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INFERNO:
CANTO IX
 

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Quel colore smorto che la paura aveva diffuso sul mio volto, quando avevo veduto Virgilio tornare indietro, fece sparire  più presto il pallore che da poco era apparso sul suo.

Si arrestò attento come chi cerca di percepire un suono; lo sguardo, infatti, non poteva portarlo a distinguere lontano attraverso l’aria buia e la densa caligine.

“Eppure dovremo vincere questa battaglia” prese a dire, “a meno che... (ma no, non è possibile). Tanto potente è colei (Beatrice) che ci promise il suo aiuto: oh quanto mi preoccupa il ritardo di qualcuno! ”

Virgilio, respinto dai difensori della città di Dite, è preso per un attimo dal dubbio, ma poi riacquista fiducia: ecco il senso generale, sul quale sono tutti d'accordo, del breve soliloquio contenuto in questa terzina, Quanto al significato più preciso adombrato nell'espressione se non, varie ipotesi sono state avanzate. Ad esempio Virgilio può aver pensato per un momento di non aver ben capito il discorso fattogli da Beatrice nel limbo, oppure addirittura che il procedere oltre fosse ormai del tutto impossibile. Ma per penetrare il valore poetico di questa apertura di canto, che, come rileva lo Zannoni, "prende l'avvio proprio dal giuoco psicologico dei due personaggi, Dante e Virgilio, dai loro silenzi e dalle loro parole, dalle ansie e dalle speranze loro, sullo sfondo di quella fantastica e fiammeggiante città infernale", non occorre andar oltre le intenzioni del Poeta e voler chiarire termini che traggono forza suggestiva proprio dall'essere circondati da un alone di mistero.

Mi accorsi facilmente come Virgilio cancellasse il senso delle prime parole  con quelle aggiunte in seguito, diverse dalle  prime;

ciò nonostante il suo discorso mi diede timore, poiché io attribuivo alla frase non conclusa un significato forse peggiore di quello che aveva.

La peggior sentenzia che Dante attribuisce alle parole del suo maestro, completando nella sua mente la frase dubitativa da questi lasciata interrotta (se non...), é probabilmente questa: " a meno che l'opposizione dei diavoli non ci costringa a tornarcene indietro ". La domanda che egli sta per rivolgere al suo maestro, esprime appunto questo stato d'animo angosciato del discepolo che vede ad un tratto la sua guida, il mar di tutto 'l senno, fin qui apparsa infallibile, umiliata e schernita dalle forze del male.

“Nel fondo della dolorosa voragine infernale avviene mai che discenda qualcuno del primo cerchio (il limbo), dove le anime hanno come sola punizione la speranza (di vedere Dio) destinata a non realizzarsi mai ?”

Feci questa domanda; e Virgilio mi rispose: “Raramente avviene che qualcuno di noi faccia la strada che io sto percorrendo.

E’ bensì vero che già un’altra volta fui quaggiù, richiamato dagli scongiuri  di quella crudele Eritone che faceva tornare le anime nei loro corpi,

Virgilio aveva nel Medioevo fama di mago. Nessuna tuttavia delle leggende che si erano formate intorno alla sua figura accenna a questa discesa agli Inferi. E' probabile quindi che Dante abbia tenuto presente, nell'immaginare questo primo viaggio di Virgilio fin dentro il cerchio più profondo della voragione infernale ( il nono, dove sono puniti i traditori), un passo della Farsaglia di Lucano, in cui è detto che la maga Eritone fece ritornare nel corpo l'anima di un soldato morto, per predire a Sesto Pompeo l'esito della battaglia di Farsalo (VI, 507 sgg.).

Da poco tempo il mio corpo  era privo  dell’anima, allorché costei mi fece entrare nella città di Dite, per fare uscire un’anima del cerchio dove e dannato Giuda.

Quello è il posto più basso e più buio, e più lontano dal cielo che imprime il movimento all’universo: conosco bene il cammino; perciò rassicurati.

Nella cosmologia della Commedia, il ciel che tutto gira è, rispetto alla terra, l'ultimo dei nove cieli fisici. E' chiamato Primo Mobile, perché da esso si trasmette il movimento a tutto il creato.

L’acquitrino da cui emana il grande fetore circonda tutt’intorno la città dei dannati, nella quale non possiamo ormai entrare senza lotta.

Le informazioni che Virgilio fornisce in questo discorso al suo discepolo, sono state considerate da molti come una digressione oziosa, la quale interromperebbe la tesa atmosfera drammatica che Dante aveva saputo creare, con un crescendo di effetti, sin dal canto precedente. Cosi, ad esempio, il Porena ha l'impressione che, soprattutto nella parte finale del suo discorso, Virgilio parli al discepolo solo per "occuparlo e distrarlo in qualche modo".
Assai difficile riesce, tuttavia, aderire a simili opinioni, che risolvono, in modo troppo semplicistico e ovvio, i non sempre facili problemi che pone l'interpretazione di questo e di altri passi della Commedia. In particolare, per quel che si riferisce all'episodio di Eritone, in esso, scrive lo Zannoni, "il mondo mitologico dona alla suggestiva vicenda del pellegrino medievale uno sfondo remoto di più solenne, di più oscuro, di più alto mistero" e, possiamo aggiungere, preannuncia l'apparizione delle figure mitologiche destinate a svolgere un ruolo così importante nel canto.  Inoltre il tono pacato e didascalico con il quale il poeta latino fornisce a Dante ragguagli sulla palude che'l gran pazzo spira, serve a mettere maggiormente in rilievo la drammaticissima sostanza delle terzine successive.

E disse altre cose, ma non le ricordo; poiché lo sguardo mi aveva tutto portato verso l’alta torre dalla cima arroventata,

dove all’improvviso  si erano levate tutte nel medesimo istante  tre furie infernali imbrattate di sangue, che avevano corpo e atteggiamentodi donna,

e portavano annodati intorno al corpo serpenti d’acqua  d’intenso color verde; per capelli  avevano serpentelli e serpenti muniti di corna, che ne cingevano le spaventose teste,

Le Furie o Erinni, figlie di Acheronte e della Notte, erano, nella mitologia, le dee della vendetta e del rimorso. Esse perseguitavano il colpevole fino a fargli perdere il lume della ragione. La loro rappresentazione, in questi versi dell'Inferno, è di una potenza mai raggiunta dai poeti dell'antichità. Ciò è dovuto proprio al fatto che in queste, come nelle altre figure della mitologia, Dante sa infondere un significato morale nuovo, derivante dalla sua profonda fede. Qui, ad esempio, le Furie non sono vedute soltanto nel loro aspetto negativo, come emblemi cioè di un male dal quale non ci si riscatta, ma anche nel loro aspetto positivo: esse sono sì ostacoli a quell'itinerarium mentis in Deum, che il viaggio nell'al di là dei due poeti simboleggia, ma ostacoli concepiti anzitutto come strumenti di perfezionamento morale. Tale è il senso più profondo di questa allegoria del male, al di là di ogni interpretazione troppo particolare di essa. I critici hanno concordemente sottolineato la perfetta riuscita fantastica ed espressiva di questa creazione dell'arte di Dante, rilevando il carattere convulso e irreale di questa visione d'incubo.

E Virgilio, che non aveva tardato a riconoscere le ancelle della regina (Proserpina) dell’inferno, mi disse: “ Ecco le implacabili Erinni.

Dalla parte  sinistra è Megera; quella piangente, a destra, è Aletto: nel mezzo c’è Tesifone”;  ciò detto, tacque.