IL SEICENTO

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Col termine "barocco" (che nella filosofia medievale indicava una particolare forma di sillogismo, nel Cinquecento e nel Seicento Passò a significare un tipo di ragionamento assurdo e bislacco e nel primo Ottocento fu usato per designare l'arte figurativa del Seicento e di parte del Settecento considerata goffa e stravagante ) si volle definire, in senso dispregiativo, la poesia del Seicento, per la miseria del contenuto morale che la ispirava e per le stranezze stilistiche con cui veniva espressa: immagini di ardita fantasia (se un uomo impallidisce dinanzi alla sua amata, vuol dire che "il cor gli manda il cener suo sul volto" ), epiteti altisonanti (per esempio l'usignolo è una "voce pennuta", una "piuma canora", un "atomo sonante"), esortazioni stravaganti ("sudate, o fuochi, a preparar metalli " ), metafore ed iperboli preziose quanto paradossali. Il letterato del Seicento ha per principio che " è del poeta il fin la meraviglia", cioè che la poesia debba "stupire", che la fantasia non debba avere alcun limite e la libertà dell'artista alcun confine. Questo tipo di poesia, al di là degli esiti per la verità abbastanza risibili cui pervenne per l'assenza nel secolo di un grande poeta, è il segnale certamente di una crisi, ma di una crisi di sviluppo, non di una crisi degenerativa: il Seicento fu prodigo di scoperte scientifiche in tutti i campi (nella botanica, nella zoologia, nella fisica, nell'astronomia, ecc. ) e la conoscenza dell'uomo si dilatò straordinariamente, catturando il suo interesse e polarizzandolo verso il mondo naturale. Da qui lo scarso interesse per i sentimenti intimi, che erano stati il nutrimento vitale della poesia precedente, e la tendenza a carpire tutti i più riposti segreti della natura, a descriverli con minuziosa precisione, ed infine il bisogno di esprimere quel senso di stupore che la nuova dimensione del creato ha generato nell'uomo moderno. Il quale, per le sue nuove conoscenze si considera superiore agli antichi e di questi rifiutò ogni sorta di insegnamenti, anche e soprattutto quelli di natura estetica.

In Italia il maggiore interprete della poesia barocca fu GIAMBATTISTA MARINO, nato a Napoli nel 1569. Qui condusse i suoi studi ed una vita giovanile abbastanza scanzonata e sregolata, tanto che fu due volte incarcerato e nel 1600 fu costretto a scappare e rifugiarsi a Roma. Assunto al servizio del cardinale Pietro Aldobrandini, lo seguì a Benevento ed a Torino, ove lo abbandonò per passare al servizio del Duca di Savoia Carlo Emanuele I. A Torino fu atto oggetto di un attentato per avere sparlato di un artista genovese e fu ancora incarcerato per avere sparlato del Duca. Liberato si trasferì a Parigi, ove fu ammirato e protetto dalla regina Mario de' Medici e dal Re Luigi XIII. A Parigi pubblicò la sua opera maggiore l' "Adone", nel 1623 e l'anno dopo ritornò in Italia, accolto trionfalmente a Torino, a Roma ed, infine, a Napoli, dove morì nel 1625.

Il Marino esercitò un grande fascino presso corti e salotti aristocratici e fu considerato un poeta divino per la straordinaria eleganza delle immagini, l'inesauribile fantasia, la musicalità dei versi. Una lunga schiera di poeti lo considerò il proprio

Copyright © 1999 Luigi De Bellis