Giuseppe Parini

Il Giorno


Il Mattino
(secondo la lezione del Ms. Ambrosiano, IV, 3-4)
vv. 595-864

     Breve libro elegante a te dinanzi
tra gli arnesi vedrai, che l’arte aduna
per disputare a la natura il vanto
del renderti sì caro agli occhi altrui.
Ei ti lusingherà forse con liscia
purpurea pelle onde fornito avrallo
o mauritano conciatore, o siro;
e d’oro fregi delicati, e vago
mutabile color che il collo imite
de la colomba, v’avrà sparso intorno
squisito legator batavo o franco;
e forse incisa con venereo stile
vi fia serie d’immagini interposta,
lavor che vince la materia, e donde
fia che nel cor ti si ridesti e viva
la stanca di piaceri ottusa voglia.
Or tu il libro gentil con lenta mano
togli; e non senza sbadigliare un poco
aprilo a caso, o pur là dove il parta
tra l’uno e l’altro foglio indice nastro.

      O de la Francia Proteo multiforme
scrittor troppo biasmato e troppo a torto
lodato ancor, che sai con novi modi
imbandir ne’ tuoi scritti eterno cibo
a i semplici palati, e se’ maestro
di color che a sé fingon di sapere;
tu appresta al mio signor leggiadri studi
con quella tua fanciulla all’anglo infesta,
onde l’Enrico tuo vinto è d’assai,
l’Enrico tuo, che invano abbatter tenta
l’italian Goffredo, ardito scoglio
contro a la Senna d’ogni vanto altera.

      Tu de la Francia onor, tu in mille scritti
celebrata da’ tuoi novella Aspasia,
Taide novella a i facili sapienti
de la gallica Atene, i tuoi precetti
tu pur detta al mio eroe: e a lui non meno
pasci l’alto pensier tu che all’Italia,
poi che rapîrle i tuoi l’oro e le gemme,
invidiasti il fedo loto ancora
onde macchiato è il certaldese, o l’altro
per cui va sì famoso il pazzo conte.

      Questi, o signore, i tuoi studiati autori
fieno e mill’altri che guidâro in Francia
i bendati sultani, i regi persi,
e le peregrinanti arabe dame;
o che, con penna liberale, a i cani
ragion donâro e a i barbari sedili,
e diêr feste e conviti e liete scene
a i polli ed alle gru d’amor maestre.

      O pascol degno d’anima sublime!
oh chiara, oh nobil mente! A te ben dritto
è che si curvi riverente il vulgo,
e gli oracoli attenda. Or chi fie dunque
sì temerario che in suo cor ti beffe
qualor, partendo da sì gravi studi
del tuo paese l’ignoranza accusi,
e tenti aprir col tuo felice raggio
la gotica caligine che annosa
siede su gli occhi a le misere genti?
Così non mai ti venga estranea cura
questi a troncar sì preziosi istanti
in cui del pari e a la dorata chioma
splendor dai novo ed al celeste ingegno.

      Non pertanto avverrà, che tu sospenda
quindi a poco il versar de’ libri amati,
e che ad altro ti volga. A te quest’ora
condurrà il merciaiol che in patria or torna
pronto inventor di lusinghiere fole,
e liberal di forastieri nomi
a merci che non mai varcâro i monti.
Tu a lui credi ogni detto. E chi vuoi, ch’ose
unqua mentire ad un tuo pari in faccia?
Ei fia che venda, se a te piace, o cambi
mille fregi e lavori a cui la moda
di viver concedette un giorno intero
tra le folte d’inezie illustri tasche:
poi lieto se n’andrà, con l’una mano
pesante di molt’oro; e in cor gioiendo,
spregerà le bestemmie imprecatrici,
e il gittato lavoro, e i vani passi
del calzolar diserto, e del drappiere;
e dirà lor: - Ben degna pena avete,
o troppo ancor religiosi servi
de la Necessitade, antiqua, è vero,
madre e donna dell’arti, or nondimeno
fatta cenciosa e vile. Al suo possente
amabil vincitor v’era assai meglio,
o miseri, ubbidire. Il Lusso, il Lusso
oggi sol puote dal ferace corno
versar sull’arti a lui vassalle applausi
e non contesi mai premi e ricchezze.

      L’ore fien queste ancor che a te ne vegna
il dilicato miniator di belle,
che de la corte d’Amatunta e uscìo
stipendiato ministro atto a gli affari
sollecitar dell’amorosa diva.
Or tu l’affretta mpaziente e sprona,
sì che a te porga il desiato avorio
che de le amate forme impresso ride;
sia che il pennel cortese ivi dispieghi
l’alme sembianze del tuo viso, ond’aggia
tacito pasco allor che te non vede
la pudica d’altrui sposa a te cara;
sia che di lei medesma al vivo esprima
il vago aspetto; o, se ti piace, ancora
d’altra beltà furtiva a te presenti
con più largo confin le amiche membra.
Doman fie poi che la concessa imago
entro arnese gentil per te si chiuda
con opposto cristallo, ove tu faccia
sovente paragon di tua beltade
con la beltà de la tua dama; o a i guardi
degl’invidi la tolga e in sen l’asconda
sagace tabacchiera; o a te riluca
sul minor dito in fra le gemme e l’oro;
o de le grazie del tuo viso desti
soavi rimembranze al braccio avvolta
dell’altrui fida sposa a cui se’ caro.

      Ed ecco alfin che a le tue luci appare
l’artificio compiuto. Or cauto osserva
se bene il simulato al ver s’adegue,
vie più rigido assai se il tuo sembiante
esprimer denno i colorati punti
che l’arte ivi dispose. Or brune troppo
a te parran le guance; or fia ch’ecceda
mal frenata la bocca; or qual conviene
a camuso etiòpe il naso fia.
Anco sovente d’accusar ti piaccia
il dipintor che non atteggi ardito
l’agili membra e il dignitoso busto,
o che mal tra le leggi a la tua forma
dia contorno o la posi o la panneggi.
È ver, che tu del grande di Crotone
non conosci la scola e mai tua mano
non abbassossi a la volgar matita
che fu nell’altra età cara a’ tuoi pari
cui non gustate ancora eran più dolci
e più nobili cure, a te serbate.
Ma che non puote quel d’ogni scienza
gusto trionfator che all’ordin vostro
in vece di maestro il ciel concesse,
e d’onde a voi coniò le altere menti
acciò che possan dell’uman confine
oltrepassar la paludosa nebbia,
e d’etere più puro abitatrici
non fallibili scêrre il vero e il bello?

      Periò qual più ti par loda o riprendi
non men fermo d’allor che a scranna siedi
Raffael giudicando, o l’altro egregio
che del gran nome suo l’Adige onora:
e a le tavole ignote i noti nomi
grave comparti di color che primi
fûro nell’arte. Ah, s’altri è sì procace
ch’osi rider di te, costui paventi
l’augusta maestà del tuo cospetto,
si volga a la parete; e mentre cerca
por freno in van col morder de le labbra
a lo scrosciar de le importune risa
che scoppian da’ precordi, violenta
convulsione a lui deforme il volto,
e lo affoghi aspra tosse; e lo punisca
di sua temerità. Ma tu non pensa
ch’altri ardisca di te rider giammai;
e mai sempre imperterrito decidi.

      Or giunta è al fin del dotto pettin l’opra,
e il maestro elegante intorno spande
da la man scossa polveroso nembo
onde a te innanzi tempo il crine imbianchi.

      D’orribil piato risonar s’udìo
già la corte d’Amore. I tardi vegli
grinzuti osâr coi giovani nipoti
contendere di grado in faccia al soglio
del comune lor dio. Rise la fresca
gioventude animosa, e d’agri motti
libera punse la senil baldanza.
Gran tumulto nascea; se non che Amore
ch’ogni diseguaglianza odia in sua corte
a spegner mosse i perigliosi sdegni:
e a quei che militando incanutîro
suoi servi, apprese a simular con arte
i duo bei fior che in giovanile gota
educa e nudre di sua man natura:
indi fe’ cenno, e in un balen fûr visti
mille alati ministri alto volando
scoter lor piume, onde fioccò leggera
candida polve che a posar poi venne
su le giovani chiome; e in bianco volse
il biondo, il nero, e l’odiato rosso.
L’occhio così nell’amorosa reggia
più non distinse le due opposte etadi,
e solo vi restò giudice il tatto.

      Tu pertanto, o signor, tu che se’ il primo
fregio ed onor dell’acidalio regno
i sacri usi ne serba. Ecco che sparsa
già da provvida man, la bianca polve
in piccolo stanzin con l’aere pugna,
e degli atomi suoi tutto riempie
egualmente divisa. Or ti fa core,
e in seno a quella vorticosa nebbia
animoso ti avventa. Oh bravo! oh forte!
Tale il grand’avo tuo tra il fumo e il foco
orribile di Marte, furiando
gittossi allor che i palpitanti lari
de la patria difese, e ruppe e in fuga
mise l’oste feroce. Ei nondimeno
fuligginoso il volto, e d’atro sangue
asperso e di sudore, e co’ capegli
stracciati ed irti de la mischia uscìo,
spettacol fero a i cittadini istessi
per sua man salvi; ove tu, assai più vago
e leggiadro a vederse, in bianca spoglia
scenderai quindi a poco a bear gli occhi
de la cara tua patria, a cui dell’avo
il forte braccio e il viso almo, celeste
del nipote dovean portar salute.

      Non vedi omai qual con solerte mano
rechin di veste a te pubblico arredo
i damigelli tuoi? Rodano e Senna
le tesserono a gara a gara, e qui cucille
opulento sartor cui su lo scudo
serpe intrecciato a forbici eleganti
il titol di monsù; né sol dà leggi
a la materia la stagion diverse;
ma qual più si conviene al giorno e all’ora
vari sono il lavoro e la ricchezza.

      Vieni, o fior de gli eroi, vieni; e qual suole
nel più dubbio de’ casi alto monarca
avanti al trono suo convocar lento
di satrapi concilio a cui nell’ampia
calvizie de la fronte il senno appare;
tal di limpidi spegli a un cerchio in mezzo
grave t’assidi, e lor sentenza ascolta.
Un giacendo al tuo piè mostri qual deggia
liscia e piana salir su per le gambe
la docil calza: un sia presente al volto,
un dietro al capo: e la percossa luce
quinci e quindi tornando, a un tempo solo
tutto al giudizio de’ tuoi guardi esponga
l’apparato dell’arte. Intanto i servi
a te sudino intorno; e qual, piegate
le ginocchia in sul suol, prono ti stringa
il molle piè di lucidi fermagli;
e qual del biondo crin, che i nodi eccede
su le schiere ondeggiando, in negro velo
i tesori raccoglia; e qual già pronto
venga spiegando la nettarea veste.
Fortunato garzone, a cui la moda
in fioriti canestri e di vermiglia
seta coperti preparò tal copia
d’ornamenti e di pompe! Ella pur ieri
a te dono ne féo. La notte intera
faticaron per te cent’aghi e cento;
e di percossi e ripercossi ferri
per le tacite case andò il rimbombo:
ma non invan, poi che di novo fasto
oggi superbo nel bel mondo andrai;
e per entro l’invidia e lo stupore
passerai de’ tuoi pari, eguale a un dio,
folto bisbiglio sollevando intorno.

      Figlie de la Memoria inclite, suore
che invocate scendendo i feri nomi
de le squadre diverse e degli eroi
annoveraste a i grandi che cantâro
Achille, Enea, e il non minor Buglione,
or m’è d’uopo di voi. Tropp’ardua impresa,
e insuperabil senza vostr’aita,
fia ricordare al mio signor di quanti
leggiadri arnesi graverà sue vesti
pria che di sé medesmo esca a far pompa.      

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Ultimo aggiornamento: 11 febbraio, 1998