Alessandro Manzoni
Lettera
a
Cesare Taparelli D'Azeglio
(seconda parte)
Sono ben lontano dal
credere d'avere espressa una idea compita della parte negativa del sistema romantico.
Molte cose saranno sfuggite alla mia osservazione, quando la questione si dibatteva: molte
dopo, dalla memoria; e dell'altre ne ho omesse apposta, o perché non potevano così
naturalmente venire sotto quei pochi capi, che ho presi qui per tema, o anche, se non ad
effetto, almeno ad intento di brevità. Pure oso credere, che anche il poco, che ho qui
affoltato di quel sistema, basti a farne sentire il nesso, e l'importanza, a farci
scorgere una vasta e coerente applicabilità d'un principio a molti fatti della
letteratura, e una forse ancor più vasta e feconda applicabilità a tutti i fatti della
letteratura stessa. Dovrei ora passare alla parte positiva, e spicciarmi; ma non mi posso
ritener di parlare d'una obiezione, o, per dir meglio, di una critica, che si faceva al
complesso delle idee, che ho toccate fin qui.
Si diceva che tutte quelle idee, quei
richiami, tutte quelle proposte di riforma letteraria, erano cose vecchie, ricantate,
sparse in cento libri. Che questa fosse una critica fatta alle persone, non una obiezione
al sistema, è una cosa manifesta. La questione era, se certe idee fossero vere o false;
cosa c'entrava, che fossero nove o vecchie? Riconosciuta la verità, o dimostrata la
falsità delle idee, anche l'altra ricerca poteva esser utile alla storia delle cognizioni
umane; ma anteporre questa ricerca, farne il soggetto principale della questione, era un
cambiarla per dispensarsi dal risolverla. Di più questa taccia di plagiari che si dava ai
Romantici, faceva a' cozzi con quella di novatori temerari che si dava loro ugualmente. E
a ogni modo, non esito a dirla ingiusta. Non parlerò dell'idee nove messe in campo da
quelli; le opposizioni stesse ne provocarono assai. Ma il nesso delle antiche; ma la
relazione scoperta e indicata tra di esse; ma la luce e la forza reciproca, che venivano a
tutte dal solo fatto di classificarle sotto ad un principio, il sistema insomma, da chi
era stato immaginato, da chi proposto, da chi ragionato mai? Dalle ricchezze intellettuali
sparse, dal deposito confuso delle cognizioni umane, raccogliere pensieri staccati e
accidentali, verità piuttosto sentite che comprese, accennate piuttosto che dimostrate;
subordinarle a una verità più generale, che riveli tra di esse un'associazione non
avvertita in prima; cambiare i presentimenti di molti uomini d'ingegno in dimostrazioni,
levare a molte idee l'incertezza, e l'esagerazione; sceverare quel misto di vero e di
falso, che le faceva rigettare in tutto da molti, e ricevere in tutto da altri con un
entusiasmo irragionevole; collocarle con altre, che servono ad esse di limite e di prova a
un tempo, non è questa la lode d'un buon sistema? e è forse una lode tanto facile a
meritarsi? E chi ha mai desiderato, o immaginato un sistema, che non contenesse, fuorché
idee tutte nove?
Del resto, non c'è qui da vedere
un'ingiustizia particolare: l'accusa di plagio è stata fatta sempre agli scrittori, che
hanno detto il più di cose nove; sempre s'è andato a frugare ne' libri antecedenti, per
trovare che il tal principio era stato già immaginato, insegnato, ecc.; sempre si è
detto ch'era la centesima volta, che quelle idee venivano proposte. E che avrebbero potuto
rispondere quegli scrittori? Tal sia di voi, che siete stati sordi le novantanove; tal sia
di voi, che, avendo in tanti libri tutte queste idee, non ne tenevate conto, e
continuavate a ragionare come se non fossero mai state proposte. Ora noi v'abbiamo
costretti ad avvertirle; quando non si fosse fatto altro, questo almeno è qualcosa di
novo.
Se alcuno volesse provare che il merito
da me accennato poco sopra, e altri simili, non si trovano nel sistema romantico, credo
che ascolterei le sue prove con molta curiosità, e con una docilità spassionata; ma
finora ciò non è, ch'io sappia, stato né fatto né tentato. Intanto non posso a meno di
non ravvisarci quel merito; e m'accade spesso, leggendo opere letterarie, precettive, o
polemiche, anteriori al sistema romantico, d'abbattermi in idee molto ragionevoli, ma
independenti dalla dottrina generale del libro, idee volanti, per dir così, le quali, in
quel sistema, sono collocate razionalmente, e ci sono divenute stabili e feconde.
Similmente, ne' libri di scrittori ingegnosi, ma paradossali di professione, m'accade
spesso di trovare di quelle opinioni speciose e vacillanti, che da una parte hanno l'aria
d'una verità triviale, e dall'altra d'un errore strano; e di riflettere con piacere, che
quelle opinioni trasportate nel sistema romantico, ci sono legate e temperate in modo, che
il vero ne è conservato e appare più manifesto e importante, e il falso, lo strano ne
sono naturalmente recisi e esclusi. Con tutto ciò la parte negativa è, senza dubbio, la
più notabile del sistema romantico, almeno del trovato e esposto fino ad ora.
Il positivo non è a un bon pezzo (di
gran lunga, ndr), né così preciso, né così diretto, né sopra tutto così esteso.
Oltre quella condizione generale dell'intelletto umano, che lo fa essere più attivo nel
distruggere, che nell'edificare, la natura particolare del sistema romantico doveva
produrre questo effetto. Proponendosi quel sistema d'escludere tutte le norme, che non
siano veramente generali, perpetue, ragionevoli per ogni lato, viene a renderne più
scarso il numero, o almeno più difficile e più lenta la scelta. Un'altra cagione fu la
breve durata della discussione, e il carattere, che prese fino dal principio. Come il
negativo era naturalmente il primo soggetto da trattarsi, così occupò quasi interamente
quel poco tempo. La discussione poi prese purtroppo un certo colore di scherno, come per
lo più accade; ora in tutte le questioni trattate schernevolmente c'è più vantaggio
nell'attaccare, che nel difendere: quindi i Romantici furono naturalmente portati a
diffondersi, e a insistere più nella parte negativa, nella quale, per dir la verità,
trovavano da sguazzare; e quanto al positivo furono portati a tenersi a de' princìpi
generalissimi, che danno meno presa a cavillazioni e a parodie. Non poté per questo il
sistema romantico evitare, neppur esso la derisione; ma almeno quelli, che vollero
deriderlo, furono costretti a esagerarlo, o piuttosto a inventarne uno, loro, e ad apporlo
(attribuirlo, ndr) a chi non lo aveva mai né proposto, né sognato; metodo tanto
screditato, ma d'una riuscita quasi infallibile, e che probabilmente si smetterà alla
fine del mondo.
Se la disputa fosse continuata, o, per
dir meglio, se, invece d'una disputa si fosse fatta una investigazione comune,
dall'escludere si sarebbe passati al proporre, anzi in questo si sarebbe fissata la
maggiore intenzione degli ingegni. E allora, si potrebbe credere che le opinioni sarebbero
state tanto più varie quanto più abbondanti; e che molti ingegni, movendo da un centro
comune, si sarebbero però avviati per tanti raggi diversi, allontanandosi anche talvolta
l'uno dall'altro a misura che si sarebbero avanzati: tale è la condizione delle ricerche
intellettuali intraprese da molti. Ma il sistema romantico non potè arrivare, o
piuttosto, non arrivò a questo periodo. E ciò nonostante, un gran rimprovero, che veniva
fatto ai suoi sostenitori, era, che non s'intendevano nemmeno fra di loro: cominciassero,
si diceva, ad accordarsi perfettamente nelle idee, prima di proporle agli altri come
verità. Rimprovero, al quale non posso tuttavia pensare senza maraviglia. In regola
generale, quelli, che così parlavano, chiedevano una cosa che l'ingegno non ha data, né
può dar mai. Mai questa concordia perfetta di più persone in tutti i punti d'un sistema
morale non ha avuto luogo: bisognerebbe, a ottenerla, tutti questi punti si adottassero da
ciascheduno altrettanti giudizi, altrettante formule uniche e invariabili; ai tanti uomini
diventassero uno solo, per potere a ogni novo caso fare una identica applicazione di quei
giudizi generici. C'è bene un ordine di cose, nel quale esiste una essenziale e
immutabile concordia; ma quest'ordine è unico; i suoi caratteri, le sue circostanze sono
incomunicabili. Quest'ordine è la religione: essa dà una scienza, che l'intelletto non
potrebbe scoprire da sé, una scienza, che l'uomo non può ricevere, che per rivelazione,
e per testimonianza; ora una sola rivelazione include una sola dottrina, e quindi produce
una sola credenza. E anche in quest'ordine, la concordia delle menti non è comandata, se
non dove è sommamente ragionevole; cioè in quei punti, nei quali la verità non si può
sapere, che per la testimonianza di chi ne ha ricevuta la rivelazione, cioè della Chiesa;
e non è comandata questa concordia, se non dal momento, che l'unico testimonio ha
parlato. Ma, nelle cose umane, questo testimonio non esiste, non è stata né fatta, né
promessa ad alcuno una comunicazione di scienza, un'assistenza nelle decisioni; quindi i
giudizi variano secondo la varietà degl'ingegni, e riescono generalmente così dissimili,
che a chiamar uno un sistema, non si ricerca mai il fatto impossibile, che esso riunisca
tutti i giudizi in una materia qualunque, ma il fatto difficile e raro, che ne riunisca
molti, nei punti principali di essa.
Nel caso particolare poi del sistema
romantico il rimprovero mi pareva molto stranamente applicato. Se quelli, che lo facevano,
avessero voluto riandare la storia de' sistemi umani, avrebbero trovato, io credo, che
pochi furono quelli, che presentassero meno dissentimenti dal romantico. Se avessero fatto
solamente un po' d'esame sul sistema chiamato classico, al quale volevano, che si dasse la
preferenza, avrebbero potuto veder subito quanto più gravi e più numerosi siano in
quello i dispareri, le incertezze, le varie applicazioni; avrebbero veduto, quanto sarebbe
più difficile il ridurlo a formule generali, il comporne una, per dir così, confessione
che fosse comunemente ricevuta da coloro che ricevono la parola classico. E se avessero
voluto voltarsi indietro a ricercar le cagioni d'una tale differenza tra le due dottrine,
o opinioni, avrebbero dovuto, da una parte, riconoscere che questo non poter la loro esser
ridotta in una forma sintetica, nemmeno apparente, veniva dall'essere, non una
applicazione di principi a un complesso di casi speciali, ma un miscuglio di fatti
accidentali, convertiti in princìpi; e per una certa quale consolazione (solatia
victis), avrebbero potuto osservare che una cagione dei vantaggio che avevano in
questo i Romantici, era il fatto già accennato anche qui, cioè il non essere andati
molto avanti nell'applicazioni speciali e distinte al da farsi, dove sarebbero potute, o
dovute nascer le discordanze, come tra degli alleati, uniti nel combattere un nemico
comune, le cose s'imbrogliano quando, dopo la vittoria, si viene a trattare della
distribuzione de' territori conquistati.
Dove poi l'opinioni de' Romantici erano
unanimi, m'è parso, e mi pare, che fosse in questo: che la poesia deva proporsi per
oggetto il vero come l'unica sorgente d'un diletto nobile e durevole; giacché il falso
può bensì trastullar la mente, ma non arricchirla, né elevarla; e questo trastullo
medesimo è, di sua natura instabile e temporario, potendo essere, come è desiderabile
che sia, distrutto, anzi cambiato in fastidio, o da una cognizione sopravvegnente del
vero, o da un amore cresciuto del vero medesimo. Come il mezzo più naturale di render
più facili e più estesi tali effetti della poesia, volevano che essa deva scegliere de'
soggetti che, avendo quanto è necessario per interessare le persone più dotte, siano
insieme di quelli per i quali un maggior numero di lettori abbia una disposizione di
curiosità e d'interessamento, nata dalle memorie e dalle impressioni giornaliere della
vita; e chiedevano, per conseguenza, che si dasse finalmente il riposo a quegli altri
soggetti, per i quali la classe sola de' letterati, e non tutta, aveva un'affezione venuta
da abitudini scolastiche, e un'altra parte del pubblico, non letterata né illetterata,
una reverenza, non sentita, ma cecamente ricevuta.
Non voglio dissimulare né a Lei (che
sarebbe un povero e vano artifizio) né a me stesso, perché non desidero d'ingannarmi,
quanto indeterminato, incerto, e vacillante nell'applicazione sia il senso della parola
"vero" riguardo ai lavori d'immaginazione. Il senso ovvio e generico non può
essere applicato a questi, ne' quali ognuno è d'accordo che ci deva essere
dell'inventato, che è quanto dire, del falso, il vero, che deve trovarsi in tutte le loro
specie, et méme dans la fable, è dunque qualche cosa di diverso da ciò, che si
vuole esprimere ordinariamente con quella parola, e, per dir meglio, è qualche cosa di
non definito; né il definirlo mi pare impresa molto agevole, quando pure sia possibile.
Comunque sia, una tale incertezza non è particolare al principio che ho tentato
d'esporle: è comune a tutti gli altri, è antica; il sistema romantico ne ritiene meno di
qualunque altro sistema letterario, perché la parte negativa, specificando il falso,
l'inutile, e il dannoso, che vuole escludere, indica, e circoscrive nelle idee contrarie
qualcosa di più preciso, un senso più lucido di quello, che abbiamo avuto finora. Del
resto, in un sistema recente, non si vuol tanto guardare agli svolgimenti, che possa aver
già ricevuti, quanto a quelli, di cui è capace. La formula che ne esprime il principio,
è così generale; le parole di essa hanno, se non altro un suono, un presentimento così
bello e così savio; il materiale dei fatti, che devono servire agli esperimenti, è così
abbondante, che è da credersi, che un tale principio sia per ricevere, di mano in mano,
svolgimenti, spiegazioni e conferme, di cui ora non è possibile prevedere in concreto,
né il numero, né l'importanza. Tale almeno è l'opinione, che ho fitta nella mente, e
che m'arride anche perché in questo sistema, mi par di vedere una tendenza cristiana.
Era questa tendenza nelle intenzioni di
quelli, che l'hanno proposto, e di quelli, che l'hanno approvato? Sarebbe leggerezza
l'affermarlo di tutti, poiché in molti scritti di teorie romantiche, anzi nella maggior
parte, le idee letterarie non sono espressamente subordinate al cristianesimo, sarebbe
temerità il negarlo, anche d'uno solo, perché in nessuno di quegli scritti, almeno dei
letti da me, il cristianesimo è escluso. Non abbiamo, né i dati, né il diritto, né il
bisogno di fare un tal giudizio: quella intenzione, certo desiderabile, certo non
indifferente, non è però necessaria per farci dare la preferenza a quel sistema. Basta
che quella tendenza ci sia. Ora, il sistema romantico, emancipando la letteratura dalle
tradizioni pagane, disobbligandola, per dir così, da una morale voluttuosa, superba,
feroce, circoscritta al tempo, e improvida anche in questa sfera; antisociale, dov'è
patriotica, e egoista, anche quando non è ostile, tende certamente a render meno
difficile l'introdurre nella letteratura le idee, e i sentimenti, che dovrebbero informare
ogni discorso. E dall'altra parte, proponendo anche in termini generalissimi il vero,
l'utile, il bono, il ragionevole concorre, se non altro, con le parole, allo scopo del
cristianesimo; non lo contraddice almeno nei termini. Per quanto una tale efficacia d'un
sistema letterario possa essere indiretta, oso pur tenermi sicuro, ch'Ella non la
giudicherà indifferente, Ella che, senza dubbio, avrà più volte osservato, quanto
influiscano sui sentimenti religiosi i diversi modi di trattare le scienze morali, che
tutte alla fine hanno un vincolo con la religione, quantunque distinzioni e
classificazioni arbitrarie possano separarle da essa in apparenza, e in parole; Ella che
avrà più volte osservato, come, senza parere di toccare la religione, senza neppure
nominarla, una scienza morale prenda una direzione opposta ad essa, e arrivi a conclusioni
che sono inconciliabili logicamente con gl'insegnamenti di essa; e come poi, qualche
volta, avanzandosi e dirigendosi meglio nelle scoperte, rigetti quelle conclusioni e venga
così a conciliarsi con la religione e, di novo, senza neppur nominarla, e senza
avvedersene. Non so s'io m'inganni, ma mi pare, che più d'una scienza faccia ora questo
corso felicemente retrogrado. L'economia politica, per esempio, nel secolo scorso, aveva,
in molti punti, adottati quasi generalmente, de' canoni opposti affatto al Vangelo; e li
proponeva con una tale asseveranza, con un tale impero, con tali minacce di compassione
sprezzante per chi esitasse nell'ammetterli, che molti deboli, ricevendo quei canoni,
furono persuasi che la scienza del Vangelo fosse corta e meschina; che i suoi precetti non
avessero potuto comprendere tutto il possibile svolgimento delle relazioni sociali; e
molti altri, credendo di adottare verità puramente filosofiche, adottavano, con una
docilità non ragionevole, delle dottrine opposte al Vangelo. Ed ecco, che, per un
progresso naturale delle scienze economiche, per un più attento e esteso esame dei fatti,
per un ragionato cambiamento di princìpi, altri scrittori, in questo secolo, hanno
scoperta la falsità, e il fanatismo di quei canoni, e sul celibato, sul lusso, sulla
prosperità fondata nella rovina altrui, sopra altri punti ugualmente importanti, hanno
stabilite dottrine conformi ai precetti, e allo spirito del Vangelo; e, s'io non
m'inganno, quanto più quella scienza, diventa ponderata e filosofica, tanto più diventa
cristiana. E quanto più considero, tanto più mi pare, che il sistema romantico tenda a
produrre, e abbia cominciato a produrre nelle idee letterarie un cambiamento dello stesso
genere.
Se dovessi scrivere questi pensieri per
la stampa, mi troverei costretto a soggiungere qui subito molte restrizioni, perché altri
non credesse, o non volesse credere, ch'io intenda, che il sistema romantico renderà
spirituale tutta la letteratura, farà dei poeti tanti missionari, ecc. Ma scrivendo a
Lei, se diffido delle mie idee, ho almeno la sodisfazione d'esser certo, che saranno prese
secondo la loro misura; e in tante lungaggini, posso almeno risparmiarle quelle, che
sarebbero destinate a prevenire le false interpretazioni, e quell'affettato frantendere
che molti trovano più comodo e più furbo dell'intendere.
Dopo d'averle, a diritto e a rovescio, e
forse con più fiducia che discrezione, sottomesso il mio parere sopra una materia toccata
appena indirettamente nella gentilissima di Lei lettera, non so, se mi rimanga ancora
qualche diritto di parlare dei punto ch'Ella ha accennato più espressamente, voglio dire
il trionfo, o la caduta probabile dei sistema romantico. Ma, giacché in più luoghi di
questa cicalata, mi sono preso la libertà di proferire, con molta confidenza, de'
pronostici lieti per quel sistema, i quali a prima vista, possono parere in opposizione
col fatto, non posso a meno di non sottometterle anche le ragioni di quei pronostici,
quali mi par di vederle nello stato reale delle cose, rimosse le prime apparenze.
Certo, se uno straniero, il quale avesse
sentito parlare dei dibattimenti, ch'ebbero luogo qui intorno al romanticismo, venisse ora
a domandare a che punto sia una tale questione, si può scommettere mille contr'uno, che
si sentirebbe rispondere a un dipresso così: - Il romanticismo? Se n'è parlato qualche
tempo, ma ora non se ne parla più; la parola stessa è dimenticata, se non che di tempo
in tempo vi capiterà forse di sentire pronunziar l'epiteto romantico per qualificare una
proposizione strana, un cervello bislacco, una causa spallata (sballata, ndr); che so io?
una pretesa esorbitante, un mobile mal connesso. Ma non vi consiglierei di parlarne sul
serio: sarebbe come se veniste a chiedere, se la gente si diverte ancora col
Kaleidoscopio. - Se l'uomo, che avesse avuta questa risposta, fosse di quelli che sanno
ricordarsi all'opportunità, che una parola si adopera per molti significati, e insistesse
per sapere, che cosa intenda per romanticismo il suo interlocutore, vedrebbe, che intende
non so qual guazzabuglio di streghe, di spettri, un disordine sistematico, una ricerca
stravagante, una abiura in termini dei senso comune; un romanticismo insomma, che si
sarebbe avuta molta ragione di rifiutare, e di dimenticare, se fosse stato proposto da
alcuno.
Ma, se per romanticismo si vuole
intendere la somma delle idee, delle quali Le ho male esposta una parte, questo, non che
esser caduto, vive, prospera, si diffonde di giorno in giorno, invade a poco a poco tutte
le teorie dell'estetica; i suoi risultati sono più frequentemente riprodotti, applicati,
posti per fondamento dei diversi giudizi in fatto di poesia. Nella pratica poi non si può
non vedere una tendenza della poesia stessa a raggiunger lo scopo indicato dal
romanticismo, a cogliere e a ritrarre quel genere di bello, di cui le teorie romantiche
hanno dato un'idea astratta, fugace, ma che basta già a disgustare dell'idea che le è
opposta. Un altro giudizio manifesto della vita, e del vigore di quel sistema sono gli
applausi dati universalmente a de' lavori, che ne sono l'applicazione felice. Ne citerò
un esempio, per il piacere, che provo nel rammentare la giustizia resa al lavoro d'un
uomo, a cui mi lega un'amicizia fraterna. Quando comparve l'Ildegonda, bollivano le
questioni sul romanticismo, e non sarebbe stata gran maraviglia, se l'avversione di molti
alla teoria avesse prevenuto il loro giudizio contro un componimento, che l'autore non
dissimulava d'aver concepito secondo quella. Eppure la cosa andò ben altrimenti; le
opinioni divise sulla teoria furono conformi (moralmente parlando) in una specie d'amore
pel componimento. E ora, passato già più tempo di quello che sia generalmente concesso
alle riuscite effimere, quel favore, mi pare di poter dire, quell'entusiasmo, è divenuto
una stima, che sembra dover esser perpetua. In tutta la guerra del romanticismo, non è
dunque perita che la parola. Non è da desiderarsi che venga in mente ad alcuno, di
risuscitarla: sarebbe un rinnovare la guerra, e forse un far danno all'idea che, senza
nome, vive e cresce con bastante tranquillità.
Eccomi una volta al termine. Il rimorso continuo di tanta prolissità mi ha forzato tante volte a chiederlene scusa, che le scuse stesse sono divenute allungamenti; e non oso più ripeterle. Si degni Ella di gradire invece l'espressione del sincero ossequio, e della viva gratitudine, che Le professo, e d'accogliere il desiderio che nutro, di poter, quando che sia, esprimerle a voce quei sentimenti, coi quali ho l'onore di rassegnarmele.
Brusuglio, 22 settembre 1823
Devotissimo e obbligatissimo servitore
ALESSANDRO MANZONI
P.S. Per non ritardare davvantaggio la risposta alla gentilissima di Lei lettera, lascio partir questa, quale è, sparsa di sgorbi, e di cancellature. Ella me ne scuserà, ricordandosi che non si può mostrare altrui benevolenza, com'Ella ha fatto con me, senza ispirargli un poco di famigliarità.
© 1999 - by prof. Giuseppe Bonghi
- E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 18 gennaio 1999