Luigi Pirandello
Liolà
Atto Terzo
La stessa scena del primo atto. È tempo di vendemmia. Presso la porta
del magazzino si vedono ceste e panieri.
Tuzza è seduta sul rustico sedile di pietra e cuce il corredino del bimbo nascituro. Zia
Croce, col "manto" su le spalle e un fazzoletto in capo, viene dal fondo.
Zia Croce: Tutti arricchiti! Non vuol venire nessuno.
Tuzza: Doveva aspettarselo!
Zia Croce: Non sono mica andata a invitarle a sedere a tavola con me! Con la roccia
addosso, più sozze del cantone alluscita del paese, non han neppure paglia per
buttarsi a dormire, e sissignori, le chiamo per guadagnarsi un tozzo di pane, a una fa
male il braccio, a unaltra la gamba...
Tuzza: Glielavevo detto di non andare a pregarle!
Zia Croce: linvidia, che se le mangia vive; e si fingono sdegnate! - Mi tocca
intanto salire al paese a far le opere per quattro grappoli duva, se non voglio che
se li mangino le vespe. già in ordine il palmento?
Tuzza: In ordine, in ordine.
Zia Croce: Le ceste son qua pronte, pronto tutto, e mi mancano le braccia! Lui
solo, Liolà, ha promesso di venire.
Tuzza: Ah, ha voluto proprio incaponirsi a chiamarlo?
Zia Croce: Apposta, sciocca! Per far vedere che non cè stato nulla.
Tuzza: Ma se ormai lo sanno finanche le pietre!
Zia Croce: Non per lui, a ogni modo, che lha sempre negato, e mi costa!
Gliene sono grata. Non lavrei mai creduto! E quando lo nega lui, lascia pur cantare
gli altri finché non scoppiano come le cicale!
Tuzza: Va bene. Però io - glielavverto mi chiudo in casa, e non
caccio più fuori neanche la punta del naso. Non posso più vedermelo davanti.
Zia Croce: Ora eh? ora non puoi più vedertelo davanti? - Forca! - Son parecchi
giorni intanto che tuo zio non si fa vedere.
Tuzza: Ha mandato a dire che non si sente bene.
Zia Croce: Se cera lui, a buon conto, mi levava da questimpiccio della
vendemmia. Ma nascerà, nascerà questo figlio! Non mi par lora! Quando lavrà
qua - ora che lha riconosciuto per suo davanti a tutti - avrà un bel chiamarselo
accanto sua moglie! La sua casa sarà qua. Dove sono i figli è la casa.
A questo punto si presenta davanti la tettoja, ilare e accaldata, la Moscardina.
La Moscardina: permesso, zia Croce?
Zia Croce: Oh, voi Moscardina?
La Moscardina: A servirla. Le annunzio che vengono, sa? Tutte!
Zia Croce: Ah! E chè accaduto? Vi vedo così contenta!
La Moscardina: Sì, sì, contenta, sono proprio contenta, zia Croce!
Zia Croce: Ih, e tutta rossa come un peperone! Siete venuta di corsa?
La Moscardina: Corro sempre, io, zia Croce. Sa come si dice? "Gallina che va e
gira, col gozzo pieno si ritira". E poi, tempo di vendemmia! Anche loro, le ragazze,
vedrà, tutte festanti!
Zia Croce: O come mai? Le ho vedute poco fa con tanto di muso; nessuna voleva
venire: e ora sono tutte pronte e festanti?
Tuzza: Se fossi in lei, non vorrei più io, ora, e andrei sù al paese a far la
ciurma.
Zia Croce: No. Mi piace anzi che si levi ogni ruggine tra vicine. Di tutta questa
allegria, piuttosto, vorrei saper la ragione...
La Moscardina: Ma forse perché han saputo che verrà Liolà. Questo Liolà, creda,
zia Croce, è una cosa... una cosa... Pare che abbia fatto lega col diavolo!
Zia Croce: Ne ha combinata qualche altra delle sue?
La Moscardina: Non so. Ma il fatto è che mette nel cuore di tutti lallegria.
Una ne fa e cento ne pensa. E le ragazze, dove cè lui, vengono contente! - Canta,
ecco, lo sente? Viene cantando con le ragazze e i tre piccini che gli saltano attorno. -
Guardi! Guardi!
Si sente difatti un coro campestre intonato da Liolà. Poi Liolà entra sotto la tettoja con Ciuzza, Luzza, Nela e altri contadini e contadine e i suoi tre cardelli, e si mette a improvvisare, battendo i piedi in cadenza.
Ullarallà!
Pesta bene, tu qua!
Pesta bene, pesta bene, pesta bene,
che più pesti nel tinello
e più forte il vin ti viene!
Più di quello
dellaltranno, Liolà!
Ullarallà! Ullarallà!
Ogni maglio,
senza sbaglio,
se tu pesti bene, compare,
un barile te ne farà!
un barile che a berne un sorsetto
a terra mi getto
col male di mare
perché vagellare
la testa mi fa.
Ullarallà! Ullarallà!
Ullarallà! Ullarallà!
Liolà: Cara zia Croce, rieccoci qua!
La ciurma ride, salta e batte le mani.
Zia Croce: Ih, che allegria! Davvero festanti siete! Che miracolo
è questo?
Liolà: Nessun miracolo, zia Croce. "Chi cerca trova, e chi séguita
vince!"
Le ragazze ridono.
Zia Croce: Che vuol dire?
Liolà: Niente. Proverbio.
Zia Croce: Ah sì? E senti allora questaltro: "Suono e canzoni son cose di
vento".
Liolà: (subito) "E il tavernajo vuol esser pagato!"
Zia Croce: giusto! Patti chiari. Faremo come laltranno, eh?
Liolà: Ma sì, non si confonda! Ho detto per farle vedere che sapevo il proverbio
e anche il séguito.
Zia Croce: E allora sbrighiamoci, ragazze, prendete le ceste e fate con garbo; non
cè bisogno che ve lo raccomandi.
Liolà: Ho portato i bambini per piluccare qualche acinetto lasciato.
Zia Croce: Purché non sappendano ai bronconi quando non ci arrivano con le
mani!
Liolà: Ah, non cè pericolo. Educati alla scuola di papà. Il grappolo alto,
a cui non sarriva con la mano, si lascia lì e non gli si dice chè acerbo.
Altra risata delle ragazze.
Che cè da ridere? Non sapete la favola della volpe? - Basta. Qua
nel palmento è tutto pronto?
Zia Croce: Sì, sì, tutto pronto.
Liolà: (prendendo le ceste e i panieri e distribuendoli alle ragazze e ai
giovani) E allora, via, sù, prendete... ecco qua! prendete... E via cantando:
Ullarallà! Ullarallà!
Via dal fondo con la ciurma, cantando.
Zia Croce: (gridando loro dietro) Cominciate da giù, ragazze, di filare in filare, salendo a poco a poco! E date un occhio ai piccini!
Poi, a Tuzza:
Scendi con loro, rómpiti il collo! Debbo guardarli io sola
glinteressi?
Tuzza: No, no, glielho detto, non vado!
Zia Croce: Chi sa che scempio ne faranno, quellaffamate! - Hai visto,
intanto, come guardavano? che sfavillìo docchi?
Tuzza: Ho visto, ho visto.
Zia Croce: Per quel pazzo! -
Guardando fuori, in quel momento, scorge zio Simone.
Oh, ecco tuo zio... Ma guarda, butta le gambe come se non fossero sue... Devesser malato davvero!
Si presenta sotto la tettoja zio Simone, tutto ingrugnato .
Zio Simone: Cara cugina, buon giorno. Buon giorno, Tuzza.
Tuzza: Buon giorno.
Zia Croce: Non state bene, cugino? Che avete?
Zio Simone: (grattandosi il capo sotto la berretta padovana) Guaj, cugina, guaj.
Zia Croce: Guaj? Che guaj potete avere voi?
Zio Simone: Io no, veramente... anzi, io...
Zia Croce: Sta male forse vostra moglie?
Zio Simone: Eh... dice... dice che... insomma...
Zia Croce: Insomma, che? Parlate; ho fuori le opere e voglio andare a badarle.
Zio Simone: Avete cominciato a vendemmiare?
Zia Croce: Sì, proprio ora.
Zio Simone: Senza dirmene nulla?
Zia Croce: Non vi fate vedere da due giorni! Mi son pigliate anzi certe bili con
tutte queste vipere del vicinato! Non volevano venire, e poi, tutta un tratto, chi
sa perché, son venute tutte, e ora sono giù con le ceste.
Zio Simone: Sempre con la furia, voi, cugina!
Zia Croce: Io? Furia? Che furia? Le vespe stavano a mangiarsi tutto...
Zio Simone: Non dico soltanto per la vendemmia... dico per altro... dico anche per
me... Non so che gusto rompersi il collo per non dar mai tempo al tempo!
Zia Croce: Oh infine, si può sapere che avete dentro? Buttatelo fuori! Vedo che
volete pigliarvela con me...
Zio Simone: No, non me la piglio con voi, cugina; con me, me la piglio, con me!
Zia Croce: Per la furia?
Zio Simone: Appunto: per la furia.
Zia Croce: A proposito di che?
Zio Simone: Di che! Vi par poco il peso che porto addosso? venuto jeri a trovarmi
mio compare Cola Randisi! -
Zia Croce: - Ah sì, lho visto passare di qua. -
Zio Simone: - sè fermato a parlarvi? -
Zia Croce: - no, ha tirato via di lungo -
Tuzza: - tirano via di lungo tutti, ora, passando di qua!
Zio Simone: Tirano via di lungo, figliola mia, perché la gente, vedendomi qua, si
figura... si figura ciò che per grazia di Dio non è, né è stato mai. La coscienza
nostra è pulita; ma lapparenza, purtroppo...
Zia Croce: E va bene, va bene... Lo sappiamo, Zio Simone, e dovevamo immaginarcelo
prima, che tutti glinvidiosi si sarebbero comportati così. A parlarne, adesso...
A Tuzza:
Anche tu, sciocca!
Zio Simone: Eh, ma la faccia, cugina, vengono a beccarla a me tutti quelli che,
passando di qua, tirano via di lungo!
Zia Croce: Mi dite, insomma, che diavolo è venu to a dirvi questo vostro compare
Cola Randisi?
Zio Simone: venuto a dirmi appunto: "Maledetta la furia!", se volete
saperlo. In faccia a mia moglie ha sostenuto che sè dato il caso daver figli,
non dopo quattranni, ma anche dopo quindici dal matrimonio.
Zia Croce: Oh! Stavo ancora a sentire che abbia potuto dirvi da farvi stare così
sopra pensiero! - E dite un pò: che gli avete risposto voi? - Quindici anni? - sessanta,
più quindici, quanto fanno? settantacinque. mi pare. - Cugino a sessanta no; e a
settantacinque sì?
Zio Simone: O chi vha detto, a sessanta no?
Zia Croce: Eh, il fatto, cugino.
Zio Simone: No, cugina. Il fatto è...
Esita a dire.
Zia Croce: Che è?
Zio Simone: Che a sessanta sì.
Zia Croce: Che?
Zio Simone: Sì, sì. Proprio così.
Zia Croce: Vostra moglie?
Zio Simone: Me lha confidato stamattina.
Tuzza: (mangiandosi le mani) Ah! Liolà!
Zia Croce: Ve lha fatta!
Tuzza: Ecco perché erano tutte festanti quelle vipere là! "Chi cerca trova,
e chi séguita vince!"
Zio Simone: O oh, non andiamo dicendo ora!
Zia Croce: Avreste il coraggio di credere che il figlio è vostro?
Tuzza: Liolà! Liolà! Glielha fatta! Glielha fatta, e me lha
fatta, assassino!
Zio Simone: Non andiamo dicendo... non andiamo dicendo...
Zia Croce: Ve la siete guardata così la moglie, vecchio imbecille?
Tuzza: E glielo dissi! Cento volte glielo dissi, di guardarsi da Liolà!
Zio Simone: O oh, badate, non vi mettete in bocca Liolà, adesso, perché a mia
moglie io le comandai di star zitta quando mi buttò in faccia per te la stessa accusa,
chera vera!
Zia Croce: E ora, no? non è più vera ora per vostra moglie, vecchio becco?
Zio Simone: Oh! cugina, volete per Cristo che faccia uno sproposito?
Zia Croce: Ma via, levàtevi! Come se non sapessimo -
Zio Simone: - che cosa? -
Zia Croce: - quello che sapete anche voi, e meglio di tutti!
Zio Simone: Io so che qua con vostra figlia non ho avuto mai nulla da spartire: ho
fatto unopera di carità, e nientaltro. Ma, con mia moglie, ci sono stato io,
ci sono stato io!
Zia Croce: Sì, quattranni senza frutto! Andate, andate a domandare adesso
chi cè stato con vostra moglie!
Tuzza: E opera di carità, ha il coraggio di dire!
Zia Croce: Già! Dopo che sè vantato davanti a tutti, davanti alla sua
stessa moglie che il figlio era suo, per prendersi questa soddisfazione, sapendo bene che
non poteva prendersela altrimenti!
Tuzza: (cangiando animo, dimprovviso) Basta! Basta! Non gridi più,
ormai! Basta!
Zia Croce: Ah no, cara mia! Vuoi che mi rassegni
Tuzza: E che altro vorrebbe fare? Se si prendeva il mio, pur sapendo di chi era, si
figuri se non vorrà riconoscere per suo questo che gli darà ora sua moglie -
Zio Simone: - e chè mio! mio! mio! - e guaj a chi sattenta a dir cosa
contro mia moglie...
A questo punto appare dal fondo Mita, placidissima.
Mita: Oh, e che è qua tutto questo baccano?
Tuzza: Vàttene, Mita, vàttene via, non mi cimentare!
Mita: Io, Tuzza, cimentarti? Non sia mai!
Tuzza: (lanciandosi per afferrarla) Levatemela davanti! levatemela davanti!
Zio Simone: (parandola) O oh! Ci sono io!
Zia Croce: Hai la tracotanza di presentarti qua? Via! Via! Fuori!
Mita: (indicandola al marito) Ma guardate un pò chi parla di tracotanza!
Zio Simone: No, tu no, tu non timmischiare, moglie mia! Tórnatene a casa,
tu! E lascia che ti difenda io!
Mita: No, aspettate, voglio ricordare a Tuzza un nostro motto antico: "Chi
tarda e non manca, non si chiama mancatore". Ho tardato, sì, è vero, ma non ho
mancato. Tu sei andata avanti e io ti son venuta appresso.
Tuzza: Per la mia stessa strada mi sei venuta appresso!
Mita: No, cara! la mia è dritta e giusta; la tua, torta e falsa.
Zio Simone: Non agitarti, non agitarti così, moglie mia! Te lo fanno apposta, non
vedi?, per farti arrabbiare! Và, và, dà ascolto a me! A casa! a casa!
Zia Croce: Ma guardatelo! Ma sentitelo! "Moglie mia!"
Tuzza: (a Mita) Hai ragione! Hai ragione! Hai saputo farla meglio di me! Tu
i fatti, e io le parole!
Mita: Parole? Non pare!
Zia Croce: Parole, parole, sì! Perché qua non cè linganno che pare!
Linganno è in te, che non pare!
Zio Simone: Oh insomma, la finiamo sì o no?
Zia Croce: Lo vedi? Per te cè tuo marito, ora, che ti ripara, ingannato!
Mentre mia figlia, no, suo zio non lo volle ingannare: gli si buttò ai piedi piangendo,
come Maria Maddalena!
Zio Simone: Questè vero! questè vero!
Zia Croce: Ecco, vedi? te lo dice lui stesso! lui chè la causa di tutto il
male, per potersi vantare davanti a te, davanti a tutto il paese...
Mita: E voi lo permetteste, zia Croce? Oh guarda! A costo dellonore di vostra
figlia? Ma linganno, sì, è proprio dove non pare: nelle ricchezze di mio marito,
di cui a costo della vostra stessa vergogna volevate appropriarvi!
Zio Simone: Basta! Basta! Basta! Invece di far codeste chiacchiere inutili e
accapigliarvi per non concludere nulla, cerchiamo di venire al rimedio, adesso, tutti
daccordo. Siamo in famiglia!
Zia Croce: Rimedio? Che rimedio volete che ci sia più, vecchio stolido? Siamo in
famiglia, dice! Il rimedio lo troverete voi, voi, a tutto il danno che avete fatto a mia
figlia per la soddisfazione che vi voleste prendere!
Zio Simone: Io? Io ho da pensare a mio figlio, adesso. Al vostro ci penserà suo
padre. Liolà non potrà negare in faccia a me che il figlio è suo .
Tuzza: Quale?
Zio Simone: (stordito dalla domanda che lo avrà colpito come una pugnalata a
tradimento) Che vuol dire, quale?
Mita: (subito) Ma il tuo, cara! Quale vuoi che sia? Io ho qua mio marito che
non può dubitare di me.
Zio Simone: Oh insomma, la finite tutte due, madre e figlia? Ora che mia
moglie ha voluto darmi questa consolazione non deve amareggiarsi il sangue con le vostre
parole. Lasciate che parli io con Liolà.
Si sente da lontano appressare a poco a poco il coro delle vendemmiatrici.
Tuzza: Ah no, basta! Non sarrischi a parlare per me! Guaj a
lei se lo fa!
Zio Simone: Tu te lo prenderai perché è giusto così. Lui solo potrà darti uno
stato, e fare che nasca legittimo il figlio che è suo. Vuol dire che, a persuaderlo,
penserò io, facendo ciò che il cuore mi detterà. Eccolo che viene. Lasciate parlare a
me.
Liolà ritorna con la ciurma, cantando a coro un canto di vendemmia. Appena sotto la tettoja, vedendo Mita e zio Simone, e le facce stravolte di zia Croce e di Tuzza, la ciurma che reca come in trionfo le ceste colme duva, si ferma e tronca il coro. Solo Liolà, come se non volesse accorgersi di nulla, séguita a cantare e a farsi avanti con la sua cesta per andare a vuotarla dalla finestra del palmento.
Zia Croce: (facendosi incontro) Basta, basta! Votate le
ceste, ragazze, e poi buttatele lì. Non ho più testa da badare a voi in questo momento.
Liolà: E perché? Chè avvenuto?
Zia Croce: (alle donne) Andate, andate, vi dico!Poi, se mai, vi richiamerò.
Zio Simone: Tu vieni qua, Liolà!
In fondo alla tettoja la Moscardina, Ciuzza, Luzza, Nela e le altre donne circondano Mita e le fanno un mondo di feste per la consolazione che ha dato a tutte. Tuzza le guata e si macera dentro; pian piano si tira indietro fino alla porta di casa e vi si caccia dentro.
Liolà: Vuole me? Eccomi qua.
Zio Simone: Cugina, venite qua anche voi.
Liolà: (con aria di comando) Zia Croce, sotto!
Zio Simone: Oggi è giorno segnato e devesser festa per tutti.
Liolà: Benissimo! E cantare. Non come dice zia Croce, che suono e canzoni sono
cose di vento. Se sono di vento, son cose mie; perché io e il vento, zio Simone, siamo
fratelli.
Zio Simone: Lo sappiamo, lo sappiamo tutti che sei sventato. Ora è tempo però di
metter giudizio, caro mio!
Liolà: Giudizio? Muojo.
Zio Simone: Stammi a sentire, Liolà. Prima di tutto, debbo darti parte e
consolazione che Dio finalmente ha voluto farmi la grazia -
Zia Croce: - senti, senti bene questa partecipazione, tu che non ne sai nulla! -
Zio Simone: - insomma, vho detto di lasciar parlare a me -
Liolà: - lo lasci parlare! -
Zia Croce: Eh sì, parlate, parlate... Ha voluto farvela Dio veramente, questa
grazia!
Zio Simone: Sissignora, la grazia che, dopo quattranni, mia moglie alla fine
sè decisa...
Liolà: Ah sì? davvero? sua moglie? le faccio a tamburo una poesia!
Zio Simone: Aspetta! Aspetta! Che poesia!
Liolà: Mi permetta che vada a farle il prosit almeno!
Zio Simone: Aspetta, ti dico, per lanima di...
Liolà: Oh, non sarrabbi! Deve sentirsi ai sette cieli, e sarrabbia? -
Via, lho qua sulla punta della lingua!
Zio Simone: Lascia stare, tho detto, la poesia, ché unaltra cosa tu
hai da fare qua, adesso.
Liolà: Io? Non so fare altro, io, zio Simone!
Zia Croce: Già... proprio... non sa far altro lui, poverino...
Gli saccosta, gli afferra un braccio e gli dice sotto sotto, tra i denti:
Due volte mhai rovinato la figlia, assassino!
Liolà: Io, la figlia? Osa dir questo, lei a me, davanti a zio Simone?
Glielha rovinata lui, due volte, la figlia, non io!
Zia Croce: No, no, tu! tu!
Liolà: Lui! Lui! zio Simone! Non scambiamo le carte in mano, zia Croce! Io venni
qua a domandare onestamente la mano di sua figlia, non potendo mai supporre...
Zia Croce: Ah, no? Dopo quello che avevi fatto con lei?
Liolà: Io? zio Simone!
Zia Croce: Zio Simone, già! Proprio zio Simone!
Liolà: Oh, parli lei, zio Simone! Vorreste negare, adesso, e gettare il figlio
addosso a me? Non facciamo scherzi! - Io ho tanto ringraziato Dio che mha
guardato desser preso nella rete, in cui, senza sospetto di nulla, ero venuto a
cacciarmi. - Alla larga, zio Simone! Che razza di vecchio è lei, si può sapere? Non le
bastava un figlio con sua nipote? Uno, anche con sua moglie? E che cosha in corpo?
Le fiamme dellinferno o il fuoco divino? il diavolo? il Mongibello? Dio ne scampi e
liberi ogni figlia di mamma!
Zia Croce: Eh già, proprio da lui, proprio da lui devono guardarsi le figlie di
mamma!
Zio Simone: Liolà, non farmi parlare! Non farmi fare, Liolà, ciò che non debbo e
non voglio fare! Vedi che tra me e mia nipote, non cè stato, né poteva esserci,
peccato! Cè stato solo che mi si buttò ai piedi pentita di ciò che aveva fatto
con te, confessandomi lo stato in cui si trovava. Mia moglie adesso sa tutto. E io sono
pronto a giurarti davanti a Gesù sacramentato e davanti a tutti, che mi son vantato a
torto del figlio che, in coscienza, è tuo!
Liolà: E intende, con questo, che io ora dovrei prendermi Tuzza?
Zio Simone: Te la puoi e te la devi prendere, Liolà, perché, comè vero Dio
e la Madonna Santissima, non è stata daltri che tua!
Liolà: Eh - eh - eh - come corre lei, caro zio Simone! - Volevo, sì, prima. Per
coscienza, non per altro. Sapevo che, sposando lei, tutte le canzoni mi sarebbero morte
nel cuore. Tuzza allora non mi volle. - La botte piena e la moglie ubriaca? Zio
Simone, zia Croce, le due cose insieme non si possono avere! - Ora che il giuoco vè
fallito? - No no, ringrazio, signori! ringrazio.
Si piglia per mano due dei ragazzi.
Andiamo, andiamo via, ragazzi!
Savvia, poi torna indietro.
Posso farmi di coscienza: questo sì. Gira e volta, vedo che qua
cè un figlio di più. Bene, non ho difficoltà. Crescerà il da fare a mia madre.
Il figlio, lo dica pure a Tuzza, zia Croce, se me lo vuol dare, me lo piglio!
Tuzza: (che se nè stata tutta aggruppata in disparte, schizzando fuoco
dagli occhi, a questultime parole si lancia contro Liolà con un coltello in mano)
Ah sì, il figlio? Pìgliati questa, invece!
Tutti gridano, levando le mani e accorrendo a trattenerla. Mita si sente mancare ed è sorretta e subito confortata da zio Simone.
Liolà: (pronto ha ghermito il braccio di Tuzza, e con laltra mano le batte sopra le dita fino a farle cadere il coltello a terra, ride e rassicura tutti, che non è stato nulla) Nulla, nulla... non è stato nulla...
Appena a Tuzza cade il coltello, subito vi mette il piede sopra, e dice di nuovo con una gran risata:
Nulla!
Si china a baciare la testa duno dei tre bambini; poi, guardandosi nel petto un filo di sangue.
Uno sgraffietto, di striscio...
Vi passa sopra il dito e poi va a passarlo sulle labbra di Tuzza.
Eccoti qua, assaggia! - Dolce, eh? -
Alle donne che la trattengono:
Lasciatela!
La guarda; poi guarda i tre bambini, pone le mani sulle loro testoline, e dice, rivolto a Tuzza:
Non piangere! Non ti rammaricare! Quando ti nascerà, dammelo pure. Tre, e uno quattro! Glinsegno a cantare.
Fine della Commedia.
© 1998 - by prof. Giuseppe Bonghi
E-mail: - bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 21 September, 1998