Cesare Beccaria
Dei delitti e delle pene
§ XXXVII
ATTENTATI, COMPLICI, IMPUNITÀ
Perché le leggi non puniscono l'intenzione, non è
però che un delitto che cominci con qualche azione che ne manifesti la volontà di
eseguirlo non meriti una pena, benché minore all'esecuzione medesima del delitto.
L'importanza di prevenire un attentato autorizza una pena; ma siccome tra l'attentato e
l'esecuzione vi può essere un intervallo, cosí la pena maggiore riserbata al delitto
consumato può dar luogo al pentimento. Lo stesso dicasi quando siano piú complici di un
delitto, e non tutti esecutori immediati, ma per una diversa ragione. Quando piú uomini
si uniscono in un rischio, quant'egli sarà piú grande tanto piú cercano che sia uguale
per tutti; sarà dunque piú difficile trovare chi si contenti d'esserne l'esecutore,
correndo un rischio maggiore degli altri complici. La sola eccezione sarebbe nel caso che
all'esecutore fosse fissato un premio; avendo egli allora un compenso per il maggior
rischio la pena dovrebbe esser eguale. Tali riflessioni sembreran troppo metafisiche a chi
non rifletterà essere utilissimo che le leggi procurino meno motivi di accordo che sia
possibile tra i compagni di un delitto.
Alcuni tribunali offrono l'impunità a quel complice di
grave delitto che paleserà i suoi compagni. Un tale spediente ha i suoi inconvenienti e i
suoi vantaggi. Gl'inconvenienti sono che la nazione autorizza il tradimento, detestabile
ancora fra gli scellerati, perché sono meno fatali ad una nazione i delitti di coraggio
che quegli di viltà: perché il primo non è frequente, perché non aspetta che una forza
benefica e direttrice che lo faccia conspirare al ben pubblico, e la seconda è piú
comune e contagiosa, e sempre piú si concentra in se stessa. Di piú, il tribunale fa
vedere la propria incertezza, la debolezza della legge, che implora l'aiuto di chi
l'offende. I vantaggi sono il prevenire delitti importanti, e che essendone palesi gli
effetti ed occulti gli autori intimoriscono il popolo; di piú, si contribuisce a mostrare
che chi manca di fede alle leggi, cioè al pubblico, è probabile che manchi al privato.
Sembrerebbemi che una legge generale che promettesse la impunità al complice palesatore
di qualunque delitto fosse preferibile ad una speciale dichiarazione in un caso
particolare, perché cosí preverrebbe le unioni col reciproco timore che ciascun complice
avrebbe di non espor che se medesimo; il tribunale non renderebbe audaci gli scellerati
che veggono in un caso particolare chiesto il loro soccorso. Una tal legge però dovrebbe
accompagnare l'impunità col bando del delatore... Ma invano tormento me stesso per
distruggere il rimorso che sento autorizzando le sacrosante leggi, il monumento della
pubblica confidenza, la base della morale umana, al tradimento ed alla dissimulazione.
Qual esempio alla nazione sarebbe poi se si mancasse all'impunità promessa, e che per
dotte cavillazioni si strascinasse al supplicio ad onta della fede pubblica chi ha
corrisposto all'invito delle leggi! Non sono rari nelle nazioni tali esempi, e perciò
rari non sono coloro che non hanno di una nazione altra idea che di una macchina
complicata, di cui il piú destro e il piú potente ne muovono a lor talento gli ordigni;
freddi ed insensibili a tutto ciò che forma la delizia delle anime tenere e sublimi,
eccitano con imperturbabile sagacità i sentimenti piú cari e le passioni piú violente,
sí tosto che le veggono utili al loro fine, tasteggiando gli animi, come i musici gli
stromenti.
§ XXXVIII
INTERROGAZIONI SUGGESTIVE, DEPOSIZIONI
Le nostre leggi proscrivono le interrogazioni che chiamansi suggestive in un processo: quelle cioè secondo i dottori, che interrogano della specie, dovendo interrogare del genere, nelle circostanze d'un delitto: quelle interrogazioni cioè che, avendo un'immediata connessione col delitto, suggeriscono al reo una immediata risposta. Le interrogazioni secondo i criminalisti devono per dir cosí inviluppare spiralmente il fatto, ma non andare giammai per diritta linea a quello. I motivi di questo metodo sono o per non suggerire al reo una risposta che lo metta al coperto dell'accusa, o forse perché sembra contro la natura stessa che un reo si accusi immediatamente da sé. Qualunque sia di questi due motivi è rimarcabile la contradizione delle leggi che unitamente a tale consuetudine autorizzano la tortura; imperocché qual interrogazione piú suggestiva del dolore? Il primo motivo si verifica nella tortura, perché il dolore suggerirà al robusto un'ostinata taciturnità onde cambiare la maggior pena colla minore, ed al debole suggerirà la confessione onde liberarsi dal tormento presente piú efficace per allora che non il dolore avvenire. Il secondo motivo è ad evidenza lo stesso, perché se una interrogazione speciale fa contro il diritto di natura confessare un reo, gli spasimi lo faranno molto piú facilmente: ma gli uomini piú dalla differenza de' nomi si regolano che da quella delle cose. Fra gli altri abusi della grammatica i quali non hanno poco influito su gli affari umani, è notabile quello che rende nulla ed inefficace la deposizione di un reo già condannato; egli è morto civilmente, dicono gravemente i peripatetici giureconsulti, e un morto non è capace di alcuna azione. Per sostenere questa vana metafora molte vittime si sono sacrificate, e bene spesso si è disputato con seria riflessione se la verità dovesse cedere alle formule giudiciali. Purché le deposizioni di un reo condannato non arrivino ad un segno che fermino il corso della giustizia, perché non dovrassi concedere, anche dopo la condanna, e all'estrema miseria del reo e agl'interessi della verità uno spazio congruo, talché adducendo egli cose nuove, che cangino la natura del fatto, possa giustificar sé od altrui con un nuovo giudizio? Le formalità e le ceremonie sono necessarie nell'amministrazione della giustizia, sí perché niente lasciano all'arbitrio dell'amministratore, sí perché danno idea al popolo di un giudizio non tumultuario ed interessato, ma stabile e regolare, sí perché sugli uomini imitatori e schiavi dell'abitudine fanno piú efficace impressione le sensazioni che i raziocini. Ma queste senza un fatale pericolo non possono mai dalla legge fissarsi in maniera che nuocano alla verità, la quale, per essere o troppo semplice o troppo composta, ha bisogno di qualche esterna pompa che le concilii il popolo ignorante. Finalmente colui che nell'esame si ostinasse di non rispondere alle interrogazioni fattegli merita una pena fissata dalle leggi, e pena delle piú gravi che siano da quelle intimate, perché gli uomini non deludano cosí la necessità dell'esempio che devono al pubblico. Non è necessaria questa pena quando sia fuori di dubbio che un tal accusato abbia commesso un tal delitto, talché le interrogazioni siano inutili, nell'istessa maniera che è inutile la confessione del delitto quando altre prove ne giustificano la reità. Quest'ultimo caso è il piú ordinario, perché la sperienza fa vedere che nella maggior parte de' processi i rei sono negativi.
§ XXXIX
DI UN GENERE PARTICOLARE DI DELITTI
Chiunque leggerà questo scritto accorgerassi che io ho ommesso un genere di delitti che ha coperto l'Europa di sangue umano e che ha alzate quelle funeste cataste, ove servivano di alimento alle fiamme i vivi corpi umani, quand'era giocondo spettacolo e grata armonia per la cieca moltitudine l'udire i sordi confusi gemiti dei miseri che uscivano dai vortici di nero fumo, fumo di membra umane, fra lo stridere dell'ossa incarbonite e il friggersi delle viscere ancor palpitanti. Ma gli uomini ragionevoli vedranno che il luogo, il secolo e la materia non mi permettono di esaminare la natura di un tal delitto. Troppo lungo, e fuori del mio soggetto, sarebbe il provare come debba essere necessaria una perfetta uniformità di pensieri in uno stato, contro l'esempio di molte nazioni; come opinioni, che distano tra di loro solamente per alcune sottilissime ed oscure differenze troppo lontane dalla umana capacità, pure possano sconvolgere il ben pubblico, quando una non sia autorizzata a preferenza delle altre; e come la natura delle opinioni sia composta a segno che mentre alcune col contrasto fermentando e combattendo insieme si rischiarano, e soprannotando le vere, le false si sommergono nell'oblio, altre, mal sicure per la nuda loro costanza, debbano esser vestite di autorità e di forza. Troppo lungo sarebbe il provare come, quantunque odioso sembri l'impero della forza sulle menti umane, del quale le sole conquiste sono la dissimulazione, indi l'avvilimento; quantunque sembri contrario allo spirito di mansuetudine e fraternità comandato dalla ragione e dall'autorità che piú veneriamo, pure sia necessario ed indispensabile. Tutto ciò deve credersi evidentemente provato e conforme ai veri interessi degli uomini, se v'è chi con riconosciuta autorità lo esercita. Io non parlo che dei delitti che emanano dalla natura umana e dal patto sociale, e non dei peccati, de' quali le pene, anche temporali, debbono regolarsi con altri principii che quelli di una limitata filosofia.
§ XL
FALSE IDEE DI UTILITÀ
Una sorgente di errori e d'ingiustizie sono le false idee d'utilità che si formano i legislatori. Falsa idea d'utilità è quella che antepone gl'inconvenienti particolari all'inconveniente generale, quella che comanda ai sentimenti in vece di eccitargli, che dice alla logica: servi. Falsa idea di utilità è quella che sacrifica mille vantaggi reali per un inconveniente o immaginario o di poca conseguenza, che toglierebbe agli uomini il fuoco perché incendia e l'acqua perché annega, che non ripara ai mali che col distruggere. Le leggi che proibiscono di portar le armi sono leggi di tal natura; esse non disarmano che i non inclinati né determinati ai delitti, mentre coloro che hanno il coraggio di poter violare le leggi piú sacre della umanità e le piú importanti del codice, come rispetteranno le minori e le puramente arbitrarie, e delle quali tanto facili ed impuni debbon essere le contravenzioni, e l'esecuzione esatta delle quali toglie la libertà personale, carissima all'uomo, carissima all'illuminato legislatore, e sottopone gl'innocenti a tutte le vessazioni dovute ai rei? Queste peggiorano la condizione degli assaliti, migliorando quella degli assalitori, non iscemano gli omicidii, ma gli accrescono, perché è maggiore la confidenza nell'assalire i disarmati che gli armati. Queste si chiaman leggi non prevenitrici ma paurose dei delitti, che nascono dalla tumultuosa impressione di alcuni fatti particolari, non dalla ragionata meditazione degl'inconvenienti ed avantaggi di un decreto universale. Falsa idea d'utilità è quella che vorrebbe dare a una moltitudine di esseri sensibili la simmetria e l'ordine che soffre la materia bruta e inanimata, che trascura i motivi presenti, che soli con costanza e con forza agiscono sulla moltitudine, per dar forza ai lontani, de' quali brevissima e debole è l'impressione, se una forza d'immaginazione, non ordinaria nella umanità, non supplisce coll'ingrandimento alla lontananza dell'oggetto. Finalmente è falsa idea d'utilità quella che, sacrificando la cosa al nome, divide il ben pubblico dal bene di tutt'i particolari. Vi è una differenza dallo stato di società allo stato di natura, che l'uomo selvaggio non fa danno altrui che quanto basta per far bene a sé stesso, ma l'uomo sociabile è qualche volta mosso dalle male leggi a offender altri senza far bene a sé. Il dispotico getta il timore e l'abbattimento nell'animo de' suoi schiavi, ma ripercosso ritorna con maggior forza a tormentare il di lui animo. Quanto il timore è piú solitario e domestico tanto è meno pericoloso a chi ne fa lo stromento della sua felicità; ma quanto è piú pubblico ed agita una moltitudine piú grande di uomini tanto è piú facile che vi sia o l'imprudente, o il disperato, o l'audace accorto che faccia servire gli uomini al suo fine, destando in essi sentimenti piú grati e tanto piú seducenti quanto il rischio dell'intrapresa cade sopra un maggior numero, ed il valore che gl'infelici danno alla propria esistenza si sminuisce a proporzione della miseria che soffrono. Questa è la cagione per cui le offese ne fanno nascere delle nuove, che l'odio è un sentimento tanto piú durevole dell'amore, quanto il primo prende la sua forza dalla continuazione degli atti, che indebolisce il secondo.
§ XLI
COME SI PREVENGANO I DELITTI
È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo
è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al
massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i
calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo piú
falsi ed opposti al fine proposto. Non è possibile il ridurre la turbolenta attività
degli uomini ad un ordine geometrico senza irregolarità e confusione. Come le costanti e
semplicissime leggi della natura non impediscono che i pianeti non si turbino nei loro
movimenti cosí nelle infinite ed oppostissime attrazioni del piacere e del dolore, non
possono impedirsene dalle leggi umane i turbamenti ed il disordine. Eppur questa è la
chimera degli uomini limitati, quando abbiano il comando in mano. Il proibire una
moltitudine di azioni indifferenti non è prevenire i delitti che ne possono nascere, ma
egli è un crearne dei nuovi, egli è un definire a piacere la virtú ed il vizio, che ci
vengono predicati eterni ed immutabili. A che saremmo ridotti, se ci dovesse essere
vietato tutto ciò che può indurci a delitto? Bisognerebbe privare l'uomo dell'uso de'
suoi sensi. Per un motivo che spinge gli uomini a commettere un vero delitto, ve ne son
mille che gli spingono a commetter quelle azioni indifferenti, che chiamansi delitti dalle
male leggi; e se la probabilità dei delitti è proporzionata al numero dei motivi,
l'ampliare la sfera dei delitti è un crescere la probabilità di commettergli. La maggior
parte delle leggi non sono che privilegi, cioè un tributo di tutti al comodo di alcuni
pochi.
Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian
chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e
nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le
classi degli uomini che gli uomini stessi. Fate che gli uomini le temano, e temano esse
sole. Il timor delle leggi è salutare, ma fatale e fecondo di delitti è quello di uomo a
uomo. Gli uomini schiavi sono piú voluttuosi, piú libertini, piú crudeli degli uomini
liberi. Questi meditano sulle scienze, meditano sugl'interessi della nazione, veggono
grandi oggetti, e gl'imitano; ma quegli contenti del giorno presente cercano fra lo
strepito del libertinaggio una distrazione dall'annientamento in cui si veggono; avvezzi
all'incertezza dell'esito di ogni cosa, l'esito de' loro delitti divien problematico per
essi, in vantaggio della passione che gli determina. Se l'incertezza delle leggi cade su
di una nazione indolente per clima, ella mantiene ed aumenta la di lei indolenza e
stupidità. Se cade in una nazione voluttuosa, ma attiva, ella ne disperde l'attività in
un infinito numero di piccole cabale ed intrighi, che spargono la diffidenza in ogni cuore
e che fanno del tradimento e della dissimulazione la base della prudenza. Se cade su di
una nazione coraggiosa e forte, l'incertezza vien tolta alla fine, formando prima molte
oscillazioni dalla libertà alla schiavitù, e dalla schiavitù alla libertà.
§ XLII
DELLE SCIENZE
Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi
accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa
della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre
un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un
illuminato. Le cognizioni facilitando i paragoni degli oggetti e moltiplicandone i punti
di vista, contrappongono molti sentimenti gli uni agli altri, che si modificano
vicendevolmente, tanto piú facilmente quanto si preveggono negli altri le medesime viste
e le medesime resistenze. In faccia ai lumi sparsi con profusione nella nazione, tace la
calunniosa ignoranza e trema l'autorità disarmata di ragioni, rimanendo immobile la
vigorosa forza delle leggi; perché non v'è uomo illuminato che non ami i pubblici,
chiari ed utili patti della comune sicurezza, paragonando il poco d'inutile libertà da
lui sacrificata alla somma di tutte le libertà sacrificate dagli altri uomini, che senza
le leggi poteano divenire conspiranti contro di lui. Chiunque ha un'anima sensibile,
gettando uno sguardo su di un codice di leggi ben fatte, e trovando di non aver perduto
che la funesta libertà di far male altrui, sarà costretto a benedire il trono e chi lo
occupa.
Non è vero che le scienze sian sempre dannose
all'umanità, e quando lo furono era un male inevitabile agli uomini. La moltiplicazione
dell'uman genere sulla faccia della terra introdusse la guerra, le arti piú rozze, le
prime leggi, che erano patti momentanei che nascevano colla necessità e con essa
perivano. Questa fu la prima filosofia degli uomini, i di cui pochi elementi erano giusti,
perché la loro indolenza e poca sagacità gli preservava dall'errore. Ma i bisogni si
moltiplicavano sempre piú col moltiplicarsi degli uomini. Erano dunque necessarie
impressioni piú forti e piú durevoli che gli distogliessero dai replicati ritorni nel
primo stato d'insociabilità, che si rendeva sempre piú funesto. Fecero dunque un gran
bene all'umanità quei primi errori che popolarono la terra di false divinità (dico gran
bene politico) e che crearono un universo invisibile regolatore del nostro. Furono
benefattori degli uomini quegli che osarono sorprendergli e strascinarono agli altari la
docile ignoranza. Presentando loro oggetti posti di là dai sensi, che loro fuggivan
davanti a misura che credean raggiungerli, non mai disprezzati, perché non mai ben
conosciuti, riunirono e condensarono le divise passioni in un solo oggetto, che fortemente
gli occupava. Queste furono le prime vicende di tutte le nazioni che si formarono da'
popoli selvaggi, questa fu l'epoca della formazione delle grandi società, e tale ne fu il
vincolo necessario e forse unico. Non parlo di quel popolo eletto da Dio, a cui i miracoli
piú straordinari e le grazie piú segnalate tennero luogo della umana politica. Ma come
è proprietà dell'errore di sottodividersi all'infinito, cosí le scienze che ne nacquero
fecero degli uomini una fanatica moltitudine di ciechi, che in un chiuso laberinto si
urtano e si scompigliano di modo che alcune anime sensibili e filosofiche regrettarono
persino l'antico stato selvaggio. Ecco la prima epoca, in cui le cognizioni, o per dir
meglio le opinioni, sono dannose.
La seconda è nel difficile e terribil passaggio dagli
errori alla verità, dall'oscurità non conosciuta alla luce. L'urto immenso degli errori
utili ai pochi potenti contro le verità utili ai molti deboli, l'avvicinamento ed il
fermento delle passioni, che si destano in quell'occasione, fanno infiniti mali alla
misera umanità. Chiunque riflette sulle storie, le quali dopo certi intervalli di tempo
si rassomigliano quanto all'epoche principali, vi troverà piú volte una generazione
intera sacrificata alla felicità di quelle che le succedono nel luttuoso ma necessario
passaggio dalle tenebre dell'ignoranza alla luce della filosofia, e dalla tirannia alla
libertà, che ne sono le conseguenze. Ma quando, calmati gli animi ed estinto l'incendio
che ha purgata la nazione dai mali che l'opprimono, la verità, i di cui progressi prima
son lenti e poi accelerati, siede compagna su i troni de' monarchi ed ha culto ed ara nei
parlamenti delle repubbliche, chi potrà mai asserire che la luce che illumina la
moltitudine sia piú dannosa delle tenebre, e che i veri e semplici rapporti delle cose
ben conosciute dagli uomini lor sien funesti?
Se la cieca ignoranza è meno fatale che il mediocre e
confuso sapere, poiché questi aggiunge ai mali della prima quegli dell'errore inevitabile
da chi ha una vista ristretta al di qua dei confini del vero, l'uomo illuminato è il dono
piú prezioso che faccia alla nazione ed a se stesso il sovrano, che lo rende depositario
e custode delle sante leggi. Avvezzo a vedere la verità e a non temerla, privo della
maggior parte dei bisogni dell'opinione non mai abbastanza soddisfatti, che mettono alla
prova la virtú della maggior parte degli uomini, assuefatto a contemplare l'umanità dai
punti di vista piú elevati, avanti a lui la propria nazione diventa una famiglia di
uomini fratelli, e la distanza dei grandi al popolo gli par tanto minore quanto è
maggiore la massa dell'umanità che ha avanti gli occhi. I filosofi acquistano dei bisogni
e degli interessi non conosciuti dai volgari, quello principalmente di non ismentire nella
pubblica luce i principii predicati nell'oscurità, ed acquistano l'abitudine di amare la
verità per se stessa. Una scelta di uomini tali forma la felicità di una nazione, ma
felicità momentanea se le buone leggi non ne aumentino talmente il numero che scemino la
probabilità sempre grande di una cattiva elezione.
§ XLIII
MAGISTRATI
Un altro mezzo di prevenire i delitti si è d'interessare il consesso esecutore delle leggi piuttosto all'osservanza di esse che alla corruzione. Quanto maggiore è il numero che lo compone tanto è meno pericolosa l'usurpazione sulle leggi, perché la venalità è piú difficile tra membri che si osservano tra di loro, e sono tanto meno interessati ad accrescere la propria autorità, quanto minore ne è la porzione che a ciascuno ne toccherebbe, massimamente paragonata col pericolo dell'intrapresa. Se il sovrano coll'apparecchio e colla pompa, coll'austerità degli editti, col non permettere le giuste e le ingiuste querele di chi si crede oppresso, avvezzerà i sudditi a temere piú i magistrati che le leggi, essi profitteranno piú di questo timore di quello che non ne guadagni la propria e pubblica sicurezza.
§ XLIV
RICOMPENSE
Un altro mezzo di prevenire i delitti è quello di ricompensare la virtú. Su di questo proposito osservo un silenzio universale nelle leggi di tutte le nazioni del dì d'oggi. Se i premi proposti dalle accademie ai discuopritori delle utili verità hanno moltiplicato e le cognizioni e i buoni libri, perché non i premi distribuiti dalla benefica mano del sovrano non moltiplicherebbeno altresí le azioni virtuose? La moneta dell'onore è sempre inesausta e fruttifera nelle mani del saggio distributore.
§ XLV
EDUCAZIONE
Finalmente il piú sicuro ma piú difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai piú remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi, nel sostituire gli originali alle copie nei fenomeni sí morali che fisici che il caso o l'industria presenta ai novelli animi dei giovani, nello spingere alla virtú per la facile strada del sentimento, e nel deviarli dal male per la infallibile della necessità e dell'inconveniente, e non colla incerta del comando, che non ottiene che una simulata e momentanea ubbidienza.
§ XLVI
DELLE GRAZIE
A misura che le pene divengono piú dolci, la clemenza ed il perdono diventano meno necessari. Felice la nazione nella quale sarebbero funesti! La clemenza dunque, quella virtú che è stata talvolta per un sovrano il supplemento di tutt'i doveri del trono, dovrebbe essere esclusa in una perfetta legislazione dove le pene fossero dolci ed il metodo di giudicare regolare e spedito. Questa verità sembrerà dura a chi vive nel disordine del sistema criminale dove il perdono e le grazie sono necessarie in proporzione dell'assurdità delle leggi e dell'atrocità delle condanne. Quest'è la piú bella prerogativa del trono, questo è il piú desiderabile attributo della sovranità, e questa è la tacita disapprovazione che i benefici dispensatori della pubblica felicità danno ad un codice che con tutte le imperfezioni ha in suo favore il pregiudizio dei secoli, il voluminoso ed imponente corredo d'infiniti commentatori, il grave apparato dell'eterne formalità e l'adesione dei piú insinuanti e meno temuti semidotti. Ma si consideri che la clemenza è la virtú del legislatore e non dell'esecutor delle leggi; che deve risplendere nel codice, non già nei giudizi particolari; che il far vedere agli uomini che si possono perdonare i delitti e che la pena non ne è la necessaria conseguenza è un fomentare la lusinga dell'impunità, è un far credere che, potendosi perdonare, le condanne non perdonate siano piuttosto violenze della forza che emanazioni della giustizia. Che dirassi poi quando il principe dona le grazie, cioè la pubblica sicurezza ad un particolare, e che con un atto privato di non illuminata beneficenza forma un pubblico decreto d'impunità. Siano dunque inesorabili le leggi, inesorabili gli esecutori di esse nei casi particolari, ma sia dolce, indulgente, umano il legislatore. Saggio architetto, faccia sorgere il suo edificio sulla base dell'amor proprio, e l'interesse generale sia il risultato degl'interessi di ciascuno, e non sarà costretto con leggi parziali e con rimedi tumultuosi a separare ad ogni momento il ben pubblico dal bene de' particolari, e ad alzare il simulacro della salute pubblica sul timore e sulla diffidenza. Profondo e sensibile filosofo, lasci che gli uomini, che i suoi fratelli, godano in pace quella piccola porzione di felicità che lo immenso sistema, stabilito dalla prima Cagione, da quello che è, fa loro godere in quest'angolo dell'universo.
§ XLVII
CONCLUSIONE
Conchiudo con una riflessione, che la grandezza delle pene dev'essere relativa allo stato della nazione medesima. Piú forti e sensibili devono essere le impressioni sugli animi induriti di un popolo appena uscito dallo stato selvaggio. Vi vuole il fulmine per abbattere un feroce leone che si rivolta al colpo del fucile. Ma a misura che gli animi si ammolliscono nello stato di società cresce la sensibilità e, crescendo essa, deve scemarsi la forza della pena, se costante vuol mantenersi la relazione tra l'oggetto e la sensazione. Da quanto si è veduto finora può cavarsi un teorema generale molto utile, ma poco conforme all'uso, legislatore il piú ordinario delle nazioni, cioè: perché ogni pena non sia una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino, dev'essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata a' delitti, dettata dalle leggi.
© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi
- E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 11 febbraio 1998