Giuseppe Parini

Il Giorno


La Notte
vv. 351-673

(Il testo de La Notte è quello del Ms. più completo, l'Ambrosiano, IV, 17 [H], uno dei sette manoscritti che contengono testo, man mano che il poeta veniva lavorandoci sopra)

      Quanta folla d’eroi! Tu, che modello
d’ogni nobil virtù, d’ogn’atto eccelso,
esser dei fra’ tuoi pari, i pari tuoi
A conoscere apprendi; e in te raccogli
quanto di bello e glorioso e grande
sparse in cento di loro arte o natura.
Altri di lor ne la carriera illustre
stampa i primi vestigi; altri gran parte
di via già corse; altri a la meta e giunto.
In vano il vulgo temerario a gli uni
di fanciulli dà nome; e quelli adulti,
questi già vegli di chiamare ardisce:
tutti son pari. Ognun folleggia e scherza;
ognun giudica e libra; ognun del pari
l’altro abbraccia e vezzeggia: in ciò sol tanto
non simili tra lor, che ognun sua cura
Ha diletta fra l’altre onde più brilli.

      Questi è l’almo garzon, che con maestri
da la scutica sua moti di braccio
desta sibili egregi; e l’ore illustra
l’aere agitando de le sale immense,
onde i prischi trofei pendono e gli avi.
L’altro è l’eroe, che da la guancia enfiata
e dal torto oricalco a i trivj annuncia
suo talento immortal, qualor dall’alto
de’ famosi palagi emula il suono
di messagger, che frettoloso arrive.
Quanto è vago a mirarlo allor che in veste
cinto spedita, e con le gambe assorte
In amplo cuoio, cavalcando a i campi
rapisce il cocchio, ove la dama è assisa
e il marito e l’ancella e il figlio e il cane!

      Quegli or esce di là dove ne’ fori
si ministran bevande ozio e novelle.
Ei v’andò mattutin, partinne al pranzo,
vi tornò fino a notte: e già sei lustri
volgon da poi che il bel tenor di vita
giovinetto intraprese. Ah chi di lui
può sedendo trovar più grati sonni
o più lunghi sbadigli; o più fiate
d’atro rapè solleticar le nari;
o a voce popolare orecchi e fede
prestar più ingordo e declamar più forte?

      Ecco che il segue del figliuol di Maia
II più celebre alunno, al cui consiglio
nel gran dubbio de’ casi ognaltro cede;
sia che dadi versati, o pezzi eretti,
o giacenti pedine, o brevi o grandi
carte mescan la pugna. Ei sul mattino
le stupide micranie o l’aspre tossi
molce giocando a le canute dame.
Ei, già tolte le mense, i nati or ora
giochi a le belle declinanti insegna.
Ei la notte raccoglie a sé dintorno
schiera d’eroi, che nobil estro infiamma
d’apprender l’arte, onde l’altrui fortuna
vincasi e domi; e del soave amico
nobil parte de’ campi all’altro ceda.

      Vuoi su lucido carro in dì solenne
gir trionfando al corso? Ecco quell’uno,
che al lavor ne presieda. E legni e pelli
e ferri e sete e carpentieri e fabbri
a lui son noti: e per l’Ausonia tutta
è noto ei pure. Ii càlabro di feudi
e d’ordini superbo; i duchi e i prenci,
che pascon Mongibello; e fin gli stessi
gran nipoti romani a lui sovente
ne commetton la cura: ed ei sen vola
d’una in altra officina in fin che sorga,
auspice lui, la fortunata mole.
Poi di tele ricinta, e contro all’onte
de la pioggia e del sol ben forte armata,
mille e più passi l’accompagna ei stesso
fuor de le mura; e con soave sguardo
la segue ancor sin che la via declini.

      Vedi giugner colui, che di cavalli
invitto domator divide il giorno
fra i cavalli e la dama. Or de la dama
la man tiepida preme; or de’ cavalli
liscia i dorsi pilosi, ovver col dito
tenta a terra prostrato i ferri e l’ugna.
Aimè misera lei quando s’indìce
fiera altrove frequente! Ei l’abbandona;
e per monti inaccessi e valli orrende
trova i lochi remoti, e cambia o merca
ma lei beata poi quand’ei sen torna
sparso di limo; e novo fasto adduce
di frementi corsieri; e gli avi loro
e i costumi e le patrie a lei soletta
molte lune ripete! Or vedi l’altro,
di cui più diligente o più costante
non fu mai damigella o a tesser nodi
o d’aurei drappi a separar lo stame.
A lui turgide ancora ambe le tasche
son d’ascose materie. Eran già queste
prezioso tapeto, in cui distinti
d’oro e lucide lane i casi apparvero
d’Ilio infelice: e il cavalier, sedendo
nel gabinetto de la dama, ormai
con ostinata man tutte divise
in fili minutissimi le genti
d’Argo e di Frigia. Un fianco solo avanza
de la bella rapita; e poi l’eroe,
pur giunto al fin di sua decenne impresa
andrà superbo al par d’ambo gli Atridi.

      Ma chi l’opre diverse o i varj ingegni
tutti esprimer poria, poi che le stanze
folte già son di cavalieri e dame?
Tu per quelle t’avvolgi. Ardito e baldo
vanne, torna, ti assidi, ergiti, cedi,
premi, chiedi perdono, odi, domanda,
sfuggi, accenna, schiamazza, entra e ti mesci
a i divini drappelli; e a un punto empiendo
ogni cosa di te, mira e conosci.

      Là i vezzosi d’amor novi seguaci
lor nascenti fortune ad alta voce
confidansi all’orecchio; e ridon forte;
e saltellando batton palme a palme:
sia che a leggiadre imprese Amor li guidi
fra le oscure mortali: o che gli assorba
de le dive lor pari entro alla luce.
Qui gli antiqui d’Amor noti campioni
con voci esìli e dall’ansante petto
fuor tratte a stento rammentando vanno
le superate al fin triste vicende.
Indi gl’imberbi eroi, cui diede il padre
la prima coppia di destrier pur ieri,
con animo viril celiano al fianco
di provetta beltà, che a i risi loro
alza scoppi di risa; e il nudo spande,
che di veli mal chiuso i guardi cerca,
che il cercarono un tempo. Indi gli adulti,
a la cui fronte il primo ciuffo appose
fallace parrucchier, scherzan vicini
a la sposa novella; e di bei motti
tendonle insidia, ove di lei s’intrichi
l’alma inesperta e il timido pudore.
Folli! Ché a i detti loro ella va incontro
valorosa così come una madre
di dieci eroi. V’ha in altra parte assiso
chi di lieti racconti ovver di fole
non ascoltate mai raro promette
a le dame trastullo; e ride e narra
e ride ancor, benchè a le dame in tanto
sovra l’arco de’ labbri aleggi e penda
insolente sbadiglio. Avvi chi altronde
con fortunato studio in novi sensi
le parole converte; o i simil suoni
pronto a colpir divinamente scherza.
Alto al genio di lui plaude il ventaglio
de le pingui matrone, a cui la voce
di vernacolo accento anco risponde.
Ma le giovani madri, al latte avvezze
di più nuove dottrine, il sottil naso
aggrinzan fastidite; e pur col guardo
chieder sembran pietade a i belli spirti,
che lor siedono a lato; e a cui gran copia
d’erudita efemeride distilla
volatile scienza entro a la mente.
Altri altrove pugnando audace innalza
sovra d’ognaltro il palafren, ch’ei sale,
o il poeta o il cantor, che lieti ei rende
de le sue mense. Altri dà vanto all’else
lucido e bello de la spada, ond’egli
solo, e per casi non più visti, al fine
fu dal più dotto anglico artier fornito.
Altri grave nel volto ad altri espone
qual per l’appunto a gran convito apparve
ordin di cibi: ed altri stupefatto,
con profondo pensier con alte dita
conta di quanti tavolieri a punto
grande insolita veglia andò superba.
Un fra l’indice e il medio inflessi alquanto,
molle ridendo, al suo vicin la gota
preme fûrtivo: e l’un da tergo all’altro
il pendente cappel sotto all’ascella
ratto invola; e del colpo a sé dà plauso.

      Qual d’ogni lato i molti servi in tanto
e seggi e tavolieri e luci e carte
supellettile augusta entran portando?
e sordo stropicciar di mossi scanni,
e cigolio di tavole spiegate
odo vagar fra le sonanti risa
di giovani festivi e fra le acute
voci di dame cicalanti a un tempo,
come intorno a selvaggio antico moro
sull’imbrunir del dì garrulo stormo
di frascheggianti passere novelle?

      Sola in tanto rumor tacita siede
la matrona del loco: e chino il fronte
e increspate le ciglia, i sommi labbri
appoggia in sul ventaglio, arduo pensiere
macchinando tra sé. Medita certo
come al candor come al pudor si deggia
la cara figlia preservar, che torna
doman da i chiostri, ove il sermon d’Italia
pur giunse ad obliar, meglio erudita
de le galliche grazie. Oh qual dimane
ne i genitor, ne’ convitati, a mensa
ben cicalando ecciterai stupore
bella fra i lari tuoi vergin straniera!

      Errai. Nel suo pensier volge di cose
l’alta madre d’eroi mole più grande:
e nel dubbio crudel col guardo invoca
de le amiche l’aita; e a sé con mano
il fido cavalier chiede a consiglio.
Qual mai del gioco a i tavolier diversi
ordin porrà, che de le dive accolte
nulla obliata si dispetti; e nieghi
più qui tornare ad aver scorno ed onte?
come, con pronto antiveder, del gioco
il dissimil tenore a i genj eccelsi
assegnerà conforme; ond’altri poi
non isbadigli lungamente, e pianga
le mal gittate ore notturne, e lei
de lo infelice oro perduto incolpi?
Qual paro e quale al tavolier medesmo
e di campioni e di guerriere audaci
fia che tra loro a tenzonar congiunga;
sì che giammai, per miserabil caso,
la vetusta patrizia, ella e lo sposo
ambo di regi favolosa stirpe,
con lei non scenda al paragon, che al grado
per breve serie di scrivani or ora
fu de’ nobili assunta: e il cui marito
gli atti e gli accenti ancor serba del monte?
Ma che non può sagace ingegno e molta
d’anni e di casi esperienza? Or ecco
ella compose i fidi amanti; e lungi
de la stanza nell’angol più remoto
il marito costrinse, a dì sì lieti
sognante ancor d’esser geloso. Altrove
le occulte altrui, ma non fuggite all’occhio
dotto di lei benché nascenti a pena
dolci cure d’amor, fra i meno intenti
o i meno acuti a penetrar nell’alte
dell’animo latèbre, in grembo al gioco
pose a crescer felici: e già in duo cori
grazia e mercé de la bell’opra ottiene.
Qua gl’illustri e le illustri; e là gli estremi
ben seppe unir de’ novamente compri
feudi, e de’ prischi gloriosi nomi
cui mancò la fortuna. Anco le piacque
accozzar le rivali, onde spiarne
i mal chiusi dispetti. Anco per celia
più secoli adunò, grato aspettando
e per gli altri e per sé riso dall’ire
settagenarie, che nel gioco accense
fien, con molta raucedine e con molto
tentennar di parrucche e cuffie alate.

      Già per l’aula beata a cento intorno
dispersi tavolier seggon le dive
seggon gli eroi, che dell’Esperia sono
gloria somma o speranza. Ove di quattro
un drappel si raccoglie: e dove un altro
di tre soltanto. Ivi di molti e grandi
fogli dipinti il tavolier si sparge:
qui di pochi e di brevi. Altri combatte;
altri sta sopra a contemplar gli eventi
de la instabil fortuna e i tratti egregi
del sapere o dell’arte. In fronte a tutti
grave regna il consiglio: e li circonda
maestoso silenzio. Erran sul campo
agevoli ventagli, onde le dame
cercan ristoro all’agitato spirto
dopo i miseri casi. Erran sul campo
lucide tabacchiere. Indi sovente
un’util rimembranza un pronto avviso
con le dita si attigne: e spesso volge
i destini del gioco e de la veglia
un atomo di polve. Ecco sen ugne
la panciuta matrona intorno al labbro
le calugini adulte: ecco sen ugne
le nari delicate e un po’ di guancia
la sposa giovinetta. In vano il guardo
d’esperto cavalier, che già su lei
medita nel suo cor future imprese,
le domina dall’alto i pregi ascosi:
e in van d’un altro timidetto ancora
il pertinace piè l’estrema punta
del bel piè le sospigne. Ella non sente
o non vede o non cura. Entro a que’ fogli,
ch’ella con man sì lieve ordina o turba,
de le pompe muliebri a lei concesse
or s’agita la sorte. Ivi è raccolto
il suo cor la sua mente. Amor sorride;
e luogo e tempo a vendicarsi aspetta.

      Chi la vasta quiete osa da un lato
romper con voci successive or aspre
or molli or alte ora profonde, sempre
con tenore ostinato al par di secchi,
che scendano e ritornino piagnenti
dal cupo alveo dell’onda; o al par di rote,
che sotto al carro pesante, per lunga
odansi strada scricchiolar lontano?
L’ampia tavola è questa, a cui s’aduna
quanto mai per aspetto e per maturo
senno il nobil concilio ha di più grave
o fra le dive socere o fra i nonni
o fra i celibi già da molti lustri
memorati nel mondo. In sul tapeto
sorge grand’urna, che poi scossa in volta
la dovizia de’ numeri comparte
fra i giocator, cui numerata è innanzi
d’immagini diverse alma vaghezza.
Qual finge il vecchio, che con man la negra
sopra le grandi porporine brache
veste raccoglie; e rubicondo il naso
di grave stizza alto minaccia e grida
l’aguzza barba dimenando. Quale
finge colui, che con la gobba enorme
e il naso enorme e la forchetta enorme
le cadenti lasagne avido ingoia.
Quale il multicolor zanni leggiadro,
che, col pugno posato al fesso legno,
sovra la punta dell’un piè s’innoltra;
e la succinta natica rotando,
altrui volge faceto il nero ceffo.
Né d’animali ancor copia vi manca,
o al par d’umana creatura l’orso
ritto in due piedi, o il miccio, o la ridente
simmia, o il caro asinello, onde a sé grato
e giocatrici e giocator fan speglio.

 
 
 
 
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Ultimo aggiornamento: 11 febbraio, 1998