Non per questi però
sdegna, o signore,
giunto a lo specchio, in gallico sermone
il vezzoso giornal; non le notate
eburnee tavolette a guardar preste
tuoi sublimi pensier fin chabbian luce
doman tra i begli spirti; e non isdegna
la picciola guaina ove a tuoi cenni
mille stan pronti ognora argentei spilli.
O quante volte a cavalier sagace
ho vedutio le man render beate
uno apprestato a tempo unico spillo!
Ma dove, ahi dove inonorato e solo
lasci l coltello a cui loro e lacciaro
donâr gemina lama, e a cui la madre
de la gemma più bella dAnfitrite
diè manico elegante ove il colore
con dolce varïar liride imìta?
Opra sol fia di lui se ne superbi
convivi ogni altro avanzerai per fama
desimio trinciatore, e se linvidia
de tuoi gran pari ecciterai qualora,
pollo o fagian con la forcina in alto
sospeso, a un colpo il priverai dellanca
mirabilmente. Or ti ricolmi alfine
dambo i lati la giubba, ed oleosa
Spagna e rapè cui semplice origuela
chiuda, o a molti colori oro dipinto;
e cupide ad ornar tue bianche dita
salgan le anella in fra le quali assai
più caro a te delladamante istesso
cerchietto inciso damorosi motti
stringati alquanto, e sovvenir ti faccia
de la pudica altrui sposa a te cara. Compiuto è il
gran lavoro. Odi, o Signore,
sonar già intorno la ferrata zampa
de superbi corsier che irrequieti
ne grandatri sospigne arretra e volge
la disciplina dellardito auriga.
Sorgi, e tappresta a render baldi e lieti
del tuo nobile incarco i bruti ancora.
Ma a possente signor scender non lice
da le stanze superne infin che al gelo,
o al meriggio non abbia il cocchier stanco
durato un pezzo, onde luom servo intenda
per quanto immensa via natura il parta
dal suo signore. I miei precetti intanto
io seguirò; che varie al tuo mattino
portar dee cure il varïar dei giorni.
Tal dì ti aspetta deloquenti fogli
serie a vergar, che al Rodano, al Lemano
all Amstel, al Tirreno, allAdria legga
il libraio che Momo, e Citerea
colmâr di beni, o il più di lui possente
appaltator di forestiere scene
con cui per opra tua facil donzella
sua virtù merchi, e non sperato ottenga
guiderdone al suo canto. O di grandalma
primo fregio ed onor Beneficenza,
che al merto porgi, ed a virtù la mano!
Tu il ricco e il grande sopra il vulgo innalzi,
ed al concilio de gli Dei lo aggiugni.
Tal giorno ancora, o dogni giorno forse
den qualchore serbarsi al molle ferro
che il pelo a te rigermogliante a pena
din su la guancia miete, e par che invidj,
chaltri fuor che lui solo esplori o scopra
unqua il tuo sesso. Arroge a questi il giorno
che di lavacro universal convienti
bagnar le membra, per tua propria mano,
o per altrui con odorose spugne
trascorrendo la cute. È ver che allora
desser mortal ti sembrerà; ma innalza
tu allor la mente, e de grandavi tuoi
le imprese ti rimembra e gli ozj illustri
che insino a te per secoli cotanti
misti scesero al chiaro altero sangue,
e lubbioso pensier vedrai fuggirsi
lunge da te per laere rapito
su lale de la Gloria alto volanti;
et indi a poco sorgerai qual prima
gran Semidèo che a sé solo somiglia.
Fama è così, che il dì quinto le Fate
loro salma immortal vedean coprirsi
già dorribili scaglie, e in feda serpe
volta strisciar sul suolo a sé facendo
de le inarcate spire impeto e forza;
ma il primo sol le rivedea più belle
far beati gli amanti, e a un volger docchi
mescere a voglia lor la terra e il mare.
Fia duopo ancor, che da le lunghe cure
tallevj alquanto, e con pietosa mano
il teso per gran tempo arco rallenti.
Signore, al ciel non è più cara cosa
di tua salute: e troppo a noi mortali
è il viver de tuoi pari util tesoro.
Tu adunque allor che placida mattina
vestita riderà dun bel sereno
esci pedestre, e le abbattute membra
allaura salutar snoda e rinfranca.
Di nobil cuojo a te la gamba calzi
purpureo stivaletto, onde il tuo piede
non macchino giammai la polve e l limo,
che luom calpesta. A te savvolga intorno
leggiadra veste che sul dorso sciolta
vada ondeggiando, e tue formose braccia
leghi in manica angusta a cui vermiglio
o cilestro velluto orni gli estremi.
Del bel color che lelitropio tigne
sottilissima benda indi ti fasci
la snella gola: e il crin... Ma il crin, Signore,
forma non abbia ancor da la man dotta
dellartefice suo; che troppo fora,
ahi! troppo grave error lasciar tantopra
de le licenziose aure in balìa.
Non senzarte però vada negletto
su gli omeri a cader; ma, o che natura
a te il nodrisca, o che da ignota fronte
il più famoso parrucchier lo tolga,
e ladatti al tuo capo, in sul tuo capo
ripiegato lafferri e lo sospenda
con testugginei denti il pettin curvo.
Poi che in tal guisa te medesmo ornato
con artificio negligente avrai,
esci pedestre a respirar talvolta
laere mattutino; e ad alta canna
appoggiando la man, quasi baleno
le vie trascorri, e premi ed urta il volgo
che soppone al tuo corso. In altra guisa
fora colpa luscir, però che andriéno
mal distinti dal vulgo i primi eroi.
Ciò ti basti per or. Già loriolo
a girtene ti affretta. Ohimè che vago
arsenal minutissimo di cose
ciondola quindi, e ripercosso insieme
molce con soavissimo tintinno!
di costì che non pende? avvi per fino
piccioli cocchi e piccioli destrieri
finti in oro così, che sembran vivi.
Ma vhai tu il meglio? ah sì, che i miei precetti
sagace prevenisti: ecco che splende
chiuso in picciol cristallo il dolce pegno
di fortunato amor. Lunge o profani,
che a voi tantoltre penetrar non lice.
E voi dellaltro secolo feroci,
ed ispidavi i vostri almi nipoti
venite oggi a mirar. Co sanguinosi
pugnali a lato le campestri rocche
voi godeste abitar, truci allaspetto,
e per gran baffi rigidi la guancia
consultando gli sgherri, e sol giojendo
di trattar larme che dorribil palla
givan notturne a traforar le porte
del non meno di voi rivale armato.
Ma i vostri almi nipoti oggi si stanno
ad agitar fra le tranquille dita
Delloriolo i ciondoli vezzosi;
ed opra è lor se allinnocenza antica
torna pur anco, e bamboleggia, il mondo.
Or vanne, o mio signore, e il pranzo allegra
de la tua dama: a lei dolce ministro
dispensa i cibi, e detta al suo palato
e a la sua fame inviolabil legge.
Ma tu non obliar, che in nulla cosa
esser mediocre a gran Signor non lice:
abbia il popol confini; a voi natura
donò senza confini e mente, e cuore.
Dunque a la mensa, o tu schifo rifuggi
ogni vivanda, e te medesmo rendi
per inedia famoso, o nome acquista
dillustre voratore. Intanto addio
degli uomini delizia, e di tua stirpe,
e de la patria tua gloria e sostegno.
Ecco che umìli in bipartita schiera
taccolgono i tuoi servi: altri già pronto
via se ne corre ad annunciare al mondo,
che tu vieni a bearlo; altri a le braccia
timido ti sostien mentre il dorato
cocchio tu sali, e tacito, e severo
sur un canto ti sdrai. Apriti o vulgo,
e cedi il passo al trono ove sasside
il mio signore: ahi te meschin sei perde
un sol per te de preziosi istanti.
Temi l non mai da legge, o verga, o fune
domabile cocchier, temi le rote,
che già più volte le tue membra in giro
avvolser seco, e del tuo impuro sangue
corser macchiate, e il suol di lunga striscia,
spettacol miserabile! segnâro. |
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