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Quel
colore smorto che la paura aveva diffuso
sul mio volto, quando avevo veduto
Virgilio tornare indietro, fece sparire
più presto il pallore che da
poco era apparso sul suo.
Si
arrestò attento come chi cerca di
percepire un suono; lo sguardo, infatti,
non poteva portarlo a distinguere
lontano attraverso l’aria buia e la
densa caligine.
“Eppure
dovremo vincere questa battaglia”
prese a dire, “a meno che... (ma no,
non è possibile). Tanto potente è
colei (Beatrice) che ci promise il suo
aiuto: oh quanto mi preoccupa il ritardo
di qualcuno! ”
Virgilio, respinto
dai difensori della città di Dite, è
preso per un attimo dal dubbio, ma poi
riacquista fiducia: ecco il senso
generale, sul quale sono tutti
d'accordo, del breve soliloquio
contenuto in questa terzina, Quanto al
significato più preciso adombrato
nell'espressione se non, varie ipotesi
sono state avanzate. Ad esempio Virgilio
può aver pensato per un momento di non
aver ben capito il discorso fattogli da
Beatrice nel limbo, oppure addirittura
che il procedere oltre fosse ormai del
tutto impossibile. Ma per penetrare il
valore poetico di questa apertura di
canto, che, come rileva lo Zannoni,
"prende l'avvio proprio dal giuoco
psicologico dei due personaggi, Dante e
Virgilio, dai loro silenzi e dalle loro
parole, dalle ansie e dalle speranze
loro, sullo sfondo di quella fantastica
e fiammeggiante città infernale",
non occorre andar oltre le intenzioni
del Poeta e voler chiarire termini che
traggono forza suggestiva proprio
dall'essere circondati da un alone di
mistero. Mi
accorsi facilmente come Virgilio
cancellasse il senso delle prime parole con quelle aggiunte in seguito, diverse dalle
prime;
ciò
nonostante il suo discorso mi diede
timore, poiché io attribuivo alla frase
non conclusa un significato forse
peggiore di quello che aveva.
La peggior sentenzia
che Dante attribuisce alle parole del
suo maestro, completando nella sua mente
la frase dubitativa da questi lasciata
interrotta (se non...), é probabilmente
questa: " a meno che l'opposizione
dei diavoli non ci costringa a
tornarcene indietro ". La domanda
che egli sta per rivolgere al suo
maestro, esprime appunto questo stato
d'animo angosciato del discepolo che
vede ad un tratto la sua guida, il mar
di tutto 'l senno, fin qui apparsa
infallibile, umiliata e schernita dalle
forze del male. “Nel
fondo della dolorosa voragine infernale
avviene mai che discenda qualcuno del
primo cerchio (il limbo), dove le anime
hanno come sola punizione la speranza
(di vedere Dio) destinata a non
realizzarsi mai ?”
Feci
questa domanda; e Virgilio mi rispose:
“Raramente avviene che qualcuno di noi
faccia la strada che io sto percorrendo.
E’
bensì vero che già un’altra volta
fui quaggiù, richiamato dagli scongiuri
di quella crudele Eritone che
faceva tornare le anime nei loro corpi,
Virgilio aveva nel
Medioevo fama di mago. Nessuna tuttavia
delle leggende che si erano formate
intorno alla sua figura accenna a questa
discesa agli Inferi. E' probabile quindi
che Dante abbia tenuto presente,
nell'immaginare questo primo viaggio di
Virgilio fin dentro il cerchio più
profondo della voragione infernale ( il
nono, dove sono puniti i traditori), un
passo della Farsaglia di Lucano, in cui
è detto che la maga Eritone fece
ritornare nel corpo l'anima di un
soldato morto, per predire a Sesto
Pompeo l'esito della battaglia di
Farsalo (VI, 507 sgg.). Da
poco tempo il mio corpo era
privo dell’anima, allorché costei mi fece entrare nella città
di Dite, per fare uscire un’anima del
cerchio dove e dannato Giuda.
Quello
è il posto più basso e più buio, e più
lontano dal cielo che imprime il
movimento all’universo: conosco bene
il cammino; perciò rassicurati.
Nella cosmologia
della Commedia, il ciel che tutto gira
è, rispetto alla terra, l'ultimo dei
nove cieli fisici. E' chiamato Primo
Mobile, perché da esso si trasmette il
movimento a tutto il creato. L’acquitrino
da cui emana il grande fetore circonda
tutt’intorno la città dei dannati,
nella quale non possiamo ormai entrare
senza lotta.
Le informazioni che
Virgilio fornisce in questo discorso al
suo discepolo, sono state considerate da
molti come una digressione oziosa, la
quale interromperebbe la tesa atmosfera
drammatica che Dante aveva saputo
creare, con un crescendo di effetti, sin
dal canto precedente. Cosi, ad esempio,
il Porena ha l'impressione che,
soprattutto nella parte finale del suo
discorso, Virgilio parli al discepolo
solo per "occuparlo e distrarlo in
qualche modo". E
disse altre cose, ma non le ricordo;
poiché lo sguardo mi aveva tutto
portato verso l’alta torre dalla cima
arroventata,
dove
all’improvviso
si erano levate tutte nel
medesimo istante
tre furie infernali imbrattate di
sangue, che avevano corpo e
atteggiamentodi donna,
e
portavano annodati intorno al corpo
serpenti d’acqua
d’intenso color verde; per
capelli
avevano serpentelli e serpenti
muniti di corna, che ne cingevano le
spaventose teste,
Le Furie o Erinni,
figlie di Acheronte e della Notte,
erano, nella mitologia, le dee della
vendetta e del rimorso. Esse
perseguitavano il colpevole fino a
fargli perdere il lume della ragione. La
loro rappresentazione, in questi versi
dell'Inferno, è di una potenza mai
raggiunta dai poeti dell'antichità. Ciò
è dovuto proprio al fatto che in
queste, come nelle altre figure della
mitologia, Dante sa infondere un
significato morale nuovo, derivante
dalla sua profonda fede. Qui, ad
esempio, le Furie non sono vedute
soltanto nel loro aspetto negativo, come
emblemi cioè di un male dal quale non
ci si riscatta, ma anche nel loro
aspetto positivo: esse sono sì ostacoli
a quell'itinerarium mentis in Deum, che
il viaggio nell'al di là dei due poeti
simboleggia, ma ostacoli concepiti
anzitutto come strumenti di
perfezionamento morale. Tale è il senso
più profondo di questa allegoria del
male, al di là di ogni interpretazione
troppo particolare di essa. I critici
hanno concordemente sottolineato la
perfetta riuscita fantastica ed
espressiva di questa creazione dell'arte
di Dante, rilevando il carattere
convulso e irreale di questa visione
d'incubo. E
Virgilio, che non aveva tardato a
riconoscere le ancelle della regina (Proserpina)
dell’inferno, mi disse: “ Ecco le
implacabili Erinni.
Dalla parte sinistra è Megera; quella piangente, a destra, è Aletto: nel mezzo c’è Tesifone”; ciò detto, tacque. |