Brunetto Latini 

Il Tesoretto 


vv.1511-2002

Ancora abbi paura
d'improntare a usura;
ma se ti pur convene
aver per spender bene,
prego che rende ivaccio,
ché non è bel procaccio
né piacevol convento
di diece render cento:
già d'usura che dài
nulla grazia non hai;
né 'n ciò non ha larghezza,
ma tua gran pigrezza.
Ben forte mi dispiace
e gran noia mi face
donzello e cavalero
che, quando un forestero
passa per la contrada,
non lascia che non vada
a farli compagnia
in casa e per la via,
e gran cose promette,
ma altro non vi mette:
così ten questa mena;
e chi lo 'nvita a cena,
terrebbe ben lo 'nvito;
non farebbe convito,
servigio né presente.
Ma sai che m'è piagente?
quando vene un forese,
di farli ben le spese
secondo che s'aviene:
ché presentar ritiene
amore ed onoranza,
compagnia ed usanza.
E sai ch'io molto lodo?
che tu a ogne modo
abbi di belli arnesi
e privati e palesi,
sì che 'n casa e di fore
si paia 'l tuo onore. 

E se tu fai convito
o corredo bandito,
fa'l provedutamente,
che non falli neente:
di tutto inanzi pensa;
e quando siedi a mensa,
non far un laido piglio,
non chiamare a consiglio
sescalco né sergente,
ché da tutta la gente
sarai scarso tenuto
e non ben proveduto. 

Omai t'ho detto assai:
perciò ti partirai,
e dritto per la via
ne va' a Cortesia,
e prega da mia parte
che ti mostri su' arte,
ché già non veggo lume
sanza 'l su' bon costume».
 
Lo cavaler valente
si mosse inellamente
e gìo sanza dimora
loco dove dimora
Cortesia grazïosa,
ln cui ognora posa
pregio di valimento,
e con bel gechimento
la pregò che 'nsegnare
li dovess' e mostrare
tutta la maestria
di fina cortesia.
Ed ella immantenente
con buon viso piacente
disse in questa manera
lo fatto e la matera:
«Sie certo che Larghezza
è 'l capo e la grandezza
di tutto mio mistero,
sì ch'io non vaglio guero,
e s'ella non m'aita
poco sarei gradita.
Ella è mio fondamento,
e io suo doramento
e colore e vernice:
ma chi lo buon ver dice,
se noi due nomi avemo,
quasi una cosa semo.
Ma a te, bell' amico,
primeramente dico
che nel tuo parlamento
abbi provedimento:
non sia troppo parlante,
e pensati davante
quello che dir vorrai,
ché non retorna mai
la parola ch'è detta,
sì come la saetta
che va e non ritorna.
Chi ha la lingua adorna,
poco senno gli basta,
se per follia no'l guasta.
E 'l detto sia soave,
e guarda non sia grave
in dir ne' reggimenti,
ché non puo' a le genti
far più gravosa noia:
consiglio che si moia
chi spiace per gravezza,
ché mai non si ne svezza;
e chi non ha misura,
se fa 'l ben, sì l'oscura. 
 
Non sia inizzatore,
né sia redicitore
di quel ch'altra persona
davante a te ragiona;
né non usar rampogna,
né dire altrui menzogna,
né villania d'alcuno:
ché già non è nessuno
cui non posse di botto
dicere u·laido motto.
Né non sie sì sicuro
che pur un motto duro
ch'altra persona tocca
t'esca fuor de la bocca:
ché troppa sicuranza
fa contra buona usanza;
e chi sta lungo via
guardi di dir follia.
Ma sai che ti comando
e pongo a greve bando?
che l'amico de bene
innora quanto téne
a piede ed a cavallo.
Né già per poco fallo
non prender grosso core,
per te non falli amore. 
 
E abbie sempre a mente
d'usar con buona gente,
e da l'altra ti parti:
ché, sì come dell'arti,
qualche vizio n'aprendi,
sì ch'anzi che t'amendi
n'avrai danno e disnore.
Però a tutte l'ore
ti tieni a buona usanza,
perciò ch'ella t'avanza
in pregio ed in valore,
e fatt' esser migliore
e dà bella figura:
ché la buona natura
si rischiara e pulisce
se 'l buon uso seguisce.
Ma guarda tuttavia,
s'a quella compagnia
tu paressi gravoso,
di gir non sie più oso,
mad altra ti procaccia
a cui il tu' fatto piaccia. 
 
Amico, e guarda bene,
con più ricco di téne
non ti caglia d'usare,
ch'o starai per giullare
o spenderai quant'essi:
che se tu no'l facessi,
sarebbe villania;
e pensa tuttavia
che larga inconincianza
sì vuol perseveranza.
Dunque déi provedere,
se 'l porta tuo podere,
che 'l facci apertamente;
se non, sì poni mente
di non far tanta spesa
che poscia sia ripresa;
ma prendi usanz' a tale
che sia con teco iguale;
e s'avanzasse un poco,
non ti smagar di loco,
ma spendi di paraggio:
non prendere avantaggio.
E pensa ogne fïata,
se nella tua brigata
ha omo al tu' parere
men potente d'avere,
per Dio no·llo sforzare
più che non posse fare:
che se per tu' conforto
il su' dispende a torto
e torna in basso stato,
tu ne sarai biasmato.
Ma ben ci son persone
d'altra condizïone,
che si chiaman gentili:
tutt' altri tegnon vili
per cotal gentilezza;
e a questa baldezza
tal chiaman mercennaio
che più tosto uno staio
spenderia di fiorini
ch'essi di picciolini,
benché li lor podere
fosseron d'un valere.
E chi gentil si tiene
sanza fare altro bene
se non di quella boce,
credesi far la croce,
ma e' si fa la fica:
chi non dura fatica
sì che possa valere,
non si creda capere
tra gli uomini valenti
perché sia di gran genti;
ch'io gentil tengo quelli
che par che modo pilli
di grande valimento
e di bel nudrimento,
sì ch'oltre suo lignaggio
fa cose d'avantaggio
e vive orratamente,
sì che piace a le gente,
Ben dico, se 'n ben fare
sia l'uno e l'altro pare,
quelli ch'è meglio nato
è tenuto più a grato,
non per mia maestranza,
ma perch' è sì usanza,
la qual vince e rabatti
gran parte d'i mie' fatti,
sì ch'altro no ne posso:
ch'esto mondo è sì grosso
che ben per poco detto
si giudica 'l diritto;
ché lo grande e 'l minore
ci vivono a romore.
Perciò ne sie aveduto
di star tra lor sì muto
chè non ne faccia·risa:
pàssati a la lor guisa,
che 'nanzi ti comporto
che tu segue lo torto;
che se pur ben facessi,
da che lor non piacessi,
nulla cosa ti vale
e dir bene né male.
Però non dir novella
se non par buona e bella
a ciascun che la 'ntende,
ché tal ti ne riprende
che aggiunge bugia,
quando se' ito via,
che ti déi ben dolere.
Però déi tu sapere
in cotal compagnia
giucar di maestria,
ciò è che sappie dire
quel che deia piacere;
e lo ben, se 'l saprai,
con altrui lo dirai,
dove fie conusciuto
e ben caro tenuto,
ché molti sconoscenti
troverai fra le genti,
che metton maggio cura
d'udire una laidura
ch'una cosa che vaglia:
trapassa e non ti caglia.
E sie bene apensato,
s'un om molto pesato
alcuna volta faccia
cosa che non s'aggiaccia
in piazza né in templo,
no 'nde pigliare asemplo,
perciò che non ha scusa
chi altrui mal s'ausa.
E guarda non errassi
se tu stessi o andassi
con donna o con segnore
o con altro maggiore;
e benché sie tuo pare,
che lo sappie innorare,
ciascun per lo su' stato.
Siene sì ampensato,
e del più e del meno,
che tu non perdi freno;
ma già a tuo minore
non render più onore
ch'a luï si convenga,
né ch'a vil te ne tenga:
però, s'egli è più basso,
va sempre inanzi un passo. 
 
E se vai a cavallo,
guardati d'ogne fallo;
quando vai per cittade,
consiglioti che vade
molto cortesemente:
cavalca bellamente,
un poco a capo chino,
ch'andar così 'n disfreno
par gran salvatichezza;
né non guardar l'altezza
d'ogne casa che truove;
guarda che non ti move
com'on che sia di villa;
non guizzar com' anguilla,
ma va' sicuramente
per vïa tra la gente.
Chi ti chiede in prestanza,
non fare adimoranza
se tu li vuol' prestare:
no'l far tanto tardare
che 'l grado sia perduto
anzi che sia renduto. 
 
E quando se' in brigata,
seguisci ogne fïata
lor via e lor piacere,
ché tu non déi volere
pur far a la tua guisa,
né far di lor divisa.
E guàrdati ad ogn'ora
che laida guardatura
non facci a donna nata
a casa o nella strata:
però chi fa 'l sembiante
e dice ch'è amante,
è un briccon tenuto.
E io ho già veduto
solo d'una canzone
peggiorar condizione:
ché già 'n questo paese
non piace tal arnese.
E guarda in tutte parti
ch'Amor già per su' arti
non t'infiammi lo core:
con ben grave dolore
consumerai tua vita,
né mai di mia partita
non ti potrei tenere,
se fossi in suo podere. 
 
Or ti torna a magione, 
ch'omai è la stagione;
e sie largo e cortese,
sì che 'n ogne paese
tutto tuo convenente
sia tenuto piagente». 
 
Per così bel commiato
n'andò da l'altro lato
lo cavalier gioioso,
e molto confortoso
per sembianti parea
di ciò ch'udito avea;
e 'n questa benenanza
se n'andò a Leanza,
e lei si fece conto,
e poi disse suo conto
sì come parve a lui:
e certo io che vi fui
lodo ben sua manera
e 'l costume e la cera.
E vidi Lealtate
che pur di veritate
tenea suo parlamento;
con bello acoglimento
li disse: «Ora m'intendi
e ciò ch'io dico aprendi. 
 
Amico, primamente
consiglio che non mente,
e 'n qual parte che sia
tu non usar bugia:
ch'on dice che menzogna
ritorna in gran vergogna
però c'ha breve corso;
e quando vi se' scorso,
se tu a le fïate
dicessi veritate,
non ti sarà creduta.
Ma se tu hai saputa
la verità d'un fatto,
e poi per dirla ratto
grave briga nascesse,
certo, se la tacesse,
se ne fossi ripreso,
sarai da me difeso.
E se tu hai parente
o caro benvogliente
cui la gente riprenda
d'una laida vicenda,
tu dê essere acorto
a diritto ed a torto
in dicer ben di lui,
e per fare a colui
discreder ciò che dice;
e poi, quando ti lice,
l'amico tuo gastiga
del fatto onde s'imbriga.
Cosa che tu promette,
non vo' che la dimette:
comando che s'atenga,
purché mal non n'avenga
Ben dicon buoni e rei:
"Se tu fai ciò che déi,
avegna ciò che puote";
ma poi, chi ti riscuote
s'un grave mal n'avene?
Foll' è chi teco tene:
ch'i' tegno ben leale
chi per un picciol male
fa schifare un maggiore,
se 'l fa per lo migliore,
sì che lo peggio resta. 
 
E chi ti manofesta
alcuna sua credenza,
abbine retenenza,
e la lingua sì lenta
ch'un altro no la senta
sanza la sua parola:
ch'io già per vista sola
vidi manofestato
un fatto ben celato.
E chi ti dà in prestanza
sua cosa, o in serbanza,
rendila sì a punto
che non sie in fallo giunto.
E chi di te si fida,
sempre lo guarda e guida,
né già di tradimento
non ti vegna talento. 
 
E vo' ch'al tuo Comune,
rimossa ogne cagione,
sie diritto e leale,
e già per nullo male
che ne poss' avenire
no·llo lasciar perire.
E quando se' 'n consiglio,
sempre ti tieni al meglio:
né prego né temenza
ti mova i·rria sentenza.
Se fai testimonianza,
sia piena di leanza;
e se giudichi altrui,
guarda sì abondui
che già da nulla parte
non falli l'una parte.
Ancor ti priego e dico,
quand' hai lo buono amico
e lo leal parente,
amalo coralmente:
non si' a sì grave stallo
che tu li facce fallo. 
 
E voglio ch'am' e crede
Santa Chiesa e la fede;
e solo e infra la gente
innora lealmente
Geso Cristo e li santi,
sì che' vecchi e li fanti
abbian di te speranza
e prendan buon' usanza.
E va', che ben ti pigli
e che Dio ti consigli,
ché per esser leale
si cuopre molto male».
Allora il cavalero,
che 'n sì alto mestero
avea la mente misa,
se n'andò a distesa
e gìsene a Prodezza;
e quivi con pianezza
e con bel piacimento
e disse il suo talento. 
 
Allor vid' io Prodezza
con viso di baldezza
sicuro e sanza risa
parlare in questa guisa:
«Dicoti apertamente
che tu non sie corrente
a far né a dir follia,
ché, per la fede mia,
non ha presa mi' arte
chi segue folle parte;
e chi briga mattezza
non fie di tale altezza
che non ruvini a fondo:
non ha grazia nel mondo.
E guàrdati ognora
che tu non facci ingiura
né forza a om vivente:
quanto se' più potente,
cotanto più ti guarda,
ché la gente non tarda
di portar mala boce
a om che sempre noce.
 
 
 
 
1515 
 
 
 
 
1520 
 
 
 
 
1525 
 
 
 
 
1530 
 
 
 
 
1535 
 
 
 
 
1540 
 
 
 
 
1545 
 
 
 
 
1550 
  

 
 
 
1555 
 
 
 
 
1560 
 
 
 
 
 
1565 
 
 
 
 
1570 
 
 
 
 
 
1575 
 
 
 
 
1580 
 
 
 
 
1585 
 
 
 
 
1590 
 
 
 
 
1595 
 
 
 
 
1600 
 
 
 
 
1605 
 
 
 
 
1610 
 
 
 
 
1615 
 
 
 
 
1620 
 
 
 
 
 
1625 
 
 
 
 
1630 
 
 
 
 
1635 
 
 
 
 
1640 
 
 
 
 
1645 
 
 
 
 
 
1650 
 
 
 
 
 1655
 
 
 
 
1660 
 
 
 
 
1665 
 
 
 
 
1670 
 
 
 
 
 
1675 
 
 
 
 
1680 
 
 
 
 
1685 
 
 
 
 
1690 
 
 
 
 
1695 
 
 
 
 
1700 
 
 
 
 
1705 
 
 
 
 
 1710
 
 
 
 
1715 
 
 
 
 
1720 
 
 
 
 
1725 
 
 
 
 
1730 
 
 
 
 
1735 
 
 
 
 
1740 
 
 
 
 
1745 
 
 
 
 
1750 
 
 
 
 
1755 
 
 
 
 
1760 
 
 
 
 
1765 
 
 
 
 
1770 
 
 
 
 
1775 
 
 
 
 
1780 
 
 
 
 
1785 
 
 
 
 
1790 
 
 
 
 
1795 
 
 
 
 
1800 
 
 
 
 
 
1805 
 
 
 
 
1810 
 
 
 
 
1815
 
 
 
 
1820 
 
 
 
 
 
1825 
 
 
 
 
1830 
 
 
 
 
1835 
 
 
 
 
1840 
 
 
 
 
1845 
 
 
 
 
1850 
 
 
 
 
 
1855 
 
 
 
 
 
1860 
 
 
 
 
1865 
 
 
 
 
1870 
 
 
 
 
1875 
 
 
 
 
 
1880 
 
 
 
 
1885 
 
 
 
 
1890 
 
 
 
 
1895 
 
 
 
 
1900 
 
 
 
 
1905 
 
 
 
 
1910 
 
 
 
 
1915 
 
 
 
 
1920 
 
 
 
 
 
1925 
 
 
 
 
1930 
 
 
 
 
1935 
 
 
 
 
 
1940 
 
 
 
 
1945 
 
 
 
 
1950 
 
 
 
 
1955 
 
 
 
 
1960 
 
 
 
 
 
1965 
 
 
 
 
1970 
 
 
 
 
1975 
 
 
 
 
1980 
 
 
 
 
 
1985 
 
 
 
 
1990 
 
 
 
 
1995 
 
 
 
 
2000 
 


biblioteca

Indice

Fausernet

© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi - E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it

Ultimo aggiornamento: 14 febbraio 1998