Brunetto Latini
Il Tesoretto
vv. 1-502
Al valente segnore di cui non so migliore sulla terra trovare: ché non avete pare né 'n pace né in guerra; sì ch'a voi tutta terra che 'l sole gira il giorno e 'l mar batte d'intorno san' faglia si convene, ponendo mente al bene che fate per usaggio, ed a l'alto legnaggio donde voi sete nato; e poi da l'altro lato potén tanto vedere in voi senno e savere a ogne condizione, un altro Salamone pare in voi rivenuto; e bene avén veduto in duro convenente, ove ogn'altro semente, che voi pur migliorate e tuttora afinate; il vostro cuor valente poggia sì altamente in ogne benananza che tutta la sembianza d'Alesandro tenete, ché per neente avete terra, oro ed argento; sì alto intendimento avete d'ogne canto, che voi corona e manto portate di franchezza e di fina prodezza, sì ch'Achilès lo prode, ch'aquistò tante lode, e 'l buono Ettòr troiano, Lancelotto e Tristano non valse me' di voe, quando bisogno fue; e poi, quando venite che voi parole dite o 'n consiglio o 'n aringa, par ch'aggiate la lingua del buon Tulio romano che fu in dir sovrano: sì buon cominciamento e mezzo e finimento sapete ognora fare, e parole acordare secondo la matera, ciascuna in sua manera; apresso tutta fiata avete acompagnata l'adorna costumanza, che 'n voi fa per usanza sì ricco portamento e sì bel reggimento ch'avanzate a ragione e Senica e Catone; e posso dire insomma che 'n voi, segnor, s'asomma e compie ogne bontate, e 'n voi solo asembiate son sì compiutamente che non falla neente, se non com' auro fino: io Burnetto Latino, che vostro in ogne guisa mi son sanza divisa, a voi mi racomando. Poi vi presento e mando questo ricco Tesoro, che vale argento ed oro: sì ch'io non ho trovato omo di carne nato che sia degno d'avere, né quasi di vedere, lo scritto ch'io vi mostro i·llettere d'inchiostro. Ad ogn'altro lo nego, ed a voi faccio priego che lo tegnate caro, e che ne siate avaro: ch'i' ho visto sovente viltenere a la gente molto valente cose; e pietre prezïose son già cadute i·lloco che son grandite poco. Ben conosco che 'l bene assai val men, chi 'l tene del tutto in sé celato, che quel ch'è palesato, sì come la candela luce men, chi la cela. Ma i' ho già trovato in prosa ed in rimato cose di grande assetto, e poi per gran sagretto l'ho date a caro amico: poi, con dolor lo dico, lu' vidi in man d'i fanti, e rasemprati tanti che si ruppe la bolla e rimase per nulla. S'aven così di questo, si dico che sia pesto, e di carta in quaderno sia gittato in inferno. Lo Tesoro comenza. Al tempo che Fiorenza froria, e fece frutto, sì ch'ell'era del tutto la donna di Toscana (ancora che lontana ne fosse l'una parte, rimossa in altra parte, quella d'i ghibellini, per guerra d'i vicini), esso Comune saggio mi fece suo messaggio all'alto re di Spagna, ch'or è re de la Magna e la corona atende, se Dio no·llil contende: ché già sotto la luna non si truova persona che, per gentil legnaggio né per altro barnaggio, tanto degno ne fosse com' esto re Nanfosse. E io presi campagna e andai in Ispagna e feci l'ambasciata che mi fue ordinata; e poi sanza soggiorno ripresi mio ritorno, tanto che nel paese di terra navarrese, venendo per la calle del pian di Runcisvalle, incontrai uno scolaio su 'n un muletto vaio, che venia da Bologna, e sanza dir menzogna molt' era savio e prode: ma lascio star le lode, che sarebbono assai. Io lo pur dimandai novelle di Toscana in dolce lingua e piana; ed e' cortesemente mi disee immantenente che guelfi di Firenza per mala provedenza e per forza di guerra eran fuor de la terra, e 'l dannaggio era forte di pregioni e di morte. Ed io, ponendo cura, tornai a la natura ch'audivi dir che tene ogn'om ch'al mondo vene: nasce prim[er]amente al padre e a' parenti, e poi al suo Comuno; ond' io non so nessuno ch'io volesse vedere la mia cittade avere del tutto a la sua guisa, né che fosse in divisa; ma tutti per comune tirassero una fune di pace e di benfare, ché già non può scampare terra rotta di parte. Certo lo cor mi parte di cotanto dolore, pensando il grande onore e la ricca potenza che suole aver Fiorenza quasi nel mondo tutto; e io, in tal corrotto pensando a capo chino, perdei il gran cammino, e tenni a la traversa d'una selva diversa. Ma tornando a la mente, mi volsi e posi mente intorno a la montagna; e vidi turba magna di diversi animali, che non so ben dir quali: ma omini e moglieri, bestie, serpent' e fiere, e pesci a grandi schiere, e di molte maniere ucelli voladori, ed erbi e frutti e fiori, e pietre e margarite che son molto gradite, e altre cose tante che null'omo parlante le porria nominare né 'n parte divisare. Ma tanto ne so dire: ch'io le vidi ubidire, finire e cominciare, morire e 'ngenerare e prender lor natura, sì come una figura ch'i vidi, comandava. Ed ella mi sembrava come fosse incarnata: talora isfigurata; talor toccava il cielo, sì che parea su' velo, e talor lo mutava, e talor lo turbava (al suo comandamento movëa il fermamento); e talor si spandea, sì che 'l mondo parea tutto nelle sue braccia; or le ride la faccia, un'ora cruccia e duole, poi torna come sòle. E io, ponendo mente a l'alto convenente e a la gran potenza ch'avea, e la licenza, uscìo de·rreo pensiero ch'io avëa primero, e fe' proponimento di fare un ardimento per gire in sua presenza con degna reverenza, in guisa ch'io vedere la potessi, e savere certanza di suo stato. E poi ch'i' l'ei pensato, n'andai davanti lei e drizzai gli occhi miei a mirar suo corsaggio. E tanto vi diraggio, che troppo era gran festa li capel de la testa, si ch'io credea che 'l crino fosse d'un oro fino partito sanza trezze; e l'altre gran bellezze ch'al volto son congiunte sotto la bianca fronte, li belli occhi e le ciglia e le labbra vermiglia e lo naso afilato e lo dente argentato, la gola biancicante e l'altre biltà tante composte ed asettate e 'n su' loco ordinate, lascio che no·lle dica, né certo per fatica né per altra paura: ma lingua né scrittura non seria soficente a dir compiutamente le bellezze ch'avea, né quant' ella potea in aria e in terra e in mare e 'n fare e in disfare e 'n generar di nuovo, o di congetto o d'ovo o d'altra incomincianza, ciascuna in sua sembianza. E vidi in sua fattura ched ogne creatura ch'avea cominciamento, venï' a finimento. Ma puoi ch'ella mi vide, la sua cera che ride inver' di me si volse, e puoi a sé m'acolse molto covertamente, e disse immantenente: «Io sono la Natura, e sono una fattura de lo sovran Fattore. Elli è mio creatore: io son da Lui creata e fui incominciata; ma la Sua gran possanza fue sanza comincianza. E' non fina né more; ma tutto mio labore, quanto che io l'alumi, convien che si consumi. Esso è onipotente; ma io non pos' neente se non quanto concede. Esso tanto provede e è in ogne lato e sa ciò ch'è passato e 'l futuro e 'l presente; ma io non son saccente se non di quel che vuole: mostrami, come suole, quello che vuol ch'i' faccia e che vol ch'io disfaccia, ond'io son Sua ovrera di ciò ch'Esso m'impera. Così in terra e in aria m'ha fatta sua vicaria: Esso dispose il mondo, e io poscia secondo lo Suo comandamento lo guido a Suo talento. A te dico, che m'odi, che quattro so·lli modi che Colui che governa lo secolo in eterna, mise ['n] operamento a lo componimento di tutte quante cose son, palese e nascose. L'una, ch'eternalmente fue in divina mente immagine e figura di tutta Sua fattura; e fue questa sembianza lo mondo in somiglianza. Di poi, al Suo parvente sì creò di neente una grossa matera, che non avea manera né figura né forma, ma sì fu di tal norma, che ne potea ritrare ciò che volea formare. Poi, lo Suo intendimento mettendo a compimento, sì lo produsse in fatto; ma non fece sì ratto, né non ci fu sì pronto, ch'Elli in un solo punto lo volessi compiére, com' Elli avea il podere: ma sei giorni durao, il settimo posao. Apresso il quarto modo è questo ond' io godo, ch'ad ogne crëatura dispuose per misura secondo il convenente suo corso e sua semente; e a questa quarta parte ha loco la mi' arte, sì che cosa che sia non ha nulla balìa di far né più né meno se non a questo freno. Ben dico veramente che Dio onnipotente, Quello ch'è capo e fine, per gran forze divine pò in ogne figura alterar la natura e far Suo movimento di tutto ordinamento: sì come déi savere, quando degnò venire la Maestà sovrana a prender carne umana nella Virgo Maria, che contra l'arte mia fu 'l suo ingeneramento e lo Suo nascimento, ché davanti e da puoi, sì come savén noi, fue netta e casta tutta, vergine non corrotta. Poi volse Idio morire per voi gente guerire e per vostro soccorso; allor tutto mio corso mutò per tutto 'l mondo dal cielo infi·l profondo, ché 'l sole iscurao, la terra termentao: tutto questo avenia chè 'l mio Segnor patia. E perciò che 'l me' dire io lo voglio ischiarire, sì ch'io non dica motto che tu non sappie 'n tutto la verace ragione e la condizïone, farò mio detto piano, che pur un solo grano non sia che tu non sacci: ma vo' che tanto facci, che lo mio dire aprendi, sì che tutto lo 'ntendi; e s'io parlassi iscuro, ben ti faccio sicuro di dicerlo in aperto, sì che ne sie ben certo. Ma perciò che la rima si stringe a una lima di concordar parole come la rima vuole, sì che molte fiate le parole rimate ascondon la sentenza e mutan la 'ntendenza, quando vorrò trattare di cose che rimare tenesse oscuritate, con bella brevetate ti parlerò per prosa, e disporrò la cosa parlandoti in volgare, che tu intende ed apare. Omai a ciò ritorno, che Dio fece lo giorno e la luce gioconda e cielo e terra ed onda, e l'aire crëao e li angeli fermao, ciascun partitamente: e tutto di neente. Poi la seconda dia per la Sua gran balìa stabilìo 'l fermamento e 'l suo ordinamento. Il terzo, ciò mi pare, ispecificò 'l mare e la terra divise e 'n ella fece e mise ogne cosa barbata che 'n terra e radicata. Al quarto dì presente fece compiutamente tutte le luminare, stelle diverse e vare. Nella quinta giornata sì fu da Lui crëata ciascuna crëatura che nota in acqua pura. Lo sesto dì fu tale, che fece ogn'animale, e fece Adamo ed Eva, che puoi ruppe la treva del Suo comandamento. Per quel trapassamento mantenente fu miso fòra di Paradiso, dov'era ogne diletto, sanza neuno espetto di fredo o di calore, d'ira né di dolore; e per quello peccato lo loco fue vietato mai sempre a tutta gente. Così fu l'uom perdente: d'esto peccato tale divenne l'om mortale, e ha lo male e 'l danno e l'agravoso afanno qui e nell'altro mondo. Di questo greve pondo son gli uomini gravati e venuti em peccati, perché 'l serpente antico, che è nostro nemico, sodusse a rea maniera quella primaia mogliera. Ma per lo mio sermone intendi la ragione perché fu ella fatta e de la costa tratta: prima, che l'uomo atasse; poi, che multipricasse, e ciascun si guardasse con altra non fallasse. Omai il coninciamento e 'l primo nascimento di tutte crëature t'ho detto, se me cure. Ma sacce che 'n due guise lo Fattor lo devise: ché l'une veramente son fatte di neente, ciò son l'anim' e 'l mondo, e li angeli secondo; ma tutte l'altre cose, quantunque dicere ose, son d'alcuna matera fatte per lor manera». |
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© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi - E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 12 febbraio 1998