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“Papé
Satàn, papé Satàn aleppe!” prese a
gridare Pluto con voce rauca; e quel
nobile saggio (Virgilio), dalla
sconfinata dottrina,
Papé
Satàn, papé Satàn aleppe:
discordi sono le interpretazioni che i
commentatori hanno dato a questo verso.
Per alcuni esso non avrebbe alcun
significato riferibile ad una lingua
umana; le parole poste in bocca a Pluto
sarebbero un esempio del linguaggio dei
diavoli, incomprensibile per noi, se non
addirittura suono privo di qualsiasi
significato, espressione di una mente
confusa e abbrutita. Il Momigliano, ad
esempio. ritiene che esse vogliano
essere un segno dell'imbecillità a cui
riduce l'avidità della ricchezza".
E' più probabile, tuttavia, che
esse significhino qualcosa come: "O
Satana, o Satana, Dio! " oppure:
" O Satana, O Satana, ahimè!"
Infatti papae in latino è una
interiezione di meraviglia e aleph è la
prima lettera dell'alfabeto ebraico, che
può essere quindi letta come se volesse
dire " primo principio" ( e
quindi Dio), oppure, con riferimento
alle Lamentazioni attribuite a Geremia
che si aprono appunto con questa parola,
come una interiezione di dolore. per
rincuorarmi così mi parlò: “Il tuo
spavento non ti arrechi danno; infatti,
per quanto egli sia potente, non ci
impedirà
di scendere (dal terzo al quarto
cerchio) per questo dirupo.
Quindi,
rivolto verso quel tumido volto, disse:
“Taci, maledetto demonio: struggiti
internamente per la rabbia.
Non
senza motivo è la nostra andata nella
voragine infernale: così si vuole nel
cielo, là dove l’arcangelo Michele
punì l’orgogliosa ribellione (di Lucifero e dei suoi seguaci)”.
Fe'
la vendetta del superbo strepo:
più che derivare dal latino medievale
stropas (gregge), per cui starebbe ad
indicare la schiera degli angeli ribelli
a Dio, strupo sembra essere metatesi di
"stupro", violenza dovuta a
desiderio smodato. Giova qui ricordare
che nelle pagine di un teologo del
Medioevo, Scoto Eriugena, il peccato
degli angeli che si ribellarono a Dio e
definito "lussuria". Scrive lo
Scoto che, per quanto la lussuria
propriamente detta riguardi soltanto gli
atti carnali, "tuttavia ogni brama
smodata di qualcosa' di piacevole, in
quanto piacevole, può essere chiamata
lussuria", a meno che oggetto della
brama non sia il bene, il che non può
dirsi certo sia avvenuto nel caso della
ribellione degli angeli: il loro
desiderio di una maggiore beatitudine si
opponeva infatti ai voleri di Dio. Come
le vele gonfiate dal vento cadono
(confusamente) avviluppate, se
l’albero della nave si spezza, così
piombò a terra il mostro malvagio.
La figura di Pluto
suscita in chi legge l'impressione di
una massa enorme e amorfa e, sul piano
morale, quella di un furore ottuso e
impotente. Essa non ci viene infatti
presentata dal Poeta attraverso questo o
quel particolare del suo aspetto
esteriore, come avviene per Caronte, ad
esempio, e per Minosse. Il carattere
rissoso del traghettatore dell'Acheronte
è già tutto contenuto in una
determinazione come quella degli occhi
di bragie, mentre l'enigmatico
conoscitor delle peccata del secondo
cerchio resta indissolubilmente legato
nella nostra memoria - all'atto bestiale
- di avvolgere la coda, per significare
un giudizio dettato dalla più pura
razionalità. Scrive il Torraca, a
proposito di Pluto: "Enfiata labbia
suggerisce, si, l'imagine di un gran
faccione, ma vanamente. Ma ecco le vele
gonfiate dal vento e l'albero della nave
portar in questa indeterminatezza
qualche cosa di enorme, di
gigantesco..." Per quanto riguarda
il significato morale di questa
inaspettata similitudine, un altro acuto
lettore del settimo canto, il Vallone,
osserva come essa racchiuda in sé
l'intera vicenda di questo guardiano
infernale "protervo, bestemmiatore,
superbo e poi schiacciato umiliato e
vinto'', e aggiunge un'osservazione
generale sull'umiliazione cui,
nell'inferno dantesco, le potenze del
male soggiaciono di fronte
all'affermarsi della razionalità
chiarificatrice ( Virgilio ):
"Forse il destino dei diavoli è più
inesorabilmente crudele di quello delle
anime malvagie che essi custodiscono.
Queste, almeno, di tanto in tanto,
possono reagire, a loro modo e nella
loro misura, contro un potere ch'è a
tutti superiore... i diavoli, vinti che
siano e sempre son vinti, si degradano a
" poveri diavoli ", arnesi di
idiota materia... Scendemmo
in tal modo nella quarta fossa,
percorrendo un altro tratto della china
dolorosa che contiene tutto il male
dell’universo.
Ahimè,
giustizia di Dio! chi mai ammassa
tanti inimmaginabili
supplizi e dolori, quanti io ne
vidi? e perché l’umana colpa a tal
punto ci strazia ?
Come
(nello stretto di Messina) presso
Cariddi le onde (del mar Ionio) si
infrangono cozzando contro quelle del
mar Tirreno, così necessariamente
avviene che qui le turbe ballino.
Scrive il Marti, a proposito di questa grandiosa similitudine, che Dante con essa ci suggerisce non già un "urto di persone, di individui, ma urto di gente, di masse informi: anonime superfici in movimento che si infrangono reciprocamente l'una contro l'altra; vaste chiazze brulicanti e semoventi, che tristemente spumeggiano a quel loro pendolare scontrarsi. Nessuno stacco fra le anime e i massi che esse voltano... la figurazione è risolta in movimento ritmico, eterno e sempre uguale, ma anche meccanico ed insensato, di superfici e di colore" Così
convien che qui la gente riddi:
il richiamo alla ridda, ballo circolare
dal ritmo molto veloce, che in altra
circostanza evocherebbe una scena lieta,
è qui sarcastico e sferzante. Qui
vidi una moltitudine più numerosa che
in altri luoghi, la quale provenendo
dall’uno e dall’altro lato del
cerchio rotolava pesi, spingendoli col
petto ed emettendo alti lamenti.
(Incontrandosi)
cozzavano gli uni contro gli altri; e
poi, in quello stesso punto, ognuno si
volgeva indietro, rivoltando (anche il
suo peso), e urlava: “Perché
conservi? ” e “Perché sperperi ?
”
La pena degli
avari e dei prodighi ricorda quella di
Sisifo, oppure quella delle anime che
nel Tartaro Enea vede intente a rotolare
enormi macigni (Eneide VI, 616-617). I
pesi che essi spingono stanno a
significare probabilmente i mucchi di
denaro che in vita passarono per le loro
mani. In
tal maniera tornavano indietro
attraverso il cerchio tenebroso da
entrambe le direzioni
fino al punto diametralmente
opposto, gridandosi di nuovo (anche) il
loro ritornello ingiurioso;
poi,
una volta qui arrivato, ciascuno tornava
indietro, ripercorrendo il suo
semicerchio fino allo scontro
successivo. E io, che mi sentivo quasi
turbato,
dissi:
“Maestro, spiegami ora quale
moltitudine è questa, e se costoro che
sono alla nostra sinistra e hanno la
tonsura, furono tutti ecclesiastici ”.
Ed
egli: “Tutti quanti ebbero la mente
così ottenebrata
durante la vita in terra (la vita
primaia: la prima vita), che non fecero
alcuna spesa misuratamente.
Le
loro parole lo dichiarano abbastanza
esplicitamente, allorché giungono nei
due punti del cerchio dove i loro
opposti peccati li separano.
Assai
la voce lor chiaro l'abbaia:
il verbo "abbaiare", riferito
alla voce di quei dannati, aggiunge una
caratteristica disarmonica, scostante,
alla descrizione, così esatta e
impietosa, della loro inumana fatica. Un
antico commentatore, il Lana, spiega
l'uso di questo termine con il disprezzo
che il Poeta intenderebbe qui
manifestare nei confronti degli avari e
dei prodighi, trattandoli come se
fossero cani. Tra i moderni, il Grabher
mette in rilievo "la sintetica
potenza di abbaia costruito
transitivamente con l'accusativo lo e
piegato a riferirsi a voce umana.
E' voce d'uomini che abbaia
parole; trasfigurata in qualcosa di non
più umano e quasi di bestiale". Questi, che portano la tonsura, furono |