RITORNA A DANTE
 
INFERNO:
CANTO VIII
 

TORNA ALLA SCELTA DEI CANTI

VAI AL CANTO SUCCESSIVO

HOME PAGE

 

 

Proseguendo il mio racconto, dico che, molto prima di giungere ai piedi dell’alta torre, i nostri sguardi si diressero verso la sua sommità

attratti da due fiammelle che vedemmo apparire lassù, e da un’altra che rispondeva ai segnali da tanto lontano, che a stento il nostro sguardo poteva distinguerla.

In questo canto, uno dei più ricchi di movimento di tutto il poema, anche il paesaggio si anima, quasi ad incarnare visibilmente lo stato di attesa e la trepidazione del Poeta.
I segnali luminosi che, accendendosi nella notte infernale, sembrano preannunciare un evento insolito e misterioso, sono uguali a quelli che, in terra, servivano a trasmettere informazioni militari. I diavoli che difendono le mura della strana città, alla quale i due viandanti si stanno avvicinando, sono organizzati militarmente: diversamente che nei guardiani dei cerchi superiori, in essi il male è guidato da una intelligenza viva.

Allora mi rivolsi a Virgilio, dicendo: “ Che significato ha questo segnale? e quale risposta dà quell’altra luce? e chi sono quelli che l’hanno accesa ? ”

E Virgilio di rimando: “ Sull’acqua melmosa puoi già scorgere colui che è atteso (da chi ha fatto i segnali), se i vapori che lo stagno esala non lo celano ai tuoi occhi ”.

Nessuna corda d’arco scoccò mai una freccia che volasse nell’aria con una velocità  paragonabile a quella della piccola imbarcazione

che vidi in quell’istante  dirigersi sull’acqua verso di noi, pilotata da un solo nocchiero, che urlava: “ Ti ho finalmente raggiunto, spirito malvagio! ”

La similitudine è già in Virgilio: "fugge sulle onde, più rapida di un dardo e di una saetta che uguaglia i venti" (Eneide X, 247-248). Dante la ricrea conferendole maggiore essenzialità e vigore, e imprimendo alle parole "un movimento rapido e incalzante, in cui viene a culminare il senso di tensione e di attesa delle terzine che precedono e si preannunzia il movimento drammatico, violento e concitato, dell'episodio che seguirà" (Sapegno).
Da notare anche la sapiente scelta delle parole e la suggestione che queste esercitano anche al di là del loro significato più immediato. Come nota il Venturi, nel primo verso corda non pinse mai da sé saetta, "i suoni esprimono il sibilar della freccia; nel verso successivo il celere volo".

“ Flegiàs, Flegiàs, tu gridi inutilmente contro di noi ” ribatte il mio maestro, “a non ci avrai in tuo potere che il tempo necessario per attraversare la palude fangosa.”

Flegiàs, figlio di Marte, per avere incendiato, accecato dall'ira, il tempio di Apollo a Delfi, fu punito nell'Averno (cfr. Virgilio, Eneide VI, 618-620). E questo un altro dei personaggi tratti dalla mitologia e ricreati da Dante in forme nuove, meglio rispondenti alla sostanza profondamente religiosa e morale del suo poema. La figura di Flegiàs è "drammatizzata nella sua qualità essenziale: l'ardore dell'ira: per cui diventa uno scorcio appena balenante ma tempestoso: scolpito proprio nel secco rilievo della sua violenta irruzione e del furioso gridare (versi 13-18) e poi ( verso 24 ) nel torbido silenzio dell'ira accolta" (Grabher).
La risposta di Virgilio a Flegias non ha la calma solenne delle risposte da lui date ai guardiani dei cerchi superiori. Una impazienza irosa sembra trasmettersi alle sue parole. Il peccato punito in questo cerchio - l'ira - "si propaga all'intorno, nello scenario, in Virgilio, in Dante, che proprio qui dà il primo e più continuato segno del suo aspro spirito combattivo" (Momigliano).

Come colui che apprende di essere stato gravemente ingannato, e allora prova rammarico, così divenne Flegiàs per l’ira che in lui si raccolse.

Virgilio scese nella barca, e poi mi fece scendere dopo di lui;  soltanto quando anch’io fui entrato, essa sembrò carica (gli abitanti dell’oltretomba, essendo esseri privi del corpo, non hanno peso).

Non appena Virgilio e io fummo a bordo, l’antica (perché coeva dell’inferno) barca cominciò a fendere  l’acqua, immergendosi in essa più profondamente di quanto non faccia di solito, quando trasporta le anime.

Mentre solcavamo l’immobile palude, mi si parò davanti uno spirito coperto di fango, e disse: “Chi sei tu che arrivi anzitempo (prima del termine stabilito, cioè prima della morte ) ? ”

In questa terzina, alla stagnante immobilità dello Stige, si contrappone l'aspra repentinità dell'apostrofe del dannato che, nella maligna domanda rivolta a Dante, rivela il suo godimento per le sofferenze altrui. Il suo apparire improvviso può ricordarci quello di Ciacco nel cerchio dei golosi, ma il dialogo con Dante è improntato qui a tutt'altro spirito.
Nell'episodio del canto sesto il Poeta era preso da un sentimento di compassione e quasi di riverente rispetto per il concittadino che aveva conosciuto di persona i grandi uomini politici della passata generazione; qui invece reagisce violentemente contro il suo interlocutore e, come vedremo fra poco, gode del suo strazio. Possiamo restare meravigliati per tale atteggiamento di Dante, in cui il Momigliano ha ravvisato addirittura "qualcosa di satanico", ma non dobbiamo dimenticare che l'iracondo nei riguardi del quale egli manifesta tale spirito vendicativo, come osserva il Grabher, "non è che lo spunto realistico, cui Dante sempre attinge, per passare dal contingente all'eterno, dal particolare all'universale; per colpire quanti si tengono or là su gran regi e tuffarli tutti, idealmente, come porci in brago".
Il dannato è il fiorentino Filippo dei Cavicciuli ( un ramo degli Adimari )',

Ed io: “ Se arrivo, non è certo per rimanere; ma chi sei tu, reso cosi sporco dal fango?” Rispose: “Vedi bene che sono uno di quelli che piangono (cioè un dannato) ”.

Il motivo che spinge Filippo Argenti a celare il suo nome è il desiderio, comune anche agli altri dannati, di non avere cattiva fama tra i vivi. Egli cerca di reagire al disprezzo manifestatogli dal Poeta ostentando la propria infelice condizione (un che piango). Ma le sue parole tradiscono un'insofferenza sprezzante e amara. Il loro senso è: lo vedi da te che sono un dannato; che bisogno c'è di farmi questa domanda?

Ed io: “ Restatene, anima maledetta, col pianto e col dolore; perché ti riconosco, anche se sei tutto imbrattato di fango ”.

Il tono della replica di Dante, in cui egli riprende le parole del suo interlucatore per ritorcerle contro di lui  (chi se' tu che vieni... s'i' degno, non rimango...; un che piango... con piangere e con lutto), è dettato da un'ira repressa, che finirà col manifestarsi esplicitamente nella soddisfazione con cui il Poeta assisterà al tormento del peccatore.

Allora allungò verso la barca entrambe le mani (per rovesciarla o per colpire Dante ); ma Virgilio pronto lo respinse, dicendogli: “ Via di qui, vattene a stare con gli altri maledetti ! ”