Oh beati fra gli altri e
cari al cielo
viventi a cui con miglior man Titano
formò gli organi illustri, e meglio tese,
e di fluido agilissimo inondolli!
Voi l'ignoto solletico sentiste
del celeste motore. In voi ben tosto
la voglia s'infiammò, nacque il desio:
voi primieri scopriste il buono, il meglio;
voi con foga dolcissima correste
a possederli. Allor quel de i duo sessi,
che necessario in prima era soltanto,
d'amabile e di bello il nome ottenne.
Al giudizio di Paride fu dato
il primo esempio: tra femminei volti
a distinguer s'apprese; e e fur sentite
primamente le Grazie. Allor tra mille
sapor fur noti i più soavi. Allora
fu il vin preposto all'onda; e il vin s'elesse
figlio de' tralci più riarsi, e posti
a più fervido sol, ne' più sublimi
colli dove più zolfo il suolo impingua.
Così l'uom si divise: e fu il signore
dai mortali distinto a cui nel seno
giacquero ancor l'ebeti fibre, inette
a rimbalzar sotto a i soavi colpi
de la nova cagione onde fur tocche;
e quasi bovi, al suol curvati ancora
dinanzi al pungol del bisogno andâro;
e tra la servitute e la viltade,
e il travaglio e l'inopia a viver nati,
ebber nome di plebe. Or tu, garzone,
che per mille feltrato invitte reni
sangue racchiudi, poi che in altra etade
arte, forza o fortuna i padri tuoi
grandi rendette, poi che il tempo al fine
lor divisi tesori in te raccolse,
godi de gli ozi tuoi, a te da i numi
concessa parte: e l'umil vulgo in tanto,
dell'industria donato, a te ministri
ora i piaceri tuoi nato a recarli
su la mensa regal, non a gioirne. Ecco, splende il
gran desco. In mille forme
e di mille sapor, di color mille
la variata eredità degli avi
scherza in nobil di vasi ordin disposta.
Già la dama s'appressa: e già da i servi
il morbido per lei seggio s'adatta.
Tu, signor, di tua mano all'agil fianco
il sottopon, sì che lontana troppo
ella non sieda o da vicin col petto
ahi! di troppo non prema: indi un bel salto
spicca, e chino raccogli a lei del lembo
il diffuso volume: e al fin t'assidi
prossimo a lei. A cavalier gentile
il lato abbandonar de la sua dama
non fia lecito mai, se già non sorge
strana cagione a meritar, ch'ei tolga
tanta licenza. Un nume ebber gli antiqui
immobil sempre, e che lo medesmo padre
de gli dèi non cedette, allor ch'ei venne
il Campidoglio ad abitar, sebbene
e Giuno e Febo e Venere e Gradivo
e tutti gli altri dèi da le lor sedi
per riverenza del Tonante uscîro.
Indistinto ad ognaltro il loco sia
all'alta mensa intorno: e s'alcun arde
ambizioso di brillar fra gli altri,
brilli altramente. Oh come i var ingegni
la libertà del genial convito
desta ed infiamma! Ivi il gentil Motteggio,
malizioso svolazzando, reca
spra le penne fuggitive fuggitive ed agita
ora i raccolti da la fama errori
de le belle lontane, o de gli amanti
or de' mariti i semplici costumi;
e gode di mirare l'intento sposo
rider primiero, e di crucciar con lievi
minacce in cor de la sua fida sposa
i timidi segreti. Ivi abbracciata
co' festivi Racconti esulta e scherza
l'elegante Licenza. Or nuda appare
come le Grazie; or con leggiadro velo
solletica più scaltra, e pur fatica
di richiamar de le matrone al volto
quella rosa che caro al fregio
fu dell'avole nostre, ed or ne' campo
cresce solinga, e tra i selvaggi scherzi
a le rozze villane il viso adorna.
Forse a la bella di sua man le dapi
piacerà ministrar, che novi al senso
gusti otterran da lei. Tu dunque al ferro
che forbito ti giace al destro lato
quasi spada sollecito snudando,
fa che in alto lampeggi: e china a lei
magnanimo lo cedi. Or si vedranno
de la candida mano all'opra intenta
i muscoli giocar soavi e molli:
e le grazie, piegandosi con essa,
vestiran nuove forme, or da le dita
fuggevoli scorrendo, ora su l'alto
de' bei nodi insensibili aleggiando,
et or de le pozzette in sen cadendo,
che dei nodi al confin v'impresse Amore.
Mille baci di freno impazienti
ecco sorgon dal labbro a i convitati;
già s'arrischian, già volano, già un guardo
sfugge da gli occhi tuoi, che i vanti audaci
fulmina ed arde, e tue ragion difende.
Sol de la fida sposa a cui se' caro
il tranquillo marito immoto siede:
e nulla impression l'agita o move
di brama o di timor; però che Imene
da capo a piè fatollo. Imene or porta
non più serti di rose al crine avvolti,
ma stupido papavero grondante
di crassa onda letèa, che solo insegna
pur dianzi era del Sonno. Ahi quante volte
la dama dilicata invoca il Sonno
che al talamo presieda, e seco invece
trova Imeneo; e timida s'arretra
quasi al meriggio stanca villanella
che tra l'erbe innocenti adagia il fianco
lieta e sicura; e di repente vede
un serpe; e balza in piedi inorridita;
e le rigide man stende, e ritragge
il cubito, e l'anelito sospende;
e immota e muta, e con le labbra aperte
il guarda obliquamente. Ahi quante volte
incauto amante a la sua lunga pena
cercò sollievo: e d'invocar credendo
Imene, ahi folle! invocò il Sonno; e questi
di fredda oblivion l'alma gli asperse;
e d'invincibil noia, e di torpente
indifferenza gli ricinse il core.
Ma se a la dama dispensar non piace
le vivande, o non giova, allor tu stesso
la bell'opra imprendi. Agli occhi altrui
più più così smaglierà l'enorme gemma,
dolc'esca a gli usurai, che quella osâro
a le promesse di signor preporre
villanamente: e contemplati fiéno
i manichetti, la più nobil opra
che tessesser giammai angliche Aracni.
Invidieran tua delicata mano
i convitati; inarcheran le ciglia
al difficil lavoro, e d'oggi in poi
ti fia ceduto il trinciator coltello
che al cadetto guerrier serban le mense.
Sia tua cura, fra tanto errar su i cibi
con sollecita occhiata, e prontamente
scoprir qual d'essi a la tua dama è caro;
e qual di raro augel, di stranio pesce
parte le aggrada. Il tuo coltello Amore
anatomico renda, Amor che tutte
degli animanti annoverar le membra
puote, e discerner sa qual aggian tutte
uso, e natura. Più d'ogn'altra cosa
però ti caglia rammentar mai sempre
qual più cibo le noccia, o qual più giovi;
e l'un rapisci a lei, l'altro concedi
come d'uopo a te par. Oh Dio, la serba,
serbala ai cari figli. Essi dal giorno
che le alleviâro il dilicato fianco
non la rivider più: d'ignobil petto
esaurirono i vasi, e la ricolma
nitidezza serbâro al sen materno.
Sgridala, se a te par ch'avida troppo
al cibo agogni; e le ricorda i mali
che forse avranno altra cagione, e ch'ella
al cibo imputerà nel dì venturo.
Né al cucinier perdona a cui non calse
tanta salute. A te ne' servi altrui
ragion fu data in quel beato istante
che la noia o l'amor ambo vi strinse
in dolce nodo; e pose ordini e leggi.
Per te sgravato d'odioso incarco
ti fia grato colui che dritto vanta
d'impor novo cognome a la tua dama;
e pinte strascinar su gli aurei cocchi
giunte a quelle di lei le proprie insegne:
dritto sacro a lui sol, ch'altri giammai
audace non tentò divider seco.
Vedi come col guardo a te fa cenno
pago ridendo, e a le tue leggi applaude;
mentre l'alta forcina in tanto ei volge
di gradite vivande al piatto ancora.
Non però sempre a la tua bella intorno
sudin gli studi tuoi. Anco tal volta
fia lecito goder brevi riposi;
e de la quercia trionfale all'ombra
te de la polve olimpica tergendo,
al vario ragionar degli altri eroi
porgere orecchio, e il tuo sermone a i loro
frammischiar ozioso. Uno già scote
le architettate del bel crine anella
su la guancia ondeggianti; e, ad ogni scossa,
de' convitati a le narici manda
vezzoso nembo d'arabi profumi.
A lo spirto di lui l'alma Natura
fu prodiga così, che più non seppe
di che il volto abbellirgli; e all'Arte disse:
- Tu compi il mio lavoro, - e l'Arte suda
sollecita d'intorno all'opra illustre.
Molli tinture, preziose linfe,
polvi, pastiglie, delicati unguenti
tutto arrischia per lui. Quanto di novo,
e mostruoso più sa tesser spola,
o bulino intagliar gallico ed anglo
a lui primo concede. Oh lui beato,
che primo ancor di non più viste forme
tabacchiera mostrò! L'etica invidia
i grandi eguali a lui lacera e mangia;
ed ei, pago di sé, superbamente
crudo, fa loro balenar su gli occhi
l'ultima gloria onde Parigi ornollo.
Forse altera così, d'Egitto in faccia,
vaga prole di Semele apparisti,
i giocondi rubini alto levando
del grappolo primiero: e tal tu forse,
tessalico garzon, mostrasti a Jolco
l'auree lane rapite al fero drago.
Or vedi or vedi qual magnanim'ira
nell'eroe che dell'altro a canto siede
a sì novo spettacolo si desta:
vedi quanto ei s'affanna, e il pasto sembra
obliar declamando! Al certo, al certo,
il nemico è a le porte. Ohimè i Penati
tremano, e in forse è la civil salute.
Ma no; più grave a lui, più preziosa
cura lo infiamma: - Oh depravato ingegno
degli artefici nostri! In van si spera
da la inerte lor man lavoro egregio,
felice invenzion d'uom nobil degna.
Chi sa intrecciar, chi sa pulir fermaglio
a patrizio calzar? chi tesser drappo
soffribil tanto, che d'ornar presuma
i membri di signor che un lustro a pena
conti di feudo? In van s'adopra e stanca
chi la lor mente sonnolenta e crassa
cerca destar. Di là dall'Alpi è d'uopo
appellar l'eleganza. E chi giammai
fuor che il Genio di Francia osato avria
su i menomi lavori i grechi ornati
condur felicemente? Andò romito
il Bongusto finora spaziando
per le auguste cornici, e per gli eccelsi
timpani de le moli a i numi sacre,
o a gli uomini scettrati; ed or ne scende
vago alfin d'agitar gli austeri fregi
entro le man di cavalieri e dame.
Ben tosto si vedrà strascinar anco
fra i nuziali donisu e i lievi veli
le greche travi; e docile trastullo
fien de la moda le colonne e gli archi
ove sedeano i secoli canuti.
- Commercio! - alto gridar; gridar: - commercio! -
all'altro lato de la mensa or odi
con fanatica voce: e tra 'l fragore
d'un peregrino d'eloquenza fiume,
di bella novità stampate al conio
le forme apprendi, onde assai meglio poi
brillantati i pensier picchin lo spirto.
Tu pur grida: - Commercio! e un motto ancora
la tua bella ne dica. Empiono, è vero,
il nostro suol di Cerere i favori,
che per folti di biade immensi campi
ergesi altera; e pur ne mostra a pena
tra le spighe confuso il crin dorato:
Bacco e Vertunno i lieti poggi e il monte
ne coronan di poma: e Pale amica
latte ne preme a larga mano, e tonde
candidi velli, e per li prati pasce
mille al palato uman vittime sacre:
sorge fecondo il lin, soave cura
di verni rusticali; e d'infinita
serie ne cinge le campagne il tanto
per la morte di Tisbe arbor famoso.
Che vale or ciò? Su le natie lor balze
rodan le capre; ruminando il bue
lungo i prati natii vada; e la plebe
non dissimile a lor, si nutra e vesta
de le fatiche sue; ma a le grand'alme
di troppo agevol ben schife, Cillenio
il comodo ministri, a cui le miglia
pregio acquistino e l'oro; e d'ogn'intorno
- Commercio, - risonar s'oda, - commercio. -
Tale dai letti de la molle rosa
Sìbari un dì gridar soleva; e i lumi
disdegnando volgea da i frutti aviti,
troppo per lei ignobil cura; e mentre
Cartagin, dura a le fatiche, e Tiro,
pericolando per l'immenso sale,
con l'oro altrui le voluttà cambiava,
Sibari si volgea su l'altro lato;
e non premute ancor rose cercando,
pur di commercio novellava e d'arti. |
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