Brunetto Latini 

Il Tesoretto 


vv.1063-1510

Di questo mar ch'i' dico 
vidi per uso antico 
nella perfonda Spagna 
partire una rigagna 
di questo nostro mare, 
che cerehia, ciò mi pare, 
quasi lo mondo tutto, 
sì che per suo condotto 
ben pò chi sa dell'arte 
navicar tutte parte, 
e gire in quella guisa 
di Spagna infin a Pisa 
e 'n Grecia ed in Toscana 
e 'n terra ciciliana 
e nel Levante dritto 
e in terra d'Igitto. 
Ver' è che 'n orïente 
lo mar volta presente 
ver' lo settantrïone 
per una regïone 
dove lo mar non piglia 
terra che sette miglia; 
poi torna in ampiezza, 
e poi in tale stremezza 
ch'io non credo che passi 
che cinquecento passi.  

Da questo mar si parte 
lo mar che non comparte, 
là 'v'e la regïone 
di Vinegia e d'Ancone: 
così ogn'altro mare 
che per la terra pare 
di traverso e d'intorno, 
si move e fa ritorno 
in questo mar pisano 
ov'è 'l mare Occïano.  

E io che mi sforzava 
di ciò che io mirava 
saver lo certo stato, 
tanto andai d'ogne lato 
ch'io vidi apertamente, 
davanti al mio vidente, 
di ciascuno animale 
e lo bene e lo male 
e la lor condizione 
e la 'ngenerazione 
e lo lor nascimento 
e lo cominciamento 
e tutta loro usanza, 
la vista e la sembianza. 
 
Ond'io aggio talento 
nello mio parlamento 
ritrare ciò ch'io vidi. 
Non dico ch'io m'afidi 
di contarlo pe·rima 
dal piè fin a la cima, 
ma 'n bel volgare e puro, 
tal che non sia oscuro, 
vi dicerò per prosa 
quasi tutta la cosa 
qua 'nanti da la fine, 
perché paia più fine.   
 
Da poi ch'a la Natura 
parve che fosse l'ora 
del mio dipartimento, 
con gaio parlamento 
sl cominciò a dire 
parole da partire 
con grazia e con amore; 
e faccendomi onore 
disse: «Fi' di Latino, 
guarda che 'l gran cammino 
non torni esta semmana, 
ma questa selva piana, 
che tu vedi a sinestra, 
cavalcherai a destra. 
Non ti paia travaglia, 
ché tu vedrai san' faglia 
tutte le gran sentenze 
e le dure credenze; 
e poi da l'altra via 
vedrai Fisolofia 
e tutte sue sorelle; 
e poi udrai novelle 
de le quattro Vertute; 
e se quindi ti mute, 
troverai la Ventura; 
a cui se poni cura, 
ché non ha certa via, 
vedrai Baratteria, 
che 'n sua corte si tene 
di diare e male e bene; 
e se non hai timore, 
vedrai i·Dio d'Amore, 
e vedrai molte gente 
che 'l servono umilmente, 
e vedrai le saette 
che fuor de l'arco mette. 
Ma perché tu non cassi 
in questi duri passi, 
te', porta questa segna 
che nel mio nome regna. 
E se tu fossi giunto 
d'alcun gravoso punto, 
tosto lo mostra fuore: 
non fia sì duro core 
che per la mia temenza 
non t'aggia in reverenza». 
E io gechitamente 
ricevetti 'l presente, 
la 'nsegna che mi diede; 
poi le basciai il piede 
e mercé le gridai, 
ch'ella m'avesse ormai 
per suo racomandato. 
E quando io fui girato, 
già più no·lla rividi. 
Or conven ch'io mi guidi 
ver' là dove mi disse 
'nanti che si partisse. 

Or va mastro Burnetto
per un sentiero stretto,
cercando di vedere
e toccar e sapere
ciò che l'è destinato;
e non fu' guari andato
ch'i' fu' nella deserta,
dov' io non trovai certa
né strada né sentero.
Deh, che paese fero
trovai in quella parte!
Ché, s'io sapesse d'arte,
quivi mi bisognava,
ché, quanto io più mirava,
più mi parea salvaggio:
quivi non ha vïaggio,
quivi non ha magione,
quivi non ha persone,
non bestia, non uccello,
non fiume, non ruscello,
né formica né mosca
né cosa ch'io cognosca. 

Ed io, pensando forte,
dottai ben de la morte:
e non è maraviglia,
ché ben trecento miglia
durava d'ogne lato
quel paese ismaggiato.
Ma sì m'asicurai
quando mi ricordai
del sicuro segnale
che contra tutto male
mi dà sicuramento;
e io presi andamento
quasi per aventura
per una valle scura,
tanto ch'al terzo giorno
io mi trovai d'intorno
un grande pian giocondo,
lo più gaio del mondo
e lo più dilettoso.
Ma ricontar non oso
ciò ch'i' trovai e vidi:
se Dio mi porti e guidi,
io non sarei creduto
di ciò ch'i' ho veduto;
ch'i' vidi imperadori
e re e gran segnori,
e mastri di scïenze
che dittavan sentenze,
e vidi tante cose
che già in rime né in prose
no·lle porria contare;
ma sopra tutti stare
vidi una imperadrice
di cui la gente dice
che ha nome Vertute,
ed è capo e salute
di tutta costumanza
e de la buona usanza
e d'i be' reggimenti
a che vivon le genti;
e vidi agli occhi miei
esser nate di lei
quattro regine figlie;
e strane maraviglie
vidi di ciascheduna,
ch'or mi parea pur una,
or mi parean divise
e 'n quattro parti mise,
sì ch'ognuna per séne
tenean sue propie mene,
ed avean su' legnaggio,
su' corso e su' vïaggio,
e 'n sua propria magione
tenean corte e ragione;
ma non già di paraggio,
ché l'un' è troppo maggio,
e poi di grado a grado
catuna va più rado. 
 
E io, ch'avea il volere
di più certo sapere
la natura del fatto,
mi mossi sanza patto
di domandar fidanza,
e trassimi a l'avanza
de la corte maggiore,
che v'è scritto 'l tenore
d'una cotal sentenza:
«Qui demora Prodenza,
cui la gente in volgare
suole Senno chiamare».
E vidi ne la corte,
là dentro fra le porte,
quattro donne reali
che corte principali
tenean ragion ed uso.
Poi mi tornai là giuso
a un altro palazzo,
e vidi in bello stazzo
scritto per sottiglianza:
«Qui sta la Temperanza,
cui la gente talora
suol chiamare Misura».
E vidi là d'intorno
dimorare a soggiorno
cinque gran principesse,
e vidi ch'elle stesse
tenean gran parlamento
di ricco insegnamento.
Poi nell'altra magione
vidi in un gran pedrone
scritto per sottigliezza:
«Qui dimora Fortezza,
cui talor per usaggio
Valenza di coraggio
la chiama alcuna gente».
Poi vidi immantenente
quattro ricche contesse,
e gente rade e spesse
che stavano a udire
ciò ch'elle volean dire.
E partendomi un poco,
io vidi in altro loco
la donna incoronata
per una caminata,
che menava gran festa
e talor gran tempesta;
e vidi che lo scritto,
ch'era di sopra fitto
in lettera dorata,
dicea: «Io son chiamata
Giustizia in ogne parte».
E vidi i·l'altra parte
quattro maestre grandi,
e a li lor comandi
si stavano ubidenti
quasi tutte le genti.
Così, s'i' non misconto,
eran venti per conto
queste donne reali
che de le principali
son nate per lignaggio,
sì come detto v'aggio.
E s'io contar volesse
ciò ch'io ben vidi d'esse
insieme ed in divisa,
non credo i·nulla guisa
che iscrittura capesse
né che lingua potesse
divisar lor grandore,
né 'l bene né 'l valore.
Però più non ne dico;
ma sì pensai con meco
che quattro n'ha tra loro
cu' i' credo ed adoro
assai più coralmente,
perché 'l lor convenente
mi par più grazïoso
e a la gente in uso:
Cortesia e Larghezza
e Leanza e Prodezza.
Di tutte e quattro queste
il puro sanza veste
dirò in questo libretto:
dell'altre non prometto
di dir né di ritrare;
ma chi 'l vorrà trovare,
cerchi nel gran Tesoro
ch'io fatt' ho per coloro
c'hanno il core più alto:
là farò grande salto
per dirle più distese
ne la lingua franzese.

Ond' io ritorno ormai
per dir come trovai
le tre a gran dilizia
in casa di Giustizia,
ché son sue descendenti
e nate di parenti.
E io m'andai da canto
e dimora'vi tanto
ched i' vidi Larghezza
mostrare con pianezza
ad un bel cavalero
come nel suo mistero
si dovesse portare.
E dicìe, ciò mi pare:
«Se tu vuol' esser mio,
di tanto t'afid' io,
che nullo tempo mai
di me mal non avrai,
anzi sarai tuttore
in grandezza e in onore,
ché già om per larghezza
non venne in poverezza.
Ver' è ch'assai persone
dicon ch'a mia cagione
hanno l'aver perduto,
e ch'è loro avenuto
perché son larghi stati;
ma troppo sono errati:
ché, como è largo quelli
che par che s'acapilli
per una poca cosa
ove onor grande posa,
e 'n un'altra bruttezza
farà sì gra·larghezza
che fie dismisuranza?
Ma tu sappie 'n certanza
che null' ora che sia
venir non ti poria
la tua ricchezza meno
se ti tieni al mio freno
nel modo ch'io diraggio:
ché quelli è largo e saggio
che spende lo danaro
per salvar l'ogostaro.
Però in ogne lato
ti membri di tu' stato
e spendi allegramente;
e non vo' che sgomente
se più che sia ragione
despendi a le stagione,
anz' è di mio volere
che tu di non vedere
te infinghi a le fïate,
se danari o derrate
ne vanno per onore:
pensa che sia il migliore.
E se cosa adivenga
che spender ti convenga,
guarda che sia intento,
sì che non paie lento:
ché dare tostamente
è donar doppiamente,
e dar come sforzato
perde lo dono e 'l grato;
ché molto più risplende
lo poco, chi lo spende
tosto e a larga mano,
che que' che da lontano
dispende gran ricchezza
e tardi, con durezza. 

Ma tuttavia ti guarda
d'una cosa che 'mbarda
la gente più che 'l grado,
cioè gioco di dado:
ché non è di mia parte
chi si gitta in quell'arte,
anz' è disvïamento
e grande struggimento.
Ma tanto dico bene,
se talor ti convene
giocar per far onore
ad amico o a segnore,
che tu giuochi al più grosso,
e non dire: "I' non posso".
Non abbie in ciò vilezza,
ma lieta gagliardezza;
e se tu perdi posta,
paia che non ti costa:
non dicer villania
né mal motto che sia. 

Ancor, chi s'abandona
per astio di persona,
e per sua vanagroria
esce de la memoria
a spender malamente,
non m'agrada neente;
e molto m'è rubello
chi dispende in bordello
e va perdendo 'l giorno
in femine d'intorno.
Ma chi di suo bon core
amasse per amore
una donna valente,
se talor largamente
dispendesse o donasse
(non sì che folleggiasse),
be·llo si puote fare,
ma no'l voglio aprovare. 

E tegno grande scherna
chi dispende in taverna;
e chi in ghiottornia
si getta, o in beveria,
è peggio che omo morto
e 'l suo distrugge a torto.
E ho visto persone
ch'a comperar capone,
pernice e grosso pesce,
lo spender no·lli 'ncresce:
ché, come vol sien cari,
pur trovansi i danari,
sì pagan mantenente,
e credon che la gente
lili ponga i·llarghezza;
ma ben è gran vilezza
ingolar tanta cosa
che già fare non osa
conviti né presenti,
ma colli propî denti
mangia e divora tutto:
ecco costume brutto!
Mad io, s'i' m'avedesse
ch'egli altro ben facesse,
unqua di ben mangiare
no·llo dovrei blasmare:
ma chi 'l nasconde e fugge
e consuma e distrugge,
solo che ben si pasce,
certo in mal punto nasce. 

Hacci gente di corte
che sono use ed acorte
a sollazzar la gente,
ma domandan sovente
danari e vestimenti:
certo, se tu ti senti
lo poder di donare,
ben déi corteseggiare,
guardando d'ogne lato
di ciascun lo suo stato;
ma già non ublïare,
se tu puoi megliorare
lo dono in altro loco,
non ti vinca per gioco
lusinga di buffone:
guarda loco e stagione.

 
1065 
 
 
 
 
1070 
 
 
 
 
1075 
 
 
 
 
1080 
 
 
 
 
1085 
 
 
 
 
 
1090 
 
 
 
 
1095 
 
 
 
 
 
1100 
 
 
 
 
1105 
 
 
 
 
1110 
 
 
 
 
 
1115 
 
 
 
 
1120 
 
 
 
 
 
1125 
 
 
 
 
1130 
 
 
 
 
1135 
 
 
 
 
1140 
 
 
 
 
1145 
 
 
 
 
1150 
 
 
 
 
1155 
 
 
 
 
1160 
 
 
 
 
1165 
 
 
 
 
1170 
 
 
 
 
1175 
 
 
 
 
1180 
 
 
 
 
 
1185 
 
 
 
 
1190 
 
 
 
 
1195 
 
 
 
 
1200 
 
 
 
 
 
 1205
 
 
 
 
1210 
 
 
 
 
1215 
 
 
 
 
1220 
 
 
 
 
1225 
 
 
 
 
1230 
 
 
 
 
1235 
 
 
 
 
1240 
 
 
 
 
1245 
 
 
 
 
1250 
 
 
 
 
1255 
 
 
 
 
 1260
 
 
 
 
 
1265 
 
 
 
 
1270 
 
 
 
 
1275 
 
 
 
 
1280 
 
 
 
 
1285 
 
 
 
 
1290 
 
 
 
 
1295 
 
 
 
 
1300 
 
 
 
 
1305 
 
 
 
 
1310 
 
 
 
 
1315 
 
 
 
 
1320 
 
 
 
 
1325 
 
 
 
 
1330 
 
 
 
 
1335 
 
 
 
 
1340 
 
 
 
 
1345 
 
 
 
 
1350 
 
 
 
 
1355 
 
 
 
 
 
1360 
 
 
 
 
1365
 
 
 
 
1370 
 
 
 
 
1375 
 
 
 
 
1380 
 
 
 
 
1385 
 
 
 
 
1390 
 
 
 
 
1395 
 
 
 
 
1400 
 
 
 
 
1405 
 
 
 
 
1410 
 
 
 
 
1415 
 
 
 
 
1420 
 
 
 
 
1425 
 
 
 
 
 
1430 
 
 
 
 
1435 
 
 
 
 
1440 
 
 
 
 
1445 
 
 
 
 
 
1450 
 
 
 
 
1455 
 
 
 
 
1460 
 
 
 
 
 
1465 
 
 
 
 
1470 
 
 
 
 
1475 
 
 
 
 
1480 
 
 
 
 
1485 
 
 
 
 
1490 
 
 
 
 
 
1495 
 
 
 
 
1500 
 
 
 
 
1505 
 
 
 
 
1510


biblioteca

Indice

Fausernet

© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi - E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it

Ultimo aggiornamento: 14 febbraio 1998