Alessandro Manzoni
Adelchi
Atto Secondo
Longobardi | Desiderio, re |
Adelchi, suo figlio, re | |
Ermengarda, figlia di Desiderio | |
Ansberga, figlia di Desiderio, badessa | |
Duchi Longobardi | Baudo, duca di Brescia |
Giselberto, duca di Verona | |
Ildechi | |
Indolfo | |
Farvaldo | |
Ervigo | |
Guntigi | |
Longobardi - Scudieri | Vermondo, scudiero di Desiderio |
Anfrido, scudiero di Adelchi | |
Teudi, scudiero di Adelchi | |
Amri, scudiero di Guntigi | |
Svarto, soldato | |
Franchi | Carlo, re |
Albino, legato | |
Conti Franchi | Rutlando |
Arvino | |
Latini | Pietro, legato d'Adriano Papa |
Martino, diacono di Ravenna | |
Duchi, scudieri, soldati longobardi; donzelle, suore del monastero di San
Salvatore; conti e vescovi franchi; un araldo. |
ATTO SECONDO
SCENA PRIMA
Campo de' Franchi in Val di Susa.
Carlo, Pietro.
PIETRO | Carlo invitto, che udii?
Toccato ancora Il suol non hai dove il secondo regno Il Signor ti destina; e di ritorno Per tutto il campo si bisbiglia! Oh! possa, Dal tuo labbro real tosto smentita, L'empia voce cader! L'età ventura Non abbia a dir che sul principio tronca Giacque un'impresa risoluta in cielo, Abbracciata da te. No; ch'io non torni Al Pastor santo, e debba dirgli: il brando, Che suscitato Iddio t'avea, ricadde Nella guaina; il tuo gran figlio volle, Volle un momento, e disperò. |
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CARLO |
Quant'io Per la salvezza di tal padre oprai, Uomo di Dio, tu lo vedesti, il vide Il mondo, e fede ne farà. Di quello Che resti a far, dal mio desir consiglio Non prenderò, quando m'ha dato il suo Necessità. L'Onnipotente è un solo. Quando all'orecchio mi pervenne il grido Del Pastor minacciato, io, su gl'infranti Idoli vincitor, dietro l'infido Sassone camminava; e la sua fuga Mi batteva la via; ristetti in mezzo Della vittoria, e patteggiai là dove Tre dì più tardi comandar potea. Tenni il campo in Ginevra; al voler mio Ogni voler piegò; Francia non ebbe Più che un affar; tutta si mosse; al varco D'Italia s'affacciò volonterosa, Come al racquisto di sue terre andria. Ora, a che siam tu il vedi: il varco è chiuso. Oh! se frapposti tra il conquisto e i Franchi Fosser uomini sol, questa parola Il re de' Franchi proferir potrebbe: Chiusa è la via? Natura al mio nemico Il campo preparò, gli abissi intorno Gli scavò per fossati; e questi monti, Che il Signor fabbricò, son le sue torri E i battifredi: ogni più picciol varco Chiuso è di mura, onde insultare ai mille Potrieno i dieci, ed ai guerrier le donne. Già troppo, in opra ove il valor non basta, Di valenti io perdei: troppo, fidando Nel suo vantaggio, il fiero Adelchi ha tinta Di Franco sangue la spada. Ardito Come un leon presso la tana, ei piomba, Percote, e fugge. Oh ciel! più volte io stesso, Nell'alta notte visitando il campo, Fermo presso le tende, udii quel nome Con terror proferito. I Franchi miei Ad una scola di terror più a lungo Io non terrò. S'io del nemico a fronte Venir poteva in campo aperto, oh! breve Era questa tenzon, certa l'impresa... Fin troppo certa per la gloria. E Svarto, Un guerrier senza nome, un fuggitivo, L'avria con me divisa; ei che già vinti Mi rassegnò tanti nemici. Un giorno, Men che un giorno bastava: Iddio mel niega. Non se ne parli più. |
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PIETRO |
Re, all'umil servo Di Colui che t'elesse, e pose il regno Nella tua casa, non vorrai tu i preghi Anco inibir. Pensa a che man tu lasci Quel che padre tu nomi. Il suo nemico Già provocato a guerra avevi, in armi Già tu scendevi, e ancor di rabbia insano, Più che di tema, il crudo veglio al santo Pastor mandava ad intimar, che ai Franchi Desse altri re: tu li conosci. Ei tale Mandò risposta a quel tiranno: immota Sia questa man per sempre; inaridisca Il crisma santo su l'altar di Dio, Pria che, sparso da me, seme diventi Di guerra contro il figliuol mio. T'aiti Quel tuo figliuol, fe' replicargli il rege; Ma pensa ben, che s'ei ti manca un giorno, Fia risoluta fra noi due la lite. |
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CARLO | A che ritenti questa
piaga? In vani Lamenti vuoi che anch'io mi perda? o pensi Che abbia Carlo mestier si sproni al fianco? È il periglio Adrian; forse è mestieri Che altri a Carlo il rimembri? il vedo, il sento; E non è detto di mortal che possa Crescere il cruccio che il mio cor ne prova. Ma superar queste bastite, al suo Scampo volar... de' Franchi il re nol puote. Detto io te l'ho; né volontier ripeto Questa parola. Io da' miei Franchi ottenni Tutto finor, perchè sol grandi io chiesi E fattibili cose. All'uom che stassi Fuor degli eventi e guata, arduo talvolta Ciò ch'è più lieve appar, lieve talvolta Ciò che la possa de' mortali eccede. Ma chi tenzona con le cose, e deve Ciò ch'egli agogna conseguir con l'opra, Quei conosce i momenti. E che potea Io far di più? Pace al nemico offersi, Sol che le terre dei Romani ei sgombri; Oro gli offersi per la pace; e l'oro Ei ricusò! Vergogna! a ripararla Sul Vèsero ne andrò. |
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SCENA SECONDA
Arvino, e detti.
ARVINO |
Sire, nel campo |
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PIETRO | Un Latin? | |
CARLO |
Donde arrivò? Le Chiuse |
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ARVINO |
Per calli sconosciuti, |
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CARLO | Fa' ch'io gli parli. (Arvino parte) E tu meco l'udrai. Nulla intentato |
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SCENA TERZA
Martino introdotto da Arvino, e
detti.
(Arvino si ritira)
CARLO | Tu se'
latino, e qui? tu nel mio campo, |
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MARTINO |
Inclita speme |
115 |
CARLO | Qual via? | |
MARTINO | Quella ch'io feci. | |
CARLO |
E come |
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MARTINO |
All'ordin sacro ascritto De' diaconi io son: Ravenna il giorno Mi diè: Leone. Il suo Pastor, m'invia. Vanne, ei mi disse, al salvator di Roma; Trovalo: Iddio sia teco; e s'Ei di tanto Ti degna, al re sii scorta: a lui di Roma Presenta il pianto e d'Adrian. |
120 |
CARLO |
Tu vedi |
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PIETRO |
Ch'io la man ti stringa, |
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MARTINO |
Uom peccator son io; |
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CARLO | Animoso
Latin, ciò che veduto, |
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MARTINO | Di Leone al cenno Verso il tuo campo io mi drizzai; la bella Contrada attraversai, che nido è fatta Del Longobardo e da lui piglia il nome. Scorsi ville e città, sol di latini Abitatori popolate: alcuno Dell'empia razza a te nemica e a noi Non vi riman, che le superbe spose De' tiranni e le madri, ed i fanciulli Che s'addestrano all'armi, e i vecchi stanchi, Lasciati a guardia de' cultor soggetti, Come radi pastor di folto armento. Giunsi presso alle Chiuse: ivi addensati Sono i cavalli e l'armi; ivi raccolta Tutta una gente sta, perché in un colpo Strugger la possa il braccio tuo. |
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CARLO |
Toccasti |
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MARTINO |
Securi Da quella parte che all'Italia è volta, Fossa non hanno, né ripar, né schiere In ordinanza: a fascio stanno, e solo Si guardan quinci, donde solo han tema Che tu attinger li possa. A te, per mezzo Il campo ostil, quindi venir non m'era Possibil cosa; e nol tentai; ché cinto Al par di rocca è questo lato; e mille Volte nemico tra costor chiarito M'avria la breve chioma, il mento ignudo L'abito, il volto ed il sermon latino. Straniero ed inimico, inutil morte Trovato avrei; reddir senza vederti M'era più amaro che il morir. Pensai Che dall'aspetto salvator di Carlo Un breve tratto mi partia: risolsi La via cercarne, e la rinvenni. |
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CARLO |
E come |
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MARTINO | Dio gli accecò, Dio mi
guidò. Dal campo Inosservato uscii; l'orme ripresi Poco innanzi calcate; indi alla manca Piegai verso aquilone, e abbandonando I battuti sentieri, in un'angusta Oscura valle m'internai: ma quanto Più il passo procedea, tanto allo sguardo Più spaziosa ella si fea. Qui scorsi Gregge erranti e tuguri: era codesta L'ultima stanza de' mortali. Entrai Presso un pastor, chiesi l'ospizio, e sovra Lanose pelli riposai la notte. Sorto all'aurora, al buon pastor la via Addimandai di Francia. Oltre quei monti Sono altri monti, ei disse, ed altri ancora; E lontano lontan Francia; mia via Non avvi; e mille son que' monti, e tutti Erti, nudi, tremendi, inabitati, Se non da spirti, ed uom mortal giammai Non li varcò. Le vie di Dio son molte, Più assai di quelle del mortal, risposi; E Dio mi manda. E Dio ti scorga, ei disse: Indi, tra i pani che teneva in serbo Tanti pigliò di quanti un pellegrino Puote andar carco; e, in rude sacco avvolti, Ne gravò le mie spalle: il guiderdone Io gli pregai dal cielo, e in vi mi posi. Giunsi in capo alla valle, un giogo ascesi, E in Dio fidando, lo varcai. Qui nulla Traccia d'uomo apparia; solo foreste D'intatti abeti, ignoti fiumi, e valli Senza sentier: tutto tacea; null'altro Che i miei passi io sentiva, e ad ora ad ora Lo scrosciar dei torrenti, o l'improvviso Stridir del falco, o l'aquila, dall'erto Nido spiccata sul mattin, rombando Passar sovra il mio capo, o, sul meriggio, Tocchi dal sole, crepitar del pino Silvestre i coni. Andai così tre giorni; E sotto l'alte piante, o ne' burroni Posai tre notti. Era mia guida il sole Io sorgeva con esso, e il suo viaggio Seguia, rivolto al suo tramonto. Incerto Pur del cammino io gìa, di valle in valle Trapassando mai sempre; o se talvolta D'accessibil pendio sorgermi innanzi Vedeva un giogo, e n'attingea la cima, Altre più eccelse cime, innanzi, intorno Sovrastavanmi ancora; altre, di neve Da sommo ad imo biancheggianti, e quasi Ripidi, acuti padiglioni, al suolo Confitti; altre ferrigne, erette a guisa Di mura, insuperabili. Cadeva Il terzo sol quando un gran monte io scersi, Che sovra gli altri ergea la fronte, ed era Tutto una verde china, e la sua vetta Coronata di piante. A quella parte Tosto il passo io rivolsi. Era la costa Oriental di questo monte istesso, A cui, di contro al sol cadente, il tuo Campo s'appoggia, o sire. In su le falde Mi colsero le tenebre: le secche Lubriche spoglie degli abeti, ond'era Il suo gremito, mi fur letto, e sponda Gli antichissimi tronchi. Una ridente Speranza, all'alba, risvegliommi; e pieno Di novello vigor la costa ascesi. Appena il sommo ne toccai, l'orecchio Mi percosse un ronzio che di lontano Parea venir, cupo, incessante; io stetti, Ed immoto ascoltai. Non eran l'acque Rotte fra i sassi in giù; non era il vento Che investia le foreste, e, sibilando D'una in altra scorrea, ma veramente Un rumor di viventi, un indistinto Suon di favelle e d'opre e di pedate Brulicanti da lungi, un agitarsi D'uomini immenso. Il cor balzommi; e il passo Accelerai. Su questa, o re, che a noi Sembra di qui lunga ed acuta cima Fendere il ciel, quasi affilata scure, Giace un'ampia pianura, e d'erbe è folta Non mai calcate in pria. Presi di quella Il più breve tragitto: ad ogni istante Si fea il rumor più presso: divorai L'estrema via: giunsi sull'orlo: il guardo Lanciai giù nella valle, e vidi... oh! vidi Le tende d'Israello, i sospirati Padiglion di Giacobbe: al suol prostrato, Dio ringraziai, li benedissi, e scesi. |
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CARLO | Empio
colui che non vorrà la destra |
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PIETRO |
E quanto |
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CARLO |
Ed io (a Martino) Pensa, o Latino, e certa |
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MARTINO |
Il puote. |
265 |
CARLO |
Oggi a riposo Nella mia tenda rimarrai: sull'alba, Ad un'eletta di guerrier tu scorta Per quella via sarai. Pensa, o valente, Che il fior di Francia alla tua scorta affido. |
270 |
MARTINO | Con lor
sarò: di mie promesse pegno |
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CARLO |
Se di quest'alpe (entra Arvino) I Conti e i Sacerdoti. (al Legato e a Martino)
E voi, le mani (partono il Legato e Martino) |
275 280
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SCENA QUARTA
Carlo solo
CARLO | Così, Carlo reddiva. Il
riso amaro Del suo nemico e dell'età ventura Gli stava innanzi; ma l'avea giurato Egli in Francia reddia. Qual de' miei prodi, Qual de' miei fidi, per consiglio o prego, Smosso m'avria dal mio proposto? E un solo, Un uom di pace, uno stranier, m'apporta Novi pensier! No: quei che in petto a Carlo Rimette il cor, non è costui. La stella Che scintillava al mio partir, che ascosa Stette alcun tempo, io la riveggo. Egli era Un fantasma d'error quel che parea Dall'Italia rispingermi; bugiarda Era la voce che diceami in core: No mai, no, rege esser non puoi nel suolo Ove nacque Ermengarda. Oh! del tuo sangue Mondo son io; tu vivi: e perché dunque Ostinata così mi stavi innanzi Tacita, in atto di rampogna, afflitta Pallida, e come del sepolcro uscita? Dio riprovata ha la tua casa; ed io Starle unito dovea? Se agli occhi miei Piacque Ildegarde, al letto mio compagna Non la chiamava alta ragion di regno? Se minor degli eventi è il femminile Tuo cor, che far poss'io? Che mai faria Colui che tutti, pria d'oprar, volesse Prevedere i dolori? Un re non puote Correr l'alta sua via, senza che alcuno Cada sotto il suo piè. Larva cresciuta Nel silenzio e nell'ombra, il sol si leva Squillan le trombe; ti dilegua. |
285 290 295 300 305 310 |
SCENA QUINTA
Carlo, Conti e Vescovi
CARLO |
A dura |
315 320 325 330 335 340 345 350 355 360 365 370 |
FINE DELL'ATTO SECONDO
© 1998 - by prof. Giuseppe Bonghi
- E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 28 dicembre 1998