Leonardo Bruni
DELLA VITA STUDI E COSTUMI DI DANTE Avendo
in questi giorni posto fine a un'opera assai lunga, mi venne appetito di volere, per
ristoro dello affaticato ingegno, leggere alcuna cosa vulgare; perocché, come nella mensa
un medesimo cibo, così nelli studii una medesima lezione continovata rincresce. Cercando
adunque con questo proposito, mi venne alle mani un'operetta del Boccaccio intitolata:
Della vita, costumi e studii del clarissimo poeta Dante, la quale opera, benché da me
altra volta fusse stata diligentissimamente letta, pur al presente esaminata di nuovo, mi
parve che il nostro Boccaccio, dolcissimo e suavissimo uomo, così scrivesse la vita e i
costumi di tanto sublime poeta, come se a scrivere avesse il Filocolo, o il Filostrato, o
la Fiammetta. Perocché tutta d'amore e di sospiri e di cocenti lagrime è piena, come se
l'uomo nascesse in questo mondo solamente per ritrovarsi in quelle dieci Giornate amorose,
le quali da donne innamorate e da giovani leggiadri raccontate furono nelle cento Novelle:
e tanto s'infiamma in queste parti d'amore, che le gravi e sustanzievoli parti della vita
di Dante lascia a dietro e trapassa con silenzio, ricordando le cose leggiere e tacendo le
gravi. Io adunque mi posi in cuore, per mio spasso, scriver di nuovo la vita di Dante con
maggior notizia delle cose estimabili. Né questo faccio per derogare al Boccaccio, ma
perché lo scriver mio sia quasi in supplimento allo scriver di lui.
2.
I maggiori di Dante furono in Firenze di molto antica stirpe, in tanto, che lui par volere
in alcun luogo i suoi antichi essere stati di quelli Romani che posero Firenze: ma questa
è cosa molto incerta, e secondo mio parere niente è altro che indovinare. Di quelli che
ho io notizia, il trisavolo suo fu messer Cacciaguida cavalier fiorentino, il quale
militò sotto lo 'mperadore Currado. Questo messer Cacciaguida ebbe due fratelli, l'uno
chiamato Moronto, l'altro Eliseo. Di Moronto non si legge alcuna successione: ma da Eliseo
nacque la famiglia nominata gli Elisei, e forse anche prima avevano questo nome; di messer
Cacciaguida nacquero gli Aldighieri, così vocati da un suo figliuolo, il quale per stirpe
materna ebbe nome Aldighieri. Messer Cacciaguida, e' fratelli e loro antichi abitaron
quasi in su 'l canto di Porta san Piero, dove prima vi s'entra da Mercato vecchio, nelle
case che ancor oggi si chiamano degli Elisei, perché a loro rimase l'antichità. Quelli
di messer Cacciaguida, detti Aldighieri, abitarono in su la piazza dietro a San Martino
del Vescovo, dirimpetto alla via che va a casa i Sacchetti, e dall'altra parte si stende
verso le case de' Donati e de' Giuochi.
3.
Dante nacque negli anni Domini 1265, poco dopo la tornata de' Guelfi in Firenze, stati in
esilio per la sconfitta di Monte Aperto. Nella puerizia sua nutrito liberalmente e dato a'
precettori delle lettere, subito apparve in lui ingegno grandissimo, e attissimo a cose
eccellenti. Il padre suo Aldighieri perde' nella sua puerizia: nientedimanco, confortato
da' propinqui e da Brunetto Latini, valentissimo uomo secondo quel tempo, non solamente a
litteratura, ma agli altri studii liberali si diede, niente lasciando a dietro che
appartenga a far l'uomo eccellente. Né per tutto questo si racchiuse in ozio, né
privossi del secolo; ma vivendo e conversando con gli altri giovani di sua età, costumato
ed accorto e valoroso ad ogni esercizio giovanile si trovava; in tanto, che in quella
battaglia memorabile e grandissima, che fu a Campaldino, lui, giovane e bene stimato, si
trovò nell'armi combattendo vigorosamente a cavallo nella prima schiera; dove portò
gravissimo pericolo, perocché la prima battaglia fu delle schiere equestri, nella quale
e' cavalieri che erano dalla parte delli Aretini, con tanta tempesta vinsero e
superchiarono la schiera de' cavalieri fiorentini, che sbarattati e rotti bisognò fuggire
alla schiera pedestre. Questa rotta fu quella, che fe' perdere la battaglia alli Aretini;
perocché i loro cavalieri vincitori, perseguitando quelli che fuggivano per grande
distanza, lasciaro a dietro la loro pedestre schiera; sì che, da quindi innanzi, in niuno
luogo interi combatterono: ma i cavalieri soli e di per sé, senza sussidio di pedoni, e i
pedoni poi di per sé senza sussidio de' cavalieri. Ma dalla parte de' Fiorentini
addivenne il contrario, ché, per esser fuggiti i loro cavalieri alla schiera pedestre, si
ferono tutti un corpo, e agevolmente vinsero prima i cavalieri e poi i pedoni. Questa
battaglia racconta Dante in una sua Epistola, e dice esservi stato a combattere, e disegna
la forma della battaglia; e per notizia della cosa saper dobbiamo, che Uberti, Lamberti,
Abati e tutti gli altri usciti di Firenze erano con li Aretini; e tutti gli usciti
d'Arezzo, gentiluomini e popolani guelfi, che in quel tempo tutti erano scacciati, furono
co' Fiorentini in questa battaglia. E per questa cagione le parole scritte in Palagio
dicono:
Sconfitti e' Ghibellini a Certomondo; e
non dicono gli Aretini, acciocché quella parte delli Aretini che fu col Comune a vincere,
non si potesse dolere. Tornando adunque al nostro proposito, dico che Dante virtuosamente
si trovò a combattere per la patria in questa battaglia: e vorrei che 'l Boccaccio nostro
di questa virtù più tosto avesse fatto menzione, che dell'amore di nove anni e di simili
leggerezze, che per lui si raccontano di tanto uomo. Ma che giova a dire? la lingua pur va
dove il dente duole, ed a cui piace il bere sempre ragiona di vini.
4.
Dopo questa battaglia tornò Dante a casa: e alli studii più ferventemente che prima si
diede, e nientedimanco niente lasciò delle conversazioni urbane e civili: cosa
miracolosa!; ché studiando continovamente, a niuna persona sarebbe paruto ch'egli
studiasse, per l'usanza lieta e conversazione giovanile. Nella qual cosa mi giova
riprendere l'errore di molti ignoranti, i quali credono niuno essere studiante, se non
quelli che si nascondono in solitudine ed in ozio; e io non vidi mai niuno di questi
camuffati e rimossi dalla conversazione delli nomini, che sapesse tre lettere. Lo 'ngegno
alto e grande non ha bisogno di tali tormenti, anzi è vera conclusione e certissima, che
quello che non appara tosto, non appara mai: sì che stranarsi e levarsi dalla
conversazione, è al tutto di quelli che niente sono atti con loro basso ingegno ad
imprendere. Né solamente conversò civilmente con li uomini Dante; ma ancora tolse moglie
in sua gioventù, e la moglie sua fu gentile donna della famiglia de' Donati, chiamata per
nome monna Gemma, della quale ebbe più figliuoli, come in altra parte di questa opera
dimostreremo. Qui il Boccaccio non ha pazienza, e dice le mogli esser contrarie alli
studii; e non si ricorda che Socrate, il più sommo filosofo che mai fusse, ebbe moglie e
figliuoli, ed offizii nella republica della sua città; e Aristotele, che non si può dire
più là di sapienza e di dottrina, ebbe due mogli in diversi tempi, ed ebbe figliuoli e
ricchezze assai. E Marco Tullio, e Catone, e Seneca, e Varrone, latini sommi, filosofi
tutti, ebbero moglie, figliuoli ed offizii, e governi nella republica. Sì che perdonimi
il Boccaccio: i suoi giudicii sono molto frivoli in questa parte, e molto distanti dalla
vera opinione. L'uomo è animal civile, secondo piace a tutti i filosofi; la prima
congiunzione, della quale multiplicata nasce la città, è marito e moglie; né cosa può
esser perfetta dove questa non sia, e solo questo amore è naturale, legittimo e permesso.
5.
Dante adunque tolta donna, e vivendo civile e onesta e studiosa vita, fu adoperato nella
republica assai, e finalmente, venuto all'età debita, fu creato de' Priori, non per
sorte, come s'usa al presente, ma per elezione, come in quel tempo si consumava fare.
Furono nell'uffizio del Priorato con lui messer Palmieri degli Altoviti, e Neri di Messer
Iacopo degli Alberti ed altri colleghi, e fu questo suo Priorato nel 1300. Da questo
Priorato nacque la cacciata sua, e tutte le cose avverse ch'egli ebbe nella vita sua,
secondo esso medesimo scrive in una sua Epistola, della quale le parole sono queste:
"Tutti li mali e gli inconvenienti miei dalli infausti comizi del mio Priorato ebbono
cagione e principio; del quale Priorato benché per prudenzia io non fussi degno, niente
di meno per fede e per età non ne ero indegno, perocché dieci anni erano già passati
dopo la battaglia di Campaldino, nella quale la parte ghibellina fu quasi al tutto morta e
disfatta; dove mi trovai non fanciullo nell'armi, dove ebbi temenza molta, e nella fine
allegrezza grandissima per li varii casi di quella battaglia". Queste sono le parole
sue. Ora la cagione di sua cacciata voglio particularmente raccontare, perocché è cosa
notabile, e il Boccaccio se ne passa con piede asciutto, che forse non gli era così nota
come a noi, per cagione della Storia che abbiamo scritta.
6.
Avendo prima avuto la città di Firenze divisioni assai tra Guelfi e Ghibellini,
finalmente era rimasa nelle mani de' Guelfi; e stata assai lungo spazio di tempo in questa
forma, sopravvenne un'altra maladizione di parte intra' Guelfi medesimi, i quali reggevano
la republica: e fu il nome delle parti Bianchi e Neri. Nacque questa perversità prima,
ne' Pistolesi e massime nella famiglia de' Cancellieri; ed essendo già divisa tutta
Pistoia, per porvi rimedio fu ordinato da' Fiorentini che i capi di queste sette ne
venissero a Firenze, acciocché là non facessero maggior turbazione. Questo rimedio fu
tale, che non tanto di bene fece a' Pistolesi per levar loro i capi, quanto di male fece
a' Fiorentini per tirare a sé quella pestilenzia. Perocché avendo i capi in Firenze
parentadi ed amicizie assai, subito accesero il fuoco con maggiore incendio per gli
diversi favori che avevano da' parenti e dalli amici, che non era quello, che lasciato
avevano a Pistoia: e trattandosi di questa materia in publico e in privato, mirabilmente
s'apprese il mal seme, e divisesi tutta la città in modo, che quasi non vi fu famiglia
nobile né plebea, che in sé medesima non si dividesse, né uomo particulare di stima
alcuna, che non fusse dall'una delle sette; e trovossi in molti la divisione essere tra
fratelli carnali, che l'uno di qua e l'altro di là teneva. Essendo già durata la contesa
più mesi, e multiplicati gl'inconvenienti, non solamente per parole ma ancora per fatti
dispettosi ed acerbi, cominciati tra' giovani e discesi tra gli uomini di matura età, la
città tutta stava sollevata e sospesa. Addivenne, che essendo Dante de' Priori, certa
ragunata si fe' per la parte de' Neri nella chiesa di Santa Trinita; quello che
trattassero fu cosa molto segreta, ma l'effetto fu di fare opera con papa Bonifazio VIII,
il quale allora sedeva, che mandasse a Firenze messer Carlo di Valois de' Reali di
Francia, a pacificare e a riformare la terra. Questa ragunata sentendosi per l'altra parte
de' Bianchi, subito se ne prese suspizione grandissima; in tanto, che presero l'armi, e
fornironsi d'amistà, e andarono a' Priori aggravando la ragunata fatta, e l'avere con
privato consiglio presa deliberazione dello stato della città; e tutto esser fatto,
dicevano, per cacciargli di Firenze: e per tanto dimandavano a' Priori, che facessero
punire tanto prosuntuoso eccesso. Quelli che avevano fatta la ragunata temendo anche loro,
pigliarono l'armi, e appresso i Priori si dolevano delli avversarii, che senza
deliberazione publica s'erano armati e fortificati, affermando che sotto varii colori gli
volevano cacciare; e domandavano a' Priori che li facessero punire, sì come perturbatori
della quiete publica. L'una parte e l'altra di fanti e d'amistà fornite s'erano; la
paura, e il terrore, e il pericolo era grandissimo. Essendo adunque la città in armi e in
travagli, i Priori, per consiglio di Dante, provviddero di fortificarsi della moltitudine
del popolo, e quando furono fortificati, ne mandarono a' confini gli uomini principali
delle due sette, che furono questi: messer Corso Donati, messer Geri Spini, messer
Giacchinotto de' Pazzi, messer Rosso della Tosa, e altri con loro. Tutti questi erano
della parte Nera, e furono mandati a' confini a Castel della Pieve, in quel di Perugia.
Della parte de' Bianchi furono mandati a' confini a Serezzana: messer Gentile e messer
Torrigiano de' Cerchi, Guido Cavalcanti, Baschiera della Tosa, Baldinaccio Adimari, Naldo
di messer Lottino Gherardini, e altri. Questo diede gravezza assai a Dante, e contutto
ch'esso si scusi come uomo senza parte, niente di manco fu riputato pendesse in parte
Bianca, e che gli dispiacesse il consiglio tenuto di chiamar Carlo di Valois a Firenze,
come materia di scandali e di guai alla città; e accrebbe la 'nvidia, perché quella
parte de' cittadini che fu confinata a Serezzana, subito ritornò a Firenze, e l'altra
parte confinata a Castel della Pieve si rimase di fuori. A questo risponde Dante, che
quando quelli di Serezzana furono rivocati, esso era fuori dell'uffizio del Priorato, e
che a lui non si debba imputare: più dice, che la ritornata loro fu per l'infirmità e
morte di Guido Cavalcanti, il quale ammalò a Serezzana per l'aere cattiva, e poco
appresso morì. Questa disagguaglianza mosse il Papa a mandar Carlo di Valois a Firenze;
il quale, essendo per riverenzia del Papa e della Casa di Francia ricevuto nella città,
di subito rimise i cittadini confinati, e appresso cacciò la parte Bianca per rivelazione
di certo trattato fatta per messer Piero Ferranti suo barone: il quale disse essere stato
richiesto da tre gentili uomini della parte Bianca, cioè da Naldo di messer Lottino
Gherardini, da Baschiera della Tosa e da Baldinaccio Adimari, di adoperar sì con messer
Carlo di Valois che la lor parte rimanesse superiore nella terra; e che gli aveano
promesso di dargli Prato in governo, se facesse questo: e produsse la scrittura di questa
richiesta e promessa, con gli suggelli di costoro. La quale scrittura originale ho io
veduto, perocché ancor oggi è in Palagio tra l'altre scritture publiche; ma quanto a me,
ella mi pare forte sospetta, e credo per certo che ella fusse fittizia. Pure, quello che
si fusse, la cacciata seguitò di tutta la parte Bianca; mostrando sdegno Carlo di questa
richiesta, e promessa da loro fatta.
© 1999 - by prof. Giuseppe Bonghi
- E-mail: Giuseppe Bonghi - bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 21 June, 1999