Ite al pietoso uficio, itene or
dunque:
ma lungo consigliar duri tra voi
pria che a la meta il vostro cocchio arrive.
Se visitar, non già veder l'amica
forse a voi piace, tacita a le porte
la volubile rota il corso arresti:
e il giovanetto messagger salendo
per le scale sublimi a lei v'annunzi
sì che voi non volenti ella non voglia.
Ma, se vaghezza poi ambo vi prende
di spiar chi sia seco, e di turbarle
l'anima un poco, e ricercarle in volto
de' suoi casi la serie, il cocchio allora
entri: e improvviso ne rimbombi e frema
l'atrio superbo. Egual piacere inonda
sempre il cor de le belle o che opportune
o giungano importune alle lor pari. Già le
fervide amiche ad incontrarse
volano impazienti; un petto all'altro
già premonsi abbracciando; alto le gote
d'alterni baci risonar già fanno;
già strette per la man co' dotti fianchi
ad un tempo amendue cadono a piombo
sopra il sofà. Qui l'una un sottil motto
vibra al cor dell'amica; e a i casi allude
che la Fama narrò: quella repente
con un altro l'assale. Una nel viso
di bell'ire s'infiamma: e l'altra i vaghi
labbri un poco si morde: e cresce in tanto
e quinci ognor più violento e quindi
il trepido agitar de i duo ventagli.
Così, se mai al secol di Turpino
di ferrate guerriere un paro illustre
si scontravan per via, ciascuna ambiva
l'altra provar quel che valesse in arme;
e dopo le accoglienze oneste e belle
abbassavan lor lance e co' cavalli
urtavansi feroci; indi infocate
di magnanima stizza i gran tronconi
gittavan via de lo spezzato cerro,
e correan con le destre a gli elsi enormi.
Ma di lontan per l'alta selva fiera
un messagger con clamoroso suono
venir s'udiva galoppando; e l'una
richiamare a re Carlo, o al campo l'altra
del giovane Agramante. Osa tu pure,
osa, invitto garzone, il ciuffo e i ricci
sì ben finti stamane all'urto esporre
de' ventagli sdegnati: e a nuove imprese
la tua bella invitando, i casi estremi
de la pericolosa ira sospendi.
Oh solenne a la patria, oh all'orbe intero
giorno fausto e beato al fin sorgesti
di non più visto in ciel roseo splendore
a sparger l'orizzonte. Ecco la sposa
di ramni eccelsi l'inclit'alvo al fine
sgravò di maschia desiata prole
la prima volta. Da le lucid'aure
fu il nobile vagito accolto a pena,
che cento messi a precipizio uscîro
con le gambe pesanti e lo spron duro
stimolando i cavalli, e il gran convesso
dell'etere sonoro alto ferendo
di scutiche e di corni: e qual si sparse
per le cittadi popolose, e diede
a i famosi congiunti il lieto annunzio:
e qual per monti a stento rampicando
trovò le rocche e le cadenti mura
de' prischi feudi ove la polve e l'ombra
abita e il gufo; e i rugginosi ferri
sopra le rote mal sedenti al giorno
di novo espose, e fe' scoppiarne il tuono;
e i gioghi de' vassalli e le vallèe
ampie e le marche del gran caso empièo.
Né le Muse devote, onde gran plauso
venne l'altr'anno a gl'imenei felici,
già si tacquero al parto. Anzi, qual suole
là su la notte dell'ardente agosto
turba di grilli, e più lontano ancora
innumerabil popolo di rane
sparger d'alto frastuono i prati e i laghi,
mentre cadon su lor fendendo il buio
lucide strisce, e le paludi accende
fiamma improvvisa che lambisce e vola;
tal sorsero i cantori a schiera a schiera;
e tal piovve su lor foco febèo,
che di motti ventosi alta compaggine
fe' dividere in righe, o in simil suono
uscir pomposamente. Altri scoperse
in que' vagiti Alcide, altri d'Italia
il soccorso promise, altri a Bizanzio
minacciò lo sterminio. A tal clamore
non ardì la mia Musa unir sue voci:
ma del parto divino al molle orecchio
appressò non veduta; e molto in poco
strinse dicendo: tu sarai simìle
al tuo gran genitore. - . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Già di cocchi frequente il Corso splende:
e di mille che là volano rote
rimbombano le vie. Fiero per nova
scoperta biga il giovine leggiadro
che cesse al carpentier gli aviti campi
là si scorge tra i primi. All'un de' lati
sdraiasi tutto: e de le stese gambe
la snellezza dispiega. A lui nel seno
la conoscenza del suo merto abbonda;
e con gentil sorriso arde e balena
su la vetta del labbro; o da le ciglia,
disdegnando, de' cocchi signoreggia
la turba inferior: soave intanto
egli alza il mento, e il gomito protende;
e mollemente la man ripiegando,
i merletti finissimi su l'alto
petto si ricompon con le due dita.
Quinci vien l'altro che pur oggi al cocchio
dai casali pervenne, e già s'ascrive
al concilio de' numi. Egli oggi impara
a conoscere il vulgo, e già da quello
mille miglia lontan sente rapirsi
per lo spazio de' cieli. A lui davanti
ossequiosi cadono i cristalli
de' generosi cocchi oltrepassando;
e il lusingano ancor perché sostegno
sia de la pompa loro. Altri ne viene
che di compro pur or titol si vanta;
e pur s'affaccia, e pur gli orecchi porge,
e pur sembragli udir da tutti i labbri
sonar le glorie sue: mal abbia il lungo
de le rote stridore, e il calpestìo
de' ferrati cavalli, e l'aura, e il vento
che il bel tenor de le bramate voci
scender non lascia a dilettargli 'l core.
Di momento in momento il fragor cresce,
e la folla con esso. Ecco le vaghe
a cui gli amanti per lo dì solenne
mendicarono i cocchi. Ecco le gravi
matrone che gran tempo arser di zelo
contro al bel Mondo, e dell'ignoto Corso
la scelerata polvere dannâro;
ma poi che la vivace amabil prole
crebbe, e invitar sembrò con gli occhi Imene,
cessero alfine; e le tornite braccia,
e del sorgente petto i rugiadosi
frutti prudentemente al guardo aprîro
dei nipoti di Giano. Affrettan quindi
le belle cittadine, ora è più lustri
note a la Fama, poi che ai tetti loro
dedussero gli dèi; e sepper meglio,
e in più tragico stil da la toilette
ai loro amici declamar l'istoria
de' rotti amori; ed agitar repente
con celebrata convulsion la mensa,
il teatro, e la danza. Il lor ventaglio
irrequieto sempre or quinci or quindi
con variata eloquenza esce e saluta.
Convolgonsi le belle: or su l'un fianco
or su l'altro si posano tentennano
volteggiano si rizzan, sul cuscino
ricadono pesanti, e la lor voce
acuta scorre d'uno in altro cocchio.
Ma ecco alfin che le divine spose
degl'Italici eroi vengono anch'esse.
Io le conosco ai messaggier volanti
che le annuncian da lungi, ed urtan fieri,
e rompono la folla; io le conosco
da la turba de' servi al vomer tolti,
perché oziosi poi diretro pendano
al carro trionfal con alte braccia.
Male a Giuno ed a Pallade Minerva
e a Cinzia e a Citerea mischiarvi osate
voi pettorute Naiadi e Napee
vane di picciol fonte o d'umil selva
che agli Egipani vostri in guardia diede
Giove dall'alto. Vostr'incerti sguardi,
vostra frequente inane maraviglia,
e l'aria alpestre ancor de' vostri moti
vi tradiscono, ahi lasse, e rendon vana
la multiplice in fronte ai palafreni
pendente nappa, ch'usurpar tentaste,
e la divisa onde copriste il mozzo
e il cucinier che la seguace corte
accrebber stanchi, e i miseri lasciâro
canuti padri di famiglia soli
ne la muta magion serbati a chiave.
Troppo da voi diverse esse ne vanno
ritte negli alti cocchi alteramente;
e a la turba volgare che si prostra
non badan punto: a voi talor si volge
lor guardo negligente, e par, che dica:
- tu ignota mi sei; - o nel mirarvi
col compagno susurrano ridendo.
Le giovinette madri degli eroi
tutto empierono il Corso, e tutte han seco
Un giovinetto eroe, o un giovin padre
d'altri futuri eroi, che a la teletta,
a la mensa, al teatro, al corso, al gioco
segnaleransi un giorno; e fien cantati,
s'io scorgo l'avvenir, da tromba eguale
a quella che a me diede Apollo, e disse:
- Canta gli Achilli tuoi, canta gli Augusti
del secol tuo. - Sol tu manchi, o pupilla
del più nobile mondo: ora ne vieni,
e del rallegratore de l'universo
rallegra or tu la moribonda luce.
Già tarda a la tua dama; e già con essa
precipitosamente al corso arrivi.
Il memore cocchier serbi quel loco
che voi dianzi sceglieste, e voi non osi
tra le ignobili rote al vulgo esporre,
se star fermi vi piace, od oltre scorra,
se di scorrer v'aggrada; e a i guardi altrui
spiegar gioie novelle, e nuove paci
che la pubblica fama ignori ancora.
Né conteso a te fia per brevi istanti
uscir del cocchio: e sfolgorando intorno,
qual da repente spalancata nube,
tutti scoprir di tua bellezza i rai,
nel tergo, ne le gambe e nel sembiante
simile a un dio; poi che a te, non meno
che all'altro semideo, Venere diede
e zazzera leggiadra e porporino
splendor di gioventù, quando stamane
allo speglio sedesti. Ecco son pronti
al tuo scendere i servi. Un salto ancora
spicca e rassetta gli increspati panni,
e le trine sul petto: un po' t'inchina:
ai lucidi calzari un guardo volgi:
ergiti, e marcia dimenando il fianco.
O il corso misurar potrai soletto
se il passeggiar tu brami: o tu potrai
dell'altrui dame avvicinarti al cocchio,
e inerpicarti, et introdurvi il capo
e le spalle, e le braccia, e mezzo ancora
dentro versarte. Ivi sonar tant'alto
fa le tue risa, che da lunge le oda
la tua dama, e si turbi, ed interrompa
il celiar degli eroi che accorser tosto
tra 'l dubbio giorno a custodirla in tanto
che solinga rimase. O sommi numi
sospendete la notte: e i fatti egregi
del mio giovin signor splender lasciate
al chiaro giorno. Ma la notte segue
sue leggi inviolabili, e declina
con tacit'ombra sopra l'emispero;
e il rugiadoso piè lenta movendo,
rimescola i color vari infiniti,
e via gli sgombra con l'immenso lembo
di cosa in cosa: e suora de la morte
un aspetto indistinto, un solo volto
al suolo, ai vegetanti, agli animali,
a i grandi, ed a la plebe equa permette;
e i nudi insieme, e li dipinti visi
de le belle confonde e i cenci e l'oro:
né veder mi concede all'aere cieco
qual de' cocchi si parta, o qual rimanga
solo all'ombre segrete: e a me di mano
toglie il pennello, il mio signore avvolge
per entro al tenebroso umido velo. |
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