Giovanni Verga
Mastro-Don Gesualdo
Parte prima
Capitolo IV
Mentre i muratori si riparavano ancora
dall'acquazzone dentro il frantoio di Giolio vasto quanto una chiesa facendo alle
piastrelle, entrò il ragazzo che stava a guardia sull'uscio, addentando un pezzo di pane,
colla bocca piena, vociando:
- Il padrone!... ecco il padrone!...
Dietro di lui comparve mastro-don
Gesualdo, bagnato fradicio, tirandosi dietro la mula che scuoteva le orecchie.
- Bravi!... Mi piace!... Divertitevi!
Tanto, la paga vi corre lo stesso!... Corpo di!... Sangue di!...
Agostino, il soprastante, annaspando,
bofonchiando, affacciandosi all'uscio per guardare il cielo ancora nuvolo coll'occhio
orbo, trovò infine la risposta:
- Che s'aveva a fare? bagnarci tutti?...
La burrasca è cessata or ora... Siamo cristiani o porci?... Se mi coglie qualche malanno
mia madre non lo fa più un altro Agostino, no!
- Sì, sì, hai ragione!... la bestia sono
io!... Io ho la pelle dura!... Ho fatto bene a mandare qui mio fratello per badare ai miei
interessi!... Si vede!... Sta a passare il tempo anche lui giuocando, sia lodato Iddio!...
Santo, ch'era rimasto a bocca aperta,
coccoloni dinanzi al pioletto coi quattrini, si rizzò in piedi tutto confuso, grattandosi
il capo.
Gesualdo, intanto che gli altri si davano
da fare, mogi mogi, misurava il muro nuovo colla canna; si arrampicava sulla scala a
piuoli; pesava i sacchi di gesso, sollevandoli da terra: - Sangue di Giuda!... Come se li
rubassi i miei denari!... Tutti quanti d'intesa per rovinarmi!... Due giorni per tre canne
di muro? Ci ho un bel guadagno in questo appalto!... I sacchi del gesso mezzi vuoti! Neli?
Neli? Dov'è quel figlio di mala femmina che ha portato il gesso?... E quella calce che se
ne va in polvere, eh?... quella calce?... Che non ne avete coscienza di cristiani? Dio di
paradiso!... Anche la pioggia a danno mio!... Ci ho ancora i covoni sull'aia!... Non si
poteva metter su la macina intanto che pioveva?... Su! animo! la macina! Vi do una mano
mentre son qua io...
Santo piuttosto voleva fare una fiammata
per asciugargli i panni addosso. - Non importa, - rispose lui. - Me ne sono asciugata
tanta dell'acqua sulle spalle!... Se fossi stato come te, sarei ancora a trasportare del
gesso sulle spalle!... Ti rammenti?... E tu non saresti qua a giuocare alle piastrelle!...
Brontolando, dandosi da fare per preparare
la leva, le biette, i puntelli, si voltava indietro per lanciargli delle occhiatacce. -
Malannaggia! - esclamò Santo. - Sempre quella storia!... - E se ne andò sull'uscio
accigliato, colle mani sotto le ascelle, guardando di qua e di là. I manovali esitavano,
girando intorno al pietrone enorme; il più vecchio, mastro Cola, tenendo il mento sulla
mano, scrollando il capo, aggrondato, guardando la macina come un nemico. Infine
sentenziò ch'erano in pochi per spingerla sulla piattaforma: - Se scappa la leva, Dio
liberi!... Chi si metterà sotto per dar lo scambio alle biette? Io no, com'è vero
Dio!... Se scappa la leva!... mia madre non lo fa più un altro mastro Cola Ventura!...
Eh, eh!... Ci vorrebbero dell'altre braccia... un martinetto... Legare poi una carrucola
lassù alla travatura del tetto... poi dei cunei sotto... vedete, vossignoria, a far
girare i cunei, si sta dai lati e non c'è pericolo...
- Bravo! ora mi fate il capomastro! Datemi
la stanga!... Io non ho paura!... Intanto che stiamo a chiacchierare il tempo passa! La
giornata corre lo stesso, eh?... Come se li avessi rubati i miei denari!... Su! da quella
parte!... Non badate a me che ho la pelle dura... Via!... su!... Viva Gesù!... Viva
Maria!... un altro po'!... Badate! badate!... Ah Mariano! santo diavolone, m'ammazzi!...
Su!... Viva Maria!... La vita! la vita!... Su!... Che fai, bestia, da quella parte?...
Su!... ci siamo! È nostra!... ancora!... da quella parte!... Non abbiate paura che non
muore il papa... Su!... su!... se vi scappa la leva!... ancora!... se avessi tenuta cara
la pelle... ancora!... come la tien cara mio fratello Santo... santo diavolone! santo
diavolone, badate!... a quest'ora sarei a portar gesso sulle spalle!... Il bisogno... via!
via!... il bisogno fa uscire il lupo... ancora!... su!... il lupo dal bosco!... Vedete mio
fratello Santo che sta a guardare?... Se non ci fossi io egli sarebbe sotto... sotto la
macina... al mio posto... invece di grattarsi... a spingere la macina... e la casa...
Tutto sulle mie spalle!... Ah! sia lodato Iddio!
Infine, assicurata la macina sulla
piattaforma, si mise a sedere su di un sasso, trafelato, ancora tremante dal batticuore,
asciugandosi il sudore col fazzoletto di cotone.
- Vedete come ci si asciuga dalla pioggia?
Acqua di dentro e acqua di fuori! - Santo propose di passare il fiasco in giro. - Ah?...
per la fatica che hai fatto?... per asciugarti il sudore anche tu?... Attaccati
all'abbeveratoio... qui fuori dell'uscio...
Il tempo s'era abbonacciato. Entrava un
raggio di sole dall'uscio spalancato sulla campagna che ora sembrava allargarsi ridente,
col paese sull'altura, in fondo, di cui le finestre scintillavano.
- Lesti, lesti, ragazzi! sul ponte,
andiamo! Guadagniamoci
tutti la giornata... Mettetevi un po' nei
panni del padrone che vi paga!... L'osso del collo ci rimetto in quest'appalto!... Ci
perdo diggià, come è vero Iddio!... Agostino! mi raccomando! l'occhio vivo!... La parola
dolce e l'occhio vivo!... Mastro Cola, voi che siete capomastro!... chi vi ha insegnato a
tenere il regolo in mano?... Maledetto voi! Mariano, dammi quassù il regolo, sul ponte...
Che non ne avete occhi, corpo del diavolo!... L'intonaco che screpola e sbulletta!... Mi
toccherà poi sentire l'architetto, malannaggia a voialtri!... Quando torna quello del
gesso ditegli il fatto suo, a quel figlio di mala femmina!... ditegli a Neli che sono del
mestiere anch'io!... Che ne riparleremo poi sabato, al far dei conti!...
Badava a ogni cosa, girando di qua e di
lá, rovistando nei mucchi di tegole e di mattoni, saggiando i materiali, alzando il capo
ad osservare il lavoro fatto, colla mano sugli occhi, nel gran sole che s'era messo
allora. - Santo! Santo! portami qua la mula... Fagli almeno questo lavoro, a tuo fratello!
- Agostino voleva trattenerlo a mangiare un boccone, poiché era quasi mezzogiorno, un
sole che scottava, da prendere un malanno chi andava per la campagna a quell'ora. - No,
no, devo passare dal Camemi... ci vogliono due ore... Ho tant'altro da fare! Se il sole è
caldo tanto meglio! Arriverò asciutto al Camemi... Spicciamoci, ragazzi! Badate che vi
sto sempre addosso come la presenza di Dio! Mi vedrete comparire quando meno ve lo
aspettate! Sono del mestiere anch'io, e conosco poi se si è lavorato o no!...
Intanto che se ne andava, Santo gli corse
dietro, lisciando il collo alla mula, tenendogli la staffa. Finalmente, come vide che
montava a cavallo senza darsene per inteso, si piantò in mezzo alla strada, grattandosi
l'orecchio: - Così mi lasci? senza domandarmi neppure se ho bisogno di qualche cosa?
- Sì, sì, ho capito. I denari che avesti
lunedì te li sei giuocati. Ho capito! ho capito! eccoti il resto. E divèrtiti alle
piastrelle, che a pagare poi ci son io... il debitore di tutti quanti!...
Brontolava ancora allontanandosi all'ambio
della mula sotto il sole cocente: un sole che spaccava le pietre adesso, e faceva
scoppiettare le stoppie quasi s'accendessero. Nel burrone, fra i due monti, sembrava
d'entrare in una fornace; e il paese in cima al colle, arrampicato sui precipizi,
disseminato fra rupi enormi, minato da caverne che lo lasciavano come sospeso in aria,
nerastro, rugginoso, sembrava abbandonato, senza un'ombra, con tutte le finestre
spalancate nell'afa, simili a tanti buchi neri, le croci dei campanili vacillanti nel
cielo caliginoso. La stessa mula anelava, tutta sudata, nel salire la via erta. Un povero
vecchio che s'incontrò, carico di manipoli, sfinito, si mise a borbottare:
- O dove andate vossignoria a
quest'ora?... Avete tanti denari, e vi date l'anima al diavolo!
Giunse al paese che suonava mezzogiorno,
mentre tutti scappavano a casa come facesse temporale. Dal Rosario veniva il canonico
Lupi, accaldato, col nicchio sulla nuca, soffiando forte:
- Ah, ah, don Gesualdo!... andate a
mangiare un boccone?... Io no, per mia disgrazia! Sono a bocca asciutta sino a
quest'ora... Vado a celebrare la santa messa... la messa di mezzogiorno!... un capriccio
di Monsignore!
- Sono salito al paese apposta per
voi!.... Ho fatto questa pettata!... È caldo, eh! - intanto si asciugava il sudore col
fazzoletto. - Ho paura che mi giuochino qualche tiro, riguardo a quell'appalto delle
strade comunali, signor canonico. Vossignoria che vi fate sentire in paese... ci avete
pensato? So poi l'obbligo mio!...
- Ma che dite?... fra di noi!... ci sto
lavorando... A proposito, che facciamo per quell'altro affare? ci avete pensato? che
risposta mi date?
Don Gesualdo il quale aveva messo al passo
la mula, camminandogli allato, curvo sulla sella, un po' sbalordito dal gran sole,
rispose:
- Che affare? Ne ho tanti!... Di quale
affare parlate vossignoria?
- Ah! ah! la pigliate su quel verso?...
Scusate... scusate tanto!...
Il canonico mutò subito discorso, quasi
non gliene importasse neppure a lui: parlò dell'altro affare della gabella, che bisognava
venire a una conclusione colla baronessa Rubiera: - C'è altre novità... Il notaro Neri
ha fatto lega con Zacco... Ho paura che...
Don Gesualdo allora smontò dalla mula,
premuroso, tirandola dietro per le redini, mentre andava passo passo insieme al prete,
tutto orecchi, a capo chino e col mento in mano.
- Temo che mi cambino la baronessa!... Ho
visto il barone a confabulare con quello sciocco di don Ninì... ieri sera, dietro il
Collegio... Finsi d'entrare nella farmacia per non farmi scorgere. Capite? un affare
grosso!... Son circa cinquecento salme di terra... C'è da guadagnare un bel pezzo di
pane, su quell'asta.
Don Gesualdo ci si scaldava lui pure: gli
occhi accesi dall'afa che gli brillavano in quel discorso. Temeva però gli intrighi degli
avversari, tutti pezzi grossi, di quelli che avevano voce in capitolo! E il canonico
viceversa, andava raffreddandosi di mano in mano, aggrottandosi in viso, stringendosi
nelle spalle, guardandolo fisso di tanto in tanto, e scrollando il capo di sotto in su,
come a dargli dell'asino.
- Per questo dicevo!... Ma voi la pigliate
su quel verso!... Scusate, scusatemi tanto!... Volevo con quell'affare procurarvi
l'appoggio di un parentado che conta in paese... la prima nobiltà... Ma voi fate
l'indifferente... Scusatemi tanto allora!... Anche per dare una risposta alla signora
Sganci che ci aveva messo tanto impegno!... Scusatemi, è una porcheria...
- Ah, parlate dell'affare del
matrimonio?...
Il canonico finse di non dar retta lui
stavolta: - Ah! ecco vostro cognato! Vi saluto, massaro Fortunato!
Burgio aveva il viso lungo un palmo,
aggrottato, con tanto di muso nel faccione pendente.
- V'ho visto venire di laggiù, cognato.
Sono stato ad aspettarvi lì, al belvedere. Sapete la notizia? Appena quindici salme
fecero le fave!... Neanche le spese, com'è vero Iddio!... Son venuto apposta a dirvelo...
- Vi ringrazio! grazie tante! Ora che
volete da me? Io ve l'aveva detto, quando avete voluto prendere quella chiusa!... buona
soltanto per dar spine!... Volete sempre fare di testa vostra, e non ne indovinate una,
benedett'uomo! - rispose Gesualdo in collera.
- Bene, avete ragione. Lascerò la chiusa.
Non la voglio più! Che pretendete altro da me?
- Non la volete?... L'affitto vi dura
altri due anni!... Chi volete che la pigli?... Non son tutti così gonzi!...
Il canonico, vedendo che il discorso si
metteva per le lunghe, volse le spalle:
- Vi saluto... Don Luca il sagrestano mi
aspetta... digiuno come me sino a quest'ora! - E infilò la scaletta pel quartiere alto.
Don Gesualdo allora infuriato prese a
sfogarsi col cognato: - E venite apposta per darmi la bella notizia?... mentre stavo a
discorrere dei fatti miei... sul più bello? mi guastate un affare che stavo
combinando!... I bei negozi che fate voi! Chi volete che la pigli quella chiusa?
Massaro Fortunato dietro al cognato
tornava a ripetere:
- Cercando bene... troveremo chi la
pigli... La terra è già preparata a maggese per quest'altr'anno... mi costa un occhio...
Vostra sorella fa un casa del diavolo... non mi dà pace!... Sapete che castigo di Dio,
vostra sorella!
- Vi costa, vi costa!... Io lo so a chi
costa! - brontolò Gesualdo senza voltarsi. - Sulle mie spalle ricadono tutte queste belle
imprese!...
Burgio s'offese a quelle parole:
- Che volete dire? Spiegatevi, cognato!...
Io già lavoro per conto mio! Non sto alle spalle di nessuno, io!
- Sì, sì, va bene; sta a vedere ora che
devo anche pregarvi? Come se non l'avessi sulle spalle la vostra chiusa... come se il
garante non fossi io...
Così brontolando tutti e due andarono a
cercare Pirtuso, che stava al Fosso, laggiù verso San Giovanni. Mastro Lio stava
mangiando quattro fave, coll'uscio socchiuso.
- Entrate, entrate, don Gesualdo.
Benedicite a vossignoria! Ne comandate? volete restar servito? - Poi come udì parlare
della chiusa che Burgio avrebbe voluto appioppare a un altro, di allegro che era si fece
scuro in viso, grattandosi il capo.
- Eh! eh!... la chiusa del Purgatorio? È
un affar serio! Non la vogliono neanche per pascolo.
Burgio s'affannava a lodarla, terre di
pianura, terre profonde, che gli avevano dato trenta salme di fave quell'anno soltanto,
preparate a maggese per l'anno nuovo!... Il cognato tagliò corto, come uno che ha molta
altra carne al fuoco, e non ha tempo da perdere inutilmente.
- Insomma, mastro Lio, voglio disfarmene.
Fate voi una cosa giusta... con prudenza!...
- Questo si chiama parlare! - rispose
Pirtuso. - Vossignoria sa fare e sa parlare... - E adesso ammiccava coll'occhietto
ammammolato, un sorrisetto malizioso che gli errava fra le rughe della bazza irta di peli
sudici.
Sulla strada soleggiata e deserta a
quell'ora stava aspettando un contadino, con un fazzoletto legato sotto il mento, le mani
in tasca, giallo e tremante di febbre. Ossequioso, abbozzando un sorriso triste, facendo
l'atto di cacciarsi indietro il berretto che teneva sotto il fazzoletto: - Benedicite,
signor don Gesualdo... Ho conosciuto la mula... Tanto che vi cerco, vossignoria! Cosa
facciamo per quelle quattro olive di Giolio? Io non ho denari per farle cogliere... Vedete
come sono ridotto?... cinque mesi di terzana, sissignore, Dio ne liberi vossignoria! Son
ridotto all'osso... il giorno senza pane e la sera senza lume... pazienza! Ma la spesa per
coglier le olive non posso farla... proprio non posso!... Se le volete, vossignoria...
farete un'opera di carità, vossignoria...
- Eh! eh!... Il denaro è scarso per
tutti, padre mio!... Voi perché avete messo il carro innanzi ai buoi?... Quando non
potete... Tutti così!... Vi mettereste sulle spalle un feudo, a lasciarvi fare...
Vedremo... Non dico di no... Tutto sta ad intendersi...
E lasciò cadere un'offerta minima,
seguitando ad andarsene per la sua strada senza voltarsi. L'altro durò un pezzetto a
lamentarsi, correndogli dietro, chiamando in testimonio Dio e i santi, piagnucolando,
bestemmiando, e finì per accettare, racconsolato tutto a un tratto, cambiando tono e
maniera.
- Compare Lio, avete udito? affare fatto!
Un buon negozio per don Gesualdo... pazienza!... ma è detta! Quanto a me, è come se
fossimo andati dal notaio! - E se ne tornò indietro, colle mani in tasca.
- Sentite qua, mastro Lio, - disse
Gesualdo tirando in disparte Pirtuso. Burgio s'allontanò colla mula discretamente,
sapendo che l'anima dei negozi è il segreto, intanto che suo cognato diceva al sensale di
comprargli dei sommacchi, quanti ce n'erano, al prezzo corrente. Udì soltanto mastro Lio
che rispondeva sghignazzando, colla bocca sino alle orecchie: - Ah! ah!... siete un
diavolo!... Vuol dire che avete parlato col diavolo!... Sapete quel che bisogna vendere e
comprare otto giorni prima... Va bene, restiamo intesi... Me ne torno a casa ora. Ho
quelle quattro fave che m'aspettano.
Burgio non si reggeva in piedi
dall'appetito, e si mise a brontolare come il cognato volle passare dalla posta. - Sempre
misteri... maneggi sottomano!
Don Gesualdo tornò tutto contento,
leggendo una lettera piena di sgorbi e suggellata colla midolla di pane:
- Lo vedete il diavolo che mi parla
all'orecchio! eh? M'ha dato anche una buona notizia, e bisogna che torni da mastro Lio.
- Io non so nulla... Mio padre non m'ha
insegnato a fare queste cose!... - rispose Burgio brontolando. - Io fo come fece mio
padre... Piuttosto, se volete venire a prendere un boccone a casa... Non mi reggo in
piedi, com'è vero Dio!
- No, non posso; non ho tempo. Devo
passare dal Camemi, prima d'andare alla Canziria. Ci ho venti uomini che lavorano alla
strada... i covoni sull'aia... Non posso...
E se ne andò sotto il gran sole,
tirandosi dietro la mula stanca.
Pareva di soffocare in quella gola del
Petraio. Le rupi brulle sembravano arroventate. Non un filo di ombra, non un filo di
verde, colline su colline, accavallate, nude, arsicce, sassose, sparse di olivi rari e
magri, di fichidindia polverosi, la pianura sotto Budarturo come una landa bruciata dal
sole, i monti foschi nella caligine, in fondo. Dei corvi si levarono gracchiando da una
carogna che appestava il fossato; delle ventate di scirocco bruciavano il viso e mozzavano
il respiro; una sete da impazzire, il sole che gli picchiava sulla testa come fosse il
martellare dei suoi uomini che lavoravano alla strada del Camemi. Allorché vi giunse
invece li trovò tutti quanti sdraiati bocconi nel fossato, di qua e di là, col viso
coperto di mosche, e le braccia stese. Un vecchio soltanto spezzava dei sassi, seduto per
terra sotto un ombrellaccio, col petto nudo color di rame, sparso di peli bianchi, le
braccia scarne, gli stinchi bianchi di polvere, come il viso che pareva una maschera, gli
occhi soli che ardevano in quel polverìo.
- Bravi! bravi!... Mi piace... La fortuna
viene dormendo... Son venuto io a portarvela!... Intanto la giornata se ne va!... Quante
canne ne avete fatto di massicciata oggi, vediamo?... Neppure tre canne!... Per questo che
vi riposate adesso? Dovete essere stanchi, sangue di Giuda!... Bel guadagno ci fo!... Mi
rovino per tenervi tutti quanti a dormire e riposare!... Corpo di!... sangue di!...
Vedendolo con quella faccia accesa e
riarsa, bianca di polvere soltanto nel cavo degli occhi e sui capelli; degli occhi come
quelli che dà la febbre, e le labbra sottili e pallide; nessuno ardiva rispondergli. Il
martellare riprese in coro nell'ampia vallata silenziosa, nel polverìo che si levava
sulle carni abbronzate, sui cenci svolazzanti, insieme a un ansare secco che accompagnava
ogni colpo. I corvi ripassarono gracidando, nel cielo implacabile. Il vecchio allora alzò
il viso impolverato a guardarli, con gli occhi infuocati, quasi sapesse cosa volevano e li
aspettasse.
Allorché finalmente Gesualdo arrivò alla
Canziria, erano circa due ore di notte. La porta della fattoria era aperta. Diodata
aspettava dormicchiando sulla soglia. Massaro Carmine, il camparo, era steso bocconi
sull'aia, collo schioppo fra le gambe; Brasi Camauro e Nanni l'Orbo erano spulezzati di
qua e di là, come fanno i cani la notte, quando sentono la femmina nelle vicinanze; e i
cani soltanto davano il benvenuto al padrone, abbaiando intorno alla fattoria. - Ehi? non
c'è nessuno? Roba senza padrone, quando manco io! - Diodata, svegliata all'improvviso,
andava cercando il lume tastoni, ancora assonnata. Lo zio Carmine, fregandosi gli occhi,
colla bocca contratta dai sbadigli, cercava delle scuse.
- Ah!... sia lodato Dio! Voi ve la dormite
da un canto, Diodata dall'altro, al buio!... Cosa facevi al buio?... aspettavi
qualcheduno?... Brasi Camauro oppure Nanni l'Orbo?...
La ragazza ricevette la sfuriata a capo
chino, e intanto accendeva lesta lesta il fuoco, mentre il suo padrone continuava a
sfogarsi, lì fuori, all'oscuro, e passava in rivista i buoi legati ai pioli intorno
all'aia. Il camparo mogio mogio gli andava dietro per rispondere al caso: - Gnorsì,
Pelorosso sta un po' meglio; gli ho dato la gramigna per rinfrescarlo. La Bianchetta ora
mi fa la svogliata anch'essa... Bisognerebbe mutar di pascolo... tutto il bestiame... Il
mal d'occhio, sissignore! Io dico ch'è passato di qui qualcheduno che portava il
malocchio!... Ho seminato perfino i pani di San Giovanni nel pascolo... Le pecore stanno
bene, grazie a Dio... e il raccolto pure... Nanni l'Orbo? Laggiù a Passanitello, dietro
le gonnelle di quella strega... Un giorno o l'altro se ne torna a casa colle gambe rotte,
com'è vero Dio!... e Brasi Camauro anch'esso, per amor di quattro spighe... - Diodata
gridò dall'uscio ch'era pronto. - Se non avete altro da comandarmi, vossignoria, vado a
buttarmi giù un momento...
Come Dio volle finalmente, dopo un digiuno
di ventiquattr'ore, don Gesualdo poté mettersi a tavola, seduto di faccia all'uscio, in
maniche di camicia, le maniche rimboccate al disopra dei gomiti, coi piedi indolenziti
nelle vecchie ciabatte ch'erano anch'esse una grazia di Dio. La ragazza gli aveva
apparecchiata una minestra di fave novelle, con una cipolla in mezzo, quattr'ova fresche,
e due pomidori ch'era andata a cogliere tastoni dietro la casa. Le ova friggevano nel
tegame, il fiasco pieno davanti; dall'uscio entrava un venticello fresco ch'era un
piacere, insieme al trillare dei grilli, e all'odore dei covoni nell'aia: - il suo
raccolto lì, sotto gli occhi, la mula che abboccava anch'essa avidamente nella bica
dell'orzo, povera bestia - un manipolo ogni strappata! Giù per la china, di tanto in
tanto, si udiva nel chiuso il campanaccio della mandra; e i buoi accovacciati attorno
all'aia, legati ai cestoni colmi di fieno, sollevavano allora il capo pigro, soffiando, e
si vedeva correre nel buio il luccichìo dei loro occhi sonnolenti, come una processione
di lucciole che dileguava.
Gesualdo posando il fiasco mise un
sospirone, e appoggiò i gomiti sul deschetto:
- Tu non mangi?... Cos'hai?
Diodata stava zitta in un cantuccio,
seduta su di un barile, e le passò negli occhi, a quelle parole, un sorriso di cane
accarezzato.
- Devi aver fame anche tu. Mangia! mangia!
Essa mise la scodella sulle ginocchia, e
si fece il segno della croce prima di cominciare, poi disse: - Benedicite a vossignoria!
Mangiava adagio adagio, colla persona
curva e il capo chino. Aveva una massa di capelli morbidi e fini, malgrado le brinate ed
il vento aspro della montagna: dei capelli di gente ricca, e degli occhi castagni, al pari
dei capelli, timidi e dolci: de' begli occhi di cane carezzevoli e pazienti, che si
ostinavano a farsi voler bene, come tutto il viso supplichevole anch'esso. Un viso su cui
erano passati gli stenti, la fame, le percosse, le carezze brutali; limandolo, solcandolo,
rodendolo; lasciandovi l'arsura del solleone, le rughe precoci dei giorni senza pane, il
lividore delle notti stanche - gli occhi soli ancora giovani, in fondo a quelle occhiaie
livide. Così raggomitolata sembrava proprio una ragazzetta, al busto esile e svelto, alla
nuca che mostrava la pelle bianca dove il sole non aveva bruciato. Le mani, annerite,
erano piccole e scarne: delle povere mani pel suo duro mestiere!...
- Mangia, mangia. Devi essere stanca tu
pure!...
Ella sorrise, tutta contenta, senza alzare
gli occhi. Il padrone le porse anche il fiasco: - Te', bevi! non aver suggezione!
Diodata, ancora un po' esitante, si pulì
la bocca col dorso della mano, e s'attaccò al fiasco arrovesciando il capo all'indietro.
Il vino, generoso e caldo, le si vedeva scendere quasi a ogni sorso nella gola color
d'ambra; il seno ancora giovane e fermo sembrava gonfiarsi. Il padrone allora si mise a
ridere.
- Brava, brava! Come suoni bene la
trombetta!...
Sorrise anch'essa, pulendosi la bocca
un'altra volta col dorso della mano, tutta rossa.
- Tanta salute a vossignoria!
Egli uscì fuori a prendere il fresco. Si
mise a sedere su di un covone, accanto all'uscio, colle spalle al muro, le mani penzoloni
fra le gambe. La luna doveva essere già alta, dietro il monte, verso Francofonte. Tutta
la pianura di Passanitello, allo sbocco della valle, era illuminata da un chiarore d'alba.
A poco a poco, al dilagar di quel chiarore, anche nella costa cominciarono a spuntare i
covoni raccolti in mucchi, come tanti sassi posti in fila. Degli altri punti neri si
movevano per la china, e a seconda del vento giungeva il suono grave e lontano dei
campanacci che portava il bestiame grosso, mentre scendeva passo passo verso il torrente.
Di tratto in tratto soffiava pure qualche folata di venticello più fresco dalla parte di
ponente, e per tutta la lunghezza della valle udivasi lo stormire delle messi ancora in
piedi. Nell'aia la bica alta e ancora scura sembrava coronata d'argento, e nell'ombra si
accennavano confusamente altri covoni in mucchi; ruminava altro bestiame; un'altra
striscia d'argento lunga si posava in cima al tetto del magazzino, che diventava immenso
nel buio.
- Eh? Diodata? Dormi, marmotta?...
- Nossignore, no!...
Essa comparve tutta arruffata e
spalancando a forza gli occhi assonnati. Si mise a scopare colle mani dinanzi all'uscio,
buttando via le frasche, carponi, fregandosi gli occhi di tanto in tanto per non lasciarsi
vincere dal sonno, col mento rilassato, le gambe fiacche.
- Dormivi!... Se te l'ho detto che
dormivi!...
E le assestò uno scapaccione come
carezza.
Egli invece non aveva sonno. Si sentiva
allargare il cuore. Gli venivano tanti ricordi piacevoli. Ne aveva portate delle pietre
sulle spalle, prima di fabbricare quel magazzino! E ne aveva passati dei giorni senza
pane, prima di possedere tutta quella roba! Ragazzetto... gli sembrava di tornarci ancora,
quando portava il gesso dalla fornace di suo padre, a Donferrante! Quante volte l'aveva
fatta quella strada di Licodia, dietro gli asinelli che cascavano per via e morivano alle
volte sotto il carico! Quanto piangere e chiamar santi e cristiani in aiuto! Mastro Nunzio
allora suonava il deprofundis sulla schiena del figliuolo, con la funicella stessa della
soma... Erano dieci o dodici tarì che gli cascavano di tasca ogni asino morto al
poveruomo! - Carico di famiglia! Santo che gli faceva mangiare i gomiti sin d'allora;
Speranza che cominciava a voler marito; la mamma con le febbri, tredici mesi dell'anno!...
- Più colpi di funicella che pane! - Poi quando il Mascalise, suo zio, lo condusse seco
manovale, a cercar fortuna... Il padre non voleva, perché aveva la sua superbia anche
lui, come uno che era stato sempre padrone, alla fornace, e gli cuoceva di vedere il
sangue suo al comando altrui. - Ci vollero sette anni prima che gli perdonasse, e fu
quando finalmente Gesualdo arrivò a pigliare il primo appalto per conto suo... la
fabbrica del Molinazzo... Circa duecento salme di gesso che andarono via dalla fornace al
prezzo che volle mastro Nunzio... e la dote di Speranza anche, perché la ragazza non
poteva più stare in casa... - E le dispute allorché cominciò a speculare sulla
campagna!... - Mastro Nunzio non voleva saperne... Diceva che non era il mestiere in cui
erano nati. "Fa l'arte che sai!" - Ma poi, quando il figliuolo lo condusse a
veder le terre che aveva comprato, lì proprio, alla Canziria, non finiva di misurarle in
lungo e in largo, povero vecchio, a gran passi, come avesse nelle gambe la canna
dell'agrimensore... E ordinava "bisogna far questo e quest'altro" per usare del
suo diritto, e non confessare che suo figlio potesse aver la testa più fine della sua. -
La madre non ci arrivò a provare quella consolazione, poveretta. Morì raccomandando a
tutti Santo, che era stato sempre il suo prediletto e Speranza carica di famiglia com'era
stata lei... - un figliuolo ogni anno... - Tutti sulle spalle di Gesualdo, giacché lui
guadagnava per tutti. Ne aveva guadagnati dei denari! Ne aveva fatta della roba! Ne aveva
passate delle giornate dure e delle notti senza chiuder occhio! Vent'anni che non andava a
letto una sola volta senza prima guardare il cielo per vedere come si mettesse. - Quante
avemarie, e di quelle proprio che devono andar lassù, per la pioggia e pel bel tempo! -
Tanta carne al fuoco! tanti pensieri, tante inquietudini, tante fatiche!... La coltura dei
fondi, il commercio delle derrate, il rischio delle terre prese in affitto, le
speculazioni del cognato Burgio che non ne indovinava una e rovesciava tutto il danno
sulle spalle di lui!... - Mastro Nunzio che si ostinava ad arrischiare cogli appalti il
denaro del figliuolo, per provare che era il padrone in casa sua!... - Sempre in moto,
sempre affaticato, sempre in piedi, di qua e di là, al vento, al sole, alla pioggia;
colla testa grave di pensieri, il cuore grosso d'inquietudini, le ossa rotte di
stanchezza; dormendo due ore quando capitava, come capitava, in un cantuccio della stalla,
dietro una siepe, nell'aia, coi sassi sotto la schiena; mangiando un pezzo di pane nero e
duro dove si trovava, sul basto della mula, all'ombra di un ulivo, lungo il margine di un
fosso, nella malaria, in mezzo a un nugolo di zanzare. - Non feste, non domeniche, mai una
risata allegra, tutti che volevano da lui qualche cosa, il suo tempo, il suo lavoro, o il
suo denaro; mai un'ora come quelle che suo fratello Santo regalavasi in barba sua
all'osteria! - trovando a casa poi ogni volta il viso arcigno di Speranza, o le querimonie
del cognato, o il piagnucolìo dei ragazzi - le liti fra tutti loro quando gli affari non
andavano bene. - Costretto a difendere la sua roba contro tutti, per fare il suo
interesse. - Nel paese non un solo che non gli fosse nemico, o alleato pericoloso e
temuto. - Dover celare sempre la febbre dei guadagni, la botta di una mala notizia,
l'impeto di una contentezza; e aver sempre la faccia chiusa, l'occhio vigilante, la bocca
seria! Le astuzie di ogni giorno; le ambagi per dire soltanto "vi saluto"; le
strette di mano inquiete, coll'orecchio teso; la lotta coi sorrisi falsi, o coi visi
arrossati dall'ira, spumanti bava e minacce - la notte sempre inquieta, il domani sempre
grave di speranza o di timore...
- Ci hai lavorato, anche tu, nella roba
del tuo padrone!... Hai le spalle grosse anche tu... povera Diodata!...
Essa, vedendosi rivolta la parola, si
accostò tutta contenta e gli si accovacciò ai piedi, su di un sasso, col viso bianco di
luna, il mento sui ginocchi, in un gomitolo. Passava il tintinnìo dei campanacci, il
calpestìo greve e lento per la distesa del bestiame che scendeva al torrente, dei muggiti
gravi e come sonnolenti, le voci dei guardiani che lo guidavano e si spandevano lontane,
nell'aria sonora. La luna ora discesa sino all'aia, stampava delle ombre nere in un albore
freddo; disegnava l'ombra vagante dei cani di guardia che avevano fiutato il bestiame; la
massa inerte del camparo, steso bocconi - Nanni l'Orbo, eh?... o Brasi Camauro? Chi dei
due ti sta dietro la gonnella? - riprese don Gesualdo che era in vena di scherzare.
Diodata sorrise: - Nossignore!...
nessuno!...
Ma il padrone ci si divertiva: - Sì,
sì!... l'uno o l'altro... o tutti e due insieme!... Lo saprò!... Ti sorprenderò con
loro nel vallone, qualche volta!...
Essa sorrideva sempre allo stesso modo, di
quel sorriso dolce e contento, allo scherzo del padrone che sembrava le illuminasse il
viso, affinato dal chiarore molle: gli occhi come due stelle; le belle trecce allentate
sul collo; la bocca un po' larga e tumida, ma giovane e fresca.
Il padrone stette un momento a guardarla
così, sorridendo anch'esso, e le diede un altro scapaccione affettuoso.
- Questa non è roba per quel briccone di
Brasi, o per Nanni l'Orbo! no!...
- Oh, gesummaria!... - esclamò essa
facendosi la croce.
- Lo so, lo so. Dico per ischerzo,
bestia!...
Tacque un altro po' ancora, e poi
soggiunse: - Sei una buona ragazza!... buona e fedele! vigilante sugli interessi del
padrone, sei stata sempre...
- Il padrone mi ha dato il pane, - rispose
essa semplicemente. - Sarei una birbona...
- Lo so! lo so!... poveretta!... per
questo t'ho voluto bene!
A poco a poco, seduto al fresco, dopo
cena, con quel bel chiaro di luna, si lasciava andare alla tenerezza dei ricordi. - Povera
Diodata! Ci hai lavorato anche tu!... Ne abbiamo passati dei brutti giorni!... Sempre
all'erta, come il tuo padrone! Sempre colle mani attorno... a far qualche cosa! Sempre
l'occhio attento sulla mia roba!... Fedele come un cane!... Ce n'è voluto, sì, a far
questa roba!...
Tacque un momento intenerito. Poi riprese,
dopo un pezzetto, cambiando tono:
- Sai? Vogliono che prenda moglie.
La ragazza non rispose; egli non
badandoci, seguitò:
- Per avere un appoggio... Per far lega
coi pezzi grossi del paese... Senza di loro non si fa nulla!... Vogliono farmi imparentare
con loro... per l'appoggio del parentado, capisci?... Per non averli tutti contro,
all'occasione... Eh? che te ne pare?
Ella tacque ancora un momento col viso
nelle mani. Poi rispose, con un tono di voce che andò a rimescolargli il sangue a lui
pure:
- Vossignoria siete il padrone...
- Lo so, lo so... Ne discorro adesso per
chiacchierare... perché mi sei affezionata... Ancora non ci penso... ma un giorno o
l'altro bisogna pure andarci a cascare... Per chi ho lavorato infine?... Non ho
figliuoli...
Allora le vide il viso, rivolto a terra,
pallido pallido e tutto bagnato.
- Perché piangi, bestia?
- Niente, vossignoria!... Così!... Non ci
badate...
- Cosa t'eri messa in capo, di'?
- Niente, niente, don Gesualdo...
- Santo e santissimo! Santo e santissimo!
- prese a gridare lui sbuffando per l'aia. Il camparo al rumore levò il capo sonnacchioso
e domandò:
- Che c'è?... S'è slegata la mula? Devo
alzarmi?...
- No, no, dormite, zio Carmine.
Diodata gli andava dietro passo passo, con
voce umile e sottomessa:
- Perché v'arrabbiate, vossignoria?...
Cosa vi ho detto?...
- M'arrabbio colla mia sorte!... Guai e
seccature da per tutto... dove vado!... Anche tu, adesso!... col piagnisteo!... Bestia!...
Credi che, se mai, ti lascerei in mezzo a una strada... senza soccorsi?...
- Nossignore... non è per me... Pensavo a
quei poveri innocenti...
- Anche quest'altra?... Che ci vuoi fare!
Così va il mondo!... Poiché v'è il comune che ci pensa!... Deve mantenerli il comune a
spese sue... coi denari di tutti!... Pago anch'io!... So io ogni volta che vo
dall'esattore!...
Si grattò il capo un istante, e riprese:
- Vedi, ciascuno viene al mondo colla sua
stella... Tu stessa hai forse avuto il padre o la madre ad aiutarti? Sei venuta al mondo
da te, come Dio manda l'erba e le piante che nessuno ha seminato. Sei venuta al mondo come
dice il tuo nome... Diodata! Vuol dire di nessuno!... E magari sei forse figlia di barone,
e i tuoi fratelli adesso mangiano galline e piccioni! Il Signore c'è per tutti! Hai
trovato da vivere anche tu!... E la mia roba?... me l'hanno data i genitori forse? Non mi
son fatto da me quello che sono? Ciascuno porta il suo destino!... Io ho il fatto mio,
grazie a Dio, e mio fratello non ha nulla...
In tal modo seguitava a brontolare,
passeggiando per l'aia, su e giù dinanzi la porta. Poscia vedendo che la ragazza piangeva
ancora, cheta cheta per non infastidirlo, le tornò a sedere allato di nuovo, rabbonito.
- Che vuoi? Non si può far sempre quel
che si desidera. Non sono più padrone... come quando ero un povero diavolo senza nulla...
Ora ci ho tanta roba da lasciare... Non posso andare a cercar gli eredi di qua e di là,
per la strada... o negli ospizi dei trovatelli. Vuol dire che i figliuoli che avrò poi,
se Dio m'aiuta, saranno nati sotto la buona stella!...
- Vossignoria siete il padrone...
Egli ci pensò un po' su, perché quel
discorso lo punzecchiava ancora peggio di una vespa, e tornò a dire:
- Anche tu... non hai avuto né padre né
madre... Eppure cosa t'è mancato, di'?
- Nulla, grazie a Dio!
- Il Signore c'è per tutti... Non ti
lascerei in mezzo a una strada, ti dico!... La coscienza mi dice di no... Ti cercherei un
marito...
- Oh... quanto a me... don Gesualdo!...
- Sì, sì, bisogna maritarti!... Sei
giovane, non puoi rimaner così... Non ti lascerei senza un appoggio... Ti troverei un
buon giovane, un galantuomo... Nanni l'Orbo, guarda! Ti darei la dote...
- Il Signore ve lo renda...
- Son cristiano! son galantuomo! Poi te lo
meriti. Dove andresti a finire altrimenti?... Penserò a tutto io. Ho tanti pensieri pel
capo!... e questo cogli altri!... Sai che ti voglio bene. Il marito si trova subito. Sei
giovane... una bella giovane... Sì, sì, bella!... lascia dire a me che lo so! Roba
fine!... sangue di barone sei, di certo!...
Ora la pigliava su di un altro tono, col
risolino furbo e le mani che gli pizzicavano. Le stringeva con due dita il ganascino. Le
sollevava a forza il capo, che ella si ostinava a tener basso per nascondere le lagrime.
- Già per ora son discorsi in aria... Il
bene che voglio a te non lo voglio a nessuno, guarda!... Su quel capo adesso, sciocca!...
sciocca che sei!...
Come vide che seguitava a piangere,
testarda, scappò a bestemmiare di nuovo, simile a un vitello infuriato.
- Santo e santissimo! Sorte maledetta!...
Sempre guai e piagnistei!...
© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi - E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 11 febbraio 1998