Pietro Verri
Osservazioni sulla tortura
e singolarmente sugli effetti
che produsse all'occasione delle unzioni malefiche
alle quali si attribuì la pestilenza che devastò Milano l'anno 1630
X
Se le leggi e la pratica criminale
risguardino la tortura come un mezzo per avere la verità
Ho stabilito di provare in secondo luogo che
le leggi e la pratica istessa de' criminalisti non considerano la tortura come un mezzo
per distinguere la verità. Ciò si conosce facilmente osservando, che non trovasi
prescritto alcun metodo o regolamento nel Codice Teodosiano, e nessuno parimenti nel
Codice Giustinianeo per applicare ai tormenti i sospetti rei. In que' sterminati ammassi
di leggi e prescrizioni, ove si sminuzzano le minime differenze de' casi e civili e
criminali, niente si prescrive per la tortura. Se la legge adunque avesse risguardati
questi tormenti come un mezzo per iscoprire la verità, non se ne sarebbe fatta una
omissione in ambo i Codici del modo, de' casi, e delle riserve, colle quali si dovesse
adoperare. Concludo adunque dal silenzio stesso del corpo delle leggi, che la legge non
considera la tortura come un mezzo per rintracciare la verità. Se poi il solo argomento
negativo non sembrasse bastante a dimostrar questa verità, veggasi la legge I § 25 ff. de
quaestionibus, ove ben lontano lo spirito delle leggi romane dal riguardare la tortura
come un mezzo da rinvenire la verità, anzi vi si legge: «La tortura è un mezzo assai
incerto e pericoloso per ricercare la verità, poiché molti colla robustezza e la
pazienza superano il torrnento e in nessun modo parlano; altri insofferenti mentiscono
mille volte, anzi che resistere al dolore». Quaestio res est fragilis et periculosa,
et quae ventatem fallat. Nam plerique patientia, sive duritia tormentorum illa tormenta
contemnunt, ut exprimi eis veritas nullo modo possit; alii tanta sunt impatientia, ut
quodvis mentiri, quam pati tormento velint. Così si esprime positivamente il Digesto,
e tale era l'opinione de' Romani nostri legislatori e maestri, i quali conoscevano l'uso
della tortura sopra gli schiavi, siccome vedremo poi. Dunque la legge non risguarda la
tortura come un mezzo per la scoperta della verità.
Io però ho asserito di più che non solamente la
legge, ma nemmeno la pratica criminale considera la tortura per un mezzo d'avere la
verità. Pare questo un paradosso, eppure io credo di poterlo evidentemente dimostrare.
Primieramente, se i dottori risguardassero la
tortura con un mezzo per iscoprire la verità nei delitti, non escluderebbe se medesimi
dall'essere torturati, poiché è tale l'interesse dell'umana società che i delitti si
scoprano, che nessuno può essere sottratto dai mezzi di scoprirli; in quella guisa che
nessuno sottratto de' dottori dalla pena di morte, esiglio ecc., ogni qualvolta co' suoi
delitti l'abbia meritata. Io perdonerò se ciascun cerchi di rialzare il proprio mestiero,
e non mi farà maraviglia che il Wesembeccio dica che i dottori sono per dignità eguali
ai nobili e decurioni, e per meriti eguali ai militari: Doctores nobilibus et
decurionibus dignitate, militibus autem meritis aequiparantur; ma non sarebbe
perdonabile alcuno, che osasse dare alla propria facoltà una impunità nei delitti. Se
adunque i nobili e i dottori sono privilegiati per la tortura, segno è che non viene essa
dai criminalisti considerata come un mezzo per avere 1a verità.
Secondariamente, se i dottori considerassero la
tortura come un mezzo per avere la verità, prescriverebbero di attenervisi e considerare
per certo quello che un tormentato dice fra i tormenti. La pratica però ordina che ciò
non sia attendibile, se l'uomo qualche tempo dopo e in luogo lontano da ogni apparecchio
di tortura non ratifica l'accusa fatta a se medesimo, acciocché non rimanga sospetto che
la violenza dello spasimo abbia indotto il torturato ad accusarsi indebitamente. Dunque la
pratica stessa criminale non risguarda lo strazio della tortura come un mezzo per avere la
verità. Questa pratica si è veduta eseguita anche sugli infelicissimi Piazza e Mora, ed
è poi una contraddizione veramente barbara quella di rinnovare la tortura all'uomo che
revochi l'accusa fattasi nei tormenti. Alcuni dottori trovano giusta una tale alternativa
indefinitivamente, per quante volte il torturato disdice l'accusa datasi; cosicchè o deve
alla fine morire di spasimo ripetuto, ovvero perseverare anche fuori del tormento ad
accusare se stesso. Altri dottori limitano questa altemativa a tre torture, come il Claro.
Se dunque la stessa pratica criminale insegna di non credere a quanto un torturato dice in
propria accusa fra i tormenti della tortura, ma esige che l'accusa la ratifichi con
tranquillità e libero dallo spasimo, forza è concludere ad evidenza, che la stessa
pratica criminale non considera la tortura come un mezzo da conoscere la verità.
XI
Se la tortura sia un mezzo lecito per iscoprire la verità
Mi rimane finalmente da provare, che
quand'anche la tortura fosse un mezzo per iscoprire la verità dei delitti, sarebbe un
mezzo intrinsecamente ingiusto. Credo assai facile il dimostrarlo. Comincierò col dire
che le parole di «sospetti, indizj, semi-prove, semi-plene, quasi-prove ecc.», e simili
barbare distinzioni e sottigliezze, non possono giammai mutare la natura delle cose.
Possono elleno bensì spargere delle tenebre ed offuscare le menti incaute; ma debbesi
sempre ridurne la questione a questo punto, il delitto è certo, ovvero solamente probabile.
Se è certo il delitto, i tormenti sono inutili, e la tortura è superfluamente
data, quando anche fosse un mezzo per rintracciare la verità, giacché presso di noi un
reo si condanna, benché negativo. La tortura dunque in questo caso sarebbe ingiusta,
perché non è giusta cosa il fare un male, e un male gravissimo ad un uomo
superfluamente. Se il delitto poi è solamente probabile, qualunque sia il vocabolo
col quale i dottori distinguano il grado di probabilità difficile assai a misuararsi,
egli è evidente che sarà possibile che il probabilmente reo in fatti sia innocente;
allora è somma ingiustizia l'esporre un sicuro scempio e ad un crudelissimo tormento un
uomo, che forse è innocente; e il porre un uomo innocente fra que' strazj e miserie tanto
è più ingiusto quanto che fassi colla forza pubblica istessa confidata ai giudici per
difendere l'innocente dagli oltraggi. La forza di quest'antichissimo ragionamento hanno
cercato i partigiani della tortura di eluderla con varie cavillose distinzioni le quali
tutte si riducono a un sofisma, poiché fra l'essere e il non essere non vi è punto di
mezzo, e laddove il delitto cessa di essere certo, ivi precisamente comincia la
possibilità della innocenza. Adunque l'uso della tortura è intrinsecamente ingiusto, e
non potrebbe adoprarsi, quand'anche fosse egli un mezzo per rinvenire Ia verità.
Che si è detto mai delle leggi della
Inquisizione, le quali permettevano che il padre potesse servire di accusatore contro il
figlio, il marito contro la moglie! L'umanità fremeva a tali oggetti, la natura riclamava
i suoi sacri diritti; persone tanto vicine per i più augusti vincoli, distruggersi
vicendevolmente! La legge civile abborrisce siffatti accusatori, e gli esclude. Mi sia ora
lecito il chiedere se un uomo sia meno strettamente legato con se medesimo, di quello che
lo è col padre e colla moglie. Se è cosa ingiusta che un fratello accusi criminalmente
l'altro, a più forte ragione sarà cosa ingiusta e contraria alla voce della natura che
un uomo diventi accusatore di se stesso, e le due persone dell'accusatore e dell'accusato
si confondano. La natura ha inserito nel cuore di ciascuno la legge primitiva della difesa
di sé medesimo: e l'offendere se stesso, e l'accusare se stesso criminalmente egli è un
eroismo, se è fatto spontanearnente in alcuni casi, ovvero una tirannia ingiustissima se
per forza di spasimi si voglia costringervi un uomo.
L'evidenza di queste ragioni anche più si
conoscerà riflettendo, che iniquissima e obbrobriosissima sarebbe la legge, che ordinasse
agli avvocati criminali di tradire i loro clienti. Nessun tiranno, che io ne sappia, ne
pubblicò mai una simile; una tal legge romperebbe con vera infamia tutti i più sacri
vincoli di natura. Ciò posto chiederemo noi se l'avvocato sia piú intimamente unito al
cliente, di quello che lo è il cliente con se medesimo? Ora la tortura tende co' spasimi
a ridurre l'uomo a tradirsi, a rinunziare alla difesa propria, ad offendere, a perdere se
stesso. Questo solo basta per far sentire, senza altre riflessioni, che la tortura è
intrinsecamente un mezzo ingiusto per cercare la verità, e che non sarebbe lecito usarlo
quand'anche per lui si trovasse la verità.
Ma come mai una pratica tanto atroce e crudele,
tanto inutile, tanto ingiusta, ha mai potuto prevalere anche fra popoli colti e mantenersi
sino al giorno d'oggi? Brevemente accennerò quali sieno stati gli usi anticamente, come
siasi introdotta, su quai principj fondata, da quai leggi diretta; poi qualche cosa dirò
delle opinioni di varj autori e degli usi attuali di alcune nazioni d'Europa con che
crederò di aver posto fine a queste Osservazioni con un esame generale dei diversi punti
di vista, sotto i quali può ragionevolmente riguardarsi un così tristo e così
interessante oggetto.
XII
Uso delle antiche nazioni sulla tortura
L'invenzione della tortura, se crediamo a
Remus e a Gian-Lodovico Vives, dovrebbe attribuirsi all'ultimo re di Roma Tarquinio il
Superbo, a Masenzio ed a Falaride; convien lodare il criminalista Remus, poiché almeno
giudiziosamente ha trascelti tre notissimi tiranni per far cadere sopra tre tiranni
l'obbrobrio di così inumana invenzione. Sappiamo però che al tempo de' tiranni Falaride,
Nearco e Gerolamo furono posti alla tortura i più rispettabili filosofi de' loro tempi,
Zenone Eleate e Teodoro; e il filosofo Anassarco fu crudelmente torturato per ordine del
tiranno Nicocreonte.
L'origine di una così feroce invenzione
oltrepassa i confini della erudizione, e verosimilmente potrà essere tanto antica la
tortura, quanto è antico il sentimento nell'uomo di signoreggiare dispoticamente un altro
uomo, quanto è antico il caso che la potenza non sia sempre accompagnata dai lumi e dalla
virtù, e quanto è antico l'istinto nell'uomo armato di forza prepotente di stendere le
sue azioni a misura piuttosto della facoltà che della ragione. Io prescindo dal
risguardare la legislazione dei libri sacri, come la legge dettata dall'autore stesso
della natura a una nazione di cuor duro; e considerando unicamente quel monumento come il
più antico testimonio che sia a nostra notizia de' costumi de' secoli remoti, osservo che
nel sacro testo nessuna menzione vi si fa della tortura; che anzi nel prescrivere le
pratiche da usarsi co' rei si vuole la strada della convinzione co' testimonj, né si
esige la confessione del reo. Veggasi il Deuteronomio al Cap. XIX num. 10. «Non si
sparga il sangue innocente su questa terra, che Dio ti darà da abitare, acciocché tu non
sia reo di sangue». Ed al num. 16 viene ordinato il modo onde provare i delitti, cioè
coi testimonj, e si prescrive che «un solo testimonio non valga, qualunque sia il
delitto, di cui si tratti, ma che due o tre testimonj facciano la prova completa». E un
calunniatore «dovrà comparire coll'accusato in faccia a Dio e de' sacerdoti e giudici, i
quali diligentissimamente scandaglieranno entrambi, e trovata la calunnia la puniranno
della stessa pena che era dovuta al delitto falsamente imputato». Tale fu la legislazione
criminale del popolo ebreo, dove il delitto si provò co' testimonj, e la contraddizione
fra l'accusatore e il reo con una diligentissima ricerca dei giudici, non mai cogli
spasimi della tortura. Che mai potranno dire i fautori della tortura, che la credono
necessaria al buon governo del popolo? Il sommo legislatore avrebbe egli tralasciato un
oggetto di buon governo per il suo popolo eletto? Saranno gli uomini sotto la legge di
grazia da trattarsi più duramente che sotto la legge scritta? Sono forse i popoli di
questi secoli più induriti e bisognosi di giogo di quello che lo erano gli Ebrei?
Troviamo noi Cristiani nel Vangelo qualche seme, onde incrudelire co' nostri fratelli? Il
solo giudizio che Cristo pronunciò durante il corso della sua vita fu per assolvere la
donna che si voleva lapidare; e i Cristiani che sono imitatori, o debbon esserlo, della
vita paziente, benefica, umana, compassionevole del Redentore, scrivono i trattati per
tormentare colle più atroci e raffinate invenzioni i loro fratelli? La contraddizione è
troppo evidente. Ritorniamo all'antichità.
Presso de' Greci egualmente che presso de' Romani
fu sconosciuto l'uso della tortura per gli uomini. Non parlo degli schiavi, i quali nel
loro sistema non si consideravano come persone, ma superficialmente come cose: in guisa
che si vendevano, si uccidevano, si mutilavano colla padronanza e libertà medesima, colla
quale si fa di un giumento, senza che le leggi limitassero la padronanza sopra di essi. La
tortura si dava ai servi, ossia schiavi, ma non ai cittadini e agli uomini. Se fosse male
o ben fatto il degradare una porzione dell'umanità al segno de' giumenti, io non ardirei
di deciderlo. Quelle due nazioni sono state le nostre maestre, la loro grandezza tutt'ora
ci fa maraviglia, noi non siamo giunti a pareggiare la loro coltura; e da un canto solo
d'inconveniente mal si giudicherebbe del tutto insieme e della connessione necessaria che
un disordine parziale talvolta tiene colla perfezione generale del sistema. So che quando
in uno stato si voglia tenere una classe d'uomini annientata sotto l'arbitrario potere
della nazione, ogni cosa che avvilisca e degradi quella classe sarà conforme al fine
politico. Mi trovo al punto medesimo, sul quale fu l'immortale presidente di Montesquieu,
e non saprei dir meglio che servendomi delle di lui parole: Tant d'habiles gens, et
tant de beaux génies ont écrit contre l'usage de la torture, que je n'ose parler après
eux. J'allais dire qu'elle pourrait convenir dans le gouvernements despotiques, où tout
ce qui inspire la crainte entre dans les ressorts du gouvernement; j'allais dire que les
esclaves chez les Grecs et chez les Romains... mais j'entend la voix de la nature qui crie
contre moi [Tante persone illustri, e tanti nobili ingegni hanno scritto contro l'uso
della tortura che, dopo di loro io non oso parlare. Stavo per dire che essa potrebbe
convenire ne governi dispotici, presso i quali tutto ciò che ispira la paura entra nel
meccanismo governativo; stavo per dire che gli schiavi presso i Greci e presso i Romani...
ma sento la voce stessa della natura che grida contro di me]. Che i Greci non usassero
tormenti contro i cittadini si scorge in Lisia Orat. in Argorat., e Curio Forturato
Retore Schol. lib. 2, e per i cittadini Romani dalla stessa legge 3 e 4 ad Legem
Juliam majestatis. Dopo che la libertà di Roma fu soggiogata e piantata la tirannia,
veggonsi esentate dalla tortura le persone di nascita, dignità o servigi militari.
Durante però la repubblica, unicamente i servi erano sottoposti a questo strazio, non mai
gli uomini figli della patria e aventi una personale esistenza; quindi la L. 27 alla L. Jul.
de adult. § 5 dice che liber homo tortus, non ut liber, sed ut servus existimatur [L'uomo
libero torturato è considerato non libero ma schiavo]. Veggasi Sallustio in Catilin., che
pure attesta che le leggi Romane proibivano il dare la tortura agli uomini liberi. Quindi
Cicerone, nella sua orazione Pro Silla, esclama contro l'insolita tirannia minacciata: Quaestiones
nobis servorum, et tormenta minitantur [Ci minacciano gli interrogatori e le torture
dei servi].
XIII
Come siasi introdotto l'uso di torturare ne' processi criminali
La corruzione del sistema di Roma produsse
l'uso della tortura. Concentrate nella sola persona degli imperatori le principali
dignità di console, tribuno della plebe e pontefice massimo, si annientò la repubblica e
si formò il governo dispotico, collocandosi nell'uomo medesimo il supremo comando
dell'armata, la presidenza al senato, il diritto di rappresentare la plebe e quello di
presiedere alle cose sacre, agli augurj ed a quanto moveva le opinioni del popolo. Se in
Venezia lo stesso uomo fosse comandante delle armi, doge, avogador, inquisitore di stato e
patriarca sarebbe abolita la repubblica al momento senza alcun cambiamento di sistema:
così accadde a Roma. Da principio Cesare, poi Augusto rispettarono la memoria della
libertà, che era recente nell'animo de' Romani; poiché gradatamente s'indebolì quella,
si spanse con minor ritegno il natural desiderio ne' despoti di avere una illimitata
potenza su tutto. Quindi si procurò di rendersi ben affetta la plebe co' donativi, cogli
spettacoli, coll'abbondanza dell'annona e coll'avvilire le cospicue famiglie consolari.. E
così consolando la plebe colla umiliazione de' nobili, l'orgoglio de' quali le era di
peso, ebbero la politica di formarsi il più numeroso partito in favore; e facendo causa
comune il principe colla plebe contro i nobili, rapironsi le sostanze degli opulenti
impunemente, onde bastare al lusso capriccioso del principe ed alla scioperata indolenza
della plebe Romana, si annientò quel numero di famiglie le quali sole potevano servire di
argine alla tirannia col loro credito e colle ricchezze, e rimase un governo in cui uno
era tutto: e il restante, posto a bassissimo livello, di nessun inciampo poté essere alle
voglie illimitate del despota. Tale è il principio che fondò l'impero romano. È dunque
conforme a tal principio che si degradassero i nobili e i cittadini e si pareggiassero ai
servi, e quindi la tortura usata per questi ultimi soli durante i tempi felici di Roma,
fosse dilatata anche ai liberi, a misura che la tirannia si rassodava. Quindi Emilio
Fervetti assicura che non invenies ante Diocletianum et Maximianum imperatores quaestionem
unquam habitam fuisse de homine ingenuo [non troverai prima degli imperatori Diocleziano e
Massimiano la tortura usata per gli uomini liberi]. Vi è chi asserisce che al tempo di
Carlo Magno venisse nuovamente stabilito che gli uomini liberi ne fossero esenti. Certa
cosa ella è che nessuno scrittore si trova, a quanto so, il quale abbia trattato con un
metodico esame del modo di tormentare i rei prima del secolo XIV, il che fa conoscere, che
non si risguardava la tortura come essenziale ai giudizj criminali. Dopo quel tempo
vennero gli scrittori criminalisti, i quali se avessero scritto in una lingua meno
barbara, farebbero ribrezzo a chiunque si pregia di avere una porzione d'umanità nel
cuore. Allora fu che usciti gli uomini dalla ignoranza si occuparono faticosissimamente
nell'addestrarsi fra un inviluppo di opinioni e di parole, e che sui rottami delle
opinioni greche, arabe ed ebree si eressero le università, nelle quali gravemente colle
opinioni platoniche, peripatetiche e cabalistiche, unite ai dettami di Avicenna e di
Averroè, s'imparò a delirare metodicamente in metafisica, in fisica, in medicina, in
giurisprudenza e in tutte le altre facoltà. Vennero poi il Claro, il Girlando, il Tabor,
il Giovannini, il Zangherio, I'Oldekop, il Carpzovio, il Gandino, il Farinaccio, il
Gornez, il Menocchio, il Bruno, il Brunoro, il Carerio, il Boerio, il Cumano, il Cepolla,
il Bossio, il Bocerio, il Casonio, il Cirillo, il Bonacossi, il Brusato, il Follario,
l'Iodocio, il Damoderio e l'altra folla di oscurissimi scrittori celebri presso i
criminalisti, i quali se avessero esposto le crudeli loro dottrine e la metodica
descrizione de' raffinati loro spasimi in lingua volgare, e con uno stile di cui la
rozzezza e la barbarie non allontanasse le persone sensate e colte dall'esaminarli, non
potevano essere riguardati se non colI'occhio medesimo col quale si rimira il carnefice,
cioè con orrore e ignominia.
Forse la metodica introduzione de' tormenti
accaduta dopo il secolo Xl trae la sua origine dallo stesso principio, che fece instituire
i «Giudizj di Dio»; quando cioè si volle interporre con una spensierata temerità il
giudizio dell'eterno motore dell'universo nelle più frivole umane questioni; quando col
portare un ferro arroventato in mano, ovvero con immergere il braccio nell'acqua bollente,
e talvolta coll'attraversare le cataste di legna ardenti, si decideva o l'innocenza o la
colpa dell'accusato. In quella barbarie dei tempi si credette che l'Essere eterno non
avrebbe sofferto che l'innocenza restasse oppressa, e che anzi l'avrebbe sottratta al
dolore e ad ogni danno; quasi che per le piccole nostre questioni dovesse Dio sconvolgere
le leggi fisiche da lui medesimo create, ad ogni nostra richiesta. Scemata poi col tempo
la grossolana ignoranza, sentirono i popoli la irragionevolezza di tai forme di giudizio:
e quelle del ferro, dell'acqua bollente e del fuoco ferendo gli sguardi della moltitudine,
perché fatte con solennità in pubblico e precedute dalle più auguste cerimonie,
dovettero cedere e annientarsi a misura che progredì la ragione; laddove esercitandosi le
torture nel nascondiglio del carcere senz'altri testimonj che il giudice, gli sgherri e
l'infelice, non trovarono ostacolo al perpetuarsi, essendo per lo più incallita la
naturale compassione in chi per mestiero presiede a quelle metodiche atrocità, deboli i
lamenti di quei che ne hanno sopportato l'orrore, e rari gli uomini, i quali riunendo le
cognizioni all'amore dell'umanità, abbiano avuto la costanza di esaminare un sì lugubre
oggetto colla lettura de' più rozzi e duri scrittori di tal materia, e la forza di
resistere al ribrezzo che porterebbe a lasciar cadere più volte la penna dalle mani.
Comunque siasi della vera origine da cui emani
la nostra pratica criminale, egli è certo che niente sta scritto nelle leggi nostre, né
sulle persone che possono mettersi alla tortura, né sulle occasioni, nelle quali possano
applicarvisi, né sul modo da tormentare, se col fuoco o col dislogamento e strazio delle
membra, né sul tempo per cui duri lo spasimo, né sul numero di volte da ripeterlo; tutto
questo strazio si fa sopra gli uomini coll'autorità del giudice, unicamente appoggiato
alle dottrine dei criminalisti citati. Uomini adunque oscuri, ignoranti e feroci, i quali
senza esaminare d'onde emani il diritto di punire i delitti, qual sia il fine per cui si
puniscono, quale la norma onde graduare la gravezza dei delitti, qual debba essere la
proporzione fra i delitti e le pene, se un uomo possa mai costringersi a rinunziare alla
difesa propria e simili principj, dai quali intimamente conosciuti possono unicamente
dedursi le natulali conseguenze più conformi alla ragione ed al bene della società;
uomini, dico, oscuri e privati con tristissimo raffinamento ridussero a sistema e
gravemente pubblicarono la scienza di tormentare altri uomini, con quella tranquillità
medesima colla quale si descrive l'arte di rimediare ai mali de corpo umano: e furono essi
obbediti e considerati come legislatori, e si fece un serio e placido oggetto di studio, e
si accolsero alle librerie legali i crudeli scrittori che insegnarono a sconnettere con
industrioso spasimo le membra degli uomini vivi e a raffinarlo colla lentezza e colla
aggiunta di più tormenti, onde rendere più desolante e acuta l'angoscia e l'esterminio.
Tai libri, che avrebbero dovuto con ragione ricoprire i loro autori di una eterna
ignominia, e che se fossero in lingua volgare e comunemente letti più che non sono, o
farebbero orrore alla nazione, ovvero spegnendo in essa i germi di ogni umana virtù, la
compassione e la generosità dell'animo, la precipiterebbero nuovamente verso il secolo di
barbarie e di ferro; tai libri, dico, presero fra la oscurità credito, e venerazione
acquistarono presso gl'istessi tribunali; e sebbene mancanti dell'impronta della facoltà
legislativa e meri pensamenti d'uomini privati, acquistarono forza di legge, legge
illegittima in origine, e servono tuttavia per esterminio de' sospetti rei, anche nel seno
della bella, colta e gentile Italia, madre e maestra delle belle arti, anche nella piena
luce del secolo XVIII: tanto difficil cosa è il persuadere che possano essere stati
barbari i nostri antenati, e rimovere un'antica pratica per assurda che ella possa essere!
© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi - E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 14 febbraio 1998