al verno. E quella cu il Savio bagna il fianco, così comella sie tra l piano e l monte tra tirannia si vive e stato franco. Ora chi se, ti priego che ne conte; non esser duro più chaltri sia stato, se l nome tuo nel mondo tegna fronte». Poscia che l foco alquanto ebbe rugghiato al modo suo, laguta punta mosse di qua, di là, e poi diè cotal fiato: «Si credesse che mia risposta fosse a persona che mai tornasse al mondo, questa fiamma staria sanza più scosse; ma però che già mai di questo fondo non tornò vivo alcun, si odo il vero, sanza tema dinfamia ti rispondo. Io fui uom darme, e poi fui cordigliero, credendomi, sì cinto, fare ammenda; e certo il creder mio venìa intero, se non fosse il gran prete, a cui mal prenda!, che mi rimise ne le prime colpe; e come e quare, voglio che mintenda. Mentre chio forma fui dossa e di polpe che la madre mi diè, lopere mie non furon leonine, ma di volpe. Li accorgimenti e le coperte vie io seppi tutte, e sì menai lor arte, chal fine de la terra il suono uscie. Quando mi vidi giunto in quella parte di mia etade ove ciascun dovrebbe calar le vele e raccoglier le sarte, ciò che pria mi piacea, allor mincrebbe, e pentuto e confesso mi rendei; ahi miser lasso! e giovato sarebbe. Lo principe di novi Farisei, avendo guerra presso a Laterano, e non con Saracin né con Giudei, ché ciascun suo nimico era cristiano, e nessun era stato a vincer Acri né mercatante in terra di Soldano; né sommo officio né ordini sacri guardò in sé, né in me quel capestro che solea fare i suoi cinti più macri. Ma come Costantin chiese Silvestro dentro Siratti a guerir de la lebbre; così mi chiese questi per maestro a guerir de la sua superba febbre: domandommi consiglio, e io tacetti perché le sue parole parver ebbre. E poi ridisse: "Tuo cuor non sospetti; finor tassolvo, e tu minsegna fare sì come Penestrino in terra getti. Lo ciel possio serrare e diserrare, come tu sai; però son due le chiavi che l mio antecessor non ebbe care". Allor mi pinser li argomenti gravi là ve l tacer mi fu avviso l peggio, e dissi: "Padre, da che tu mi lavi di quel peccato ovio mo cader deggio, lunga promessa con lattender corto ti farà triunfar ne lalto seggio". Francesco venne poi comio fu morto, per me; ma un di neri cherubini li disse: "Non portar: non mi far torto. Venir se ne dee giù tra miei meschini perché diede l consiglio frodolente, dal quale in qua stato li sono a crini; chassolver non si può chi non si pente, né pentere e volere insieme puossi per la contradizion che nol consente". Oh me dolente! come mi riscossi quando mi prese dicendomi: "Forse tu non pensavi chio loico fossi!". A Minòs mi portò; e quelli attorse otto volte la coda al dosso duro; e poi che per gran rabbia la si morse, disse: "Questi è di rei del foco furo"; per chio là dove vedi son perduto, e sì vestito, andando, mi rancuro». Quandelli ebbe l suo dir così compiuto, la fiamma dolorando si partio, torcendo e dibattendo l corno aguto. Noi passammoltre, e io e l duca mio, su per lo scoglio infino in su laltrarco che cuopre l fosso in che si paga il fio a quei che scommettendo acquistan carco. |
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sabato 9 aprile, verso l'una pomeridiana | cerchio VIII, bolgia IX: Dante osserva la bolgia dal ponte e non descrive il luogo, impressionato dall'aspetto oscenamente sconcio dei dannati | Maometto, Pier da Medicina, Mosca de' Lamberti, Bertran de Born, Alì, Curione | seminatori di scandali e scismi: in lenta processione fanno eternamente il giro della bolgia e vengono orribilmente sconciati con la spada da un demonio quando gli passano davanti: ad ogni giro le ferite si rimarginano lentamente. |
Comincia il canto vigesimottavo dello 'Nferno. Nel quale l'autore dimostra nella nona bolgia con l'esser tutti tagliati punirsi i scismatici; e quivi, riconosciutine molti, parla con Beltram dal Bormio, e con certi altri. |
Chi poria mai pur con
parole sciolte dicer del sangue e de le piaghe a pieno chi ora vidi, per narrar più volte? Ogne lingua per certo verria meno per lo nostro sermone e per la mente channo a tanto comprender poco seno. Sel saunasse ancor tutta la gente che già in su la fortunata terra di Puglia, fu del suo sangue dolente per li Troiani e per la lunga guerra che de lanella fé sì alte spoglie, come Livio scrive, che non erra, con quella che sentio di colpi doglie per contastare a Ruberto Guiscardo; e laltra il cui ossame ancor saccoglie a Ceperan, là dove fu bugiardo ciascun Pugliese, e là da Tagliacozzo, dove sanzarme vinse il vecchio Alardo; e qual forato suo membro e qual mozzo mostrasse, daequar sarebbe nulla il modo de la nona bolgia sozzo. Già veggia, per mezzul perdere o lulla, comio vidi un, così non si pertugia, rotto dal mento infin dove si trulla. Tra le gambe pendevan le minugia; la corata pareva e l tristo sacco che merda fa di quel che si trangugia. Mentre che tutto in lui veder mattacco, guardommi, e con le man saperse il petto, dicendo: «Or vedi comio mi dilacco! vedi come storpiato è Maometto! Dinanzi a me sen va piangendo Alì, fesso nel volto dal mento al ciuffetto. E tutti li altri che tu vedi qui, seminator di scandalo e di scisma fuor vivi, e però son fessi così. Un diavolo è qua dietro che naccisma sì crudelmente, al taglio de la spada rimettendo ciascun di questa risma, quandavem volta la dolente strada; però che le ferite son richiuse prima chaltri dinanzi li rivada. Ma tu chi se che n su lo scoglio muse, forse per indugiar dire a la pena chè giudicata in su le tue accuse?». «Né morte l giunse ancor, né colpa l mena», rispuose l mio maestro «a tormentarlo; ma per dar lui esperienza piena, a me, che morto son, convien menarlo per lo nferno qua giù di giro in giro; e questè ver così comio ti parlo». Più fuor di cento che, quando ludiro, sarrestaron nel fosso a riguardarmi per maraviglia obliando il martiro. «Or dì a fra Dolcin dunque che sarmi, tu che forse vedra il sole in breve, sello non vuol qui tosto seguitarmi, sì di vivanda, che stretta di neve non rechi la vittoria al Noarese, chaltrimenti acquistar non sarìa leve». Poi che lun piè per girsene sospese, Maometto mi disse esta parola; indi a partirsi in terra lo distese. Un altro, che forata avea la gola e tronco l naso infin sotto le ciglia, e non avea mai chuna orecchia sola, ristato a riguardar per maraviglia con li altri, innanzi a li altri aprì la canna, chera di fuor dogni parte vermiglia, e disse: «O tu cui colpa non condanna e cu io vidi su in terra latina, se troppa simiglianza non minganna, rimembriti di Pier da Medicina, se mai torni a veder lo dolce piano che da Vercelli a Marcabò dichina. E fa saper a due miglior da Fano, a messer Guido e anco ad Angiolello, che, se lantiveder qui non è vano, gittati saran fuor di lor vasello e mazzerati presso a la Cattolica per tradimento dun tiranno fello. Tra lisola di Cipri e di Maiolica non vide mai sì gran fallo Nettuno, non da pirate, non da gente argolica. Quel traditor che vede pur con luno, e tien la terra che tale qui meco vorrebbe di vedere esser digiuno, farà venirli a parlamento seco; poi farà sì, chal vento di Focara non sarà lor mestier voto né preco». E io a lui: «Dimostrami e dichiara, se vuo chi porti sù di te novella, chi è colui da la veduta amara». Allor puose la mano a la mascella dun suo compagno e la bocca li aperse, gridando: «Questi è desso, e non favella. Questi, scacciato, il dubitar sommerse in Cesare, affermando che l fornito sempre con danno lattender sofferse». Oh quanto mi pareva sbigottito con la lingua tagliata ne la strozza Curio, cha dir fu così ardito! E un chavea luna e laltra man mozza, levando i moncherin per laura fosca, sì che l sangue facea la faccia sozza, gridò: «Ricorderati anche del Mosca, che disse, lasso!, "Capo ha cosa fatta", che fu mal seme per la gente tosca». E io li aggiunsi: «E morte di tua schiatta»; per chelli, accumulando duol con duolo, sen gio come persona trista e matta. Ma io rimasi a riguardar lo stuolo, e vidi cosa, chio avrei paura, sanza più prova, di contarla solo; se non che coscienza massicura, la buona compagnia che luom francheggia sotto lasbergo del sentirsi pura. Io vidi certo, e ancor par chio l veggia, un busto sanza capo andar sì come andavan li altri de la trista greggia; e l capo tronco tenea per le chiome, pesol con mano a guisa di lanterna; e quel mirava noi e dicea: «Oh me!». Di sé facea a sé stesso lucerna, ed eran due in uno e uno in due: comesser può, quei sa che sì governa. Quando diritto al piè del ponte fue, levò l braccio alto con tutta la testa, per appressarne le parole sue, che fuoro: «Or vedi la pena molesta tu che, spirando, vai veggendo i morti: vedi salcuna è grande come questa. E perché tu di me novella porti, sappi chi son Bertram dal Bornio, quelli che diedi al re giovane i ma conforti. Io feci il padre e l figlio in sé ribelli: Achitofèl non fé più dAbsalone e di Davìd coi malvagi punzelli. Perchio parti così giunte persone, partito porto il mio cerebro, lasso!, dal suo principio chè in questo troncone. Così sosserva in me lo contrapasso». |
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© 1997 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 07 febbraio, 1998