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Proseguendo
il mio racconto, dico che, molto prima
di giungere ai piedi dell’alta torre,
i nostri sguardi si diressero verso la
sua sommità
attratti
da due fiammelle che vedemmo apparire
lassù, e da un’altra che rispondeva
ai segnali da tanto lontano, che a
stento il nostro sguardo poteva
distinguerla.
In questo canto,
uno dei più ricchi di movimento di
tutto il poema, anche il paesaggio si
anima, quasi ad incarnare visibilmente
lo stato di attesa e la trepidazione del
Poeta. Allora
mi rivolsi a Virgilio, dicendo: “ Che
significato ha questo segnale? e quale
risposta dà quell’altra luce? e chi
sono quelli che l’hanno accesa ? ”
E
Virgilio di rimando: “ Sull’acqua
melmosa puoi già scorgere colui che è
atteso (da chi ha fatto i segnali), se i
vapori che lo stagno esala non lo celano
ai tuoi occhi ”.
Nessuna
corda d’arco scoccò mai una freccia
che volasse nell’aria con una velocità
paragonabile a quella della
piccola imbarcazione
che
vidi in quell’istante
dirigersi sull’acqua verso di
noi, pilotata da un solo nocchiero, che
urlava: “ Ti ho finalmente raggiunto,
spirito malvagio! ”
La similitudine è
già in Virgilio: "fugge sulle
onde, più rapida di un dardo e di una
saetta che uguaglia i venti"
(Eneide X, 247-248). Dante la ricrea
conferendole maggiore essenzialità e
vigore, e imprimendo alle parole
"un movimento rapido e incalzante,
in cui viene a culminare il senso di
tensione e di attesa delle terzine che
precedono e si preannunzia il movimento
drammatico, violento e concitato,
dell'episodio che seguirà"
(Sapegno). “
Flegiàs, Flegiàs, tu gridi inutilmente
contro di noi ” ribatte il mio
maestro, “a non ci avrai in tuo potere
che il tempo necessario per attraversare
la palude fangosa.”
Flegiàs, figlio
di Marte, per avere incendiato, accecato
dall'ira, il tempio di Apollo a Delfi,
fu punito nell'Averno (cfr. Virgilio,
Eneide VI, 618-620). E questo un altro
dei personaggi tratti dalla mitologia e
ricreati da Dante in forme nuove, meglio
rispondenti alla sostanza profondamente
religiosa e morale del suo poema. La
figura di Flegiàs è
"drammatizzata nella sua qualità
essenziale: l'ardore dell'ira: per cui
diventa uno scorcio appena balenante ma
tempestoso: scolpito proprio nel secco
rilievo della sua violenta irruzione e
del furioso gridare (versi 13-18) e poi
( verso 24 ) nel torbido silenzio
dell'ira accolta" (Grabher). Come
colui che apprende di essere stato
gravemente ingannato, e allora prova
rammarico, così divenne Flegiàs per
l’ira che in lui si raccolse.
Virgilio
scese nella barca, e poi mi fece
scendere dopo di lui;
soltanto quando anch’io fui
entrato, essa sembrò carica (gli
abitanti dell’oltretomba, essendo
esseri privi del corpo, non hanno peso).
Non
appena Virgilio e io fummo a bordo,
l’antica (perché coeva
dell’inferno) barca cominciò a
fendere
l’acqua, immergendosi in essa
più profondamente di quanto non faccia
di solito, quando trasporta le anime.
Mentre
solcavamo l’immobile palude, mi si parò
davanti uno spirito coperto di fango, e
disse: “Chi sei tu che arrivi
anzitempo (prima del termine
stabilito, cioè prima della morte )
? ”
In questa terzina,
alla stagnante immobilità dello Stige,
si contrappone l'aspra repentinità
dell'apostrofe del dannato che, nella
maligna domanda rivolta a Dante, rivela
il suo godimento per le sofferenze
altrui. Il suo apparire improvviso può
ricordarci quello di Ciacco nel cerchio
dei golosi, ma il dialogo con Dante è
improntato qui a tutt'altro spirito. Ed
io: “ Se arrivo, non è certo per
rimanere; ma chi sei tu, reso cosi
sporco dal fango?” Rispose: “Vedi
bene che sono uno di quelli che piangono
(cioè un dannato) ”.
Il motivo che
spinge Filippo Argenti a celare il suo
nome è il desiderio, comune anche agli
altri dannati, di non avere cattiva fama
tra i vivi. Egli cerca di reagire al
disprezzo manifestatogli dal Poeta
ostentando la propria infelice
condizione (un che piango). Ma le sue
parole tradiscono un'insofferenza
sprezzante e amara. Il loro senso è: lo
vedi da te che sono un dannato; che
bisogno c'è di farmi questa domanda? Ed
io: “ Restatene, anima maledetta, col
pianto e col dolore; perché ti
riconosco, anche se sei tutto imbrattato
di fango ”.
Il tono della
replica di Dante, in cui egli riprende
le parole del suo interlucatore per
ritorcerle contro di lui
(chi se' tu che vieni... s'i'
degno, non rimango...; un che piango...
con piangere e con lutto), è dettato da
un'ira repressa, che finirà col
manifestarsi esplicitamente nella
soddisfazione con cui il Poeta assisterà
al tormento del peccatore. Allora allungò verso la barca entrambe le mani (per rovesciarla o per colpire Dante ); ma Virgilio pronto lo respinse, dicendogli: “ Via di qui, vattene a stare con gli altri maledetti ! ” |