Giuseppe Parini

Il Giorno


Il Vespro
vv. 1-252

(secondo la lezione del Ms. Ambrosiano, IV, 10 (vv. 1-349), dall'ed. del 1765 de Il Mezzogiorno, secondo un esemplare a stampa con correzioni del Parini (Ambrosiano, IV, 2) per i vv. 350-456, ed infine dal Ms. Ambrosiano, IV, 10 bis, per i versi 457-510)

           Ma de gli augelli e de le fere il giorno
e de' pesci squammosi e de le piante
e dell'umana plebe al suo fin corre.
Già sotto al guardo de la immensa luce
sfugge l'un mondo: e a berne i vivi raggi
Cuba s'affretta e il messico e l'altrice
di molte perle California estrema:
e da' maggiori colli e dall'eccelse
rocche il sol manda gli ultimi saluti
all'Italia fuggente; e par che brami
rivederti o Signor prima che l'alpe
o l'appennino o il mar curvo ti celi
a gli occhi suoi. Altro finor non vide
che di falcato mietitore i fianchi
su le campagne tue piegati e lassi,
e su le armate mura or braccia or spalle
carche di ferro, e su le aeree capre
de gli edificii tuoi man scabre e arsicce,
e villan polverosi innanzi a i carri
gravi del tuo ricolto, e su i canali
e su i fertili laghi irsuti petti
di remigante che le alterne merci
a' tuoi comodi guida ed al tuo lusso;
tutti ignobili aspetti. Or colui veggia
che da tutti servito a nullo serve.

           Pronto è il cocchio felice. Odo le rote,
odo i lieti corsier che all'alma sposa
e a te suo fido cavalier nodrisce
il placido marito. Indi la pompa
affrettasi de' servi; e quindi attende
con insigni berretti e argentee mazze
candida gioventù che al corso agogna
i moti espor de le vivaci membra:
e nell'audace cor forse presume
a te rapir de la tua bella i voti.

            Che tardi omai? Non vedi tu com'ella
già con morbide piume a i crin leggeri
la bionda che svanì polve rendette;
e con morbide piume in su la guancia
fe' più vermiglie rifiorir che mai
le dall'aura predate amiche rose?
Or tu nato di lei ministro e duce
l'assisti all'opra; e di novelli odori
la tabacchiera e i bei cristalli aurati
con la perita mano a lei rintégra:
tu il ventaglio le scegli adatto al giorno;
e tenta poi fra le giocose dita
come agevole scorra. Oh qual con lieti
nè ben celati a te guardi e sorrisi
plaude la dama al tuo sagace tatto!

           Ecco ella sorge; e del partir dà cenno:
ma non senza sospetti e senza baci
a le vergini ancelle il cane affida
al par de' giochi, al par de' cari figli
grave sua cura: e il misero dolente
mal tra le braccia contenuto e i petti
balza e guaisce in suon che al rude vulgo
ribrezzo porta di stridente lima;
e con rara celeste melodia
scende a gli orecchi de la dama e al core.

           Mentre così fra i generosi affetti
e le intese blandizie e i sensi arguti
e del cane e di sè la bella oblia
pochi momenti; tu di lei più saggio
usa del tempo: e a chiaro speglio innante
i bei membri ondeggiando alquanto libra
su le gracili gambe; e con la destra
molle verso il tuo sen piegata e mossa
scopri la gemma che i bei lini annoda;
e in un di quelle ond'hai sì grave il dito
l'invidiato folgorar cimenta:
poi le labbra componi; ad arte i guardi
tempra qual più ti giova; e a te sorridi.
Al fin tu da te sciolto, ella dal cane
ambo al fin v'appressate. Ella da i lumi
spande sopra di te quanto a lei lascia
d'eccitata pietà l'amata belva;
e tu sopra di lei da gli occhi versi
quanto in te di piacer destò il tuo volto.
Tal seguite ad amarvi: e insieme avvinti,
tu a lei sostegno, ella di te conforto,
itene omai de' cari nodi vostri
grato dispetto a provocar nel mondo.

           Qual primiera sarà che da gli amati
voi sul vespro nascente alti palagi
fuor conduca o Signor voglia leggiadra?
Fia la santa Amistà, non più feroce
qual ne' prischi eccitar tempi godea
l'un per l'altro a morir gli agresti eroi;
ma placata e innocente al par di questi
onde la nostra età sorge sì chiara
di Giove alti incrementi. Oh dopo i tardi
de lo specchio consigli e dopo i giochi,
dopo le mense, amabil dea, tu insegni
come il giovin Marchese al collo balzi
del giovin Conte; e come a lui di baci
le gote imprima; e come il braccio annode
l'uno al braccio dell'altro; e come insieme
passeggino elevando il molle mento
e volgendolo in guisa di colombe;
e palpinsi e sorridansi e rispondansi
con un vezzoso «tu». Tu fra le dame
sul mobil arco de le argute lingue
i già pronti a scoccar dardi trattieni,
s'altra giugne improvviso a cui rivolti
pendean di già: tu fai che a lei presente
non osin dispiacer le fide amiche:
tu le carche faretre a miglior tempo
di serbar le consigli. Or meco scendi;
e i generosi ufici e i cari sensi
meco detta al mio eroe; tal che, famoso
per entro al suon de le future etadi,
e a Pilade s'eguagli e a quel che trasse
il buon Tesèo da le Tenarie foci.

           Se da i regni che l'alpe o il mar divide
dall'Italico lido in patria or giunse
il caro amico; e da i perigli estremi
sorge d'arcano mal, che in dubbio tenne
lunga stagione i fisici eloquenti,
magnanimo garzone andrai tu forse
trepido ancora per l'amato capo
a porger voti sospirando? Forse
con alma dubbia e palpitante i detti
e i guardi e il viso esplorerai de' molti
che il giudizio di voi menti sì chiare
fra i primi assunse d'Esculapio alunni?
O di leni origlieri all'omer lasso
porrai sostegno; e vital sugo a i labbri
offrirai di tua mano? O pur con lieve
bisso il madido fronte a lui tergendo,
e le aurette agitando, il tardo sonno
inviterai a fomentar con l'ali
la nascente salute? Ahi no; tu lascia
lascia che il vulgo di sì tenui cure
le brevi anime ingombri; e d'un sol atto
rendi l'amico tuo felice a pieno.

           Sai che fra gli ozi del mattino illustri,
del gabinetto al tripode sedendo,
grand'arbitro del bello oggi creasti
gli eccellenti nell'arte. Onor cotanto
basti a darti ragion su le lor menti
e su l'opre di loro. Util ciascuno
a qualch'uso ti fia. Da te mandato
con acuto epigramma il tuo poeta
la mentita virtù trafigger puote
d'una bella ostinata: e l'elegante
tuo dipintor può con lavoro egregio
tutti dell'amicizia onde ti vanti
compendiar gli ufici in breve carta;
o se tu vuoi che semplice vi splenda
di nuda maestade il tuo gran nome;
o se in antica lapide imitata
inciso il brami; o se in trofeo sublime
accumulate a te mirar vi piace
le domestiche insegne, indi un lione
rampicar furibondo e quindi l'ale
spiegar l'augel che i fulmini ministra,
qua timpani e vessilli e lance e spade,
e là scettri e collane e manti e velli
cascanti argutamente. Ora ti vaglia
questa carta o signor serbata all'uopo;
or fia tempo d'usarne. Esca e con essa
del caro amico tuo voli a le porte
alcun de' nunci tuoi; quivi deponga
la tessera beata; e fugga; e torni
ratto su l'orme tue pietoso eroe,
che già pago di te ratto a traverso
e de' trivii e del popolo dilegui.

           Già il dolce amico tuo nel cor commosso,
e non senza versar qualche di pianto
tenera stilla il tuo bel nome or legge,
seco dicendo: - oh ignoto al duro vulgo
sollievo almo de' mali! Oh sol concesso
facil commercio a noi alme sublimi
e d'affetti e di cure! Or venga il giorno;
che sì grate alternar nobili veci
a me sia dato! - Tale sbadigliando
si lascia da la man lenta cadere
l'amata carta; e te la carta e il nome
soavemente in grembo al sonno oblia.

           Tu fra tanto colà rapido il corso
declinando intraprendi ove la dama
co' labbri desiosi e il premer lungo
del ginocchio sollecito ti spigne
ad altre opre cortesi. Ella non meno
all'imperio possente a i cari moti
dell'amistà risponde. A lei non meno
palpita nel bel petto un cor gentile.

           Che fa l'amica sua? Misera! Ieri,
qual fusse la cagion, fremer fu vista
tutta improvviso, ed agitar repente
le vaghe membra. Indomito rigore
occupolle le cosce; e strana forza
le sospinse le braccia. Illividîro
i labbri onde l'Amor l'ali rinfresca;
enfiò la neve de la bella gola;
e celato candor da i lini sparsi
effuso rivelossi a gli occhi altrui.
Gli Amori si schermiron con la benda;
e indietro rifuggironsi le Grazie.
In vano il cavaliere, in van lo sposo
tentò frenarla, in van le damigelle
che su lo sposo e il cavaliere e lei
scorrean col guardo; e poi ristrette insieme
malignamente sorrideansi in volto.
Ella truce guatando curvò in arco
duro e feroce le gentili schiene;
scalpitò col bel piede; e ripercosse
la mille volte ribaciata mano
del tavolier ne le pugnenti sponde.
Livida pesta scapigliata e scinta
al fin stancò tutte le forze; e cadde
insopportabil pondo sopra il letto.

           Né fra l'intime stanze o fra le chiuse
gemine porte il prezioso evento
tacque ignoto molt'ore. Ivi la Fama
con uno il colse de' cent'occhi suoi;
e il bel pegno rapito uscì portando
fra le adulte matrone, a cui segreto
dispetto fanno i pargoletti amori,
che da la maestà de gli otto lustri
fuggon volando a più scherzosi nidi.
Una è fra lor che gli altrui nodi or cela
comoda e strigne; or d'ispida virtude
arma suoi detti; e furibonda in volto
e infiammata ne gli occhi alto declama,
interpreta, ingrandisce i sagri arcani
de gli amorosi gabinetti; e a un tempo
odiata e desiata eccita il riso
or co' propri misteri or con gli altrui.
La vide, la notò, sorrise alquanto
la volatile dea, disse: - Tu sola
sai vincere il clamor de la mia tromba. -
Disse, e in lei si mutò. Prese il ventaglio,
prese le tabacchiere, il cocchio ascese;
e la venne trottando ove de' grandi
è il consesso più folto. In un momento
lo sbadigliar s'arresta. In un momento
tutti gli occhi e gli orecchi e tutti i labbri
si raccolgono in lei: ed ella al fine,
e ansando e percotendosi con ambe
le mani le ginocchia, il fatto espone
e del fatto le origini riposte.
Riser le dame allor pronte domane
a fortuna simìl, se mai le vaghe
lor fantasie commoverà negato
da i mariti compenso a un gioco avverso,
in faccia a lor per deità maggiore
negligenza d'amante, o al can diletto
nata subita tosse: e rise ancora
La tua dama con elle: e in cor dispose
di teco visitar l'egra compagna.

 
 
 
 
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Ultimo aggiornamento: 11 febbraio, 1998