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Ora
il mio maestro avanza per uno stretto
sentiero, tra il muro che cinge la città
e i sepolcri roventi, e io lo seguo.
“O
virtù eccelsa (Virgilio), che mi
conduci, come tu vuoi, attraverso i
cerchi degli empi” presi a dire,
“parla ed esaudisci il mio
desiderio.
Sarebbe
possibile vedere i peccatori che
giacciono dentro le tombe? tutti i
coperchi, infatti, sono sollevati, e
nessuno fa ad essi la guardia. ”
La scenografia dei
primi cerchi infernali si ispira ai
grandi fenomeni naturali della terra:
l'unico elemento che distingue la bufera
che mai non resta dei lussuriosi o la
pioggia maledetta del terzo cerchio da
una bufera o da una pioggia reali, è la
loro durata infinita. Dio si manifesta
appunto attraverso questo carattere di
eternità impresso a forme e movimenti
altrimenti pienamente verosimili, in
virtù della loro naturalezza, anche
agli occhi di chi non riesca a vedere
nella natura nulla che la trascenda. La
stessa osservazione può ripetersi per
la giostra degli avari e prodighi, che
viene espressamente riallacciata dal
Poeta a un particolare, l'urto delle
onde di due mari nello stretto di
Messina, e che, indipendentemente da
questo accostamento, ha, del fenomeno
naturale, la rigorosa periodicità e
monotonia. E
Virgilio: “Tutte le tombe saranno
chiuse quando (nel giorno del Giudizio
Universale) le anime torneranno qui
dalla valle di Giosafàt insieme ai
corpi che hanno lasciato in terra.
In
questa zona del cerchio hanno il loro
luogo di sepoltura Epicuro e i suoi
adepti, i quali credono
che l’anima muoia insieme al
corpo.
Il filosofo greco
Epicuro (341-270 a. C.) aveva negato la
sopravvivenza dell'anima al corpo,
opinione questa, come scrisse Dante nel
Convivio ( Il, VIII, 8), "intra
tutte le bestialitadi... stoltissima,
vilissima e dannosissima". Le sue
teorie erano conosciute nel Medioevo
soltanto indirettamente, attraverso gli
scrittori latini, e in modo incompleto;
per tale motivo poterono essere
qualificati "epicurei" tutti
coloro che si mostravano indifferenti in
materia religiosa. In particolare i
Ghibellini vennero spesso designati come
epicurei. Perciò
ben presto dentro questo stesso cerchio
sarà data soddisfazione alla domanda
che mi fai, e anche al desiderio che mi
nascondi ”.
E
io: “Mia buona guida, io non ti tengo
celato il mio animo se non per parlare
poco, e tu stesso mi hai indotto
a ciò non soltanto ora”.
“O
Toscano che ancora in vita percorri la
città infuocata parlando in modo così
decoroso, abbi la compiacenza di
fermarti qui.
Il
tuo modo di parlare rivela che sei nato
in quella nobile terra alla quale forse
arrecai troppo danno.”
Il dannato che
rivolge queste parole a Dante è Manente,
detto Farinata, degli Uberti. Nato a
Firenze all'inizio del secolo XIII, fu
dal 1239 capo del partito ghibellino e
come tale ebbe un ruolo di primo piano
nel determinare la cacciata dei Guelfi
dalla città nel 1248. Tornati questi
nel 1251, dovette, a sua volta,
allontanarsi da Firenze insieme ai suoi
seguaci. Trovò rifugio a Siena, dove
preparò la controffensiva contro il
partito avverso. I Guelfi fiorentini
subirono nel 1260 una sanguinosa
disfatta a Montaperti ad opera dei
fuorusciti ghibellini e dei Senesi
comandati appunto da Farinata, Rientrato
in patria, vi mori nel 1264. Dopo la sua
morte, e in seguito alla definitiva
disfatta del partito ghibellino in
Italia, gli Uberti furono messi al bando
da Firenze e le loro case rase al suolo.
Farinata, dopo la sua morte, fu
processato per eresia. Questa
voce si levò all’improvviso da uno
dei sepolcri;
mi avvicinai, intimorito, un po
più a Virgilio.
Ed
egli mi disse: “Voltati: che cosa fai?
Ecco là Farinata che si è levato: lo
vedrai interamente dalla cintola in su
”.
Dalla
cintola in su tutto 'I vedrai:
il De Sanctis interpretava questo verso
in senso morale, come un equivalente di:
"lo vedrai in tutta la sua
grandezza". Io
avevo già fissato il mio sguardo nel
suo; ed egli stava eretto
con il petto e con la fronte
quasi avesse l’inferno in grande
disprezzo.
La
rappresentazione di Farinata che si erge
solitario e immobile in mezzo alla
pianura del dolore, ha ispirato le più
suggestive pagine del saggio del De
Sanctis; questi, peraltro, non si è
soffermato abbastanza su quanto di
complesso e di tormentato c'è nella
figura di questo eroe, vincitore in
terra, ma definitivamente perdente agli
occhi di Chi lo ha giudicato per
l'eternità. Scrive il De Sanctis, a
proposito dell'"ergersi" di
Farinata, che questo verbo "è
sublime non per il suo significato
diretto, ma come segno ed espressione
d'una grandezza tanto maggiore quanto
meno misurabile, dell'ergersi,
dell'innalzarsi dell'anima di Farinata
sopra tutto l'inferno..." E le mani incoraggianti e sollecite ti Virgilio mi sospinse |