Pietro Verri
Osservazioni sulla tortura
e singolarmente sugli effetti
che produsse all'occasione delle unzioni malefiche
alle quali si attribuì la pestilenza che devastò Milano l'anno 1630
V
Delle opinioni e metodi
della procedura criminale in quella occasione
Acciocché poi si possa concepire un'idea precisa e originale del modo di pensare in quel tempo, credo opportuno di trascrivere un esame, che sta nel corpo di quest'orribile processo; veramente serve egli di episodio alla tragedia del Piazza e del Mora; ma siccome originalmente vi si vedono la feroce pazzia, la Superstizione, il delirio, io lo riferirò esattamente, ponendo in margine distintamente le osservazioni che mi si presentano. Ecco l'esame:
Die suprascripto, octavo Julii.
Vocatus ego notarius
Gallaratus, dum discedere vellem a loco suprascripto appellato la Cassinazza, juvenis
quidam mihi formalia dixit [Il giorno suindicato, 8 luglio: Mentre io, notaio
Ga1larati, stavo allontanandomi dal luogo soprascritto, chiamato la Cassinazza, un giovane
mi rivolse queste testuali parole] «Io voglio che V. S. mi accetti nella sua squadra, ed
io dirò quello che so».
Tunc ei delato juramento etc. [Allora,
fattogli prestare giuramento].
Interrogatus de ejus nomine, cognomine, patria
[Interrogato del suo nome, cognome, luogo di nascita]
Respondit: «lo mi chiamo Giacinto
Maganza, e sono figliuolo di un frate, che si chiama frate Rocco, che di presente si trova
in S. Giovanni la Conca, e sono Milanese, e molto conosciuto in porta Ticinese».
Int.: «Che cosa è quello che vuol dire
di quello che sa».
Resp. titubando: «Io dirò la verità, è
un cameriere, che dà quattro dobble al giorno». - Deinde obmutuit stringendo dentes [Indi
tacque, stringendo i denti].
Et institus denuo [Sollecitato nuovamente]
a dir l'animo suo, e finire quanto ha cominciato a dire.
Resp. «È il Baruello padrone
dell'osteria di S. Paolo in compito»., mox dixit [subito rispose], «è anche
parente dell'oste del Gambaro».
Int.: «Che dica come si chiama detto
Baruello».
Resp.: «Si chiama Gian-Stefano».
Int.: «Che dica cosa ha fatto detto
Baruello».
Resp.: «Ha confessato già, che si è
trovato delle biscie e de' veleni nella sua canepa».
Int.: «Dica come sa lui esaminato queste
cose».
Resp.: «Il suo cognato mi ha cercato a
voler andar a cercare delle biscie con lui».
Int.: «Che dica precisamente che cosa gli
disse detto cognato, e dove fu».
Resp.: «Me lo ha detto con occasione che
in porta Ticinese mi addimandano "il Romano", così per sopra nome, e mi disse
andiamo fuori di porta Ticinese, lì dietro alla Rosa d'oro ad un giardino che ha fatto
fare lui, a cercare delle biscie, dei zatti e dei ghezzi ed altri animali, quali li fanno
poi mangiare una creatura morta, e come detti animali hanno mangiato quella creatura,
hanno le olle sotto terra e fanno gli unguenti e li danno poi a quelli che ungono le
porte; perché quell'unguento tira più che non fa la calamita».
Int.: «Dica se lui esaminato ha visto tal
unto».
Resp.: «Signor si, che l'ho visto».
Int.: «Dica dove ed a chi ha visto
l'unto».
Tunc obmutuit, labia et dentes stringendo [Allora
tacque, stringendo le labbra e i denti], et institus [e sollecitato] a rispondere
allegramente alla interrogazione fattagli:
Resp.: «Io l'ho visto nella osteria della
Rosa d'oro».
Int.: «Dica chi aveva tal unto, e in che
vaso era». Resp.: «L'aveva il Baruello».
Int.: «Dica quando fu che aveva tal unto
il Baruello».
Resp.: «Saranno quindici giorni, ed era
un mercoledì, se non fallo, e l'aveva il detto Baruello in un'olla grande, e l'aveva
sotterrato in mezzo dell'orto nella detta osteria della Rosa d'oro con sopra dell'erba».
Int.: «Dica se lui esaminato ha mai
dispensato di quest'unto».
Resp.: «Se io ne ho dispensato due
scattolini mi possa essere tagliato il collo».
Int.: «Dica dove ha dispensato tal
unto».
Resp.: «lo l'ho dispensato sopra il
Monzasco».
Int.: «Dica in che luogo preciso del
Monzasco ha dispensato tal unto».
Resp.: «lo l'ho dispensato sopra le
sbarre delle chiese, perché questi villani subito che hanno sentito messa si buttano giù
e si appoggiano alle sbarre, e per questo le ungeva».
Int.: «Dica precisamente dove sono le
sbarre da lui esaminato unte, come ha detto».
Resp.: «lo ho unto in Barlassina, a Meda
ed a Birago, né mi ricordo esser stato in altro luogo».
Int.: «Dica chi ha dato a lui esaminato
l'unto».
Resp.: «Me l'ha dato il detto Baruello, e
Gerolamo Foresaro in un palpero [papiro, cioè carta] sopra la ripa del fosso di porta
Ticinese vicino la casa del detto Foresaro, qual sta vicino al ponte de' Fabbri».
Int.: «Dica che cosa detti Foresè e
Baruello dissero a lui esaminato quando gli diedero tal unto».
Resp.: «Quando mi diedero tal unto fu
quando io fui se non venuto dal Piemonte, e mi trovarono dietro il fosso di porta
Ticinese; il Baruello mi disse: o Romano, che fai? Andiamo a bevere il vin bianco, mi
rallegro che ti vedo con buona ciera: e così andai all'osteria ( mox dixit [subito
si corresse]), all'offelleria delle Sei-dita in porta Ticinese, e pagò il vin bianco e un
non so che biscottini, e poi mi disse, vien qua Romano, io voglio che facciamo una burla a
uno, e perciò piglia quest'unto, quale mi diede in un palpero, e va all'osteria del
Gambaro, e va là di sopra dove è una camerata di gentiluomini; e se dicessero cosa tu
vuoi, di' niente, ma che sei andato là per servirli, e poi che gli ungessi con quell'unto
e cosi io andai, e gli unsi nella detta osteria del Gambaro, qual erano là, io era
dissopra della lobbia a mano sinistra; e m'introdussi 1à a dargli da bevere mostrando di
frizzare un poco, cioè per mangiare qualche boccone; e così gli unsi le spalle con
quell'unguento, e con mettergli il ferrajuolo gli unsi anco il collaro e il collo con le
mani mie, dove credo sono poi morti di tal unto».
Int.: «Dica se sa precisamente che alcuno
di quelli che furono unti da lui esaminato, come sopra, siano poi morti, o no».
Resp.: «Credo che saranno morti
senz'altro, perché morono solamente a toccargli i panni con detto unto: non so poi a
toccargli le carni come ho fatto io».
Int.: «Dica come ha fatto lui esaminato a
non morire, toccando questo unto tanto potente, come dice».
Resp.: «El sta alle volte alla buona
complessione delle persone». Quo facto cum hora esset tarda fuit dimissum examen [Ciò
fatto, essendo tardi, fu sospeso l'interrogatorio].
Da questo esame solo ne ricaverà chi legge
l'idea precisa della maniera di pensare e procedere in quei disgraziatissirni tempi. Ho
creduto bene di riferire fedelmente un esame, acciocché si vedano le cose nella sorgente,
e non resti dubbio che mai l'amore del paradosso, il piacere di spargere nuova dottrina, o
la vanità di atterrare una opinione comune, mi facciano aggravare le cose oltre l'esatto
limite della verità. Il metodo, col quale si procedette allora, fu questo. Si suppose di
certo che l'uomo in carcere fosse reo. Si torturò sintanto che fu forzato a dire di
essere reo. Si forzò a comporre un romanzo e nominare altri rei; questi si catturarono, e
sulla deposizione del primo si posero alla tortura. Sostenevano l'innocenza loro; ma si
leggeva ad essi quanto risultava dal precedente esame dell'accusatore, e si persisteva a
tormentarli sinché convenissero d'accordo.
Altra prova di pazzia di que' tempi è l'esame
lunghissimo fatto il 12 settembre a Gian-Stefano Baruello, il quale ebbe la sentenza di
morte dal Senato il giorno 27 agosto (morte, che dopo le tenaglie, il taglio della mano,
la rottura delle ossa e l'esposizione vivo sulla ruota per sei ore, terminava coll'essere
finalmente scannato), e fu sospesa proponendogli l'impunità se avesse palesato complici e
esposto il fatto preciso. Questi dunque tessé una storia lunghissima e sommamente
inverosimile, per cui il figlio del castellano di Milano compariva autore di
quest'atrocità, affine di vendicarsi di un insulto stato fatto in porta Ticinese, e si
voleva che il signor D. Giovanni Padilla figlio del castellano avesse lega col Foresè,
Mora, Piazza, Carlo Scrimitore, Michele Tamburino, Giambattista Bonetti, Trentino, Fontana
ecc. e varj simili uomini della feccia del popolo. Redarguito poi, come avendo egli il
mandato per la uccisione di porta Ticinese, ne facesse spargere in altre porte, e convinto
d'inverosimiglianza somma nel suo racconto, ecco cosa si vede che rispondesse esso
Gian-Stefano Baruello nel suo esame 12 settembre 1630.
Et cum haec dixisset, et ei replicaretur haec
non esse verisimilio, et propterea hortaretur ad dicendam veritatem [Avendo ciò detto
ed essendogli stato replicato che le cose da lui dette non erano verosimili, fu esortato a
dire la verità]
Resp.: «Uh! uh! uh! Se non la posso
dire», extendens collum et toto corpore contremiscens, et dicens [tendendo il
collo e scuotendo tutto il corpo]: «V. S. m'ajuti, V. S. m'ajuti».
Ei dicto [Essendogli stato detto]: «Che
se io sapessi quello vuol dire potrei anco ajutarlo, che però accenni, che se
s'intenderà in che cosa voglia essere ajutato, si ajuterà potendo».
Tunc denuo incepit se torquere, labia aperire,
dentes perstringendo, tandem dixit [Allora nuovamente cominciò a torcersi, ad aprire
le labbra, a stringere i denti e finalmente disse]: «V. S. mi ajuti; signore, ah Dio mio!
ah Dio mio!».
Tunc ei dicto: «Avete forse qualche patto
col Diavolo? Non vi dubitate e rinunziate ai patti, e consegnate l'anima vostra a Dio che
vi ajuterà».
Tunc genuflexus dixit [Allora
inginocchiatosi disse]: «Dite come devo dire, signore».
Et ei dicto: «Che debba dire: io rinunzio
ad ogni patto che io abbia fatto col Diavolo, e consegno l'anima mia nelle mani di Dio e
della B. Vergine, col pregarli a volermi liberare dallo stato nel quale mi trovo, ed
accettarmi per sua creatura».
Quae cum dixisset, et devote et satis ex
corde, ut videri potuit, surrexit, et cum loqui vellet, denuo prorupit in notas confusas
porrigendo collum, dentibus stringendo volens loqui, nec valens, et tandem dixit [Dette
queste cose, devotamente e abbastanza sinceramente, come si poté vedere, si alzò e,
volendo parlare, emise dei suoni confusi, sporgendo il collo, stringendo i denti, volendo
parlare e non riuscendovi, tuttavia disse]: «Quel prete Francese».
Et cum haec dixisset statim se projecit in
terram, et curavit se abscondere in angulo secus bancum, dicens [E, pronunziate queste
parole, si gettò immediatamente a terra, tentando di nascondersi in un angolo sotto il
banco, e disse]: «Ah Dio mi! ah Dio mi! ajutatemi, non mi abbandonate».
Et ei dicto: «Di che temeva?».
Resp.: «È 1à, è là quel prete
Francese con la spada in mano, che mi minaccia, vedetelo là, vedetelo là sopra quella
finestra».
Et ei dicto: «Che facesse buon animo, che
non vi era alcuno, e che si segnasse e si raccomandasse a Dio, e che di nuovo rinunziasse
ai patti che aveva col Diavolo, e si donasse a Dio ed alla Beata Vergine».
Cum haec verba dixissem, dixit iterum [Avendo
io detto queste parole, esclamò nuovamente]: «A signore, ei viene, ei viene colla spada
nuda in mano»: quae omnia quinquies replicavit, et actus fecit quos facere solent
obsessi a Daemone, et spumam ex ore sanguinemque e naribus emittebat, semper fremendo et
clamando [e ripeté queste parole cinque volte, e fece quegli atti che sono soliti
fare gli ossessi dal demonio, emettendo bava dalla bocca e sangue dal naso, sempre
tremando ed esclamando]: «Non mi abbandonate, ajuto, ajuto, non mi abbandonate».
Tunc jussum fuit afferri aquam benedictam, et
vocari aliquem sacerdotem, quae cum allata fuisset, ea fuit aspersus: cum postea
supervenisset sacerdos, eique dicta fuissent omnia suprascripta, sacerdos, benedicto loco
et in specie dicta fenestra ubi dicebat dictus Baruellus extare illum praesbiterum cum
ense nudo prae rnanibus et minantem, variis exorcismis tamen usus fuit, et auctoritate
sibi uti sacerdoti a Deo tributa, omnia pacta cum Daemone innita, irrita et nulla
declarasset, immo ea irritasseti et annullasset, interim vero dictus Baruellus stridens
dixit [Allora venne ordinato di portare dell'acqua benedetta e di chiamare qualche
sacerdote; come arrivò l'acqua, ne fu asperso. Sopraggiunse un sacerdote al quale vennero
riferite le cose suddette e il sacerdote, dopo aver benedetto il luogo e in special modo
la finestra dove il Baruello diceva essere il prete con la spada in mano e minaccioso,
fece vari esorcismi e, con l'autorità concessagli da Dio quale sacerdote, dichiarò
annullato ogni patto col Diavolo, anzi lo annullò e lo rese vano; frattanto il detto
Baruello urlando disse]: «Scongiurate quello Gola Gibla», contorquendo corpus more
obsessorum, et tandem finitis exorcismis sacerdos recessit [contorcendo il corpo al
modo degli ossessi e infine, terminati gli esorcismi, il sacerdote se ne andò].
Excitatus pluries ad dicendum, tamen in haec
verba prorupit [Più volte invitato a parlare, disse infine con foga]: «Signore, quel
prete era un Francese, il quale mi prese per una mano, e levando una bacchettina nera,
lunga circa un palmo che teneva sotto la veste, con essa fece un circolo, e poi mise mano
a un libro lungo in foglio, come di carta piccola da scrivere, ma era grossa tre dita, e
l'aperse, ed io vidi sopra i fogli dei circoli e lettere attorno, e mi disse che era la
Clavicola di Salomone, e disse che dovessi dire, come disse queste parole: "Gola
Gibla"; e poi disse altre parole ebraiche, aggiungendo che non dovessi uscir fuori
del cerchio perché mi sarebbe succeduto male, e in quel punto comparve nello stesso
circolo uno vestito da Pantalone, allora detto prete, ecc.». Cade la penna dalle mani, e
non si può continuare a trascrivere un tessuto simile di pazzie troppo serie e funeste in
que' tempi. Il risultato di un lunghissimo cicalìo di questo disgraziato, che sperava la
vita e l'impunità con un romanzo di accuse, fu di far credere autore il cavaliere D.
Giovanni di Padilla delle unzioni venefiche, sparse coll'opera di certi Fontana, Mora,
Piazza, Vaccarìa, Licchiò, Saracco, Fusaro, un barbirolo di porta Comasina, certo
Pedrino daziaro, Magno Bonetti, Baruello, Girolamo Foresaro, Trentino, Vedano e simili
infelici della più bassa plebe.
Quanto poi alle vociferazioni pubbliche, alcune
attribuivano queste unzioni ai Tedeschi, altre ai Francesi che tentavano di distruggere
l'Italia, altre agli Eretici e particolarmente Ginevrini, altre al duca di Savoja, altre,
non si sa poi ben come, ad alcuni gentiluomini Milanesi, fatti prigionieri dal papa e
rimandati in Milano; altre finalmente al conte Carlo Rasini, a D. Carlo Bossi, più che ad
ogni altro si attribuirono al cavaliere di Padilla. Si diceva che per ogni quartiere della
città vi fossero due barbieri destinati a fabbricare gli unti, e che più di cento
cinquanta persone fossero adoperate a spargere l'unzione. Che varj banchieri pagassero
largamente questi emissarj, e fra questi Giambattista Sanguinetti, Gerolamo Turcone e
Benedetto Lucino, e che questi sborsassero qualunque somma, senza ritirarne quitanza, a
qualunque uomo si presentasse loro in nome del cavaliere Padilla. Sopra simili assurdità,
sebbene esaminati minutamente i libri de' negozianti suddetti non si trovasse veruna
annotazione nemmeno equivoca, si passò a crudeli torture contro di essi. Il cavaliere
Padilla si trovò che nel tempo, in cui si diceva che in Milano avesse formato e diretto
questo attentato, egli era a Mortara e altre terre del Piemonte, ove combatteva alla testa
della sua compagnia in difesa di questo stato. Merita di essere trascritta la risposta
ch'ei fece in processo quando fu costituito reo di queste unzioni. Così egli dice: «Io
mi maraviglio molto che il senato sia venuto a risoluzione così grande, vedendosi e
trovandosi che questa è una mera impostura e falsità fatta non solo a me, ma alla
giustizia istessa». Ed aveva ben ragione di dirlo, perché dalla narrativa istessa del
reato appariva la grossolana impostura. «Come», proseguì esso cavaliere, «un uomo di
mia qualità, che ho speso la vita in servizio di S. M., in difesa di questo stato, nato
da uomini che hanno fatto lo stesso, avevo io da fare, né pensare cosa che a loro e a me
portasse tanta nota di infamia? E torno a dire che questo è falso, ed è la più grande
impostura che ad uomo sia mai stata fatta.» Questa risposta, detta nel calore di un
sentimento, è forse il solo tratto nobile che si legga in tutto l'infelice volume che ho
esaminato. Il delitto non parla certamente un tal linguaggio, e il cavalier Padilla era
sicuramente assai al dissopra del livello de' suoi giudici e del suo tempo.
La serie del delitto contestato al cavaliere di
Padilla Si ricava dalla narrazione medesima del reato, e vi si scorge il sugo de' romanzi
forzatamente creati colla tortura: io ne compilerò l'estratto semplicemente, giacché
troppo riuscirebbe di tedio l'intiera narrazione, e porrò in margine le osservazioni
opportune. Risultò adunque la diceria seguente:
Circa al principio del mese di maggio il
cavaliere di Padilla vicino alla chiesa di S. Lorenzo parlò al barbiere Giacomo Mora,
ordinandogli che facesse un unto da applicare ai muri e porte onde risultasse la morte
delle persone, assicurandolo che danari non ne sarebbero mancati, e non temesse, perché
«avrebbe trovato molti compagni». Indi altra volta, pochi giorni dopo, gli diede delle
dobble perché ungesse, e vi era presente un gentiluomo, Crivelli; e il trattato fu fatto
da certo D. Pietro di Saragozza; indi il barbiere allora fu avvisato che i banchieri
Giulio Sanguinetti e Gerolamo Turcone avevano ordine di somministrare tutto il danaro
occorrente a chiunque andava da essi in nome di D. Giovanni di Padilla. Carlo Vedano poi
maestro di scherma fu il mezzano per indurre Gian-Stefano Baruello a fare di queste
unzioni, e condusse il Baruello sulla piazza del castello, ove ritrovavansi Pietro
Francesco Fontana, Michele Tamburino, un prete e due altri vestiti alla francese, ove dal
cavaliere furongli dati dei danari, perché il Baruello ungesse e facesse parimenti ungere
le forbici delle donne da Gerolamo Foresaro, e gli consegnò un vaso di vetro quadrato
dicendogli: «Questo è un vaso d'unguento di quello che si fabbrica in Milano, ed ho a
centinaia de' gentiluomini che mi fanno questi servizj, e questo vaso non è perfetto»;
quindi gli ordinò di prendere de' rospi, delle lucertole ecc., e farle bollire nel vino
bianco e mischiare tutto insieme. Poi temendo il Baruello di proprio danno col toccarlo,
gli fece vedere il cavaliere a toccarlo senza timore. Poi viene il circolo fatto dal prete
e il Pantalone, del quale ho già data notizia. Indi si vuole che il cavaliere dicesse al
Baruello di non dubitare, che se la cosa andava a dovere, esso cavaliere sarebbe stato
«padrone dl Milano, e voi vi voglio fare dei primi»; soggiungendo di nuovo «che se per
sorte fosse pervenuto nelle mani della giustizia, non avrebbe in alcun tempo confessato
cosa alcuna». Tale è la serie del fatto deposto contro il figlio del castellano, la
quale sebbene smentita da tutte le altre persone esaminate (trattine i tre disgraziati
Mora, Piazza e Baruello che alla violenza della tortura sacrificarono ogni verità, servì
di base a un vergognosissimo reato.
VI
Della insidiosa cavillazione
che si usò nel processo verso di alcuni infelici
Soffoco violentemente la natura, e superato il ribrezzo che producono tante atrocità, io trascriverò per intiero l'esame fatto al povero maestro di scherma Carlo Vedano. La scena è crudelissima, la mia mano la strascrive a stento; ma se il raccapriccio che io ne provo gioverà a risparmiare anche una sola vittima, se una sola tortura di meno si darà in grazia dell'orrore che pongo sotto gli occhi, sarà ben impiegato il doloroso sentimento che provo, e la speranza di ottenerlo mi ricompensa. Ecco l'esame.
1630 die 18 septembris etc.
Eductus e carceribus Carolus Vedanus [18
settembre 1630, ecc. Tradotto dalle carceri Carlo Vedano].
Int.: «Che dica se si è risolto a dir
meglio la verità di quello ha sin qui fatto circa le cose che è stato interrogato, e che
gli sono state mantenute in faccia da Gio Stefano Baruello».
Resp.: «Illustrissimo signore, non so
niente».
Ei dicto: «Che dica la causa perché
interrogato se aveva mangiato in casa di Gerolamo cuoco, che fa l'osteria là a S. Sisto
di compagnia del Baruello, non contento di dire una volta di no, rispose: "Signor no,
signor no, signor no"».
Resp.: «Perché non è la verità».
Ei dicto: «Che per negare una cosa basta
dire una volta di no, e che quel replicare signor no, signor no, signor no, mostra il
calore con che lo nega, e che per maggior causa lo neghi che perché non sia vero».
Resp.: «Perché non vi sono stato».
Ei dicto: «Che occasione aveva di
scaldarsi cosi?».
Resp.: «Perché non vi sono stato,
illustrissimo signore».
Ei denuo dicto: «Perché interrogato, se
aveva mai mangiato col detto Baruello all'osteria sopra la piazza del castello, rispose:
"Signor no, mai, mai, mai"»
Resp.: «Ma, signore, vi ho mangiato una
volta, ma non solo, ma in compagnia di Francesco barbiere figliuolo d'Alfonso, e quando ho
risposto: "Signor no, mai, mai, mai' mi sono inteso d'avervi mangiato col Baruello
solamente».
Ei dicto: «Prima, che esso non era
interrogato se avesse mangiato là col Baruello solo o in compagnia d'altri, ma
semplicemente se aveva mangiato con lui alle dette osterie, e però se gli dice che in
questo si mostra bugiardo, poiché allora ha negato e adesso confessa; di più se gli dice
che si ricerca di saper da lui, perché causa con tanta esagerazione negò di avervi
mangiato; né gli bastò di dire di no, che anco vi aggiunse quelle parole "mai, mai,
mai"».
Resp.: «Ma, signore, perché io non vi ho
mai mangiato, altro che quella volta, ed intesi l'interrogazione di V. S. se aveva
mangiato con lui solo; e quanto al secondo, dico che mi sfogava così perché non vi ho
mai mangiato».
Ei denuo dicto: «Perché, interrogato se
mai ha trattato col Baruello di far servizio al signor D. Giovanni, rispose di no, ed
essendogli replicato che ciò gli sarebbe stato mantenuto in faccia, aveva risposto che
questo non si sarebbe trovato mai, ed essendogli di nuovo replicato che di già si era
trovato, rispose con parole interrotte: "Sarà, uh! uh! uh!"».
Resp.: «Perché non ho mai parlato con
lui»
Int.: «Chi è questo lui?».
Resp.: «È il figliuolo del signor
castellano».
Ei dicto: «Perché questa mattina,
interrogato se si è risoluto a dire la verità meglio di quel che fece jeri sera, ha
prorotto in queste parole: "Perché io ne sono innocente di quella cosa che mi
imputano", le quali parole, oltreché sono fuori di proposito, non essendo mai stato
interrogato sopra imputazione che gli sia stata data, mostrano ancora che esso sappia
d'essere imputato di qualche cosa; e pure interrogato che imputazione sia questa, ha detto
di non saperlo: onde se gli dice, che oltreché si vuol sapere da lui perché ha detto
quella risposta fuori di proposito, si vuol anche sapere che imputazione è quella, che
gli vien data».
Resp.: «Io ho detto così perché non ho
fallato».
Ei dicto denuo: «Perché, interrogato se
quando passò sopra la piazza del castello col detto Baruello videro alcuno, ha risposto
prima di no, poi ha soggiunto: "Ma, signore, vi erano della gente, che andavano
innanzi e indietro"; e dettogli perché dunque aveva detto "signor no", ha
risposto: "Io m'era inteso se aveva veduto dei nostri compagni": soggiungendo:
"No, signore, siano per la Vergine santissima, che non ho fallato"; le quali
parole ultime, come sono state fuori di proposito, non essendo egli finora stato
interrogato di alcun delitto specificatamente, così mettono in necessità il giudice di
voler sapere perché le ha dette, e però s'interroga ora perché dica, perché ha detto
quelle parole fuori di proposito con tanta esagerazione».
Resp.: «Perché non ho fallato».
Ei dicto: «Che sopra tutte le cose che è
stato interrogato adesso si vuole più opportuna risposta, altrimenti si verrà ai
tormenti per averla».
Resp.: «Torno a dire che non ho fallato,
ed ho tanta fede nella Vergine santissima che mi ajuterà, perché non ho fallato, non ho
fallato»
Tunc jussum fuit duci ad locum Eculei, et ibi
torturae sujici, adhibita etiam ligatura canubis ad effectum ut opportune respondeat
interrogationibus sibi factis, ut supra, et non aliter etc., et semper sine praejudicio
confessi et convicti ac aliorum jurium etc.; prout fuit ductus, et ei reiterato juramento
veritatis dicendae, prout juravit etc. fuit denuo [Allora fu comandato di condurlo al
luogo del cavalletto ed ivi sottoporlo a tortura, usando anche la legatura con la canape
affinché rispondesse in modo opportuno alle interrogazioni fattegli, come sopra e non
altrimenti, ecc. e sempre senza pregiudizio del diritto del reo confesso e convinto degli
altri diritti, ecc.; fu pertanto ivi condotto e, ripetutogli il giuramento di dire la
verità, egli giurò ecc. e fu quindi]:
Int.: «A risolversi a rispondere a
proposito alle interrogazioni già fattegli, come sopra, altrimenti si farà legare e
tormentare».
Resp.: «Perché non ho fallato,
illustrissimo signore».
Tunc semper sine praejudicio; ut supra, ad
effectum tantum, ut supra, et eo prius vestibus Curiae induto jussum fuit ligari, prout
fuit per brachium sinistrum ad funem applicatus, et cum etiam ei fuisset aptata ligatura
canubis ad brachium dexferum fuit denuo [Allora, sempre senza pregiudizio, come sopra,
agli effetti di quanto sopra, e dopo avergli fatto indossare abiti talari, si comandò che
fosse legato, quindi venne sospeso ad una fune per il braccio sinistro, dopo che anche al
braccio destro fu adattata una legatura di canape. Indi fu nuovamente]:
Int.: «A risolversi di rispondere a
proposito alle interrogazioni dategli, come sopra, che altrimenti si farà stringere».
Resp.: «Non ho fallato, sono cristiano,
faccia V. S. illustrissima quello che vuole».
Tunc semper sine praejudicio, ut supra, jussum
fuit stringi, et cum stringeretur, fuit denuo [Allora sempre senza pregiudizio, come
sopra, fu ordinato che si stringesse e, quando fu stretto, fu nuovamente]:
Int.: «Di risolversi a rispondere a
proposito alle interrogazioni dategli».
Resp.: «Ah Vergine santissima, acclamando
[gridando], non so niente».
Iterum institus ad dicendam veritatem, ut
supra [Di nuovo sollecitato a dire la verità, come sopra].
Resp. acclamando [rispose gridando]: «Ah
Vergine santissima di S. Celso, non so niente».
Ei dicto: «Che dica la verità, se no si
farà stringere più forte: cioè risponda a proposito».
Resp.: «Ah, signore, non ho fatto
niente».
Tunc jussum fuit fortuis stringi, et dum
stringeretur, fuit pariter [Fu ordinato allora di stringere più forte, e mentre lo si
stringeva, gli fu chiesto ancora]:
Int.: «A risolversi a dir la verità a
proposito».
Resp. acclamando: «Ah, signore
illustrissimo, non so niente:».
Institus ad opportune respondendum, ut supra [Invitato
a rispondere a tono, come sopra].
Resp.: «Son qui a torto, non ho fallato,
misericordia, Vergine santissima».
Inter.: Iterum ad opportune respondendum, ut
supra [Di nuovo invitato a rispondere a tono, come sopra] «che altrimenti si farà
stringere più forte».
Resp. acclamando: «Non lo so,
illustrissimo signore, non lo so, illustrissimo signore»
Tunc jussum fuit fortius stringi, et dum
stringeretur fuit denuo [Fu allora ordinato di stringere più forte, e mentre lo si
stringeva gli fu di nuovo].
Int. ad opportune respondendum, ut supra [Intimato
di rispondere a tono].
Resp. acclamando: «Ah Vergine santissima,
non so niente»;
Tunc postergatis manibus et ligatus, fuit in
Eculeo elevatus, deinde [Allora, postegli le mani dietro il dorso, fu sollevato sul
cavalletto].
Int.:«A risolversi a rispondere
opportunamente alle interrogazioni già dategli».
Resp. acclamando : «Ah, illustrissimo
signore, non so niente».
Int. ad opportune respondendam, ut supra.
Resp.: «Non so niente, non so niente. Che
martirj sono questi che si danno ad un cristiano! Non so niente»
Et iterum institus, ut supra.
Resp.: «Non ho fallato».
Tunc ad omnem bonum finem jussum fuit deponi
et abradi, prout fuit depositus; et dum abraderetur fuit iterum [Allora, ad ogni buon
fine, fu ordinato che fosse messo a terra e che gli fosse rasato il capo; fu quindi
deposto e, mentre lo si radeva, fu di nuovo]:
Int. ad opportune respondendam, ut
supra.
Resp.: «Non so niente, non so niente».
Et cum esset abrasus, fuit denuo in Eculeo
elevatus, deinde [E come fu rasato, lo fecero nuovamente salire sul cavalletto, indi]:
Int.: «A risolversi ormai a rispondere a
proposito».
Resp. acclamando : «Lasciatemi giù, che
dico la verità».
Et dicto: «Che cominci a dirla, che poi
si farà lasciar giù».
Resp. acclamando : «Lasciatemi giù che
la dico».
Qua promissione attenta fuit in plano
depositus, deinde [Ottenuta la promessa, fu deposto a terra indi]:
Int.: «A dir questa verità che ha
promesso di dire».
Resp.: «Illustrissimo signore, fatemi
slegare un pochettino, che dico la verità».
Ei dicto: «Che cominci a dirla».
Resp.: «Fu il Baruello che mi venne a
trovare in porta Ticinese, e mi domandò che andassi con lui per certo formento che era
stato rubato, e disse che avressimo chiappato un villano, che aveva lui una cosa da dargli
per farlo dormire, ma non vi andassimo». Postea dixit [indi disse]: «No signore,
V S. mi faccia slegare un poco, che dico che V S. avrà gusto».
Ei dicto: «Che cominci a dire, che poi si
farà slegare».
Resp.: «Ah signore fatemi slegare che
sicuramente vi darò gusto, vi darò gusto».
Qua promissione attenta jussum fuit dissolvi,
et dissolutus, fuit postea:
Int.: «A dire la verità che ha promesso
di dire».
Resp.: «Illustrissimo signore, non so che
dire, non so che dire; non si troverà mai che Carlo Vedano abbia fatta veruna infamità»
Institus: «A dire la verità che ha
promesso di dire, che altrimenti si farà di nuovo legare e tormentare, senza remissione
alcuna».
Resp.: «Se io non ho fatto niente...».
Iterum institus, ut supra.
Resp.: «Signor senatore, vi sono stato a
casa di messer Gerolamo a mangiare col Baruello, ma non mi ricordo della sera precisa».
Et cum ulterius vellet progredi jussum fuit
denuo ligari per brachium sinistrum ad funem, et per brachium dextrum canubi et cum ita
esset ligatus, antequam stringeretur [E, poiché non voleva dire altro, fu comandato
di legarlo per il braccio sinistro alla fune e per il braccio destro al canape e, così
legato, prima che si stringesse].
Int.: «Ad opportune respondendum, ut
supra».
Resp.: «Fermatevi; V. S. aspetti, signor
senatore, che voglio dire ogni cosa».
Ei dicto: «Che dunque dica».
Resp.: «Se non so che dire».
Tunc jussum fuit stringi, et dum stringeretur
acclamavit: «Aspettate che la voglio dire la verità».
Ei dicto.: «Che cominci a dirla».
Resp.: «Ah signore! se sapessi che cosa
dire, direi»: et acclamavit: «ah, signor senatore!».
Ei dicto: «Che si vuole che dica la
verità».
Resp.: «Ah, signore, se sapessi che cosa
dire la direi».
Et etiam institus ad dicendam veritatem, ut
supra
Resp. acclamando: «Ah signore, signore,
non so niente».
Et jussum fuit fortius stringi, et dum
stringeretur, fuit denuo:
Institus: «A risolversi a dire la verità
promessa, e di rispondere a proposito».
Resp. acclamando: «Non so niente,
signore, signore, non so niente».
Et cum per satis temporis spatium stetisset in
tormentis, multunque pati videretur, nec aliud ab eo sperari posset, jussum fuit dissolvi
et reconsignari, prout ita factum est [E, poiché era stato alla tortura per un tempo
sufficiente ed era evidente che soffriva molto e che d'altra parte non vi era altro da
sperare da lui, fu comandato di scioglierlo e di ricondurlo in prigione; ciò che fu
fatto]
© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi - E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 14 febbraio 1998