Alessandro Manzoni
Adelchi
Atto Quinto
Longobardi | Desiderio, re |
Adelchi, suo figlio, re | |
Ermengarda, figlia di Desiderio | |
Ansberga, figlia di Desiderio, badessa | |
Duchi Longobardi | Baudo, duca di Brescia |
Giselberto, duca di Verona | |
Ildechi | |
Indolfo | |
Farvaldo | |
Ervigo | |
Guntigi | |
Longobardi - Scudieri | Vermondo, scudiero di Desiderio |
Anfrido, scudiero di Adelchi | |
Teudi, scudiero di Adelchi | |
Amri, scudiero di Guntigi | |
Svarto, soldato | |
Franchi | Carlo, re |
Albino, legato | |
Conti Franchi | Rutlando |
Arvino | |
Latini | Pietro, legato d'Adriano Papa |
Martino, diacono di Ravenna | |
Duchi, scudieri, soldati longobardi; donzelle, suore del monastero di San Salvatore; conti e vescovi franchi; un araldo. |
ATTO QUINTO
SCENA PRIMA
Palazzo Reale in Verona.
Adelchi, Giselberto duca di Verona.
GISELBERTO | Costretto, o re, dell'oste
intera io vengo A nunziarti il voler: duchi e soldati Chiedon la resa. A tutti è noto, e indarno Celar si volle, che Pavia le porte Al Franco aprì; che il vincitor s'affretta Sopra Verona; e che pur troppo ei tragge Captivo il re. Co' figli suoi Gerberga Già incontro a Carlo uscì, dell'aspro sire Più ancor fidando nel perdon, che in una Impotente amistà. Verona attrita Dal lungo assedio, di guerrier, di scorte Scema, non forte assai contra il nemico Che già la strinse, non potrà la foga Dei sorvegnenti sostener; nè quelli Che l'han difesa fino ad or, se pochi Ne traggi, o re, vogliono al rischio starsi Di pugna impari, e di spietato assalto. Fin che del fare e del soffrir concesso era un frutto sperar, fenno e soffriro Quanto il dover, quanto l'onor chiedea, Il diero: ai mali che non han più scopo Chiedono il fine. |
5 10 15 20 |
ADELCHI |
Esci: la mia risposta (Giselberto parte) |
SCENA SECONDA
[Adelchi solo]
ADELCHI | Va, vivi, invecchia in
pace; Resta un de' primi di tua gente: il merti: Va, non temer; sarai vassallo: il tempo È pe' tuoi pari. Anche il comando udirsi Intimar de' codardi, e di chi trema Prender la legge! è troppo. Han risoluto! Voglion, perché son vili! e minacciosi Li fa il terror; né soffriran che a questo Furor di codardia s'opponga alcuno, Che resti un uom tra loro! Oh cielo! Il padre Negli artigli di Carlo! I giorni estremi Uomo d'altrui vivrà, soggetto al cenno Di quella man, che non avria voluto Come amico serrar; mangiando il pane Di chi l'offese, e l'ebbe a prezzo! E nulla Via di cavarlo dalla fossa, ov'egli Rugge tradito e solo, e chiama indarno Chi salvarlo non può! nulla! Caduta Brescia, e il mio Baudo, il generoso, astretto Anch'ei le porte a spalancar da quelli Che non voglion morire. Oh più di tutti Fortunata Ermengarda! Oh giorni! oh casa Di Desiderio, ove d'invidia è degno Chi d'affanno morì! Di fuor costui, Che arrogante s'avanza, e or or verrammi Ad intimar che il suo trionfo io compia; Qui la viltà che gli risponde, ed osa Pressarmi; è troppo in una volta! Almeno Finor, perduta anche la speme, il loco V'era all'opra; ogni giorno il suo domani, Ed ogni stretta il suo partito avea. Ed ora... ed or, se in sen de' vili un core Io piantar non potei, potranno i vili Togliere al forte, che da forte ei pera? Tutti alfin non son vili: udrammi alcuno; Più d'un compagno troverò, s'io grido: Usciam costoro ad incontrar; mostriamo Che non è ver che a tutto i Longobardi Antepongon la vita; e... se non altro, Morrem. Che pensi? Nella tua rovina Perché quei prodi strascinar? Se nulla Ti resta a far quaggiù, non puoi tu solo Morir? No puoi? Sento che l'alma in questo Pensier riposa alfine: ei mi sorride, Come l'amico che sul volto reca Una lieta novella. Uscir di questa Ignobil calca che mi preme; il riso Non veder del nemico; e questo peso D'ira, di dubbio e di pietà, gittarlo! Tu, brando mio, che del destin altrui Tante volte hai deciso, e tu, secura Mano avvezza a trattarlo... e in un momento Tutto è finito. Tutto? Ah sciagurato! Perché menti a te stesso? Il mormorio Di questi vermi ti stordisce, il solo Pensier di starti a un vincitor dinanzi Vince ogni tua virtù; l'ansia di questa Ora t'affrange, e fa gridarti: è troppo! E affrontar Dio potresti? e dirgli: io vengo Senza aspettar che tu mi chiami, il posto Che m'assegnasti, era difficil troppo E l'ho deserto! Empio! fuggire? e intanto, Per compagnia fino alla tomba, al padre Lasciar questa memoria; il tuo supremo Disperato sospir legargli! Al vento, Empio pensier. L'animo tuo ripiglia, Adelchi; uom sii. Che cerchi? In questo istante D'ogni travaglio il fin tu vuoi: non vedi, Che in tuo poter non è? T'offre un asilo Il greco imperador. Sì, per sua bocca Te l'offre Iddio: grato l'accetta: il solo Saggio partito, il solo degno è questo. Conserva al padre la sua speme: ei possa Reduce almeno e vincitor sognarti Infrangitor de' ceppi suoi, non tinto Del sangue sparso disperando. E sogno Forse non fia: da più profondo abisso Altri già sorse: non fa patti eterni Con alcun la fortuna: il tempo toglie E dà: gli amici, il successor li crea. Teudi! |
25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80 85 90 95 100 |
SCENA TERZA
Adelchi, Teudi.
TEUDI | Mio re. | |
ADELCHI |
Restano amici ancora |
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TEUDI |
Sì: color che amici |
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ADELCHI | E che partito han preso? | 105 |
TEUDI | L'aspettano da te. | |
ADELCHI | Dove son essi? | |
TEUDI | Qui nel palazzo tuo, lungi
dai tristi A cui sol tarda d'esser vinti appieno. |
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ADELCHI | Tristo, o Teudi, il valor
disseminato Tra la viltà! Compagni alla mia fuga Io questi prodi prenderò: null'altro Far ne poss'io; nulla ei per me far ponno, Che seguirmi a Bisanzio. Ah! se avvi alcuno Cui venga in mente un più gentil consiglio, Per pietà, me lo dia. Da te, mio Teudi, Un più coral servigio, un più fidato Attendo ancor: resta per ora; al padre Fa che di me questa novella arrivi: Ch'io son fuggito, ma per lui, ch'io vivo Per liberarlo un dì; che non disperi. Vieni, e m'abbraccia: a dì più lieti. Al duca Di Verona dirai che non attenda Ordini più da me. Sulla tua fede Riposo, o Teudi. |
110 115 120 |
TEUDI | Oh! la secondi il cielo. (escono dalle parti opposte) |
SCENA QUARTA
Tenda nel campo di Carlo sotto Verona.
Carlo, un Araldo, Arvino, Conti.
CARLO | Vanne,
araldo, in Verona; e al duca, a tutti (l'Araldo parte) |
125 130
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ARVINO | Il vinto re chiede parlarti, o sire. | |
CARLO | Che vuol? | |
ARVINO |
Nol disse; ma pietosa istanza |
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CARLO | Venga. (Arvino parte)
Vediam colui (ai Conti)
Ite: alle mura |
135 |
SCENA QUINTA
Carlo, Desiderio.
CARLO | A che vieni, infelice? E
che parola Correr puote tra noi? Decisa il cielo Ha la nostra contesa; e più non resta Di che garrir. Triste querele e pianto Sparger dinanzi al vincitor, disdice A chi fu re, né a me con detti acerbi L'odio antico appagar lice, né questo Gaudio superbo che in mio cor s'eleva, Ostentarti sul volto, onde sdegnato Dio non si penta, e alla vittoria in mezzo Non m'abbandoni ancor. Né, certo, un vano Da me conforto di parole attendi. Che ti direi? ciò che t'accora, è gioia Per me; né lamentar posso un destino, Ch'io non voglio mutar. Tal de mortale È la sorte quaggiù: quando alle prese Son due di lor, forza è che l'un piangendo Esca del campo. Tu vivrai; null'altro Dono ha Carlo per te. |
140 145 150 155 |
DESIDERIO |
Re del mio regno, Persecutor del sangue mio, qual dono Ai re caduti sia la vita, il sai? E pensi tu, ch'io vinto, io nella polve, Di gioia anco una volta inebbriarmi Non potrei? del velen che il cor m'affoga, Il tuo trionfo amareggiar? parole Dirti di cui ti sovverresti, e in parte Vendicato morir? Ma in te del cielo Io la vendetta adoro, e innanzi a cui Dio m'inchinò, m'inchino: a supplicarti Vengo; e m'udrai; ché degli afflitti il prego E giudizio di sangue a chi lo sdegna. |
160 165 |
CARLO |
Parla. | |
DESIDERIO |
In difesa d'Adrian, tu il brando Contro di me traesti? |
|
CARLO |
A che domandi |
170 |
DESIDERIO |
Sappi tu ancor che solo Io nemico gli fui, che Adelchi e m'ode Quel Dio che è presso ai travagliati Adelchi Al mio furor preghi, consigli, ed anche, Quanto è concesso a pio figliuol, rampogne Mai sempre oppose: indarno! |
175 |
CARLO | Ebben? | |
DESIDERIO |
Compiuta È la tua impresa: non ha più nemici Il tuo Romano: intera, e tal che basti Al cor più fiacco ed iracondo, ei gode La sicurezza e la vendetta. A questo Tu scendevi, e l'hai detto: allor tu stesso Segnasti il termin dell'offesa. Ell'era Causa di Dio, dicevi. È vinta; e nulla Più ti domanda Iddio. |
180 |
CARLO |
Tu legge imponi |
|
DESIDERIO |
Legge? Oh! ne' detti miei Non ti fingere orgoglio, onde sdegnarli. O Carlo, il ciel molto ti diè: ti vedi Il nemico ai ginocchi, e dal suo labbro Odi il prego sommesso e la lusinga; Nel suolo ov'ei ti combattea, tu regni. Ah! non voler di più: pensa che abborre Gli smisurati desidèri il cielo. |
185 190 |
CARLO | Cessa | |
DESIDERIO | Ah! m'ascolta: un dì tu
ancor potresti Assaggiar la sventura, e d'un amico Pensier che ti conforti, aver bisogno; E allor gioconda ti verrebbe in mente Di questo giorno la pietà. Rammenta Che innanzi al trono dell'Eterno un giorno Aspetterai tremando una risposta, O di mercede o di rigor, com'io Dal tuo labbro or l'aspetto. Ahi! già venduto Il mio figlio t'è forse! Oh! se quell'alto Spirto indomito, ardente, consumarsi Deve in catene!... Ah no! pensa che reo Di nulla egli è; difese il padre: or questo Gli è tolto ancor. Che puoi temer? Per noi Non c'è brando che fera: a te vassalli Son quei che il furo a noi: da lor tradito Tu non sarai: tutto è leale al forte. Italia è tua; reggila in pace: un rege Prigion ti basti; a stranio suol consenti Che il figliuol mio |
195 200 205 210 |
CARLO |
Non più: cosa mi chiedi |
|
DESIDERIO | Io ti pregava! io,
che per certo a prova Conoscerti dovea! Nega; sul tuo Capo il tesor della vendetta addensa. Ti fe' l'inganno vincitor; superbo La vittoria ti faccia e dispietato. Calca i prostati, e sali; a Dio rincresci... |
215 |
CARLO | Taci, tu che sei vinto. E
che? pur ieri La mia morte sognavi, e grazie or chiedi, Qual converria, se, nella facil ora Di colloquio ospital, lieto io sorgessi Dalla tua mensa! E perché amica e pari Non sonò la risposta al tuo desio, Anco mi vieni a imperversar d'intorno Come il mendico che un rifiuto ascolta! Ma quel che a me tu preparav i Adelchi Era allor teco non ne parli: or io Ne parlerò. Da me fuggìa Gerberga, Da me cognato, e seco i figli, i figli Del mio fratel traea, di strida empiendo Il suo passaggio, come augel che i nati Trafuga all'ugna di sparvier. Mentito Era il terror: vero soltanto il cruccio Di non regnar; ma obbrobriosa intanto Me una fama pingea quasi un immane Vorator di fanciulli, un parricida. Io soffriva, e tacea. Voi premurosi La sconsigliata raccettaste, ed eco Feste a quel suo garrito. Ospiti voi De' nipoti di Carlo! Difensori Voi del mio sangue, contro me! Tornata Or finalmente è, se nol sai, Gerberga A cui fuggir mai non doveva; a questo Tutor tremendo i figli adduce, e fida Le care vite a questa man. Ma voi, Altro che vita, un più superbo dono Destinavate a' miei nipoti. Al santo Pastor chiedeste, e non fu inerme il prego, Che sulle chiome de' fanciulli, al peso Non pur dell'elmo avvezze, ei, da spergiuro, L'olio versasse del Signor. Sceglieste Un pugnal, l'affilaste, e al più diletto Amico mio por lo voleste in pugno, Perch'egli in cor me lo piantasse. E quando Io, tra 'l Vèsero infido e la selvaggia Elba, i nemici a debellar del cielo Mi sarei travagliato, in Francia voi Correre, insegna contro insegna, e crisma Contro crisma levar, perfidi! e pormi In un letto di spine, il più giocondo De' vostri sogni era codesto. Al cielo Parve altrimenti. Voi tempraste al mio Labbro un calice amaro; ei v'è rimasto: Votatelo. Di Dio tu mi favelli; S'io nol temessi, il rio che tanto ardia Pensi che in Francia il condurrei captivo? Cogli or il fior che hai coltivato, e taci. Insausta di ciance è la sventura; Ma del par sofferente e infaticato Non è l'offeso vincitor l'orecchio. |
220 225 230 235 240 245 250 255 260 265 270 |
SCENA SESTA
Carlo, Desiderio, Arvino.
ARVINO | Viva re Carlo! Al cenno
tuo, dai valli Calan le insegne: strepitando a terra Van le sbarre nemiche; ai claustri aperti Ognun s'affolla, ed all'omaggio accorre. |
275 |
DESIDERIO | Ahi
dolente, che ascolto! e che mi resta |
|
CARLO | Né si sottrasse alcuno? | |
ARVINO | Nessuno, o re: pochi il
tentar, ma invano. Sorpresi nella fuga, d'ogni parte Cinti, pugnar fino all'estremo; e tutti Restar sul campo, quale estinto, e quale Ferito a morte. |
280 |
CARLO | E son? | |
ARVINO |
Tale è presente |
|
DESIDERIO | Nunzio di morte, tu l'hai detto. | |
CARLO |
Adelchi |
285 |
DESIDERIO | (ad Arvino) Parla, o crudele, al padre. |
|
ARVINO | La luce ei vede, ma per
poco, offeso D'immendicabil colpo. Il padre ei chiede, E te pur anche, o sire. |
|
DESIDERIO |
E questo ancora |
|
CARLO |
No, sventurato. Arvino, |
290 |
SCENA SETTIMA
Carlo, Desiderio.
DESIDERIO |
Oh! come grave Sei tu discesa sul mio capo antico Mano di Dio! Qual mi ritorni il figlio! Figlio, mia sola gloria, io qui mi struggo, E tremo di vederti. Io del tuo corpo Mirerò la ferita? io che dovea Esser pianto da te! Misero! io solo Ti trassi a ciò: cieco amator, per farti Più bello il soglio, io ti scavai la tomba! Se ancor, tra il canto de' guerrier, caduto Fossi in un giorno di vittoria! o chiusi, Tra il singulto de' tuoi, tra il riverente Dolor de' fidi, sul real tuo letto, Gli occhi io t'avessi..... ah! saria stato ancora Ineffabil cordoglio! Ed or morrai Non re, deserto, al tuo nemico in mano, Senza lamenti che del padre, e sparsi Innanzi ad uom che in ascoltarli esulta. |
295 300 305 |
CARLO | Veglio, t'inganna il tuo
dolor. Pensoso, Non esultante, d'un gagliardo il fato Io contemplo, e d'un re. Nemico io fui D'Adelchi; egli era il mio, né tal, che in questo Novello seggio io riposar potessi, Lui vivo, e fuor delle mie mani. Or egli Stassi in quelle di Dio: quivi non giunge La nimistà d'un pio. |
310 315 |
DESIDERIO |
Dono funesto La tua pietà, s'ella giammai non scende, Che sui caduti senza speme in fondo Se allor soltanto il braccio tuo rattieni, Che più loco non trovi alle ferite. |
320 |
SCENA OTTAVA
Carlo, Desiderio, Adelchi ferito e portato.
DESIDERIO | Ahi, figlio! | |
ADELCHI |
O padre, io ti rivedo! Appressa; |
|
DESIDERIO |
Orrendo |
|
ADELCHI |
Molti sul campo |
|
DESIDERIO |
Ahi, dunque Insanabile, o caro, è questa piaga? |
325 |
ADELCHI | Insanabile. | |
DESIDERIO |
Ahi lasso! ahi guerra atroce! |
|
ADELCHI | Non tu, né questi, ma il Signor d'entrambi. | |
DESIDERIO | Oh desiato da quest'occhi,
oh quanto Lunge da te soffersi! Ed un pensiero Fra tante anbasce ni reggea, la speme Di narrartele un giorno, in una fida Ora di pace. |
330 |
ADELCHI |
Ora per me di pace, Credilo, o padre, è giunta; ah! pur che vinto Te dal dolor quaggiù non lasci. |
335 |
DESIDERIO |
Oh fronte Balda e serena! oh man gagliarda! oh ciglio Che spiravi terror! |
|
ADELCHI |
Cessa i lamenti Cessa, o padre, per Dio! Non era questo Il tempo di morir? Ma tu, che preso Vivrai, vissuto nella reggia, ascolta. Gran segreto è la vita, e nel comprende Che l'ora estrema. Ti fu tolto un regno: Deh! nol pianger; mel credi. Allor che a questa Ora tu stesso appresserai, giocondi Si schiereranno al tuo pensier dinanzi Gli anni in cui re non sarai stato, in cui Né una lagrima pur notata in cielo Fia contra te, né il nome tuo saravvi Con l'imprecar de' tribolati asceso. Godi che re non sei, godi che chiusa All'oprar t'è ogni via: loco a gentile Ad innocente opra non v'è: non resta Che far torto, o patirlo. Una feroce Forza il mondo possiede, e fa nomarsi Dritto; la man degli avi insanguinata Seminò l'ingiustizia; i padri l'hanno Coltivata col sangue, e omai la terra Altra messe non dà. Reggere iniqui Dolce non è; tu l'hai provato: e fosse; Non dee finir così? Questo felice Cui la mia morte fa più fermo il soglio Cui tutto arride, tutto plaude e serve, Questo è un uom che morrà. |
340 345 350 355 360 |
DESIDERIO |
Ma ch'io ti perdo, Figlio, di ciò chi mi consola? |
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ADELCHI |
Il Dio (si volge a Carlo)
E tu, superbo |
365
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CARLO |
Con questo nome, Adelchi Più non chiamarmi; il fui: ma con le tombe Empia e villana è nimistà; né tale Credilo, in cor cape di Carlo. |
|
ADELCHI |
E amico Il mio parlar sarà, supplice, e schivo D'ogni ricordo ad ambo amaro, e a questo Per cui ti prego, e la morente mano Ripongo nella tua. Che tanta preda Tu lasci in libertà questo io non chiedo Ché vano, il veggo, il mio pregar saria, Vano il pregar d'ogni mortale. Immoto È il senno tuo; né a questo segno arriva Il tuo perdon. Quel che negar non puoi Senza esser crudo, io ti domando. Mite, Quant'esser può, scevra d'insulto sia La prigionia di questo antico, e quale La imploreresti al padre tuo, se il cielo Al dolor di lasciarlo in forza altrui Ti destinava. Il venerabil capo D'ogni oltraggio difendi: i forti contro I caduti, son molti; e la crudele Vista ei non deve sopportar d'alcuno Che vassallo il tradì. |
370 375 380 385 |
CARLO |
Porta all'avello Questa lieta certezza: Adelchi, il cielo Testimonio mi sia; la tua preghiera È parola di Carlo. |
390 |
ADELCHI |
Il tuo nemico Prega per te, morendo. |
SCENA NONA
Arvino, Carlo, Desiderio, Adelchi.
ARVINO |
Impazienti, Invitto re, chiedon guerrieri e duchi D'essere ammessi. |
|
ADELCHI | Carlo! | |
CARLO |
Alcun non osi (parte con Arvino) |
395
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SCENA DECIMA
Desiderio, Adelchi.
DESIDERIO | Ahi, mio diletto! | |
ADELCHI |
O padre |
|
DESIDERIO |
Adelchi, |
400 |
ADELCHI |
O Re de' re tradito |
|
DESIDERIO |
Ei t'ode: oh ciel! tu manchi! ed io... |
405 |
FINE DELLA TRAGEDIA
© 1998 - by prof. Giuseppe Bonghi
- E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 30 dicembre 1998