Giuseppe Parini

Il Giorno


Il Mezzogiorno
vv. 1-284

(secondo un esemplare a stampa edito a Milano nel 1765 ad opera di G. Galeazzi, che reca correzioni autografe dell'autore. Si trova nella biblioteca Ambrosiana, con la segnatura Ambros., IV, 2.)

       Ardirò ancor tra i desinari illustri
sul meriggio innoltrarmi umil cantore,
poiché troppa di te cura mi punge,
signor, ch'io spero un dì veder maestro
e dittator di graziosi modi
all'alma gioventù che Italia onora.

       Tal fra le tazze e i coronati vini,
onde all'ospite suo fe' lieta pompa
la punica regina, i canti alzava
Jopa crinito: e la regina intanto
da' begli occhi stranieri iva beendo
l'oblivion del misero Sichèo:
e tale allor che l'orba Itaca in vano
chiedea a Nettun la prole di Laerte,
Femio s'udìa co' versi e con la cetra
la facil mensa rallegrar de' proci
cui dell'errante Ulisse i pingui agnelli
e i petrosi licori, e la consorte
invitavano al pranzo. Amici or piega,
giovin signore, al mio cantar gli orecchi
or che tra nuove Elise, e novi proci,
e tra fedeli ancor Penelopèe,
ti guidano a la mensa i versi miei.

      Già dal meriggio ardente il sol fuggendo
verge all'occaso: e i piccioli mortali
dominati dal tempo escon di novo
a popolar le vie ch'all'oriente
volgon ombra già grande: a te null'altro
dominator fuor che te stesso è dato.

      Alfin di consigliarsi al fido speglio
la tua dama cessò. Quante uopo è volte
chiedette, e rimandò novelli ornati;
quante convien de le agitate ognora
damigelle or con vezzi or con garriti
rovesciò la fortuna; a se medesma
quante volte convien piacque e dispiacque;
e quante volte è d'uopo a sé ragione
fece, e a' suoi lodatori. I mille intorno
dispersi arnesi alfin raccolse in uno
la consapevol del suo cor ministra;
alfin velata d'un leggier zendado
è l'ara tutelar di sua beltate;
e la seggiola sacra, un po' rimossa,
languidetta l'accoglie. Intorno ad essa
pochi giovani eroi van rimembrando
i cari lacci altrui, mentre da lungi
ad altra intorno i cari lacci vostri
pochi giovani eroi van rimembrando.

      Il marito gentil queto sorride
a le lor celie; o s'ei si cruccia alquanto,
del tuo lungo tardar solo si cruccia.
Nulla però di lui cura te prenda
oggi, o signore, e s'egli a par del vulgo
prostrò l'anima imbelle, e non sdegnosse
di chiamarsi marito, a par del vulgo
senta la fame esercitargl'in petto
lo stimol fier degli oziosi sughi
avidi d'esca: o s'a un marito alcuna
d'anima generosa orma rimane,
ad altra mensa il piè rivolga; e d'altra
dama al fianco s'assida il cui marito
pranzi altrove lontan d'un'altra a lato
ch'abbia lungi lo sposo: e così nuove
anella intrecci a la catena immensa
onde, alternando, Amor l'anime annoda.

      Ma sia che vuol, tu baldanzoso innoltra
ne le stanze più interne: ecco precorre
per annunciarti al gabinetto estremo
il noto stropiccìo de' piedi tuoi.
Già lo sposo t'incontra. In un baleno
sfugge dall'altrui man l'accorta mano
de la tua dama: e il suo bel labbro intanto
t'apparecchia un sorriso. Ognun s'arretra
che conosce i tuoi dritti, e si conforta
con le adulte speranze a te lasciando
libero e scarco il più beato seggio.
Tal colà dove infra gelose mura
Bizanzio ed Ispaàn guardano il fiore
de la beltà che il popolato Egèo
manda, e l'armeno, e il Tartaro, e il circasso
per delizia d'un solo, a bear entra
l'ardente sposa il grave munsulmano.
Tra 'l maestoso passeggiar gli ondeggiano
le late spalle, e sopra l'alta testa
le avvolte fasce: dall'arcato ciglio
ei volge intorno imperioso il guardo;
e vede al su' apparire umil chinarsi,
e il piè ritrar l'effeminata, occhiuta
turba, che sorridendo egli dispregia.

      Ora imponi, o signor, che tutte a schiera
si dispongan tue grazie; e a la tua dama
quanto elegante esser più puoi ti mostra.
Tengasi al fianco la sinistra mano
sotto il breve giubbon celata; e l'altra
sul finissimo lin posi, e s'asconda
vicino al cor: sublime alzisi 'l petto,
sorgan gli omeri entrambi, e verso lei
piega il duttile collo; ai lati stringi
le labbra un poco; ver lo mezzo acute
rendile alquanto, e da la bocca poi
compendiata in guisa tal sen esca
un non inteso mormorio. La destra
ella intanto ti porga: e molle caschi
sopra i tiepidi avorj un doppio bacio.
Siedi tu poscia; e d'una man trascina
più presso a lei la seggioletta. Ognuno
tacciasi; ma tu sol curvato alquanto
seco susurra ignoti detti a cui
concordin vicendevoli sorrisi,
e sfavillar di cupidette luci
che amor dimostri, o che lo finga almeno.

      Ma rimembra, o signor, che troppo nuoce
negli amorosi cor lunga e ostinata
tranquillità. Su l'oceàno ancora
perigliosa è la calma: oh quante volte
dall'immobile prora il buon nocchiere
invocò la tempesta! e sì crudele
soccorso ancor gli fu negato; e giacque
affamato assetato estenuato
dal velenoso aere stagnante oppresso
tra l'inutile ciurma al suol languendo.
Però ti giovi de la scorsa notte
ricordar le vicende; e con obliqui
motti pungerl' alquanto, o se nel volto
paga più che non suole accôr fu vista
il novello straniere; e co' bei labbri
semiaperti aspettar, quasi marina
conca, la soavissima rugiada
de' novi accenti: o se cupida troppo
col guardo accompagnò di loggia in loggia
il seguace di Marte, idol vegliante
de' feminili voti, a la cui chioma
col lauro trionfal s'avvolgon mille
e mille frondi dell'idalio mirto.

      Colpevole o innocente allor la bella
dama improviso adombrerà la fronte
d'un nuvoletto di verace sdegno
o simulato; e la nevosa spalla
scoterà un poco; e premerà col dente
l'infimo labbro: e volgeransi alfine
gli altri a bear le sue parole estreme.
Fors'anco rintuzzar di tue querele
saprà l'agrezza; e sovvenir faratti
le visite furtive ai tetti, ai cocchi
ed a le logge de le mogli illustri
di ricchi cittadini a cui sovente,
per calle che il piacer mostra, piegarsi
la maestà di cavalier non sdegna.

      Felice te, se mesta e disdegnosa
la conduci a la mensa; e s'ivi puoi
solo piegarla a comportar de' cibi
la nausea universal. Sorridan pure
a le vostre dolcissime querele
i convitati; e l'un l'altro percota
col gomito maligno: ah nondimeno
come fremon lor alme; e quanta invidia
ti portan, te veggendo unico scopo
di sì bell'ire! Al solo sposo è dato
nodrir nel cor magnanima quiete,
mostrar nel volto ingenuo riso, e tanto
docil fidanza ne le innocue luci.

      O tre fiate avventurosi e quattro
voi del nostro buon secolo mariti
quanto diversi da' vostr'avi! Un tempo
uscìa d'Averno con viperei crini,
con torbid'occhi irrequieti, e fredde
tenaci branche un indomabil mostro
che ansando e anelando intorno giva
ai nuziali letti; e tutto empiea
di sospetto e di fremito e di sangue.
Allor gli antri domestici, le selve,
l'onde, le rupi alto ulular s'udièno
di feminili strida: allor le belle
dame con mani incrocicchiate, e luci
pavide al ciel, tremando lagrimando,
tra la pompa feral de le lugubri
sale vedean dal truce sposo offrirsi
le tazze attossicate o i nudi stili.
Ahi pazza Italia! Il tuo furor medesmo
oltre l'alpi, oltre 'l mar destò le risa
presso agli emoli tuoi che di gelosa
titol ti diero; e t'è serbato ancora
ingiustamente. Non di cieco amore
vicendevol desire, alterno impulso,
non di costume simiglianza or guida
gl'incauti sposi al talamo bramato;
ma la prudenza coi canuti padri
siede librando il molt'oro, e i divini
antiquissimi sangui: e allor che l'uno
bene all'altro risponde, ecco Imenèo
scoter sua face; e unirsi al freddo sposo,
di lui non già, ma de le nozze amante
la freddissima vergine che in core
già volge i riti del bel mondo; e lieta
l'indifferenza maritale affronta.
Così non fien de la crudel Megera
più temuti gli sdegni. Oltre Pirene
contenda or pur le desiate porte
ai gravi amanti; e di feminee risse
turbi Oriente: Italia oggi si ride
di quello ond'era già derisa; tanto
puote una sola età volger le menti!

      Ma già rimbomba d'una in altra sala
il tuo nome, o signor; di già l'udìro
l'ime officine ove al volubil tatto
degl'ingenui palati arduo s'appresta
solletico che molle i nervi scota,
e varia seco voluttà conduca
fino al core dell'alma. In bianche spoglie
s'affrettano a compir la nobil opra
prodi ministri: e lor sue leggi detta
una gran mente del paese uscita
ove Colbert, e Richelieu fûr chiari.
Forse con tanta maestade in fronte
presso a le navi ond'Ilio arse e cadèo,
per gli ospiti famosi il grande Achille
disegnava la cena: e seco intanto
le vivande cocean sui lenti fochi
Pàtroclo fido, e il guidator di carri
Automedonte. O tu sagace mastro
di lusinghe al palato udrai fra poco
sonar le lodi tue dall'alta mensa.
Chi fia che ardisca di trovar pur macchia
nel tuo lavoro? Il tuo signor farassi
campion de le tue glorie; e male a quanti
cercator di conviti oseran motto
pronunciar contro te; ché sul cocente
meriggio andran peregrinando poi
miseri e stanchi, e non avran cui piaccia
più popolar con le lor bocche i pranzi.

      Imbandita è la mensa. In piè d'un salto
alzati e porgi, almo signor, la mano
a la tua dama; e lei dolce cadente
sopra di te col tuo valor sostieni,
e al pranzo l'accompagna. I convitati
vengan dopo di voi; quindi 'l marito
ultimo segua. O prole alta di numi
non vergognate di donar voi anco
pochi momenti al cibo: in voi non fia
vil opra il pasto; a quei soltanto è vile,
che il duro irresistibile bisogno
stimola e caccia. All'impeto di quello
cedan l'orso, la tigre, il falco, il nibbio,
l'orca, il delfino, e quant'altri mortali
vivon quaggiù; ma voi con rosee labbra
la sola Voluttade inviti al pasto,
la sola Voluttà che le celesti
mense imbandisce, e al nèttare convita
i viventi per sé dèi sempiterni.

      Forse vero non è; ma un giorno è fama,
che fûr gli uomini eguali; e ignoti nomi
fûr plebe, e nobiltade. Al cibo, al bere,
all'accoppiarsi d'ambo i sessi, al sonno
un istinto medesmo, un'egual forza
sospingeva gli umani: e niun consiglio
niuna scelta d'obbietti o lochi o tempi
era lor conceduta. A un rivo stesso,
a un medesimo frutto, a una stess'ombra
convenivano insieme i primi padri
del tuo sangue, o signore, e i primi padri
de la plebe spregiata. I medesm'antri
il medesimo suolo offrieno loro
il riposo, e l'albergo; e a le lor membra
i medesmi animai le irsute vesti.
Sol' una cura a tutti era comune
di sfuggire il dolore, e ignota cosa
era il desire agli uman petti ancora.

      L'uniforme degli uomini sembianza
spiacque a' celesti: e a variar la terra
fu spedito il Piacer. Quale già i numi
d'Ilio sui campi, tal l'amico genio,
lieve lieve per l'aere labendo
s'avvicina a la terra; e questa ride
di riso ancor non conosciuto. Ei move,
e l'aura estiva del cadente rivo,
e dei clivi odorosi a lui blandisce
le vaghe membra, e lentamente sdrucciola
sul tondeggiar dei muscoli gentile.
Gli s'aggiran d'intorno i Vezzi e i Giochi,
e come ambrosia, le lusinghe scorrongli
da le fraghe del labbro: e da le luci
socchiuse, languidette, umide fuori
di tremulo fulgore escon scintille
ond'arde l'aere che scendendo ei varca.

 
 
 
 
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Ultimo aggiornamento: 11 febbraio, 1998