Luigi Pirandello
Il fu Mattia Pascal
Fu così
Un giorno, a caccia, mi fermai, stranamente
impressionato, innanzi a un pagliajo nano e panciuto, che aveva un pentolino in cima allo
stollo.
- Ti conosco, - gli dicevo, - ti conosco...
Poi, a un tratto, esclamai:
- To'! Batta Malagna.
Presi un tridente, ch'era lì per terra, e glielo
infissi nel pancione con tanta voluttà, che il pentolino in cima allo stollo per poco non
cadde. Ed ecco Batta Malagna, quando, sudato e sbuffante, portava il cappello su le
ventitré.
Scivolava tutto: gli scivolavano nel lungo faccione di
qua e di là, le sopracciglia e gli occhi; gli scivolava il naso su i baffi melensi e sul
pizzo; gli scivolavano dall'attaccatura del collo le spalle; gli scivolava il pancione
languido, enorme, quasi fino a terra, perché, data l'imminenza di esso su le gambette
tozze, il sarto, per vestirgli quelle gambette, era costretto a tagliargli quanto mai
agiati i calzoni; cosicché, da lontano, pareva che indossasse invece, bassa bassa, una
veste, e che la pancia gli arrivasse fino a terra.
Ora come, con una faccia e con un corpo così fatti,
Malagna potesse esser tanto ladro, io non so. Anche i ladri m'immagino, debbono avere una
certa impostatura, ch'egli mi pareva non avesse. Andava piano, con quella sua pancia
pendente, sempre con le mani dietro la schiena, e tirava fuori con tanta fatica quella sua
voce molle, miagolante! Mi piacerebbe sapere com'egli li ragionasse con la sua propria
coscienza i furti che di continuo perpetrava a nostro danno. Non avendone, come ho detto,
alcun bisogno, una ragione a se stesso, una scusa, doveva pur darla. Forse, io dico,
rubava per distrarsi in qualche modo, pover'uomo.
Doveva essere infatti, entro di sé, tremendamente
afflitto da una di quelle mogli che si fanno rispettare.
Aveva commesso l'errore di scegliersi la moglie d'un
paraggio superiore al suo, ch'era molto basso. Or questa donna, sposata a un uomo di
condizione pari alla sua, non sarebbe stata forse così fastidiosa com'era con lui, a cui
naturalmente doveva dimostrare, a ogni minima occasione, ch'ella nasceva bene e che a casa
sua si faceva così e così. Ed ecco il Malagna, obbediente, far così e così, come
diceva lei - per parere un signore anche lui. - Ma gli costava tanto! Sudava sempre,
sudava.
Per giunta, la signora Guendalina poco dopo il
matrimonio, si ammalò d'un male di cui non poté più guarire, giacché, per guarirne,
avrebbe dovuto fare un sacrifizio superiore alle sue forze: privarsi nientemeno di certi
pasticcini coi tartufi, che le piacevano tanto, e di simili altre golerie, e anche, anzi
soprattutto, del vino. Non che ne bevesse molto; sfido! nasceva bene: ma non avrebbe
dovuto berne neppure un dito, ecco.
Io e Berto, giovinetti, eravamo qualche volta invitati
a pranzo dal Malagna. Era uno spasso sentirgli fare, coi dovuti riguardi, una predica alla
moglie su la continenza, mentre lui mangiava, divorava con tanta voluttà i cibi più
succulenti:
- Non ammetto, - diceva, - che per il momentaneo
piacere che prova la gola al passaggio d'un boccone, per esempio, come questo - (e giù
il boccone) - si debba poi star male un'intera giornata. Che sugo c'è? Io son certo
che me ne sentirei, dopo, profondamente avvilito. Rosina! - (chiamava la serva ) -
Dammene ancora un po'. Buona, questa salsa majonese!
- Majalese! - scattava allora la moglie
inviperita. - Basta così! Guarda, il Signore dovrebbe farti provare che cosa vuol dire
star male di stomaco. Impareresti ad aver considerazione per tua moglie.
- Come, Guendalina! Non ne ho? - esclamava Malagna,
mentre si versava un po' di vino.
La moglie, per tutta risposta, si levava da sedere,
gli toglieva dalle mani il bicchiere e andava a buttare il vino dalla finestra.
- E perché? - gemeva quello, restando.
E la moglie:
- Perché per me è veleno! Me ne vedi versare un dito
nel bicchiere? Toglimelo, e va' a buttarlo dalla finestra, come ho fatto io, capisci?
Malagna guardava, mortificato, sorridente, un po'
Berto, un po' me, un po' la finestra, un po' il bicchiere; poi diceva:
- Oh Dio, e che sei forse una bambina? Io, con la
violenza? Ma no, cara: tu, da te, con la ragione dovresti importelo il freno...
- E come? - gridava la moglie. - Con la tentazione
sotto gli occhi? vedendo te che ne bevi tanto e te l'assapori e te lo guardi controlume,
per farmi dispetto? Va' là, ti dico! Se fossi un altro marito, per non farmi soffrire...
Ebbene, Malagna arrivò fino a questo: non bevve più
vino, per dare esempio di continenza alla moglie, e per non farla soffrire.
Poi - rubava... Eh sfido! Qualche cosa bisognava pur
che facesse.
Se non che, poco dopo, venne a sapere che la signora
Guendalina se lo beveva di nascosto, lei, il vino. Come se, per non farle male, potesse
bastare che il marito non se ne accorgesse. E allora anche lui, Malagna, riprese a bere,
ma fuor di casa, per non mortificare la moglie.
Seguitò tuttavia a rubare, è vero. Ma io so ch'egli
desiderava con tutto il cuore dalla moglie un certo compenso alle afflizioni senza fine
che gli procurava; desiderava cioè che ella un bel giorno si fosse riso- luta a mettergli
al mondo un figliuolo. Ecco! Il furto allora avrebbe avuto uno scopo, una scusa. Che non
si fa per il bene dei figliuoli?
La moglie però deperiva di giorno in giorno, e
Malagna non osava neppure di esprimerle questo suo ardentissimo desiderio. Forse ella era
anche sterile, di natura. Bisognava aver tanti riguardi per quel suo male. Che se poi
fosse morta di parto, Dio liberi?... E poi c'era anche il rischio che non portasse a
compimento il figliuolo.
Così si rassegnava.
Era sincero? Non lo dimostrò abbastanza alla morte
della signora Guendalina. La pianse, oh la pianse molto, e sempre la ricordò con una
devozione così rispettosa che, al posto di lei, non volle più mettere un'altra signora -
che! che! - e lo avrebbe potuto bene, ricco come già s'era fatto; ma prese la figlia d'un
fattore di campagna, sana, florida, robusta e allegra; e così unicamente perché non
potesse esser dubbio che ne avrebbe avuto la prole desiderata. Se si affrettò un po'
troppo, via... bisogna pur considerare che non era più un giovanotto e tempo da perdere
non ne aveva.
Oliva, figlia di Pietro Salvoni, nostro fattore a Due
Riviere, io la conoscevo bene, da ragazza.
Per cagion sua, quante speranze non feci concepire
alla mamma: ch'io stessi cioè per metter senno e prender gusto alla campagna. Non capiva
più nei panni, dalla consolazione, poveretta! Ma un giorno la terribile zia Scolastica le
aprì gli occhi:
- E non vedi, sciocca, che va sempre a Due Riviere?
- Sì, per il raccolto delle olive.
- D'un'oliva, d'un'oliva, d'un'oliva sola, bietolona!
La mamma allora mi fece una ramanzina coi fiocchi: che
mi guardassi bene dal commettere il peccato mortale d'indurre in tentazione e di perdere
per sempre una povera ragazza, ecc., ecc.
Ma non c'era pericolo. Oliva era onesta, di una
onestà incrollabile, perché radicata nella coscienza del male che si sarebbe fatto,
cedendo. Questa coscienza appunto le toglieva tutte quelle insulse timidezze de' finti
pudori, e la rendeva ardita e sciolta.
Come rideva! Due ciriege, le labbra. E che denti!
Ma, da quelle labbra, neppure un bacio; dai denti,
sì, qualche morso, per castigo, quand'io la afferravo per le braccia e non volevo
lasciarla se prima non le allungavo un bacio almeno su i capelli.
Nient'altro.
Ora, così bella, così giovane e fresca, moglie di
Batta Malagna... Mah! Chi ha il coraggio di voltar le spalle a certe fortune? Eppure Oliva
sapeva bene come il Malagna fosse diventato ricco! Me ne diceva tanto male, un giorno,
poi, per questa ricchezza appunto, lo sposò.
Passa intanto un anno dalle nozze; ne passano due; e
niente figliuoli.
Malagna, entrato da tanto tempo nella convinzione che
non ne aveva avuti dalla prima moglie solo per la sterilità o per la infermità continua
di questa, non concepiva ora neppur lontanamente il sospetto che potesse dipender da lui.
E cominciò a mostrare il broncio a Oliva.
- Niente?
- Niente.
Aspettò ancora un anno, il terzo: invano. Allora
prese a rimbrottarla apertamente; e in fine, dopo un altro anno, ormai disperando per
sempre, al colmo dell'esasperazione, si mise a malmenarla senza alcun ritegno; gridandole
in faccia che con quella apparente floridezza ella lo aveva ingannato, ingannato,
ingannato; che soltanto per aver da lei un figliuolo egli l'aveva innalzata fino a quel
posto, già tenuto da una signora, da una vera signora, alla cui memoria, se non fosse
stato per questo, non avrebbe fatto mai un tale affronto.
La povera Oliva non rispondeva, non sapeva che dire;
veniva spesso a casa nostra per sfogarsi con mia madre, che la confortava con buone parole
a sperare ancora, poiché infine era giovane, tanto giovane:
- Vent'anni?
- Ventidue...
E dunque, via! S'era dato più d'un caso d'aver
figliuoli anche dopo dieci, anche dopo quindici anni dal giorno delle nozze.
- Quindici? Ma, e lui? Lui era già vecchio; e se...
A Oliva era nato fin dal primo anno il sospetto che,
via, tra lui e lei - come dire? - la mancanza potesse più esser di lui che sua, non
ostante che egli si ostinasse a dir di no. Ma se ne poteva far la prova? Oliva, sposando,
aveva giurato a se stessa di mantenersi onesta, e non voleva, neanche per riacquistar la
pace, venir meno al giuramento.
Come le so io queste cose? Oh bella, come le so!... Ho
pur detto che ella veniva a sfogarsi a casa nostra; ho detto che la conoscevo da ragazza;
ora la vedevo piangere per l'indegno modo d'agire e la stupida e provocante presunzione di
quel laido vecchiaccio, e... debbo proprio dir tutto? Del resto, fu no; e dunque basta.
Me ne consolai presto. Avevo allora, o credevo d'avere
(ch'è lo stesso) tante cose per il capo. Avevo anche quattrini, che - oltre al resto -
forniscono pure certe idee, le quali senza di essi non si avrebbero. Mi ajutava però
maledettamente a spenderli Gerolamo II Pomino, che non ne era mai provvisto abbastanza,
per la saggia parsimonia paterna.
Mino era come l'ombra nostra; a turno, mia e di Berto;
e cangiava con meravigliosa facoltà scimmiesca, secondo che praticava con Berto o con me.
Quando s'appiccicava a Berto, diventava subito un damerino; e il padre allora, che aveva
anche lui velleità d'eleganza, apriva un po' la bocca al sacchetto. Ma con Berto ci
durava poco. Nel vedersi imitato finanche nel modo di camminare, mio fratello perdeva
subito la pazienza, forse per paura del ridicolo, e lo bistrattava fino a cavarselo di
torno. Mino allora tornava ad appiccicarsi a me; e il padre a stringer la bocca al
sacchetto.
Io avevo con lui più pazienza, perché volentieri
pigliavo a godermelo. Poi me ne pentivo. Riconoscevo d'aver ecceduto per causa sua in
qualche impresa, o sforzato la mia natura o esagerato la dimostrazione de' miei sentimenti
per il gusto di stordirlo o di cacciarlo in qualche impiccio, di cui naturalmente soffrivo
anch'io le conseguenze.
Ora Mino, un giorno, a caccia, a proposito del
Malagna, di cui gli avevo raccontato le prodezze con la moglie, mi disse che aveva
adocchiato una ragazza, figlia d'una cugina del Malagna appunto, per la quale avrebbe
commesso volentieri qualche grossa bestialità. Ne era capace; tanto più che la ragazza
non pareva restìa; ma egli non aveva avuto modo finora neppur di parlarle.
- Non ne avrai avuto il coraggio, va' là! - dissi io
ridendo.
Mino negò; ma arrossì troppo, negando.
- Ho parlato però con la serva, - s'affrettò a
soggiungermi. - E n'ho saputo di belle, sai? M'ha detto che il tuo Malanno lo han
lì sempre per casa, e che, così all'aria, le sembra che mediti qualche brutto tiro,
d'accordo con la cugina, che è una vecchia strega.
- Che tiro?
- Mah, dice che va lì a piangere la sua sciagura di
non aver figliuoli. La vecchia, dura, arcigna, gli risponde che gli sta bene. Pare che
essa, alla morte della prima moglie del Malagna, si fosse messo in capo di fargli sposare
la propria figliuola e si fosse adoperata in tutti i modi per riuscirvi; che poi,
disillusa, n'abbia detto di tutti i colori all'indirizzo di quel bestione, nemico dei
parenti, traditore del proprio sangue, ecc., ecc., e che se la sia presa anche con la
figliuola che non aveva saputo attirare a sé lo zio. Ora, infine, che il vecchio si
dimostra tanto pentito di non aver fatto lieta la nipote, chi sa qual'altra perfida idea
quella strega può aver concepito.
Mi turai gli orecchi con le mani, gridando a Mino:
- Sta' zitto!
Apparentemente, no; ma in fondo ero pur tanto ingenuo,
in quel tempo. Tuttavia - avendo notizia delle scene ch'erano avvenute e avvenivano in
casa Malagna - pensai che il sospetto di quella serva potesse in qualche modo esser
fondato, e volli tentare, per il bene d'Oliva, se mi fosse riuscito d'appurare qualche
cosa. Mi feci dare da Mino il recapito di quella strega. Mino mi si raccomandò per la
ragazza.
- Non dubitare, - gli risposi. - La lascio a te, che
diamine!
E il giorno dopo, con la scusa d'una cambiale, di cui
per combinazione quella mattina stessa avevo saputo dalla mamma la scadenza in giornata,
andai a scovar Malagna in casa della vedova Pescatore.
Avevo corso apposta, e mi precipitai dentro tutto
accaldato e in sudore.
- Malagna, la cambiale!
Se già non avessi saputo ch'egli non aveva la
coscienza pulita, me ne sarei accorto senza dubbio quel giorno vedendolo balzare in piedi
pallido, scontraffatto, balbettando:
- Che... che cam..., che cambiale?
- La cambiale così e così, che scade oggi... Mi
manda la mamma, che n'è tanto impensierita!
Batta Malagna cadde a sedere, esalando in un ah
interminabile tutto lo spavento che per un istante lo aveva oppresso.
- Ma fatto!... tutto fatto!... Perbacco, che
soprassalto... L'ho rinnovata, eh? a tre mesi, pagando i frutti, s'intende. Ti sei davvero
fatta codesta corsa per così poco?
E rise, rise, facendo sobbalzare il pancione;
m'invitò a sedere; mi presentò alle donne.
- Mattia Pascal. Marianna Dondi, vedova Pescatore, mia
cugina. Romilda, mia nipote.
Volle che, per rassettarmi dalla corsa, bevessi
qualcosa.
- Romilda, se non ti dispiace...
Come se fosse a casa sua.
Romilda si alzò, guardando la madre, per consigliarsi
con gli occhi di lei, e poco dopo, non ostanti le mie proteste, tornò con un piccolo
vassojo su cui era un bicchiere e una bottiglia di vermouth. Subito, a quella vista, la
madre si alzò indispettita, dicendo alla figlia:
- Ma no! ma no! Da' qua!
Le tolse il vassojo dalle mani e uscì per rientrare
poco dopo con un altro vassojo di lacca, nuovo fiammante, che reggeva una magnifica
rosoliera: un elefante inargentato, con una botte di vetro sul groppone, e tanti
bicchierini appesi tutt'intorno, che tintinnivano.
Avrei preferito il vermouth. Bevvi il rosolio. Ne
bevvero anche il Malagna e la madre. Romilda, no.
Mi trattenni poco, quella prima volta, per avere una
scusa a tornare: dissi che mi premeva di rassicurar la mamma intorno a quella cambiale, e
che sarei venuto di lì a qualche giorno a goder con più agio della compagnia delle
signore.
Non mi parve, dall'aria con cui mi salutò, che
Marianna Dondi, vedova Pescatore, accogliesse con molto piacere l'annunzio d'una mia
seconda visita: mi porse appena la mano: gelida mano, secca, nodosa, gialliccia; e
abbassò gli occhi e strinse le labbra. Mi compensò la figlia con un simpatico sorriso
che prometteva cordiale accoglienza, e con uno sguardo, dolce e mesto a un tempo, di
quegli occhi che mi fecero fin dal primo vederla una così forte impressione: occhi d'uno
strano color verde, cupi, intensi, ombreggiati da lunghissime ciglia; occhi notturni, tra
due bande di capelli neri come l'ebano, ondulati, che le scendevano su la fronte e su le
tempie, quasi a far meglio risaltare la viva bianchezza de la pelle.
La casa era modesta; ma già tra i vecchi mobili si
notavano parecchi nuovi venuti, pretensiosi e goffi nell'ostentazione della loro novità
troppo appariscente: due grandi lumi di majolica, per esempio, ancora intatti, dai globi
di vetro smerigliato, di strana foggia, su un'umilissima mensola dal piano di marmo
ingiallito, che reggeva uno specchio tetro in una cornice tonda, qua e là scrostata, la
quale pareva si aprisse nella stanza come uno sbadiglio d'affamato. C'era poi, davanti al
divanuccio sgangherato, un tavolinetto con le quattro zampe dorate e il piano di
porcellana dipinto di vivacissimi colori; poi uno stipetto a muro, di lacca giapponese,
ecc., ecc., e su questi oggetti nuovi gli occhi di Malagna si fermavano con evidente
compiacenza, come già su la rosoliera recata in trionfo dalla cugina vedova Pescatore.
Le pareti della stanza eran quasi tutte tappezzate di
vecchie e non brutte stampe, di cui il Malagna volle farmi ammirare qualcuna, dicendomi
ch'erano opera di Francesco Antonio Pescatore, suo cugino, valentissimo incisore (morto
pazzo, a Torino, - aggiunse piano), del quale volle anche mostrarmi il ritratto.
- Eseguito con le proprie mani, da sé, davanti allo
specchio.
Ora io, guardando Romilda e poi la madre, avevo
poc'anzi pensato: «Somiglierà al padre!». Adesso, di fronte al ritratto di questo, non
sapevo più che pensare.
Non voglio arrischiare supposizioni oltraggiose.
Stimo, è vero, Marianna Dondi, vedova Pescatore, capace di tutto; ma come immaginare un
uomo, e per giunta bello, capace d'essersi innamorato di lei? Tranne che non fosse stato
un pazzo più pazzo del marito.
Riferii a Mino le impressioni di quella prima visita.
Gli parlai di Romilda con tal calore d'ammirazione, ch'egli subito se ne accese,
felicissimo che anche a me fosse tanto piaciuta e d'aver la mia approvazione.
Io allora gli domandai che intenzioni avesse: la
madre, sì, aveva tutta l'aria d'essere una strega; ma la figliuola, ci avrei giurato, era
onesta. Nessun dubbio su le mire infami del Malagna; bisognava dunque, a ogni costo, al
più presto, salvare la ragazza.
- E come? - mi domandò Pomino, che pendeva
affascinato dalle mie labbra.
- Come? Vedremo. Bisognerà prima di tutto accertarsi
di tante cose; andare in fondo; studiar bene. Capirai, non si può mica prendere una
risoluzione così su due piedi. Lascia fare a me: t'ajuterò. Codesta avventura mi piace.
- Eh... ma... - obbiettò allora Pomino, timidamente,
cominciando a sentirsi sulle spine nel vedermi così infatuato. - Tu diresti forse...
sposarla?
- Non dico nulla, io, per adesso. Hai paura, forse?
- No, perché?
- Perché ti vedo correre troppo. Piano piano, e
rifletti. Se veniamo a conoscere ch'ella è davvero come dovrebbe essere: buona, saggia,
virtuosa (bella è, non c'è dubbio, e ti piace, non è vero?) - oh! poniamo ora che
veramente ella sia esposta, per la nequizia della madre e di quell'altra canaglia, a un
pericolo gravissimo, a uno scempio, a un mercato infame: proveresti ritegno innanzi a un
atto meritorio, a un'opera santa, di salvazione?
- Io no... no! - fece Pomino. - Ma... mio padre?
- S'opporrebbe? Per qual ragione? Per la dote, è
vero? Non per altro! Perché ella, sai? è figlia d'un artista, d'un valentissimo
incisore, morto... sì, morto bene, insomma, a Torino... Ma tuo padre è ricco, e non ha
che te solo: ti può dunque contentare, senza badare alla dote! Che se poi, con le buone,
non riesci a vincerlo, niente paura: un bel volo dal nido, e s'aggiusta ogni cosa. Pomino,
hai il cuore di stoppa?
Pomino rise, e io allora gli dimostrai quattro e
quattr'otto che egli era nato marito, come si nasce poeta. Gli descrissi a vivi colori,
seducentissimi, la felicità della vita coniugale con la sua Romilda; l'affetto, le cure,
la gratitudine ch'ella avrebbe avuto per lui, suo salvatore. E, per concludere:
- Tu ora, - gli dissi, - devi trovare il modo e la
maniera di farti notare da lei e di parlarle o di scriverle. Vedi, in questo momento,
forse, una tua lettera potrebbe essere per lei, assediata da quel ragno, un'àncora di
salvezza. Io intanto frequenterò la casa; starò a vedere; cercherò di cogliere
l'occasione di presentarti. Siamo intesi?
- Intesi.
Perché mostravo tanta smania di maritar Romilda? -
Per niente. Ripeto: per il gusto di stordire Pomino. Parlavo e parlavo, e tutte le
difficoltà sparivano. Ero impetuoso, e prendevo tutto alla leggera. Forse per questo,
allora, le donne mi amavano, non ostante quel mio occhio un po' sbalestrato e il mio corpo
da pezzo da catasta. Questa volta, però, - debbo dirlo - la mia foga proveniva anche dal
desiderio di sfondare la trista ragna ordita da quel laido vecchio, e farlo restare con un
palmo di naso; dal pensiero della povera Oliva; e anche - perché no? - dalla speranza di
fare un bene a quella ragazza che veramente mi aveva fatto una grande impressione.
Che colpa ho io se Pomino eseguì con troppa timidezza
le mie prescrizioni? che colpa ho io se Romilda, invece d'innamorarsi di Pomino,
s'innamorò di me, che pur le parlavo sempre di lui? che colpa, infine, se la perfidia di
Marianna Dondi, vedova Pescatore, giunse fino a farmi credere ch'io con la mia arte, in
poco tempo, fossi riuscito a vincere la diffidenza di lei e a fare anche un miracolo:
quello di farla ridere più d'una volta, con le mie uscite balzane? Le vidi a poco a poco
ceder le armi; mi vidi accolto bene; pensai che, con un giovanotto lì per casa, ricco (io
mi credevo ancora ricco) e che dava non dubbii segni di essere innamorato della figlia,
ella avesse finalmente smesso la sua iniqua idea, se pure le fosse mai passata per il
capo. Ecco: ero giunto finalmente a dubitarne!
Avrei dovuto, è vero, badare al fatto che non m'era
più avvenuto d'incontrarmi col Malagna in casa di lei, e che poteva non esser senza
ragione ch'ella mi ricevesse soltanto di mattina. Ma chi ci badava? Era, del resto,
naturale, poiché io ogni volta, per aver maggior libertà, proponevo gite in campagna,
che si fanno più volentieri di mattina. Mi ero poi innamorato anch'io di Romilda, pur
seguitando sempre a parlarle dell'amore di Pomino; innamorato come un matto di quegli
occhi belli, di quel nasino, di quella bocca, di tutto, finanche d'un piccolo porro
ch'ella aveva sulla nuca, ma finanche d'una cicatrice quasi invisibile in una mano, che le
baciavo e le baciavo e le baciavo... per conto di Pomino, perdutamente.
Eppure, forse, non sarebbe accaduto nulla di grave, se
una mattina Romilda (eravamo alla Stìa e avevamo lasciato la madre ad ammirare il
molino), tutt'a un tratto, smettendo lo scherzo troppo ormai prolungato sul suo timido
amante lontano, non avesse avuto un'improvvisa convulsione di pianto e non m'avesse
buttato le braccia al collo, scongiurandomi tutta tremante che avessi pietà di lei; me la
togliessi comunque, purché via lontano, lontano dalla sua casa, lontano da quella sua
madraccia, da tutti subito, subito, subito...
Lontano? Come potevo così subito condurla via
lontano?
Dopo, sì, per parecchi giorni, ancora ebbro di lei,
cercai il modo, risoluto a tutto, onestamente. E già cominciavo a predisporre mia madre
alla notizia del mio prossimo matrimonio, ormai inevitabile, per debito di coscienza,
quando, senza saper perché, mi vidi arrivare una lettera secca secca di Romilda, che mi
diceva di non occuparmi più di lei in alcun modo e di non recarmi mai più in casa sua,
considerando come finita per sempre la nostra relazione.
Ah sì? E come? Che era avvenuto?
Lo stesso giorno Oliva corse piangendo in casa nostra
ad annunziare alla mamma ch'ella era la donna più infelice di questo mondo, che la pace
della sua casa era per sempre distrutta. Il suo uomo era riuscito a far la prova che non
mancava per lui aver figliuoli; era venuto ad annunziarglielo, trionfante.
Ero presente a questa scena. Come abbia fatto a
frenarmi lì per lì, non so. Mi trattenne il rispetto per la mamma. Soffocato dall'ira,
dalla nausea, scappai a chiudermi in camera, e solo, con le mani tra i capelli, cominciai
a domandarmi come mai Romilda, dopo quanto era avvenuto fra noi, si fosse potuta prestare
a tanta ignominia! Ah, degna figlia della madre! Non il vecchio soltanto avevano entrambe
vilissimamente ingannato, ma anche me, anche me! E, come la madre, anche lei dunque si era
servita di me, vituperosamente, per il suo fine infame, per la sua ladra voglia! E quella
povera Oliva, intanto! Rovinata, rovinata...
Prima di sera uscii, ancor tutto fremente, diretto
alla casa d'Oliva. Avevo con me, in tasca, la lettera di Romilda.
Oliva, in lagrime, raccoglieva le sue robe: voleva
tornare dal suo babbo, a cui finora, per prudenza, non aveva fatto neppure un cenno di
quanto le era toccato a soffrire.
- Ma, ormai, che sto più a farci? - mi disse. - È
finita! Se si fosse almeno messo con qualche altra, forse...
- Ah tu sai dunque, - le domandai, - con chi s'è
messo ?
Chinò più volte il capo, tra i singhiozzi, e si
nascose la faccia tra le mani.
- Una ragazza! - esclamò poi, levando le braccia. E
la madre! la madre! la madre! D'accordo, capisci? La propria madre!
- Lo dici a me? - feci io. - Tieni: leggi.
E le porsi la lettera.
Oliva la guardò, come stordita; la prese e mi do
mandò:
- Che vuol dire?
Sapeva leggere appena. Con lo sguardo mi chiese se
fosse proprio necessario ch'ella facesse quello sforzo, in quel momento.
- Leggi, - insistetti io.
E allora ella si asciugò gli occhi, spiegò il foglio
e si mise a interpretar la scrittura, pian piano, sillabando. Dopo le prime parole, corse
con gli occhi alla firma, e mi guardò, sgranando gli occhi:
- Tu?
- Da' qua, - le dissi, - te la leggo io, per intero.
Ma ella si strinse la carta contro il seno:
- No! - gridò. - Non te la do più! Questa ora mi
serve!
- E a che potrebbe servirti? - le domandai, sorridendo
amaramente. - Vorresti mostrargliela? Ma in tutta codesta lettera non c'è una parola per
cui tuo marito potrebbe non credere più a ciò che egli invece è felicissimo di credere.
Te l'hanno accalappiato bene, va' là!
- Ah, è vero! è vero! - gemette Oliva. - Mi è
venuto con le mani in faccia, gridandomi che mi fossi guardata bene dal metter in dubbio
l'onorabilità di sua nipote!
- E dunque? - dissi io, ridendo acre. - Vedi? Tu non
puoi più ottener nulla negando. Te ne devi guardar bene! Devi anzi dirgli di sì, che è
vero, verissimo ch'egli può aver figliuoli... comprendi?
Ora perché mai, circa un mese dopo, Malagna
picchiò, furibondo, la moglie, e, con la schiuma ancora alla bocca, si precipitò in casa
mia, gridando che esigeva subito una riparazione perché io gli avevo disonorata, rovinata
una nipote, una povera orfana? Soggiunse che, per non fare uno scandalo, egli avrebbe
voluto tacere. Per pietà di quella poveretta, non avendo egli figliuoli, aveva anzi
risoluto di tenersi quella creatura, quando sarebbe nata, come sua. Ma ora che Dio
finalmente gli aveva voluto dare la consolazione d'aver un figliuolo legittimo, lui,
dalla propria moglie, non poteva, non poteva più, in coscienza, fare anche da padre a
quell'altro che sarebbe nato da sua nipote.
- Mattia provveda! Mattia ripari! - concluse,
congestionato dal furore. - E subito! Mi si obbedisca subito! E non mi si costringa a dire
di più, o a fare qualche sproposito!
Ragioniamo un po', arrivati a questo punto. Io n'ho
viste di tutti i colori. Passare anche per imbecille o per... peggio, non sarebbe, in
fondo, per me, un gran guajo. Già - ripeto - son come fuori della vita, e non m'importa
più di nulla. Se dunque, arrivato a questo punto, voglio ragionare, è soltanto per la
logica.
Mi sembra evidente che Romilda non ha dovuto far nulla
di male, almeno per indurre in inganno lo zio. Altrimenti, perché Malagna avrebbe subito
a suon di busse rinfacciato alla moglie il tradimento e incolpato me presso mia madre
d'aver recato oltraggio alla nipote?
Romilda infatti sostiene che, poco dopo quella nostra
gita alla Stìa, sua madre, avendo ricevuto da lei la confessione dell'amore che
ormai la legava a me indissolubilmente, montata su tutte le furie, le aveva gridato in
faccia che mai e poi mai avrebbe acconsentito a farle sposare uno scioperato, già quasi
all'orlo del precipizio. Ora, poiché da sé, ella, aveva recato a se stessa il peggior
male che a una fanciulla possa capitare, non restava più a lei, madre previdente, che di
trarre da questo male il miglior partito. Quale fosse, era facile intendere. Venuto, al-
l'ora solita, il Malagna, ella andò via, con una scusa, e la lasciò sola con lo zio. E
allora, lei, Romilda, piangendo - dice - a calde lagrime, si gittò ai piedi di lui, gli
fece intendere la sua sciagura e ciò che la madre avrebbe preteso da lei; lo pregò
d'interporsi, d'indurre la madre a più onesti consigli, poiché ella era già d'un altro,
a cui voleva serbarsi fedele.
Malagna s'intenerì - ma fino a un certo segno. Le
disse che ella era ancor minorenne, e perciò sotto la potestà della madre, la quale,
volendo, avrebbe potuto anche agire contro di me, giudiziariamente; che anche lui, in
coscienza, non avrebbe saputo approvare un matrimonio con un discolo della mia forza,
sciupone e senza cervello, e che non avrebbe potuto perciò consigliarlo alla madre; le
disse che al giusto e naturale sdegno materno bisognava che lei sacrificasse pure qualche
cosa, che sarebbe poi stata, del resto, la sua fortuna; e concluse che egli non avrebbe
potuto infine far altro che provvedere - a patto però che si fosse serbato con tutti il
massimo segreto - provvedere al nascituro, fargli da padre, ecco, giacché egli non aveva
figliuoli e ne desiderava tanto e da tanto tempo uno.
Si può essere - domando io - più onesti di così?
Ecco qua: tutto quello che aveva rubato al padre egli
lo avrebbe rimesso al figliuolo nascituro.
Che colpa ha lui, se io, - poi, - ingrato e
sconoscente, andai a guastargli le uova nel paniere?
Due, no! eh, due, no, perbacco!
Gli parvero troppi, forse perché avendo già Roberto,
com'ho detto, contratto un matrimonio vantaggioso, stimò che non lo avesse danneggiato
tanto, da dover rendere anche per lui.
In conclusione, si vede che - capitato in mezzo a
così brava gente - tutto il male lo avevo fatto io. E dovevo dunque scontarlo.
Mi ricusai dapprima, sdegnosamente. Poi, per le
preghiere di mia madre, che già vedeva la rovina della nostra casa e sperava ch'io
potessi in qualche modo salvarmi, sposando la nipote di quel suo nemico, cedetti e sposai.
Mi pendeva, tremenda, sul capo l'ira di Marianna
Dondi, vedova Pescatore.
© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi- E-mail: - bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 14 febbraio, 1998