Luigi Pirandello
L'esclusa
Parte II
- Quando, quando ritornerai? - le
domandò con fuoco l'Alvignani stringendola forte tra le braccia, su la scala.
Si lasciò stringere, senza rispondere:
inerte, come insensata. A volere parlare, non avrebbe trovato la voce. Ritornare? Ma ora
lei non avrebbe più voluto andar via; non già per non sciogliersi da quelle braccia, ma
perché lì ormai si sentiva come giunta al suo fine, piombata nel suo fondo, dove tutti,
tutti, la avevano spinta, quasi a furia d'urtoni alle terga, e precipitata. Come
ritrarsene? come ritornare più indietro? come riprendere più la lotta oramai? Era
finita! Dove tutti avevano voluto ch'ella arrivasse, era arrivata. Ed egli che
l'aspettava, se l'era presa; era venuto a prendersela, così, semplicemente, come se tutte
le ingiustizie da lei patite gli avessero creato questo diritto su lei. Ecco perché
subito, fin dal primo vederlo, non aveva potuto resistergli e si era trovata senza
volontà davanti a lui così sicuro. Senza volontà! Questa era la sua più forte
impressione.
- Mia... mia... mia... - insisteva
l'Alvignani, stringendola vie più forte.
Sì; sua! Cosa sua. Cosa data a lui.
Non intendendo quell'abbandono, o
piuttosto, interpretandolo altrimenti, egli, com'ebbro, si chinò a sussurrarle
all'orecchio di trattenersi, di trattenersi ancora un poco...
- No, vado, - diss'ella, riscotendosi
improvvisamente e quasi sguizzandogli dalle braccia.
Egli le prese una mano:
- Quando ritornerai?
- Ti scriverò...
E andò via. Appena sola per quella stessa
strada, percorsa un'ora avanti accanto a lui, si sentì come riassalita dai proprii
sentimenti, smarriti lungo l'andare, come se si fossero posti in agguato, aspettando il
ritorno di lei su i proprii passi.
Si voltò a guardare, quasi sgomenta, la
via da cui era uscita; poi prese ad andare in giù, frettolosa, con la mente scombujata.
E, andando, chiamava in soccorso, a raccolta, ragioni, scuse che sostenessero di fronte a
lei stessa il concetto della propria onestà, quasi per farsene forte contro colui che
così improvvisamente gliel'aveva tolta, e per sottrarsi nello stesso tempo all'idea che
l'avviliva e la schiacciava, di essere stata tratta, cioè, quasi passivamente, a quella
stessa colpa, di cui - innocente - era stata accusata. Volle costringersi a vedere,
proprio, a sentire, ad assaporare in quella sua subitanea caduta, che la sconvolgeva, una
vendetta voluta da lei, la vendetta della sua antica innocenza, contro tutti.
Alla vista del Collegio alla sua destra,
riuscì con uno sforzo a risollevare lo spirito. Rientrava ora in quel tratto del Corso
per cui era solita di passare ogni giorno. Rallentò il passo, proseguì più calma e più
sicura, come se veramente si fosse lasciata dietro le spalle la colpa, solo perché la
gente, ora, vedendola, poteva pensare: «Ella torna dal Collegio». Tuttavia si sentiva
ancora addosso qualcosa d'indefinibile, che avrebbe potuto tradirla, se qualcuno avesse
respirato molto vicino a lei, guardandola e parlandole. Procurò di sottrarsi alla
molestia di questa sensazione, guardando le note insegne delle botteghe, i noti volti di
quelli ch'era solita d'incontrare ogni giorno. La colse a un tratto il timore che,
parlando, le avrebbe tremato la voce; e subito le venne alle labbra questo sospiro: - Ah,
che stanchezza! -. Pronunziò le parole tenendo attentissimo l'udito, ma come se esse
esprimessero veramente quel che sentiva, e non fossero una prova immediata, suggerita dal
timore improvvisamente concepito. Era la sua voce consueta, sì; ma le parve come non
uscita dalla propria bocca, o come se lei stessa avesse voluto imitarla.
Notò con sollievo che nulla di nuovo era
avvenuto nella vita di tutti i giorni per quella strada, che tutto insomma era come prima,
e volle costringersi ad accordarsi anche lei alla uniformità consueta dei comuni casi
giornalieri. Ecco, passava adesso sotto Porta Nuova, come jeri, come l'altro jeri. E man
mano che s'appressava a casa, sentiva, per forza di riflessione e di volontà, crescere la
calma.
Maria era al terrazzo e, guardando di tra
i vasi dei fiori imbasati in fila su la balaustrata, scorse giù nella via la sorella.
Marta le fe' cenno con la mano, e Maria sorrise. Nulla di nuovo, neppure in casa.
- Come... più presto oggi? - le domandò
la madre.
- Più presto? Sì... ho tralasciato una
lezione particolare... Mi faceva un po' male il capo.
Diceva la verità. La voce, ferma. Si
rammentava del mal di capo a proposito. Sorrise alla madre e aggiunse:
- Vado a svestirmi. Maria è sul
terrazzo... L'ho vista dalla strada...
Sola, in camera, si stupì della propria
calma, come se non se la fosse imposta lei stessa, a forza; si stupì di saper fingere
così bene; e lo stupore era quasi soddisfazione. Si mostrò allegra quel giorno, come la
madre e la sorella non la vedevano più da molto tempo.
Venuta la sera però s'accorse che non
tanto per gli altri aveva bisogno di fingere, quanto per sé. Subito, per non badare alla
propria inquietudine, per non restar sola con sé, trasse dal cassetto i còmpiti
scolastici da correggere, come soleva ogni sera, tolse in mano la matita per segnare gli
errori, e si mise a leggere, concentrando sul primo scritto tutta l'attenzione. Lo sforzo
fu vano: una gran confusione le si fece nel cervello. Non poté rimanere seduta, e andò
ad appoggiare la fronte che le scottava su i vetri gelidi del balcone.
Lì, con gli occhi chiusi, volle rifarsi
lucidamente i minimi particolari della giornata. Ma la lucidezza dello spirito le
s'intorbidava anche adesso, ricordando la passeggiata con l'Alvignani fino alla casa di
lui. Egli abitava lassù, e la aveva trascinata, ignara, fino a casa sua! Avrebbe dovuto
sciogliersi da lui, pervenuta lassù all'angolo della via. Ma come? se non aveva saputo
proferire neanche una parola? Rivide la corte piena di colombi; la scala scoperta. Ecco:
se la scala non fosse stata così scoperta, forse non sarebbe salita... Ah, sì: certo! Le
si riaffacciò alla mente lo spettacolo dell'ampia chiostra dei monti. Poi provò una
strana impressione, suscitata dal ricordo d'aver cercato con gli occhi, dal terrazzo
dell'Alvignani, il tetto della propria casa presso il Duomo: le parve di trovarsi ancora a
guardare da quel terrazzo e di vedersi com'era adesso, lì, nella sua camera, con la
fronte su i vetri del balcone.
- Tutti l'hanno voluto... - mormorò tra
sé, duramente, per ricacciar la commozione che già le stringeva la gola. - Gli
scriverò, - aggiunse, aggrottando le ciglia; poi, con repentino mutamento d'animo,
scrollando le spalle, terminò: - Ormai! Così doveva finire...
E scrisse una lunga lettera che s'aggirava
tutta, smaniosamente, su queste due frasi: «Che ho fatto?» e «Che farò?». Il rimorso
della subitanea caduta vi si mostrava in uno slancio aggressivo di passione, nella frase
appositamente ripetuta e sottolineata: «Ora sono tua!» quasi per fargli paura.
«Andando in sù, accanto a te, io non
sospettavo... Avresti dovuto dirmelo: non sarei venuta. Quanto, quanto sarebbe stato
meglio per me e per te! Se tu sapessi quel che ho sofferto al ritorno, sola; come soffro
adesso, qui, tra mia madre e mia sorella! E domani? Io mi trovo sbalzata fuori d'ogni
traccia di vita, e non so come farò, quel che avverrà di me. Sono il sostegno unico di
due povere donne; e io stessa sono senza guida, perduta... Senti com'è amaro il frutto
del nostro amore? Tanti e tanti pensieri v'infiltrano questo veleno. Ma com'è possibile
non pensare, nella mia condizione? Tu sei libero: io no! La libertà delle anime, che tu
dici, si riduce a un supplizio per il corpo incatenato...»
La lettera terminava improvvisamente,
quasi strozzata dalla mancanza di spazio, a piè del foglietto. «Bisogna che ci
rivediamo. Ti avviserò quando... Addio.»
Parte II
- Oh, mia cara, quando io dico: «La
coscienza non me lo permette», io dico: «Gli altri non me lo permettono, il mondo non me
lo permette». La mia coscienza! Che cosa credi che sia questa coscienza? È la gente in
me, mia cara! Essa mi ripete ciò che gli altri le dicono. Orbene, senti: onestissimamente
la mia coscienza mi permette d'amarti. Tu interroga la tua, e vedrai che gli altri t'hanno
ben permesso di amarmi, sì, come tu stessa hai detto, per tutto quello che t'hanno fatto
soffrire ingiustamente.
Così sofisticava l'Alvignani per
ammansare gli scrupoli, i rimorsi e la paura di Marta, e spesso ripeteva sott'altra forma
il ragionamento, perché apparisse più chiaro e più convincente anche a lui, e la
crescente foga delle parole stordisse anche i suoi scrupoli, i suoi rimorsi e la paura non
manifestati né apertamente né segretamente ancora a se stesso.
Marta ascoltava in silenzio, pendeva dalle
labbra di lui, si lasciava avvolgere da quel linguaggio caldo e colorito, persuasa a
credere, non convinta. Purtroppo sapeva quanto le costasse quel venire di furto in casa di
lui, e che tortura al Collegio, e che smanie, che angoscia, le notti! Certo quello
smarrimento, in cui si agitavano dissociati tutti i suoi pensieri, tutti i suoi
sentimenti, la avrebbe tradita, un giorno o l'altro. Avrebbe voluto essere sicura del
domani. Sicura di che? Non avrebbe saputo dirlo a se stessa; ma sentiva che non era
possibile durare a lungo in quello stato, protrarre quell'esistenza. Non trovava più
luogo ove stare in pace un momento: nella propria casa, la menzogna; nel Collegio, la
tortura; nella casa di lui, il rimorso e la paura. Dove fuggire? che fare?
Andava dall'Alvignani unicamente per
sentirlo parlare, per sentirsi dire ciò che, pensando tra sé, avrebbe voluto credere:
che ella non era stata vinta; che quell'uomo non s'era impadronito di lei per violenza
altrui; ma che ella lo aveva voluto, e ormai doveva starci, poiché gli s'era data.
L'anima ne soffriva, smaniosamente, e soltanto nelle parole di lui riposava un poco.
- Se tu amassi più, penseresti meno, - le
diceva lui. - Bisogna dimenticare tutto nell'amore.
- Ma io non vorrei pensare! - diceva
Marta, con stizza.
- Vedi, io penso questo soltanto; che tu
sei mia e che noi dobbiamo amarci. Guardami negli occhi: mi ami tu?
Marta lo guardava un po', poi abbassava
gli occhi, le guance le s'invermigliavano e rispondeva:
- Non sarei qui...
- E allora? - le domandava egli e le
prendeva una mano e la attirava a sé.
Non reluttava: si abbandonava vergognosa e
tremante alla carezza; poi fuggiva, credendo, al destarsi dal momentaneo oblio, che si
fosse trattenuta troppo da lui.
Egli intanto non rimaneva più su l'ultimo
gradino della scala, fin dove soleva accompagnarla, insoddisfatto e affascinato, come il
primo giorno. Ora, appena ella svoltava per l'androne, mandandogli con la mano un ultimo
triste saluto, traeva spontaneamente un sospiro, come se provasse sollievo, o forse per
pietà di lei, e risaliva lentamente la scala, pensieroso.
Svaniva così a poco a poco il primo
stupore quasi di sogno, il primo turbamento cagionatogli dalla vista di Marta e dalla
insperata facilità con cui il suo improvviso ardentissimo desiderio s'era effettuato. Ora
si rendeva conto del perché e del come fosse riuscito così d'un tratto ad averla; si
rendeva conto dei sentimenti di Marta per lui. No; ella non lo amava: non gli si era
abbandonata per virtù d'amore. Forse in altre condizioni, sì, lo avrebbe amato; non ora
che, nello scompiglio dell'improvvisa caduta, s'aggrappava a lui come un naufrago
s'aggrappa ad un altro, senza probabilità di scampo, disperatamente.
- Come uscirne?
- «Vorrà venire con me a Roma?» pensava
l'Alvignani.
Lui, certo, ne sarebbe stato contento. Ma,
e la madre? la sorella? Insieme con lei? Nessuna difficoltà, da parte sua. Ma come
proporglielo? Ella si mostrava così altera... e certo non avrebbe voluto piegarsi alla
condizione ch'egli poteva offrirle. Questa, e non altra. Che cosa infatti avrebbe potuto
fare per lei? Era pronto a tutto: aspettava un cenno.
Così pensando, l'Alvignani credeva
proprio di non aver nulla a rimproverarsi.
- Ti stanco, è vero? - gli domandava lei
amaramente. - Tu pensi a partire...
- Ma no, Marta! Da che lo argomenti? Mi
giudichi male... Tranne che tu non voglia venire con me...
- Con te? Se fossi sola! Vedi intanto che
è vero che tu pensi a partire?
Gregorio si stringeva nelle spalle.
Sospirava.
- Se non vuoi capire ciò che ti dico!
Sono qui, con te, fino a che tu non avrai preso una decisione per il nostro avvenire.
Vorrei soltanto farti contenta. Non penso ad altro...
- E come? come? Se sapessi!
- Lo so; t'intendo. Ma vedi che per me non
manca?
Sì; e Marta doveva convenirne. Ma che
poteva volere, lei? Aveva ognuno davanti a sé una via, o triste o lieta; lei sola, no;
lei sola non sapeva ciò che le restasse da fare.
Ormai da circa due mesi si trascinava
così la loro relazione, aduggiata, intristita dall'ombra della colpa che la coscienza di
lei continuamente vi projettava. Invano egli aveva tentato di rimuovere, di scuotere
quest'ombra con le sue parole appassionate. Ora ne soffriva in silenzio l'oppressione,
accrescendo il peso della comune tristezza con la propria inerzia, per renderla a entrambi
alla fine insopportabile.
- Tocca a te decidere. Io te l'ho detto:
sono pronto a tutto.
Partirsene, tornarsene a Roma, adducendo
per lettera una scusa qualsiasi: l'improvviso richiamo per qualche urgente affare
professionale? Così ella avrebbe forse trovato un po' di calma; e, nella calma, qualche
decisione. No: dopo matura riflessione, aveva scartato questo partito come troppo
violento. Sarebbe stato forse meglio proporle apertamente di finirla: non per lui; per lei
che già ne soffriva tanto. Ma anche questo partito fu respinto da Gregorio Alvignani in
previsione di qualche scena disgustosa. Meglio aspettare che a tal passo fosse venuta lei,
da sé.
Sopraggiunse intanto una notizia inattesa
che sconvolse in diverso modo Marta e l'Alvignani. Anna Veronica annunziò in una lunga
lettera che Rocco Pentàgora, gravemente ammalato di tifo, si trovava, per giudizio dei
medici, a un caso di morte.
Marta allibì nel leggere questa lettera
che le giungeva come immediata, odiosa risposta ai voti disperati delle sue notti insonni,
voti che la coscienza intimamente disapprovava, poiché ella ormai non si riconosceva più
alcun diritto di sperare su la morte del marito. Eppure, quante volte, dibattendosi sul
letto, non aveva pregato:
- Dio, morisse!
Moriva... ecco. Era per morire davvero.
In preda a una vivissima agitazione, si
recò a comunicare la notizia all'Alvignani.
Questi resta perplesso a guardare Marta
che lo spiava acutamente. Si guardarono un tratto, ed egli ebbe quasi l'impressione che il
silenzio della stanza attendesse una sua parola, come se la morte fosse entrata e sfidasse
il loro amore a parlare.
Parte II
- A Palermo? Come mai!
E Gregorio Alvignani si fermò davanti al
professor Luca Blandino, il quale andava al solito con gli occhi semichiusi, assorto nei
suoi pensieri, col bastone sotto il braccio, le mani dietro la schiena e il lungo sigaro
addormentato su la barba.
- Oh, bello mio! - fece il Blandino,
guardando l'Alvignani senza alcuna sorpresa, come se già fosse stato in compagnia di lui
un'ora avanti. - Alza, alza un po' il mento: così... Quanto?
- Che cosa? - domandò ridendo Gregorio.
- Codesti colletti, a quanto l'uno? Troppo
alti per me... Perché ridi, birbante? Mi minchioni? Voglio comperarmene tre. Vieni,
ajutami. Debbo fare una visita, e così come sono non potrei presentarmi. Arrivo adesso...
Prese il braccio dell'Alvignani che rideva
ancora, e s'avviò con lui.
- Oh, a proposito! E tu che fai qui?
- A proposito di che? - gli domandò
Gregorio Alvignani rimettendosi a ridere.
- Nulla, nulla... per saperlo, - rispose
il Blandino, diventando a un tratto serio e corrugando le ciglia.
- La Camera è chiusa... - disse
l'Alvignani.
- Lo so... E tu perché sei qui? Non
vorrei fare un altro pasticcio... Dimmi la verità.
- Che pasticcio? - domandò Gregorio,
divenuto serio anche lui e sforzandosi di comprendere.
- Ora ti dirò... Entriamo qui, - rispose
il Blandino, cacciandosi in un negozio di biancheria. - Compro i colletti.
- Ho tenuto una conferenza
all'Università... Fra qualche giorno riparto...
- Per Roma?
- Per Roma.
- Colletti! - ordinò il Blandino al
giovine di negozio. - Così, guardi... come questi dell'amico mio, un po' più bassi.
Fatta la compera, Gregorio Alvignani
propose al Blandino di andare a casa sua (Marta quel giorno non sarebbe venuta) - e si
misero in vettura.
- Spiegami adesso il pasticcio.
- Ah, già! Dunque, una conferenza? E
riparti subito?
- Spero...
- Avrei preferito non trovarti qua.
- E perché?
L'Alvignani credette di comprendere;
tuttavia simulò un'aria tra smarrita e sorpresa. Un lieve sorriso gli si delineò su le
labbra.
Da questo sorriso il Blandino, se fosse
stato un osservatore più acuto, si sarebbe accorto che l'Alvignani s'era già messo in
guardia.
- Perché? Perché mi dà sospetto la tua
presenza qua.
- Oh sta' a vedere ch'io non debbo più
venire a Palermo! E tu perché ci sei venuto? E, di grazia, che sospetto?
- Non m'hai capito? - domandò il
Blandino, guardandolo fiso.
- Non t'ho capito... cioè, suppongo che
tu non voglia alludere... Sì? Ah sì? Ancora? Caro mio: acqua passata...
- Parola d'onore?
Gregorio Alvignani scoppiò di nuovo a
ridere, poi disse:
- Sai la nuova? Tu diventi più stolido di
giorno in giorno.
- Hai ragione! - confermò con molta
serietà Luca Blandino, scrollando il capo e chiudendo gli occhi. - Oggi più smemorato e
più balordo di ieri. Non posso più insegnare: non ricordo più nulla... Ottanta, ottanta
e ottanta: due lire e quaranta, è vero? Aspetta, credo che ci sia errore. Tre colletti,
è vero? Due lire e quaranta... ladri! Quanto mi hanno restituito? No, no - è giusto:
quaranta e sessanta, cento - tre lire giuste. Benissimo. Dunque, dicevamo?
- Quanti anni di servizio hai da fare
ancora per avere la pensione? - gli domandò Gregorio Alvignani.
- Molti. Non ne parliamo, ti prego, -
rispose il Blandino. - Si tratta adesso di riconciliare Rocco Pentàgora e la moglie.
Gregorio Alvignani credette dapprima di
non aver bene inteso e impallidì. Il sorrisetto motteggiatore gli rimase tuttavia su le
labbra.
- Ah sì? Come mai? Dopo...
S'interruppe: notò che la voce non era
ben ferma.
- Sono venuto per questo, - aggiunse il
Blandino, studiandolo. - Perciò ti dicevo che avrei preferito non trovarti qua.
- E che c'entro io? - fece l'Alvignani con
aria stupita.
- Sta' zitto, sta' zitto che c'entri, -
esclamò sospirando il Blandino. - Ma non se ne parli più... bisogna pensare alla
riconciliazione, adesso.
- Sei sicuro che si farà? - domandò
l'Alvignani, simulando una perfetta ingenuità.
- Speriamo... Perché no? Il marito la
rivuole.
- S'è persuaso finalmente? - aggiunse
Gregorio Alvignani con indifferenza.
Proseguirono in silenzio.
- Vetturino, di qua: via Cuba, al primo
portone, - ordinò finalmente l'Alvignani.
Poco dopo, entrati nell'ampia stanza in
cui si apriva il balcone dalla balaustrata a pilastrini, ripresero la conversazione.
- Sei davvero incorreggibile! - esclamò,
ridendo, Gregorio. - Vuoi proprio pigliarti tutte le gatte a pelare?
- Eh, lo so! Ma che vuoi farci? È il mio
destino. Tutti ricorrono a me. Non so dire di no, e... Questa volta però... Sai che quel
povero ragazzo si è ammalato? È stato proprio per morire.
- Il Pentàgora? Davvero?
- Lui, Rocco; eh sì, di tifo... Io abito,
non so se lo sai, nella stessa sua casa. M'ha fatto chiamare... Poverino, s'è ridotto
pelle e ossa: che non si riconosce più. «Professore,» dice, «lei deve ajutarmi... Le
lettere non servono a nulla... Lei deve andare dalla madre di Marta; le dica come m'ha
veduto. Io rivoglio Marta, la rivoglio!...» E così, siamo qua, caro Gregorio! Speriamo
di metter fine a questa storia disgraziata per tutti.
- Sì, sì... - affermò l'Alvignani,
passeggiando per la stanza. - È il meglio che si possa fare, senza dubbio.
- Non è vero?
- Sì. Sarebbe stato meglio che nulla
purtroppo fosse accaduto, come nulla doveva accadere. Te lo dissi già una volta,
rammenti? quando avesti il coraggio di comparirmi davanti come testimonio del Pentàgora.
Egli agì allora proprio da ragazzo; volle provocarmi; io non potei più evitare il
secondo scandalo del duello. Prevedevo fin d'allora questa soluzione. Ci è voluto forse
troppo tempo. Basta: a ogni modo, ora egli ripara; fa bene.
- Ma sai che lui, il marito, - disse il
Blandino, - ha tentato altre volte, dopo la morte di Francesco Ajala, di riconciliarsi?
Non ha voluto saperne lei...
- Troppo tardi o troppo presto, forse, -
osservò l'Alvignani. - Perché bisogna compatire anche la moglie, mi pare! Non dovrei
dirlo io; ma resti tra noi; tanto, ormai tutto è finito, o sarà tra breve. L'hanno
infamata! Se qualche colpa... cioè, colpa... non diciamo colpa! errore, lievissimo errore
c'è stato, l'ho commesso io, e me ne sono pentito amaramente; me ne pento tuttora. Un
momento d'aberrazione, lo confesso: la vicinanza, la simpatia vivissima... la mia vita
chiusa, sepolta nel lavoro... un momento, insomma, di cordiale, irresistibile espansione,
ecco! Sarei presto rientrato in me, mercé l'onestà di lei, se tutt'a un tratto, con una
leggerezza incredibile da parte del marito, non fosse avvenuto quel che è avvenuto. Ah!
Non bisogna trattenersi mai tanto nel sogno, caro mio, che l'urto della realtà
sopravvenga! Quante volte non me lo sono ripetuto... Questo per dimostrarti che se lui, il
marito, per disgrazia, fosse morto, avrei subito riparato io al male che da ogni parte è
piombato su la povera signora. Tu mi conosci: non son uomo d'avventure, io! Tu stesso
m'hai scritto una volta per lei una lettera un po' troppo vivace, ti rammenti? Non me ne
sono avuto a male. Ho fatto subito per la signora quanto m'è stato possibile: poco,
purtroppo, in considerazione della jattura; ma tutto il possibile. Ora mi dài una
consolante notizia. Le si renderà giustizia interamente davanti alla società. Ecco
quello che bisognerà farle intendere... Sì, perché ella, m'immagino, non sarà molto
ben disposta a rispondere adesso al pentimento del marito. Siamo giusti! Ha troppo
sofferto, poverina. La proposta, vedi, io credo che tu debba presentarla da questo lato,
per riuscire! E ci vuole efficacia, calore... non mancherà a te! È proprio la via
d'uscita, la riparazione vera per lei, la prova, il riconoscimento dell'innocenza da parte
di chi l'aveva accusata e condannata a occhi chiusi! Non ti pare? Questo, questo devi
sostenere davanti a lei!
- Sì, sì... - approvò distratto il
Blandino. - Lascia fare a me...
- Non ti pare? - ripeté l'Alvignani,
assorto ancora nel suo ragionamento, come se specialmente lo volesse persuadere a se
stesso. - È proprio la fine desiderata, la vera, la giusta, la più naturale, del resto,
di questa tristissima storia. Non puoi credere, caro amico, quanto ne sia contento... Tu
m'intendi: mi pesava su la coscienza enormemente questa condizione di cose fatta per mio
incentivo a una donna, senz'alcuna ragione. Saperla, povera signora, così sbalestrata,
ancora giovane, bella, esposta alla malignità della gente... era, credi, per me, un
rimorso continuo... Te ne vai?
- Sì, me ne vado, - rispose il Blandino,
che già s'era alzato.
- Vediamoci stasera... vorrei sapere...
Ceneremo insieme?
Si diedero convegno, e Luca Blandino andò
via. Poco dopo, Gregorio Alvignani, aprendo l'uscio della camera da letto quasi al bujo,
si sentì sul volto queste due parole, come due schiaffi:
- Vile! vile!
Diede un balzo indietro:
- Tu qua, Marta!
E richiuse subito l'uscio.
Parte II
- Qua. Ho inteso tutto, - riprese
Marta, vibrante di sdegno.
- E che ho detto io? - balbettò Gregorio
Alvignani quasi tra sé.
- Mi sono tenuta le mani per non aprire,
per non entrare a smascherarti davanti a quell'imbecille! Di qui stesso avrei voluto
gridargli: «Non gli creda! Io sono qua, in casa sua!».
- Marta! Sei impazzita? - gridò Gregorio.
- Che volevi che dicessi? Son io forse cagione, se egli è venuto a parlarmi di tuo
marito?
- E t'ha chiesto forse che gl'insegnassi
il miglior modo di prendermi al laccio, di presentarmi la proposta? Ah, ne sei contento?
Davvero?
- Io? Ebbene, sì; per te!
- Per me? E quale altra viltà vorresti
farmi commettere adesso? Per me, dici? E che sono diventata io? Ora che ti sei stancato,
di' un po', vorresti respingermi nelle braccia di mio marito?
- No, no! Se tu non vuoi! - negò forte
Gregorio.
- Voglia o non voglia: è forse più
possibile, ora, dopo quello che è avvenuto fra te e me? Hai potuto sperarlo,
rallegrartene? Dio! Che hanno fatto di me... Che sono divenuta io? Mi hai aspettata; ci
sono venuta, qua, in casa tua, coi miei piedi; e, ora che mi hai avuta, me ne posso pure
andare da quell'altro?
- Come sospetti bassamente di me! -
esclamò l'Alvignani, avvilito.
- Ah, io di te? E tu di me che pensi, se
hai potuto sperare che... Ma non sai il peggio ancora! Ah, la mia testa... la mia povera
testa...
E Marta si premette forte le tempie con le
mani che le tremavano.
- Il peggio? - fece Gregorio Alvignani.
- Sì, sì: per me non c'è più scampo,
ormai. Sappilo! La morte sola.
- Che dici?
- Sono perduta! M'hai perduta... Sono
venuta apposta per dirtelo.
- Perduta? Che dici? Spiègati!
- Perduta: non capisci? - gridò Marta. -
Perduta... perduta...
Gregorio Alvignani restò come basito,
guardando fisso, con terrore, Marta, e balbettò:
- Ne sei certa?
- Certa, certa... Come ingannarmi? rispose
Marta, lasciandosi cadere su una seggiola. - Sono venuta per dirti questo. Come
nasconderò a mia madre, a mia sorella il mio stato? Se ne accorgeranno... No, no: prima
morire! Per forza io ora debbo morire. Non mi resta più altro.
- Che sbaraglio! - mormorò l'Alvignani
annichilito, coprendosi la faccia con le mani.
- Che riparo? che rimedio? - fece Marta
disperatamente, tra le lagrime.
- Non piangere così! Cerchiamo insieme...
- Ah, tu, per te, lo so: per te, l'avevi
trovata la via d'uscita!
- Per me? Come? No... no... Non
rimproverarmi ancora... Come potevo supporre? Perdonami! Senti: corro a raggiungere il
Blandino. Gli dirò che... la verità!... Che non si occupi più...
- Come! E poi?
- Tu verrai con me...
- Daccapo? Vuoi straziarmi l'anima
inutilmente? O me lo dici perché sai che non posso volerlo?
- E dàlli con la diffidenza! Marta,
perdio, non vedi che il mio dolore è sincero? Non puoi volerlo: ma tu devi, adesso! Che
vuoi fare?
- Non lo so... non lo so... Venire con te,
sì, io sì, potrei ormai: sono perduta... Ma la mamma? mia sorella? Sai che vivono di me.
Posso trascinarle nell'obbrobrio? Non intendi questo? Non sai chi è mia madre?
- E allora? - domandò Gregorio con voce
irritata, cercando di rialzarsi dall'avvilimento con la forza della ragione. - Non intendi
che non c'è più altro scampo? O con me, o con lui, con tuo marito!
Marta si levò in piedi, alteramente.
- No! - disse. - Quest'ultima viltà, no!
non la commetterò mai!
- E allora? - ripeté Gregorio.
Dopo un momento di silenzio, riprese:
- Con me, no; con lui, neppure; mentre
egli te ne offre l'occasione, provvidenzialmente... Lasciami dire! Pensa: non hai il
coraggio di venire con me... per tua madre e per tua sorella, è vero? Sta bene. Come
ripari allora? O ti sacrifichi tu per loro, riunendoti con tuo marito, o si sacrifichino
loro per te, e tu vieni con me. Ma dimmi: hai forse cercato tu, adesso, il riparo che ti
si offre? No. Egli, tuo marito, viene a offrirtelo, spontaneamente.
- Sì, - oppose Marta. - Ma perché?
perché mi sa senza colpa, com'ero prima, e perché è pentito d'avermi punita
ingiustamente.
- E non t'ha punita davvero ingiustamente?
- Sì.
- E dunque? Perché hai quasi l'aria di
difenderlo adesso?
- Io? Chi lo difende? - gridò Marta. - Ma
non posso più accusarlo ora, capisci?
- Ora accusi me, invece...
- Ma te, me stessa, tutti, la mia sorte
infame... - seguitò Marta.
Gregorio Alvignani si strinse nelle
spalle.
- Ti stendo la mano... la respingi... Hai
pure ascoltato ciò che ho detto di là al Blandino. Se tuo marito fosse morto, t'avrei
fatta mia... Qual'altra prova potrei darti dell'onestà delle mie intenzioni? Ma tu vuoi
per forza vedere in me uno... uno che si sia approfittato della tua sciagura! Ebbene, no!
io non sono quello che tu mi stimi. Sono pronto, ora come sempre, a fare per te tutto
quello che vorrai... Che altro posso dirti? Perché m'accusi?
- Me sola accuso, - disse Marta,
cupamente. - Me sola, che sono diventata la tua amante...
L'Alvignani, a questa parola, ebbe uno
scatto improvviso; s'accostò a Marta, la prese per le braccia.
- La mia amante? No, cara! Ah, se io
vedessi in te, nei tuoi occhi, un po' d'amore! Andrei da tuo marito; gli direi: «Tu l'hai
scacciata senza colpa, infamata senza ragione, rovinata, perché io l'amavo? e ora che lei
mi ama, tu la rivorresti? Ebbene, no! ora ella è mia, mia per sempre, tutta mia: uno di
noi due è di troppo!». Ma tu mi ami? No... La mia amante, no! E ben per questo ho potuto
accogliere con piacere la proposta inaspettata di una riconciliazione con tuo marito. Ho
pensato che tu non potevi durare più oltre nella condizione che io t'avevo fatta,
insopportabile per te che non mi amavi, non per me che ti amo, intendilo! Tu non mi hai
mai amato: non hai amato nessuno, mai! o per difetto tuo, o per colpa d'altri; non so. Tu
stessa l'hai detto: ti sei sentita spinta da tutti nelle mie braccia... E ora, vedi, vedi,
sarebbe questa la vera vendetta, questa; e se io fossi in te, non esiterei un solo minuto!
Pensaci! Innocente, ti hanno punita, scacciata, infamata; e ora che tu, spinta da tutti,
perseguitata, non per tua passione, non per tua volontà, hai commesso il fallo - per te
è tale! - il fallo di cui t'accusarono innocente, ora ti riprendono, ora ti rivogliono!
Vacci! Li avrai puniti tutti quanti, come si meritavano!
Lo sdegno eloquente, impetuoso
dell'oratore stordì Marta lì per lì. Rimase un tratto a guardarlo, poi gli occhi le
andarono alla finestra della camera e avvertirono subito l'ombra sopravvenuta. Balzò in
piedi.
- Già sera? E come faccio? È bujo... Oh
Dio, e che dirò a casa? Che scusa troverò?
- Quel che bisogna trovare è il rimedio,
- disse l'Alvignani, cupo, non badando alla costernazione di Marta per l'ora tarda. -
Pensa, pensa a ciò che t'ho detto!
- Tu ragioni, - sospirò Marta, - tu puoi
ragionare... io... Lasciami, lasciami andare, ora... debbo andare... è già sera...
- T'aspetto qui, domani - le disse
l'Alvignani. - Qualunque cosa tu decida, sappilo: pronto a tutto. Addio! Aspetta... i
capelli... rasséttati un po' i capelli almeno...
- No, no... ecco, così... Addio!
Marta scappò via stropicciandosi gli
occhi, ravviandosi i capelli, pensando alla scusa da addurre per il grande ritardo con cui
rincasava.
Allo svolto della via, nella
semioscurità, si trovò improvvisamente di fronte Matteo Falcone.
- Di dove viene?
- Lei! Che vuole da me?
- Di dove viene? - ripeté il Falcone,
quasi sul volto di Marta.
- Mi lasci passare! Chi le dà il diritto
d'insolentire la gente per istrada? Fa la spia?
- Io la svergogno! - ruggì tra i denti il
Falcone.
- Villano! Si approfitta d'una donna sola?
- Di dove viene? - fece ancora una volta
il Falcone, fuori di sé dalla gelosia, tentando di ghermire un braccio di Marta.
- Mi lasci, villano! o grido!
- Gridi, lo faccia venir giù! Sono così,
ma ho polsi, perdio, da storcergli il collo come a un galletto! È quel biondo mingherlino
dell'altra volta?
- Sì, mio marito! - fece Marta. - Vada a
trovarlo!
- Suo marito? Come! Quello è suo marito?
- esclamò il Falcone, interdetto, stordito.
- Mi si tolga dai piedi... Non ho da
rispondere a lei...
Marta prese la via precipitosamente,
seguita dal Falcone.
- È suo marito? Senta... senta... Mi
perdoni....
- Vuol mettermi alla disperazione? - gli
gridò Marta voltandosi e fermandosi un istante.
- Non si disperi... Sono io il disperato!
Mi perdoni, abbia pietà di me... merito compassione, non disprezzo... Non sono io il
mostro, il mondo è un mostro, mostro pazzo che ha fatto lei tanto bella e me così... Mi
lasci gridar vendetta! Ripari lei, in odio a questo mondo pazzo! Faccia lei la mia
vendetta! È una vendetta... è una vendetta...
Marta tremava tutta, di sdegno, di paura,
correndo: s'era lasciato dietro il Falcone, che gridava gestendo in mezzo alla via
deserta:
- Vendetta! Vendetta!
Le finestre si schiudevano, la gente
usciva dalle case terrene: in breve il Falcone fu circondato.
- Un pazzo! - si gridò dalle finestre.
Marta si voltò un momento, e vide
nell'ombra come una mischia: il Falcone inveiva contro la gente che tentava d'afferrarlo,
vociando; urlava, divincolandosi. La strada s'animò d'accorrenti. Marta si diede a
correre in giù, in giù, verso casa, mentre nella suprema agitazione, un pensiero
sciocco, puerile le suggeriva: «Dirò che mi sono sentita male, al Collegio...».
Quando si fu di molto allontanata, già
presso Porta Nuova, si fermò un tratto, come se la paura avesse dato a tutto il suo corpo
un freno violento. Non avrebbe fatto il Falcone, nella pazzia sopravvenuta, il nome di
lei?
Marta sentì aprirsi come un abisso dentro
il petto, e, nella turbinosa dissociazione d'idee e di sentimenti, restò perplessa un
attimo, se tornare indietro o proseguire verso casa. Un'incosciente energia la sorresse:
non pensava, non sentiva più nulla; riprese ad andare in giù, come seguendo il pensiero
che dentro il cervello le ripeteva: «Dirò che mi sono sentita male, al Collegio...».
Pira II
Entrando, il giorno dopo, trepidante,
nella sala d'aspetto del Collegio, Marta vi trovò la vecchia, linda Direttrice che
conversava col Mormoni e col Nusco.
- Ha saputo, signora?
- Che cosa? - balbettò Marta.
- Il povero professor Falcone!
- Falcone... La signora lo sa: era da
aspettarselo! - esclamò Pompeo Mormoni, trinciando in aria uno dei soliti gesti.
- Impazzito! - riprese la Direttrice. - O
almeno ha dato segni d'alienazione mentale, su la pubblica via, jeri sera.
Marta guardava negli occhi ora la
Direttrice, ora il Mormoni, ora il Nusco.
- S'è messo a urlare, - aggiunse questi,
sorridendo nervosamente. - Poi s'è accapigliato, dicono, con la gente che gli s'è fatta
intorno...
- Dove si trova adesso? - domandò al
Mormoni la Direttrice.
- Forse al manicomio, o almeno... Jeri
sera, dapprima, lo condussero in questura. Ubriaco non era: non beve vino; ma ritornava
forse da Montecuccio, perché lui... già! con quei piedi... è solito di fare queste
amenissime ascensioni: il sole gli avrà dato alla testa, o chi sa che grillo gli sarà
saltato; gridava vendetta.
- Speriamo che a quest'ora, - augurò il
piccolo Nusco, - sia rientrato in sé, poverino!
- Sì, - fece la Direttrice, - e intanto?
siamo giusti: io vi confesso che ora avrei paura, se dovesse ritornare qui tra le mie
alunne. Voglio sperare che lo manderanno altrove, dato che ritorni in sensi, come gli
auguro.
«Perderà il posto!» pensava Marta,
ascoltando. «Anch'io perderò il posto...»
E impartì quel giorno le lezioni quasi
automaticamente, con l'anima di tratto in tratto percossa, investita, trascinata via dai
violenti pensieri tra cui s'era dibattuta angosciosamente l'intera notte.
L'idea della morte, sprizzata tra le
strette dei due partiti odiosi proposti dall'Alvignani, l'aveva dominata durante tutta la
notte, e continuava a dominarla. Ma l'immagine dell'attuazione la riempiva ancora
d'orrore, le dava quasi la vertigine. Contro la tenebra invadente, tremava ancora in lei
un barlume di speranza: che ella cioè non fosse davvero nello stato, in cui, purtroppo,
per tanti segni, aveva argomento di temere che fosse. Questo barlume di speranza apriva
nel bujo orrendo una pallida via d'uscita, l'unica. Ah, con quale impeto avrebbe voluto
slanciarvisi! Trattenuta, come sotto un incubo, forzava gli occhi a scrutare questa via
solitaria, lontana dall'Alvignani, lontana dal marito; e anelava, e spiava nello stesso
tempo in sé, nel suo corpo, qualche accenno che le désse cagione di sperare.
Rientrando in casa, dopo le lezioni, vi
trovò a visita i Juè, gl'inquilini del secondo piano.
Subito, dagli occhi della madre e della
sorella, s'accorse che il Blandino era già stato da loro. Gli occhi della madre
brillavano; il volto acceso, alla vista di lei, le si ilarò a un tratto, contenendo a
stento l'esultanza di fronte ai due importuni.
Avendo Marta detto alla Juè d'essersi
sentita e di sentirsi ancora poco bene, questa esclamò, rivolgendosi alla signora Agata:
- Sturbi di stagione, sturbi di stagione,
signora mia; non ne faccia caso. Mezza città ne soffre... Noi abbiamo nella casa in via
Benfratelli quella signora di cui le ho parlato una volta, si rammenta? quella poveretta
divisa dal marito. Ebbene, a letto anche quella! L'altro ieri Fifo è andato a riscuotere
quel po' di pigione che ci paga (una miseria) e, si sa... è dovuto tornar via a mani
vuote... Ah, se sapesse, Signora mia, quel che ci tocca soffrire col cuore che abbiamo,
per questa benedetta casa... Diglielo tu, Fifo...
Il Juè, seduto con le gambe e i piedi
uniti, le braccia conserte al petto, si spiccicò per ripetere la sua frase favorita:
- Cristo solo lo sa!
Poco dopo, marito e moglie «sospesero
l'incomodo». Appena andati via, la signora Agata buttò le braccia al collo di Marta e se
la strinse forte, forte al seno, baciandola più e più volte in fronte:
- Figlia mia, figlia mia; tieni! tieni!
Ecco il premio. Ti si rende giustizia, finalmente!
Gli occhi le si riempirono di lagrime e
proseguì:
- A tuo padre, sant'anima, quella sera,
non glielo dissi io? La luce si farà; l'innocenza di tua figlia sarà riconosciuta!
Aspetta, aspetta... Ah, se egli vivesse ancora! Non piangere, non piangere, figlia mia...
Che hai? Oh Dio, Marta, che hai?
Marta s'era lasciata cadere su una
seggiola, pallida, fosca, tutta tremante.
- Sai che mi sento male... - mormorò.
Sì, ma ora non bisogna piangere più! -
riprese la madre. - Sai chi è stato da noi questa mattina? Tu forse non lo conosci: il
Blandino... il professor Blandino. E sai perché è venuto? chi l'ha mandato? Tuo marito!
Sai ch'egli è stato per morire?
- Lo so - disse Marta con le ciglia
aggrottate.
- Lo sai? come lo sai?
- Me l'ha scritto Anna Veronica.
- Ah, di nascosto?
- Sì, gliel'ho raccomandato io, che non
parlasse mai di lui nelle sue lettere a voi.
- Sì, sì, ma ora... Di', sai forse
pure...?
Marta, levandosi con pena, abbattuta:
- Vuole riconciliarsi, è vero? - disse.
- Sì, sì, - affermò con gioja la madre.
Ma le cadde subito, quella gioja, di fronte al cupo aspetto di Marta.
- Ti pare possibile ormai? - domandò
questa, lasciando cadere le parole e guardandola negli occhi.
- Come! Perché? - esclamò la madre,
stupita.
- Perché? Egli mi rivuole; non lo voglio
più io.
- Come! e non pensi... ma come? -
balbettò la madre. - Se questa è per te la riparazione! Non vedi che ti si rende
giustizia in faccia al mondo? E vuoi ricusarti? Come?
- Giustizia... riparazione... - la
interruppe Marta. - Tu ci credi, mamma?
- Come no? Se il Blandino è venuto qua...
- Ah, che il Blandino sia venuto, lo so...
Mamma, è inutile! Io dico: credi tu che quello che mi hanno fatto, prima lui, Rocco, poi
il babbo, sia riparabile? No, mamma, no: non si ripara... Io rimarrò, stanne pur certa,
quella che sono, né più né meno, nel concetto della gente... Sai che si dirà? Si dirà
ch'egli ha perdonato; nient'altro! e rideranno di lui, come d'un imbecille... Io sarò
sempre la colpevole... E come no? «Se fosse stata davvero innocente,» diranno «e
perché dunque il padre si sarebbe rinchiuso dalla vergogna per mesi e mesi al bujo, in
una camera, fino a morirne? E perché il marito la scacciò?» Ma, e poi! riparazione,
sì, e il babbo a te, a Maria, chi ve lo ridà? E tutto quello che abbiamo patito, chi ce
lo leva dal cuore? Ma sul serio? Sono strappi, questi, che si rattoppano, forse? No,
mamma. Io non debbo, né posso accettare il pentimento di lui.
- Ma se egli ora riconosce pubblicamente
il suo torto?
- Nessuno gli crederà.
- Nessuno? Ma tutti, figlia mia! Chi avrà
più diritto di parlare, se lui ti rende giustizia? Oh, figlia mia, e credi che la gente
non sappia che tu sei innocente?
Marta si sentì mancare sotto lo sguardo
della madre e della sorella rimasta muta ad ascoltare.
- Sì... sì... - disse. - Ci penserò;
lasciami pensare... Ora non posso dirti nulla.
- Pensaci, pensaci, Marta, per carità!
Vedrai che è giusto e addiverrai... ne sono certa! Intanto, di', al Blandino che risposta
debbo dare?
- Nessuna, per ora. Digli... digli che ho
bisogno di tempo per riflettere, ecco... Mi si dia tempo, rifletterò.
Ma che riflettere? Aspettare che quel
barlume di speranza smorisse di giorno in giorno e il bujo e il vuoto s'estendessero
vieppiù, dentro e intorno a lei.
Presto riconobbe che nessuna illusione era
più possibile. E così, di fronte all'orrore che l'idea della morte le incuteva, si vide
costretta a decidere.
Nessuna distrazione, neppure momentanea.
Da tutte le parti si vedeva stretta, spinta. La sua esistenza non poteva, non doveva
contare più che pochi giorni: uno, due, tre giorni ancora... e poi? Il sangue le
s'agghiacciava nelle vene. Si ritraeva dal balcone per paura che un'improvvisa tentazione
non la spingesse a troncare subito quell'agonia. Oh no, no: quella morte, no! Ma armi, in
casa non ce n'erano. Un veleno! Meglio morire di veleno. Come procacciarselo?
Farneticava, e le ultime energie vitali si
appigliavano a queste difficoltà materiali; le ingrandivano. Sentiva nelle altre stanze
parlare la madre, e si domandava: «Come farà? Avranno pietà di lei e di Maria, quando
io non sarò più?». Ma perché la madre considerava come premio e compenso alle sciagure
il pentimento del marito, la proposta di riconciliazione? Avrebbe voluto gridarle: «La
chiami giustizia, tu? Mi credi innocente, e chiami giustizia il pentimento di chi m'ha
infamata senza ragione? E se io fossi ancora veramente come tu mi credi, di che mi
compenserebbe questo pentimento? Ah, ti pare che possa sorridermi l'idea di ritornare a
vivere in compagnia d'un uomo che mi ha fatto tanto male e che non m'intende, che io non
stimo e non amo? Sarebbe questo il premio della mia innocenza?».
Volle recarsi un'ultima volta
dall'Alvignani. Non s'illudeva; ma... chi sa! forse egli, pensando, parlando col Blandino,
aveva trovato qualche altro scampo.
- Stavo a scriverti! - le disse Gregorio,
vedendola entrare. - Ecco la lettera...
Marta stese la mano per prenderla.
- No, è inutile, ora... La lacero:
pazzie! Non sei più venuta...
La guardò; le lesse in fronte la
disperazione, e aggiunse:
- Povera Marta!
Poi le domandò, ma quasi senza speranza
di risposta:
- Hai deciso?
Marta sospirò aprendo le mani a un lieve
gesto desolato, e sedette.
Egli tornò a guardarla, e sentì tutta la
gravezza enorme, insopportabile della loro situazione. Quel silenzio, quell'inerte
irragionevolezza opprimente lo urtarono. Per scuoterla, disse:
- Verrai con me?
Ma ella si voltò solamente a guardarlo.
Poi chiuse gli occhi e reclinò indietro il capo, con disperata stanchezza.
- Nulla, dunque, nulla, - disse, - non hai
trovato nulla?
- Ma che vuoi trovare? - s'affrettò a
risponderle, appassionatamente. - Giorno e notte ho pensato a te; ho aspettato che tu
venissi... È inutile cercare, Marta! Guarda, ti scrivevo proprio questo: «Decidi, decidi
presto: non c'è tempo da perdere; ne hai perduto già troppo... Da' una risposta al
Blandino, digli subito o sì o no, e se no...». Guarda, e qui ti proponevo... Vuoi
leggerlo tu?... Leggi, leggi...
Marta prese la lettera ch'egli le porgeva,
indicandole il punto da cui doveva cominciare la lettura; ma dopo alcuni righi abbassò la
mano su le ginocchia.
- Leggi fino in fondo! - la esortò egli.
Marta si rimise sotto gli occhi la
lettera. Per quanto mal prevenuta, leggendo, espresse sul volto l'ansia con cui cercava su
quel foglio una parola che le facesse nascere un pensiero non ancora sorto in lei; l'ansia
con cui un viandante, moribondo per sete, può cercare nel letto petroso d'un torrente un
filo, una goccia d'acqua. Ed erano come aridi, pesanti sassi per lei quelle parole
dell'Alvignani: le rimoveva senza trovarvi nulla sotto; e accennava desolatamente di no,
di no, col capo.
Terminata la lettera, si levò in piedi
sospirando, senza dir nulla.
- Che ne pensi? - le domandò lui.
Marta si strinse nelle spalle, e restituì
la lettera, esclamando:
- Non ripigliamo la discussione inutile
dell'ultima volta, per carità, o il mio cervello...
- Ma che vuoi fare?
- Non vedi? Che altro mi resta da fare?
- Tu sei pazza!
- Pazza? Avrei dovuto farlo molto tempo
prima, quando viveva ancora mio padre... E allora... allora non sarebbe stato brutto come
adesso! Ora sono con le spalle al muro.
- Ti ci metti tu! - rimbeccò duramente
l'Alvignani.
Le prese ambo le mani, e seguitò:
- Ma ragiona con me. Chi dev'essere
punito? Devi essere punita tu, forse? Lui, lui, lui!
- E come? - disse Marta. - Col mio
inganno? Non sarebbe più per lui la punizione; sarebbe mia! Non vedi, non senti che mi fa
orrore? Per me, per me mi fa orrore! Non lo intendi? Se io fossi una cosa... Ma io penso,
io so che sono stata con te, so come sono... e non posso, non posso: mi fa orrore!
- Non è possibile, senti, - le disse
allora l'Alvignani, levandosi, risoluto, - non è possibile che io ti lasci compiere
così, sapendolo, un doppio delitto. Dunque tu non pensi più neanche a tua madre, a tua
sorella? Io scriverò!
- A chi? - domandò Marta, scotendosi.
- A lui, a tuo marito, - rispose
l'Alvignani. - Non posso lasciarti sola, abbandonarti a te stessa, alla tua
disperazione...
- Sei pazzo? - lo interruppe Marta. - Che
vorresti scrivergli?
- Non lo so. Mi detterà la coscienza. So
questo soltanto, che tu non sei la colpevole. O su me o su lui deve cadere la punizione, e
chi di noi due resta, ripari!
- Follie! - esclamò Marta. - No...
senti... senti...
S'interruppe: un'idea le balenò in mente,
e subito il volto le si rischiarò, quasi sorrise.
- Non scrivere tu, - riprese. - Gli
scriverò io... Lascia che gli scriva io... Ho trovato! Ho trovato!
- Che cosa? - domandò ansiosamente
Gregorio. - Che gli scriverai?
- Ho trovato! - ripeté Marta, con gioja.
- Sì, così si aggiusterà tutto... Vedrai! Poi ti dirò... Ora lasciami andare...
- No, dimmi prima...
- Poi, poi... - fece Marta. - Tutto si
aggiusterà, ti dico... Lasciami andare... Te lo dirò poi... Promettimi che tu non
scriverai!
- Ma io vorrei sapere... - oppose,
perplesso, l'Alvignani.
- Non hai nulla da sapere. Lascia fare a
me... Promettimi...
- Ebbene: prometto... Quando ritornerai?
- Presto. Non dubitare: ritornerò. Ora
addio!
- Addio! A presto!
Marta andò via; e, strada facendo verso
casa, l'idea che le era balenata in mente, man mano assunse forma concreta, precisa. Nello
stato d'esaltazione, quasi di delirio, in cui si trovava, non vedeva l'assurdo del rimedio
improvvisamente concepito. E diceva tra sé, andando: «Io non accetto il suo perdono, il
perdono di chi avrebbe invece da pentirsi... Non l'accetto... Una punizione me la merito.
Sta bene! Me la darò. Ma una riparazione a tutto il male ch'egli mi fece prima,
ingiustamente... una riparazione egli me la deve... Bene: io mi tolgo di mezzo, e quand'io
mi sarò tolta di mezzo, non potrebbe sposare mia sorella? Maria è saggia... Maria è
buona... lo farà per la mamma... faranno una sola famiglia con la mamma... E così tutto
sarebbe riparato...».
Andava in fretta, parlando tra sé; si
sentiva come alleggerita da un peso enorme; si guardava intorno con gli occhi lucidissimi,
ilari, e quasi rideva davvero a ogni cosa in cui lo sguardo s'imbattesse. Le pareva che
una perfetta calma le si fosse fatta nello spirito.
E in tale stato d'animo rincasò.
- Hai deciso, Marta? - s'arrischiò a
domandare la madre.
- Adesso, mamma, - le rispose. - Ci ho
pensato a lungo. Debbo scrivergli. Non dubitare: stasera o domani gli scriverò. Penso a
voi!
- A noi? Ma devi pensare a te, figliuola
mia... Vedi come ti sei ridotta?
- A me e a voi... - disse Marta. - Non
dubitare.
© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi- E-mail: - bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 14 febbraio, 1998