Giuseppe Parini

Il Giorno


Il Mezzogiorno
vv. 591-904

(secondo un esemplare a stampa edito a Milano nel 1765 ad opera di G. Galeazzi, che reca correzioni autografe dell'autore. Si trova nella biblioteca Ambrosiana, con la segnatura Ambros., IV, 2.)

     Ma non sempre, o signor, tue cure fieno
a la dama rivolte: anco talora
ti fia lecito aver qualche riposo;
e de la quercia trionfale all'ombra
te de la polve olimpica tergendo,
al vario ragionar degli altri eroi
porgere orecchio, e il tuo sermone ai loro
ozioso mischiar. Già scote un d'essi
le architettate del bel crine anella
su l'orecchio ondeggianti; e ad ogni scossa,
de' convitati a le narici manda
vezzoso nembo d'arabi profumi.
Allo spirto di lui l'alma Natura
fu prodiga così, che più non seppe
di che il volto abbellirgli; e all'Arte disse:
- Compisci 'l mio lavoro; - e l'Arte suda
sollecita d'intorno all'opra illustre.
Molli tinture, preziose linfe,
polvi, pastiglie, dilicati unguenti
tutto arrischia per lui. Quanto di novo,
e mostruoso più sa tesser spola,
o bulino intagliar francese ed anglo
a lui primo concede. Oh lui beato,
che primo può di non più viste forme
tabacchiera mostrar! l'etica invidia
i grandi eguali a lui lacera, e mangia;
ed ei pago di sé, superbamente
crudo fa loro balenar su gli occhi
l'ultima gloria onde Parigi ornollo.
Forse altera così d'Egitto in faccia
vaga prole di Semele apparisti
i giocondi rubini alto levando
del grappolo primiero: e tal tu forse
tessalico garzon mostrasti a Jolco
l'auree lane rapite al fero drago.

      Vedi, o signor, quanto magnanim'ira
nell'eroe che vicino all'altro siede
a quel novo spettacolo si desta:
vedi come s'affanna, e sembra il cibo
obliar declamando. Al certo al certo
il nemico è a le porte: ohimè i Penati
tremano, e in forse è la civil salute.
Ah no; più grave a lui, più preziosa
cura lo infiamma: - Oh depravati ingegni
degli artefici nostri! In van si spera
dall'inerte lor man lavoro industre,
felice invenzion d'uom nobil degna:
chi sa intrecciar, chi sa pulir fermaglio
a nobile calzar? chi tesser drappo
soffribil tanto, che d'ornar presuma
le membra di signor che un lustro a pena
di feudo conti? In van s'adopra e stanca
chi 'l genio lor bituminoso e crasso
osa destar. Di là dall'Alpi è forza
ricercar l'eleganza: e chi giammai
fuor che il Genio di Francia osato avrebbe
su i menomi lavori i Grechi ornati
recar felicemente? Andò romito
il bongusto finora spaziando
su le auguste cornici, e su gli eccelsi
timpani de le moli al nume sacre,
e agli uomini scettrati; oggi ne scende
vago alfin di condurre i gravi fregi
infra le man di cavalieri e dame:
tosto forse il vedrem trascinar anco
su molli veli, e nuziali doni
le greche travi; e docile trastullo
fien de la moda le colonne, e gli archi
ove sedeano i secoli canuti -.

      - Commercio! - alto gridar; gridar: - commercio! -
all'altro lato de la mensa or odi
con fanatica voce: e tra 'l fragore
d'un peregrino d'eloquenza fiume,
di bella novità stampate al conio
le forme apprendi, onde assai meglio poi
brillantati i pensier picchin la mente.
Tu pur grida: - Commercio! e la tua dama
anco un motto ne dica. Empiono è vero
il nostro suol di Cerere i favori,
che tra i folti di biade immensi campi
move sublime; e fuor ne mostra a pena
tra le spighe confuso il crin dorato.
Bacco, e Vertunno i lieti poggi intorno
ne coronan di poma: e Pale amica
latte ne preme a larga mano, e tonde
candidi velli, e per li prati pasce
mille al palato uman vittime sacre:
cresce fecondo il lin soave cura
del verno rusticale; e d'infinita
serie ne cinge le campagne il tanto
per la morte di Tisbe arbor famoso.
Che vale or ciò? Su le natie lor balze
rodan le capre; ruminando il bue
lungo i prati natii vada; e la plebe
non dissimile a lor, si nutra e vesta
de le fatiche sue; ma a le grand'alme
di troppo agevol ben schife Cillenio
il comodo presenti a cui le miglia
pregio acquistino, e l'oro; e d'ogn'intorno:
commercio, risonar s'oda, commercio.
Tale dai letti de la molle rosa
Sìbari ancor gridar soleva; i lumi
disdegnando volgea dai campi aviti,
troppo per lei ignobil cura; e mentre
Cartagin dura a le fatiche, e Tiro,
pericolando per l'immenso sale,
con l'oro altrui le voluttà cambiava,
Sìbari si volgea sull'altro lato;
e non premute ancor rose cercando,
pur di commercio novellava, e d'arti.

      Né senza i miei precetti, e senza scorta
inerudito andrai, signor, qualora
il perverso destin dal fianco amato
t'allontani a la mensa. Avvien sovente,
che un grande illustre or l'Alpi, or l'oceàno
varca, e scende in Ausonia, orribil ceffo
per natura o per arte, a cui Ciprigna
rose le nari; e sale impuro e crudo
snudò i denti ineguali. Ora il distingue
risibil gobba, or furiosi sguardi,
obliqui o loschi; or rantoloso avvolge
tra le tumide fauci ampio volume
di voce che gorgoglia, ed esce alfine
come da inverso fiasco onda che goccia.
Ora d'avi or di cavalli ora di Frini
instancabile parla, or de' celesti
le folgori deride. Aurei monili,
e gemme e nastri gloriose pompe
l'ingombran tutto; e gran titolo suona
dinanzi a lui. Qual più tra noi risplende
inclita stirpe, che onorar non voglia
d'un ospite sì degno i lari suoi?
Ei però sederà de la tua dama
al fianco ancora: e tu lontan da Giuno
tra i silvani capripedi n'andrai
presso al marito; e pranzerai negletto
col popol folto degli dèi minori.

      Ma negletto non già dagli occhi andrai
de la dama gentil, che a te rivolti
incontreranno i tuoi. L'aere a quell'urto
arderà di faville: e Amor con l'ali
l'agiterà. Nel fortunato incontro
i messaggier pacifici dell'alma
cambieran lor novelle, e alternamente
spinti, rifluiranno a voi con dolce
delizioso tremito sui cori.
Tu le ubbidisci allora, o se t'invita
le vivande a gustar che a lei vicine
l'ordin dispose, o se a te chiede in vece
quella che innanzi a te sue voglie punge
non col soave odor, ma con le nove
leggiadre forme onde abbellir la seppe
dell'ammirato cucinier la mano.
Con la mente si pascono gli dèi
sopra le nubi del brillante Olimpo:
e le labbra immortali irrita e move
non la materia, ma il divin lavoro.

      Né intento meno ad ubbidir sarai
i cenni del bel guardo allor che quella
di licor peregrino ai labbri accosta
colmo bicchiere a lo cui orlo intorno
serpe dorata striscia; o a cui vermiglia
cera la base impronta, e par, che dica:
- Lungi o labbra profane: al labbro solo
de la diva che qui soggiorna e regna
il castissimo calice si serbi:
né cavalier con l'alito maschile
osi appannarne il nitido cristallo,
né dama convitata unqua presuma
di porvi i labbri; e sien pur casti e puri,
e quant'esser si può cari all'amore.
Nessun'altra è di lei più pura cosa;
chi macchiarla oserà? Le Ninfe in vano
da le arenose loro urne versando
cento limpidi rivi, al candor primo
tornar vorrièno il profanato vaso;
e degno farlo di salir di novo
a le labbra celesti, a cui non lice
lnviolate approssimarsi ai vasi
che convitati cavalieri, e dame
convitate macchiâr coi labbri loro. -
Tu ai cenni del bel guardo, e de la mano
che reggendo il bicchier, sospesa ondeggia,
affettuoso attendi. I guardi tuoi
sfavillando di gioia, accolgan lieti
il brindisi segreto; e tu ti accingi
in simil modo a tacita risposta.

      Immortal come voi la nostra Musa
Brindisi grida all'uno, e all'altro amante;
all'altrui fida sposa a cui se' caro,
e a te, signor, sua dolce cura e nostra.
Come annoso licor Lièo vi mesce,
tale Amore a voi mesca eterna gioia
non gustata al marito, e da coloro
invidiata che gustata l'hanno.
Veli con l'ali sue sagace oblìo
le alterne infedeltà che un cor dall'altro
potrièno un giorno separar per sempre
e sole agli occhi vostri Amor discopra
le alterne infedeltà che in ambo i cori
ventilar possan le cedenti fiamme.
Un sempiterno indissolubil nodo
Àuguri ai vostri cor volgar cantore;
nostra nobile Musa a voi desia
sol fin che piace a voi durevol nodo.
Duri fin che a voi piace; e non si sciolga
senza che fama sopra l'ali immense
tolga l'alta novella, e grande n'empia
col reboàto dell'aperta tromba
l'ampia cittade, e dell'Enotria i monti
e le piagge sonanti, e s'esser puote,
la bianca Teti, e Guadiana, e Tule.
Il mattutino gabinetto, il corso,
il teatro, la mensa in vario stile
ne ragionin gran tempo: ognun ne chieda
il dolente marito; ed ei dall'alto
la lamentabil favola cominci.
Tal su le scene ove agitar solea
l'ombre tinte di sangue Argo piagnente,
squallido messo al palpitante coro
narrava, come furiando Edipo
al talamo corresse incestuoso;
come le porte rovescionne, e come
al subito spettacolo risté
quando vicina del nefando letto
vide in un corpo solo e sposa e madre
pender strozzata; e del fatale uncino
le mani armossi; e con le proprie mani
a sé le care luci da la testa
con le man proprie, misero! strapposse.

      Ecco volge al suo fine il pranzo illustre.
Già Como, e Dionisio al desco intorno
rapidissimamente in danza girano
con la libera gioia: ella saltando,
or questo or quel dei convitati lieve
tocca col dito; e al suo toccar scoppiettano
brillanti vivacissime scintille
ch'altre ne destan poi. Sonan le risa;
e il clamoroso disputar s'accende.
La nobil vanità punge le menti;
e l'Amor di sé sol, baldo scorrendo,
porge un scettro a ciascuno, e dice: - Regna. -
Questi i concilj di Bellona, e quegli
penetra i tempj de la pace. Un guida
i condottieri: ai consiglier consiglio
l'altro dona, e divide e capovolge
con seste ardite il pelago e la terra.
Qual di Pallade l'arti e de le Muse
giudica e libra: qual ne scopre acuto
l'alte cagioni; e i gran principj abbatte
cui creò la natura, e che tiranni
sopra il senso degli uomini regnâro
gran tempo in Grecia; e ne la tosca terra
rinacquer poi più poderosi e forti.

      Cotanto adunque di sapere è dato
a nobil mente? Oh letto, oh specchio, oh mensa,
oh corso, oh scena, oh feudi, oh sangue, oh avi,
che per voi non s'apprende? Or tu signore,
col volo ardito del felice ingegno
t'ergi sopra d'ognaltro. Il campo è questo
ove splender più dei: nulla scienza,
sia quant'esser si vuole arcana e grande,
ti spaventi giammai. Se cosa udisti,
o leggesti al mattino onde tu possa
gloria sperar; qual cacciator che segue
circuendo la fera, e sì la guida
e volge di lontan, che a poco a poco
s'avvicina a le insidie, e dentro piomba;
tal tu il sermone altrui volgi sagace
finché là cada over spiegar ti giovi
il tuo novo tesor. Se nova forma
del parlare apprendesti, allor ti piaccia
materia espor che, favellando, ammetta
la nova gemma: e poi che il punto hai colto,
ratto la scopri, e sfolgorando abbaglia
qual altra è mente che superba andasse
di squisita eloquenza ai gran convivj.
In simil guisa il favoloso amante
dell'animosa vergin di Dordona
ai cavalier che l'assalien superbi
usar lasciava ogni lor possa ed arte;
poi nel miglior de la terribil pugna
svelava il don dell'amoroso mago:
e quei sorpresi dall'immensa luce
cadeano ciechi e soggiogati a terra.
Se alcun di Zoroastro, e d'Archimede
discepol sederà teco a la mensa,
a lui ti volgi: seco lui ragiona;
suo linguaggio ne apprendi, e quello poi
quas'innato a te fosse, alto ripeti:
né paventar quel che l'antica fama
narrò de' suoi compagni. Oggi la diva
Urania il crin compose: e gl'irti alunni
smarriti vergognosi balbettanti
trasse da le lor cave ove pur dianzi
col profondo silenzio e con la notte
tenean consiglio: indi le serve braccia
fornien di leve onnipotenti ond'alto
salisser poi piramidi, obelischi
ad eternar de' popoli superbi
i gravi casi: oppur con feri dicchi
stavan contro i gran letti; o di pignone
audace armati spaventosamente
cozzavan con la piena, e giù a traverso
spezzate, dissipate rovesciavano
le tetre corna, decima fatica
d'Ercole invitto. Ora i selvaggi amici
Urania incivilì: baldi e leggiadri
nel gran mondo li guida o tra 'l clamore
de' frequenti convivj, oppur tra i vezzi
de' gabinetti ove a la docil dama,
e al saggio cavalier mostran qual via
Venere tenga; e in quante forme o quali
suo volto lucidissimo si cambi.

 
 
 
 
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Ultimo aggiornamento: 11 febbraio, 1998